Il dottor Antonio/VIII
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CAPITOLO VIII.
Speranza.
Fra il leggere, guardare il mare, le lezioni di botanica, le lezioni di chitarra e il cicalar col dottor Antonio, Lucy era giunta al vigesimo giorno dello stare in letto con animo tollerabilmente buono, e senza lamentarsi del tempo che le pesasse di troppo. La necessità di questa severa confinazione, era difatto l’unico grave inconveniente provato da miss Davenne per la sua passata disgrazia. Le punture di dolore che tratto tratto si facean sentire nella parte offesa, specialmente nel piede durante i primi giorni, si erano gradatamente calmate e poi completamente svanite. Del pari quel sentimento di irrequietezza che le impediva il sonno. E nel complesso la salute di Lucy era piuttosto migliore di quel che fosse nel tempo prima dell’infelice accidente che l’avea condotta all’osteria.
In questa vigesima mattina, pertanto, Antonio fece la sua visita più presto del solito, dicendo: «Son venuto a darvi l’addio fino a domani. Mi chiamano in un luogo alcune ore distante da qui, ove mi bisognerà dormire.»
Questa notizia fece contrarre penosamente il cuore a Lucy. — «Sarà per me una lunga giornata,» rispose; e non potè tenersi di aggiungere: «Ma siete sicuro che tornerete domani?»
— «Immancabilmente,» rispose Antonio; «dirò a Speranza che frattanto venga a tenervi compagnia. Le sue storie potranno divertirvi. Or ditemi, credete bene che io vegga sir John Davenne per dirgli che sarò assente nelle ventiquattr’ore prossime?»
— «Sì, vi prego a farlo,» disse Lucy con riconoscenza, la quale si era accorta come vi fosse un certo riserbo ne’ modi de’ due signori, e accoglieva con gioja da parte del Dottore ogni ombra preliminare che li potesse condurre a più buon accordo. La Hutchins fu mandata, secondo il solito, a vedere ove fosse sir John; e Antonio licenziandosi da Lucy, seguì questa Iride sino alla presenza del Giove Britannico.
Non avendo intenzione di attribuire al nostro eroe maggior generosità di quella che avesse nel suo naturale, diremo senz’altro, che l’esibizione fatta a miss Davenne non era già un segno di crescente cortesia, ma sì semplicemente un tratto di politica. Antonio aveva un piccol disegno da proporre a sir John, del quale preferiva miss Davenne non sapesse nulla per adesso. Essendo ormai difficile veder sir John senza saputa di lei, era lieto di avere siffatto specioso pretesto per un abboccamento a quattr’occhi con quel collo duro e quelle spalle dure e quelle più dure maniere del padre della sua malata.
Fin dalla memorabile visita del dottor Yorke, e della decisiva vittoria di Antonio, sir John, per una delle più strane fra le strane illusioni ottiche della mente, aveva riguardato l’Italiano come l’autore di tutti i suoi guai. Sir John non era ben sicuro che Antonio, col suo insignificante dialogo con Prospero sulla strada, fosse stato la causa prima del ribaltare della carrozza; ma che l’Italiano avesse in un modo o in un altro condotto le cose allo spiacevole stato nel quale si trovavano, era ciò di cui sir John non aveva il menomo dubbio; e il suo risentimento era proporzionato al danno soffertone. Ora, dei signori bene educati, hanno, come ognun sa, mille modi ingegnosi loro proprii, di farvi perfettamente capire che vorrebbero mandarvi al diavolo; senza allontanarsi nemmen di un’oncia dalla più stretta proprietà di modi e di parole. E questo erede di una genealogia lunga un miglio, questa quintessenza di spirito aristocratico non difettava del talento di rendersi pulitamente spiacevole a sua voglia. Cotesto è un ramo particolare di diplomazia molto studiato e praticato nelle conversazioni eleganti e nell’alta società. In questa scuola si acquista il complimentoso inchino, che vi mette a maggior distanza che non un telescopio in cui si guardi a rovescio; il blando sorriso che riesce così incantevolmente provocante; quel freddo spero che stiate bene, che suona come un memento mori: ed una varietà di altri simili modi da fare superlativamente fastidiosi, nella maniera la più prevenente; — i quali modi