Il fanciullo nascosto/Il padrone
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Il padrone.
Appena cominciava il freddo, verso gli ultimi di novembre, gli uomini più poveri del villaggio, quelli che non erano neppure servi, che non avevano grano da seminare, che non avevano neppure fuoco, si riunivano nella stanzetta d’ingresso della casupola ove Maria Franchisca faceva e vendeva a mitissimo prezzo un pane scuro mescolato di farina d’orzo e di frumento; e appoggiati al muro o seduti per terra, dopo aver comprato e mangiato un pane, s’indugiavano fino a sera se neppure allora si decidevano ad andarsene.
Alcuni si portavano il companatico, — una aringa o un pezzo di formaggio di capra bianco e duro come marmo, — e anche il vino in una piccola zucca nera che stava bene nascosta sotto l’ascella, e bevevano e si addormentavano.
Il segreto è che nel piccolo ingresso sterrato, senza finestra, illuminato solo dal chiarore del forno acceso nell’attigua cucina e dalla luce rapida della porta che ogni tanto s’apriva e si chiudeva, c’era un calore piacevole, una dolcezza di nido.
Quando la porta s’apriva tutta, apparivano in fondo allo spiazzo davanti alla casetta i profili dei monti neri incappucciati dell’ermellino della prima neve; e di lassù il vento scendeva di galoppo come un cavallo selvaggio sbattendosi contro la casa e facendola tremare tutta; e ricacciava il fumo del forno dentro la cucina aumentando il malumore silenzioso e la tosse ostinata dalla piccola Maria Franchisca. Allora ella si affacciava all’ingresso, protestando con poche ma rudi frasi contro i clienti che si attardavano là dentro: la tosse le mozzava le parole, e qualcuno dei clienti indiscreti se n’andava per pietà di lei, per non farla arrabbiare e tossire oltre; ma due o tre rimanevano sempre, sordi e zitti, ritraendosi negli angoli come ragni, e non se ne andavano che verso sera.
La donna finiva col lasciarli in pace e tornava alla sua faccenda: non s’udiva allora che il rumore del vento al di fuori, continuo e monotono come il rombo del mare, e nella cucina il picchiettare della pala dentro il forno e il mormorare della fiamma.
Attraverso l’uscio gli uomini vedevano la piccola padrona, esile e gentile come una bimba, e l’infornatrice gigantesca, nera, abbrustolita dal calore del forno, andare e venire, trascinare i canestri, sfornare il pane e ripulirlo della cenere con un mazzo di foglie di malva. Accanto all’uscio un cestino di pane caldo esalava un odore di fieno; la porta d’ingresso ogni tanto si apriva e cacciata là dentro a viva forza dal vento entrava con le sottane gonfie qualche donna che andava difilato a scegliere il pane e se ne scaldava le mani e in ultimo porgeva una moneta che Maria Franchisca si buttava in tasca senza neppure guardarla.
*
Così un giorno entrò il maestro di scuola, con le mani nelle tasche della giacca logora abbottonata, uno scialle grigio con la frangia sollevata dal vento intorno al viso pallido feroce d’affamato. Richiuse la porta col piede e andò dritto al cestino a prendere un pane, senza curvarsi, senza guardare gli uomini riuniti nell’ingresso, senza salutare le donne. Il suo viso scarno, sdegnoso, al quale gli occhi verdognoli obliqui e il labbro inferiore sporgente davano un’aria di scherno selvaggio, parve per un attimo arrossato dal riflesso del fuoco. Mise il pane sotto il lembo dello scialle e disse andandosene:
— Maria Franchì, per oggi mi fai credito: pagherà il Comune!