tutti, il nostro educato Inglese applicò con ingegno distinto nell’attual circostanza. Ma quello in che riusciva con inarrivabil perfezione, era la quotidiana espressione di rammarico e la replica di scuse per il disturbo che veniva dato al Dottore. Si sarebbe potuto giurare di vedere aghi acuti uscirgli di bocca ad ogni parola. Dopo molti inutili tentativi di conciliazione, Antonio conobbe il vento, e ripagò il Baronetto della stessa moneta: e gli restituiva gli inchini collo stesso angolo d’inclinazione col quale gli venivano fatti; e domandava dello stato di salute di sir John collo stesso suono glaciale nel quale era stato richiesto della propria: conducendosi sotto ogni altro rispetto come sir John non fosse esistito; ed entrando ed uscendo dall’osteria con una calma ed una equanimità, che lasciava il suo nemico Inglese nel dubbio se fosse o no da lui capita la sua tattica.
E, cosa assai strana! questo incomodo stato di cose era durato anche quando le cause dalle quali era stato prodotto erano in parte cessate; quando il sentimento d’irritazione del vecchio gentiluomo contro il giovane erasi considerevolmente cambiato: effetto prodotto principalmente dal migliore di tutti i pacieri, il tempo; e da varie altre cause quasi impercettibili, la cui azione sulla mente umana è positiva quanto indefinita. L’osteria, che da principio era stata, come il regno di Federico il Grande, «tutta irta di punte,» benchè non si fosse mutata in terra di pace scorrente latte e miele, tuttavia più non era quel letto di spine come da prima. In fin dei conti, sir John vi si trovava tollerabilmente comodo, riceveva ogni mattina regolarmente il Times, ed era così ben provvisto di quel favorito letterario passatempo che sono i giornali inglesi. Una valanga di sedie a bracciuoli, di sofà, di specchi, di cortine, di lucerne, di stoviglie, ecc., ecc., era venuta da Nizza per provvedere al suo agio; ed egli aveva del pari un cuoco squisito, il cuoco del defunto vescovo di Albenga, il più grande gastronomo della Riviera! Per la posta da Nizza a Genova, il suo corriere ingegnavasi provvedere la sua tavola di ogni cosa opportuna. Due vacche in una tenuta vicina erano state destinate al servigio della famiglia; e butirro passabilissimo figurava alla colazione e alla cena del Baronetto. Le sue passeggiate erano libere da ogni molestia, essendo ormai ben noto che al milordo Inglese non piaceva gli si parlasse. Sir John era una specie di notificazione ambulante, di «non è permessa la trasgressione.» Il Sindaco e la maggioranza dei Consiglieri municipali di Bordighera erano venuti a visitarlo in corpo; e così avea pur fatto un vecchio nobile chiamato per antonomasia «il Conte» il quale viveva ritirato nel suo palazzino proprio dall’altra parte del monte di Bordighera. Queste visite, restituite, come era naturale, puntualmente, avevano gradevolmente lisciato l’amor proprio e l’importanza del Baronetto. Alla fin fine vedeva di essere fra gente che riconosceva i suoi maggiori. Trovate, se vi basta l’animo, un membro della baronia della Gran Bretagna, il quale riconosca o creda che un nobile Italiano, il cui nome forse figura nella storia prima assai che si sentisse parlare dei Plantageneti, possa essere a lui eguale! Sir John, in una parola, si sentiva ormai tanto a suo agio, quanto si fosse mai trovato in alcun luogo da che avea lasciato le sue rive natìe; e si era pertanto assai raddolcito verso la razza italiana in genere, e in particolare verso quel campione di essa, che passava sotto il nome di dottor Antonio. L’interminabile antifona di lodi che Lucy cantava per tutto ciò che il Dottore avea fatto e pensato per divertirla; e quanto ne aveva veduto sir John istesso, probabilmente non aveva mancato di produrre qualche effetto sul cuore paterno. Per disgrazia, sir John era troppo superbo per dare alcun segno esterno de’ suoi sentimenti mutati, che potesse esser riguardato quasi un preliminare da parte sua; e continuò, per falsa vergogna, ad essere, se non pungente come prima, almeno ugualmente sostenuto e riservato e freddo com’era stato sempre.
Premesse queste cose, sarà facile intendere come sir John, uscendo di camera, facesse le scuse le più cerimoniose al dottor Antonio per averlo fatto aspettar tanto — un mezzo minuto esattamente; — e come il dottor Antonio in contraccambio pur facesse le sue, piuttosto verbose, per aver disturbato sir John in ora sì indebita. Le quali scuse sentendo, il Baronetto protestò con dichiarare che egli era sempre a disposizione del dottor Antonio, e lo pregò di sedersi. Poi venne una sfilata d’inchini, seguita da una scaramuccia a chi dovesse o non dovesse sedersi primo: difficoltà che fu aggiustata da ambi i gentiluomi, ponendosi ambidue a sedere nello stesso tempo.
— «È per me un piacevol dovere,» cominciò il Dottore in tuono alquanto oratorio, «di comunicare notizie eccellenti della nostra interessante inferma. Miss Davenne sta questa mattina bene straordinariamente.»
— «Mi rallegro di sentirvi dir così,» rispose sir John con gran condiscendenza; «benchè difficilmente avessi potuto aspettarmi meno, avuto riguardo all’abilità e alle attenzioni da voi mostrate nella cura di miss Davenne.»
Antonio avrebbe voluto dir qualcosa per chieder tregua ai complimenti. — «No, no,» proseguì sir John, «dovete permettermi che io dica così. Conosco l’estensione delle mie obbligazioni, e il valore del vostro tempo, e farò il più che io possa per mostrarvi il sentimento che ne provo.»
— «Intende forse questo don Magnifico pagarmi delle mie conversazioni di botanica e delle mie lezioni di chitarra?» pensò Antonio; e a questo pensiero aggrottò portentosamente le ciglia, e disse secco secco: — Esagerate l’estensione delle vostre obbligazioni e il valore del mio tempo; specialmente in questa stagione dell’anno, in cui ho la felicità di dirlo, essendoci pochissimi malati in paese, il mio tempo vale pochissimo. Forse per evitare ogni futuro malinteso farei meglio a dirvi distintamente, che nove su dieci delle mie visite non sono professionali; e però escludono qualunque questione di pagamento.»
Sir John fece una smorfia assai brutta, e le sue narici si contrassero come se nell’aria ci fosse cattivo odore. Antonio proseguì a dire: — «La cagione del disturbo che vi do questa mattina riguarda miss Davenne. Miss Davenne le debbo render questa giustizia, ha sopportato la sua relegazione in letto con ammirabile pazienza e mansuetudine. Ma se è dura la sua prova, diverrà ancor più dura progredendo nel ristabilirsi; e questi ultimi giorni ho molto pensato se per noi si potesse trovar qualche espediente di alleviargliela. — Se si potesse far in modo che la venisse portata ogni giorno sulla loggia per godervi di una più estesa veduta del paese circonvicino, aver aria più fresca; divertirsi, disegnare, e ricever anco, se le piace, delle visite — credo che tutto ciò le riuscirebbe di gran sollievo.»
— «Certo, di gran sollievo,» fece eco sir John.