La donna non rispose: s’era alzata di botto, appena l’aveva veduto, e rimaneva lì, bianca, con la bocca e gli occhi aperti dallo spavento. Anche gli uomini, nell’ingresso, non fiatavano, turbati come se l’avvenimento strano li riguardasse personalmente. Perchè il maestro era stato padrone e poi amante di Maria Franchisca. La teneva in casa da bambina: l’aveva sedotta, poi in ultimo cacciata via a bastonate minacciandola di morte perchè a causa di lei non poteva più fare un buon matrimonio, — egli diceva; — e nella scuola, a un tratto, e con tutti quelli che lo avvicinavano era diventato crudele e prepotente. Il Comune l’aveva quindi licenziato ed egli aveva intentato lite al Comune. Era stato condannato nelle spese. Fino a qualche mese prima lo si era veduto girare ancora per il paesetto, con la sua aria sdegnosa di uomo superiore; non frequentava nessuno; non guardava nessuno; ma tutti lo rispettavano ancora perchè lo temevano; poi era scomparso e si credeva avesse trovato posto in qualche altro Comune; ecco invece ricompariva col ritornare dell’inverno e rientrava nella casa della sua vittima per rubarle il pane sfrontatamente come le aveva rubato l’onore e la pace. I passi di lui non s’udivano più nello spiazzo, e le donne e i clienti dentro la casetta non s’erano ancora riavuti dalla sorpresa. L’infornatrice, con la pala dentro il forno lasciava bruciare il pane, rivolta a guardare la padrona; e la padrona fissava coi grandi occhi glauchi spalancati nel viso infantile la porta socchiusa, come incerta se credere o no ancora alla tragica apparizione: d’un balzo però si slanciò nell’ingresso, chiuse con la spranga la porta, vi si appoggiò con le spalle, come per far forza contro un assalto di fuori, poi vinta diede un gemito e cadde svenuta.
Gli uomini la sollevarono, uno la portò in braccio fino al lettuccio nella cameretta dietro la cucina: ella non rinveniva: un filo di bava sanguigna le colava dall’angolo della bocca.
— E lo sapeva, lei, che sarebbe tornato, — diceva l’infornatrice, bagnandole la fronte con uno straccio inzuppato di vino; — lui le aveva mandato a dire che finirebbe lei col pagare le spese della lite....
— Ma, perdio, perchè non avvertire? — disse uno degli uomini, offrendo la sua zucchettina del vino per inzuppare lo straccio. — S’egli torna qui gli rompo il garetto, così Dio mi assista, gli rompo il garetto.
— Perchè non avvertire? — ripetè un altro. — Siamo uomini.
Ma l’infornatrice accennò col dito che se ne andassero. Maria Franchisca sbatteva le palpebre sugli occhi smarriti e con la piccola mano ancora bianca di pasta si asciugava il vino dalle guancie.
— Su, donna, su, coraggio; il pane si brucia, — disse l’infornatrice, aiutandola a sollevarsi; ed entrambe tornarono al lavoro.
Di là nell’ingresso gli uomini vigilavano; non s’erano detti nulla, ma tutti capivano che bisognava proteggere la povera creatura sola e difenderla dalla persecuzione del suo tiranno. Di tanto in tanto si udiva la tosse straziante di lei, e di fuori il mugolio del vento pareva la voce del suo terribile nemico.
Eppure quando qualcuno picchiò alla porta ella corse ad aprire; era una cliente ed ella le lasciò prendere il pane, intascò la moneta e non rimise la spranga. Pareva non ricordasse o non temesse più nulla, e più tardi, poichè gli uomini non se ne andavano, cominciò a brontolare.
Allora uno di essi, quello che l’aveva portata in braccio, si avanzò risoluto.
— Maria Franchì, non sarebbe bene che qualcuno di noi restasse qui? Non hai paura?
Ella lo guardava stupita; parve ricordarsi, esitò.
— Ma no, — disse infine, — chiuderò bene la porta.
*
Durante la notte nevicò. I clienti furono solleciti a tornare, oltrechè per il freddo e per la curiosità, per un vero sentimento d’inquietudine pietosa.
Il primo ad arrivare fu quello che aveva portato in braccio Maria Franchisca: comprò il pane, la interrogò con gli occhi e vedendola pallida ma tranquilla si ritirò nel suo angolo. Poi arrivarono gli altri: tutti avevano cura di sbatter bene la neve dai piedi prima di entrare, e questo significava che non intendevano andarsene via presto. Non bisognava abbandonare la povera Maria Franchisca alle persecuzioni del suo tiranno. Ma le ore passavano e tutto rimaneva tranquillo: le donne lavoravano, fuori gravava il profondo silenzio dei giorni di neve, e il freddo pareva avesse spento il mondo e le sue passioni. Eppure ogni volta che la porta s’apriva Maria Franchisca si volgeva spalancando gli occhi e pareva aspettasse con paura che qualcuno entrasse.
Verso sera fu presa da un gran freddo: batteva i denti, si scaldava inutilmente al forno e infine scoppiò a piangere torcendosi le mani.
— Ho paura, ho paura, — diceva.
L’infornatrice la fece andare a letto e le diede da bere acqua calda con miele; ella stringeva con tutte e due le mani tremanti la tazza che le si sbatteva contro i denti, e continuava a ripetere:
— Ho paura....