— «Ora,» rispose Antonio, «ciò che sarebbe fuor di proposito per novantanove su cento persone nel suo caso, mi par degno di essere provato; ed è probabile riesca con una signorina di buon senso, discrezione e prontezza ad obbedire com’è miss Davenne.»
— «Non potremmo, disse sir John, «far porre un sofà sulla loggia, e portarvela ogni giorno?»
— «Un sofà non sarebbe sicuro,» rispose il Dottore; «si ha a badar bene che miss Davenne non si faccia male neppur con un movimento involontario; e credo di intravedere un modo per cui si può prevenire anche questo pericolo. Ecco il disegno di una sedia,» continuò Antonio porgendo a sir John una carta con sopra un abbozzo; «la quale è qualcosa, come vedete, di mezzo fra una carrozzina e una sedia a bracciuoli, sulla quale miss Davenne potrà adagiarsi distesa. Questo incavo imbottito sul davanti è destinato a tener fermo il piede e guardarlo da ogni movimento anche indipendente da volontà. La si può collocare sopra ruote movibili a piacere di chi vi sieda sopra. Se approvate il mio disegno, posso farlo eseguire immediatamente da un abilissimo ebanista amico mio (sir John s’impennò visibilmente a quest’ultima idea), che vedrò quest’oggi stesso nel paese ove vado per ventiquattr’ore.»
— «La vostra idea è eccellente,» disse il Baronetto, «ma siete sicuro che la persona di cui parlate sia capace di eseguire gli ordini vostri perfettamente?»
— «Non ne dubito,» disse l’Italiano; «la persona di cui parlo è un genio nel suo genere, e anzi mi confido su lui perchè suggerisca ogni perfezionamento che possa esservi fatto. Egli lo vedrà al primo sguardo. Intanto,» aggiunse, «non ne ho fatto parola a miss Davenne, temendo che il progetto potesse mancare per qualche accidente e...»
— «Giustissimo,» interruppe sir John, «io non ne fiaterò punto.»
— «Ve ne ringrazio; e ora che ho la vostra approvazione,» seguitò Antonio levandosi, «io non vo’ abusare più a lungo del vostro tempo.»
— «Vi prego, signore,» disse sir John levandosi anche egli, «a gradire i miei più vivi ringraziamenti; gli è una cosa molto ben pensata da voi; molto... gentile. Ve ne sono infinitamente obbligato.»
Sir John era veramente sincero ne’ suoi ringraziamenti; e queste ultime parole furono pronunziate in un tuon di voce, al quale egli aveva poco avvezzate le orecchie di Antonio. La costante indipendenza e il disinteresse dell’Italiano avevano del pari piccato e soddisfatto l’altero Baronetto. Di tutte le qualità in un uomo, quella che sir John poteva meglio pregiare e valutar di più, era l’alterezza.
— «In fondo,» disse egli a sè stesso dirigendo i passi verso la camera di Lucy, «v’è alquanto del gentiluomo in quest’Italiano.» — «In fondo,» disse il dottor Antonio a sè stesso, mentre traversava il giardino, «c’è assai di cuore in questo vecchio orso.» Ed entrambi i gentiluomini si separarono molto meglio disposti l’un verso l’altro, di quello fossero mai stati fin’allora.
Lucy fece di tutto per ingannare il tempo; ma con poco successo. Le cose che avevano avuto per lei tante attrattive finchè Antonio erasi trattenuto con essa, non ne avevano più ora ch’egli era partito. Lo stesso cielo non le parea più sì brillante, nè il mare sì azzurro; e messi da parte libri e fiori, Lucy si immerse ne’ suoi pensieri. Non aveva mai provato sin’allora un tale sentimento di solitudine; e siccome la mestizia presente ha il privilegio di richiamare alla mente la mestizia passata, così ella ricordava ora, stranamente distinta fra un cumulo di confusi pensieri e d’immagini, la persona di sua madre — memoria che faceva serrar le mani alla fanciulla; mentre un acuto dolore le penetrava nel vivo, come per la prima volta avesse allora conosciuto che non aveva più un cuor di madre su cui appoggiarsi. Allora la memoria la riportava indietro alla sua fanciullezza. La sua vecchia nutrice, i suoi giuochi, il praticello, il giardino, tutte le vecchie facce e le scene di famiglia tornarono innanzi a lei, e calde lagrime le corsero per le gote. Lucy era mestissima; e maravigliavasi perchè fosse sì mesta; e perchè mai si sentisse sì sola; e perchè vi fosse tale un vuoto intorno a lei. I suoi occhi eran pieni di lagrime, e incominciò a desiderare che Speranza venisse a tenerle compagnia, come Antonio le aveva detto che avrebbe fatto. Speranza era la sola compagnia conveniente a Lucy in quella mattina; Speranza che le sembrava, ed era tanto diversa dalla Hutchins, cui miss Davenne non avrebbe potuto riguardar mai come un sollievo.
Speranza apparì finalmente, e si recò cheta cheta a sedersi al solito suo posto a piè del letto. Lucy guardandola vide tracce di lagrime ne’ suoi occhi, e disse: «Voi avete pianto, Speranza? Ditemi che vi è occorso.» Speranza si provò a far una debole negativa colla mano, — il suo cuore, poverina, era tanto pieno, che qualunque tentativo di parlare lo avrebbe fatto traboccare, — e chinò il capo più basso sulla sua rocca.
— «Venite e parliamo,» disse Lucy. E tirandosela gentilmente vicino, chiese col più dolce tono di voce: «Chi vi tormenta, mia povera giovinetta?» La tenera voce di Lucy penetrò diritto nel cuore alla povera contadina, la quale, incapace di trattenersi più a lungo, nascose la sua faccia in seno a Lucy, e proruppe in uno scoppio di pianto e di singhiozzi. — «Ditemi che vi succede, ve ne prego, forse vi posso ajutare;» insistette Lucy baciando il capo a Speranza, e piangendo anch’ella quasi per confortarla.
— «Grazie, signora,» disse singhiozzando la giovinetta; «Dio vi rimeriterà della vostra pietà per me — ma al mio dolore non c’è ajuto.» E così dicendo si trasse di saccoccia una lettera, la pose in mano a Lucy, poi sedendosi di nuovo sul suo sgabello, si coprì la faccia col grembiule, e cominciò a cullarsi su e giù con lievi singulti che esprimevano un’intensa angoscia. La lettera scritta in carattere chiaro e netto, era datata da «Genova,» e segnata «Battista,» in lettere grosse e piuttosto primitive. Diceva così:
- «Mia buona Speranza!
«Il mio caso fu portato jeri innanzi al Consiglio di Revisione, e io produssi i miei certificati, dico la lettera del Sindaco di Bordighera, e quella del Curato che voi mi mandaste. L’ufficiale che lesse le lettere, ed ebbe sempre la parola per sè, disse ch’erano tutte sciocchezze, e insulsaggini, e che io poteva ringraziare il Consiglio che non mi dichiarasse contumace — e non mi punisse come tale. Poi scrisse il mio nome in quel che chiamano libro di ruolo. Così ora è tutto finito per me, io sono adesso regolarmente ingaggiato per quattro anni come marinaro al servizio del re. Se fossi stato preso regolarmente, non me ne curerei. Potrei dirvi: «Voi siete giovane, giovane son io. Quattro anni verranno a finire un giorno, — aspettatemi.» Ma sono stato maltrattato, non c’è punto giustizia nel fatto, così io vi assicuro che avranno a trattare con me un cattivo negozio: voglio farla in barba a Sua Maestà alla prima opportunità che si presenti, e provar la mia fortuna in qualche paese migliore ove ci sia giustizia per i poveri come per i ricchi. Così voi non bisogna pensiate più a me, a meno che non vi piaccia pensarci come a un amico partito, perchè tal vi sono, e sarò sino alla fine. Se vi dovessi dire che il mio cuore è proprio spezzato, ciò non servirebbe ad altro che a far più grande il vostro dolore; così non dirò nulla di siffatte cose; solo vi dirò addio finchè rimarremo al di qua della tomba. Ho fatto il possibile per riuscire un buon figlio e vivere nel timor di Dio e della Madonna Santissima. Che pro me n’è venuto? Ho più che voglia di mettermi a giuocare, bere e litigare come molti de’ miei camerati che non pajono star peggio per questo; ma piuttosto meglio. Non serve scriver di più — così Dio vi benedica come faccio io dal più intimo del cuore; e non mi dimenticate nelle vostre preghiere, e pensate qualche volta al vostro sfortunato
«Battista.»