Di là gli uomini ascoltavano: e quello che l’aveva portata in braccio s’avanzò fino alla cucina, dicendo con voce sommessa all’infornatrice:
— Ditele che stia quieta: resteremo qui di guardia finchè quell’asino non sarà partito dal paese.
Due di loro, infatti, passarono la notte nell’ingresso. Maria Franchisca aveva la febbre alta e delirava, senza mai accennare al suo affanno segreto. Si preoccupava del pane che bruciava, del mal tempo, degli uomini che s’indugiavano nell’ingresso: ma per il resto, anche davanti alla morte pareva volesse tutto per sè il suo dolore e il suo terrore.
*
Stette due settimane a letto; l’infornatrice continuava a cuocere il pane, aiutata da una donna del vicinato, e gli uomini non smettevano di fare la guardia; ma il nemico, di fuori, era un po’ come il vento, c’era e non c’era, sbatteva la porta ma senza penetrare dentro. La donna che aiutava a fare il pane si burlava dei difensori di Maria Franchisca.
— Ma chi l’ha veduto? Se nessuno in paese l’ha veduto? Sognato, avete.
Eppure fu proprio lei che, la sera di Natale, entrò nella cameretta di Maria Franchisca e l’aiutò a sollevarsi, le mise un cuscino dietro le spalle, le disse sottovoce:
— Adesso sei guarita; domani ti alzerai; è festa. Ascoltami, tortora: il tuo padrone è in casa mia, nel nostro pagliaio, buttato per terra come un cane malato, e non mangia, non vuole nulla; solo chiede perdono di averti spaventato. Non ha casa, non ha pane: negare il perdono a lui è come negarlo al Cristo deposto....
L’altra taceva, guardandola coi grandi occhi luminosi di lagrime.
— Maria Franchì: oggi tutti perdonano, anche al peggiore nemico. Lascialo venire a domandarti perdono; così ti passerà lo spavento: che cosa mi dici, tortora? Sì?
Sì, accennò l’altra con la testa pesante dei capelli ancora umidi del sudore della febbre; e le lagrime le cadevano giù sul collo esile e rimbalzavano sul lenzuolo come le perle d’una collana rotta.
*
La donna pietosa rimase presso di lei, quella notte, e i buoni amici dell’ingresso furono mandati via, poichè Maria Franchisca oramai stava bene e non voleva compagnia. Quello che l’aveva portata in braccio era sospettoso, però: andò alla Messa e scuoteva la testa, inginocchiato, come per cacciar via qualche cosa che gli dava noia fra i capelli. All’uscita seguì un gruppo di giovani che suonavano la fisarmonica, e s’appoggiava al muro, ascoltando la musica, e gli pareva d’es sere ancora là dentro nell’ingresso, al caldo, di sentire il lamento della malata e di commuoversi inutilmente per lei.
Quando tutti furono dentro nelle loro case dalle cui porticine usciva il fumo e l’odore del porchetto arrosto, egli andò lungo i muri, come un cieco, fino alla casupola di lei. C’era luce: picchiò e la donna del vicinato aprì e lo lasciò entrare. Era pietosa con tutti.
Egli s’avanzò fino alla cucina e vide, seduto accanto al lettuccio di Maria Franchisca, il nemico di lei. Teneva le gambe allungate, le spalle bene appoggiate alla sedia, le mani in tasca: ella sedeva sul lettuccio, con la testa un po’ reclinata a destra sul cuscino al quale s’appoggiava, e nel cavo della mano una pera che egli le aveva portato.
La scena però non commosse il cliente; un impeto di rabbia lo spinse fino alla cameretta; e balbettava, tendendo le mani verso la convalescente:
— Che fai, Maria Franchì, ma che fai?
L’ex-maestro tirò su le gambe, e senza alzarsi, senza togliere le mani di tasca lo guardò con disprezzo.
— Oh, oh, — disse, — dove credi di es sere? Vattene, e non rimettere più piedi qui. Cammina.
E la donna pietosa lo afferrò per il braccio conducendolo fino alla porta. E lui rimase fuori, aspettando che il maestro se ne andasse. Spuntò l’alba e solo la donna pietosa uscì dalla casetta: il tiranno rimase dentro.
Arrivarono gli altri clienti, protettori di Maria Franchisca, ma saputo dal compagno che il maestro era là non osarono entrare. Per vendicarsi si misero a cantare una canzone ingiuriosa, allontanandosi, però, in gruppo; e il vento gelido dell’alba si sbatteva sulle loro spalle, e pareva si divertisse a scherzare coi loro stracci e a disperdere la loro voce.