«PS. I miei doveri alla cara vostra madre Rosa e al buon dottor Antonio. Avevo intenzione di mandarvi la ciocca di capelli che mi avete dato la sera innanzi al mio primo viaggio a Marsiglia, e l’anello che scambiammo nella cappella della Madonna di Lampedusa. Ma non posso distaccarmene — realmente non posso.»
Lucy si asciugò gli occhi, mentre rendeva la lettera a Speranza, che non aveva mai cessato di singhiozzare e di cullarsi su e giù.
Ora la lettera di Battista, benchè esplicita sul principio, lasciava molti punti minori all’oscuro, i quali l’affettuosa giovanetta inglese, colla vera premura di una donna sentendo una storia d’amore, desiderava le fossero spiegati. Quel desiderio trasse ad una sequela di domande dalla parte dell’una, e di risposte dalla parte dell’altra, le quali ultime interrotte da singulti e da lagrime se ne accrescevano il patetico, ne guastavano anche la chiarezza. È da queste risposte, soltanto un po’ meglio ordinate, che estrarremo la piccola storia di Speranza, lasciandola tuttavia raccontata da lei interamente di sua bocca: per timore, narrandola noi, che non facessimo quello che Antonio aveva paura di fare, e non voleva — cioè alterarne la semplicità.
— «Battista,» cominciò Speranza, «era figlio unico di una povera donna stata sempre chiamata vedova Susanna, benchè suo marito fosse ancor vivo, ma egli l’aveva abbandonata avendo Battista soltanto due anni, ed erasene andato in Francia ove si era stabilito. Siccome la vedova Susanna abitava nella porta vicino a noi — ciò era molto prima che prendessimo questa osteria — Battista ed io ci trovavamo insieme tanto spesso, quanto se fossimo stati fratello e sorella; e quando nessun di noi due era ancor alto così — e la giovinetta segnava colla mano la tavola — egli non mi chiamava mai con altro nome, fuorchè «sposina,» ed io lo chiamava sempre «marituccio mio.» Ogni domenica, dopo i vespri, Battista mi aspettava alla porta della chiesa per tornar a casa con me, e non parlava mai ad altra fanciulla che a me, benchè a lui parlassero spesso molte altre — perchè, sebbene sia io che lo dica, è proprio vero, signora, egli era il più bel giovinetto del paese. Quando divenni più grande, e cominciai ad andare al bosco, ero sicura che Battista mi veniva incontro a mezza strada, e portava il fascio per me. Ne venne da ciò che si tenne come stabilito, e ognuno in Bordighera, e più di ogni altro noi prendemmo per convenuto che, appena fossimo grandi abbastanza, noi ci saremmo sposati; benchè nè mio padre, nè mia madre, nè la vedova Susanna avessero detto mai una parola intorno a ciò. Battista amava molto il mare, e avrebbe voluto andare a vedere il mondo, e far un po’ di danaro per me; ma era un figlio troppo buono per pensar soltanto a lasciare la sua povera cara madre, che non aveva altro sostegno che lui. E così si fermò a casa, e si fece pescatore; ed era un vero vanto, signore» — e le guance di Speranza si fecero rosse — «a vedere come maneggiava il suo battello. Egli era il più vigoroso e il migliore di tutti i nostri barcaroli, e tutti lo dicevano.
«Passarono varii anni senza recar mutazione, finchè questa casa venne messa in vendita; e mio padre, che da molto tempo ci aveva posto l’occhio su, combinò la compera, e venimmo ad abitare qui. Mio padre, la cui salute decadeva rapidamente, aveva in pensiero che l’aria di questo luogo, non così fina come a Bordighera, gli avrebbe fatto molto bene. E vi ci stabilimmo, e mio padre una sera — me ne ricordo come fosse jeri — disse a Battista: — «Siccome questa casa sarà vostra un giorno, intendo dire quando voi e Speranza sarete marito e moglie, conto che mi darete una mano a pagarne il prezzo; perchè bisogna che vi dica che tutti i miei risparmi se ne sono andati nel primo pagamento, e ce ne restano tre altri a fare, uno all’anno per tre anni di seguito: e non si può contare a trar danaro per questi pagamenti dal prodotto della terra e dagli avventori della casa: basterà a mantenerci. Così, ragazzo mio, andate a lavorare colla benedizione di Dio quanto più potete e fate danaro. La vedova Susanna verrà a viver con noi mentre sarete lontano, e ponete pure l’animo in pace per conto suo.»
«Battista fu contentissimo a questa proposta e a questo parlare di mio padre; perchè fu assicurato che sarebbe stato un giorno suo figlio. Egli non frappose ritardo, ma si mise immediatamente in via per Nizza, ove si ingaggiò a bordo di un bastimento mercantile diretto a Genova; si recò di là a Livorno, poi a Marsiglia, e lontano fino a Cette e molti altri siti. E tutte le volte che tornava a casa, il che egli fece tre o quattro volte ne’ primi due anni che passò in mare, egli sempre riportava qualche regalo per sua madre e qualche bella curiosità per me, e un po’ di danaro per mio padre; ma era pochissimo, perchè la paga di Battista era molto tenue.
«Un giorno mio padre disse a Battista: — «A questo andare ci vorrà dieci anni per pagare la casa. Ho dovuto farmi prestare del danaro pel secondo pagamento, ed ecco che il terzo sta per scadere. Come potrò io rimediare?» Battista disse che se non fosse stato per la coscrizione che legava un uomo mani e piedi, egli sapeva un sito ove potrebbe andare, e dove era sicuro di far danaro; e lo nominò — un sito lontano lontano in un paese chiamato Tipodi, che il maestro di scuola dice che è dall’altra parte della terra, sotto i nostri piedi. Ma Battista, che c’è stato di poi, dice che son tutte sciocchezze, perchè se fosse così, come potrebbe star in piedi la gente? eppure ci stanno» Speranza guardò a Lucy, come avesse detto un argomento senza replica.
— «Questa non è una prova,» disse Lucy sorridendo; «ma ne discorreremo altra volta. Proseguite ora la vostra storia.»
— «Bene, dunque,» proseguì Speranza. — «Ma mio padre disse a Battista: voi non potete esser preso, sapete? perchè siete come figlio unico di vedova.»
— «Così sono,» disse Battista; «eppure devo aspettare e tirare un numero, a quel che pare; almeno m’è stato detto che così è la legge, quando andai a Genova per le carte.»
— «Ah!» disse mio padre, «essi tormentano sempre i poveri colla loro legge. Bene, non fate caso; c’è solo tre mesi da aspettare; chi sa? potreste tirare un buon numero, e così andrà tutto bene.»
— «Piaccia a Dio che sia così,» disse Battista.
— «Dio fu buono per noi, signora, perchè quando venne il tempo, il numero di Battista fu uno dei più alti, ed egli non avrebbe dovuto partire. Egli non era presente all’estrazione che fu fatta in Nizza; ma questo non concludeva nulla, perchè i signori del Consiglio cavano il numero per i giovani assenti. Appena questa buona sorte fu saputa a Bordighera, il Sindaco gli scrisse una lettera a Genova ove Battista aveva fatto una gita — era una bella lettera — per dargli una buona notizia; e con questa lettera in mano, Battista ottenne licenza di andar dove gli pareva ed ebbe tutto le carte che gli abbisognavano; e fece vela per quel paese lontano lontano.
«Da quel giorno non avemmo altro che disgrazie. La vedova Susanna si ammalò di febbre, e malgrado la cura del dottor Antonio, morì entro un mese. Io fui sì scorata a quella perdita inattesa, e al pensiero di dar la trista notizia a Battista — mi aveva fatto promettere di fargli sapere qualunque cosa, buona o cattiva, potesse accadere a sua madre; e per di più così abbattuta per le notti vegliate colla vedova Susanna, che subito dopo caddi malata anch’io, e stetti a letto per sei settimane; e non mi sarei più alzata se non ci fosse stato il dottor Antonio. Cominciavo appena a trascinarmi intorno, quando una mattina venne qui il Sindaco, e disse che il caso di Battista non era così chiaro come egli aveva creduto da principio, e che Battista doveva presentarsi e passare innanzi al Consiglio di Revisione, sotto il quale era adesso caduto; e che non presentandosi avrebbe violato la legge. Pochi giorni dopo, una carta fu affissa al Palazzo Municipale, e un’altra alla nostra casa, ove la madre di Battista aveva ultimamente abitato, e in essa Battista era citato a comparire dopo un breve termine. Ora, non c’era ragione per questo. Non aveva lo stesso Sindaco scritto chiaro quanto può essere in carta, penna e inchiostro, che Battista non poteva esser preso? Poi, come poteva rispondere alla chiamata, distante com’era a tre mesi di viaggio, cosa che tutti sapevano?
«Oh! no,» continuò Speranza con voce piena d’indignazione, «tutto questo era stato fatto per rigettare sul povero giovane il biasimo di aver disobbedito alla legge; e chi poteva aver interesse a farlo apparire dal lato del torto, se non il Comandante di San Remo?»
— «Come? il Comandante di San Remo?» domandò Lucy maravigliata.
— «Dovete sapere, continuò Speranza, che questo Comandante aveva una vecchia ruggine con Battista, ed ecco com’era. Una volta il Comandante mandò a dire a Battista che gli procurasse qualche bel pesce, avendo a dare un gran pranzo al Governatore di Nizza. Battista prese un bel Sampietro, e lo portò al palazzo del Comandante, aspettandosi di averne lodi e buon prezzo. Ma gliene fu offerta proprio la metà del valore, ed egli disse che voleva piuttosto rigettarlo in mare che darlo per meno di quel che valesse. E così fece, e il gran pranzo andò tutto a male perchè non c’era pesce. Quando il Comandante sentì il perchè, ne fu terribilmente adirato, e giurò che presto o tardi l’avrebbe fatta pagare a Battista. Noi non ci potemmo tenere dal prender le parti di Battista; pur tuttavia lo sgridammo bene per essersi messo in tale intrigo. Immaginatevi, proprio un povero pescatore che presuma contendere col più gran personaggio della provincia — un militare pur troppo avvezzo a fare a suo modo, e a far tremar tutti quanti. Ognuno disse che il Comandante sarebbe stato di parola, e così fu.
«Il tempo corse, e fu tempo molto cattivo, e noi non avevamo notizia di Battista. Quello che guadagnavamo tenendo l’osteria era poco davvero. Mio padre se ne andava rapidamente, e il suo temperamento diveniva ogni giorno più irritabile; e non cessava mai di brontolare e lamentarsi della sua salute, e del non aver nuove di Battista; e di crucciarsi de’ suoi debiti, e questo, e quello, finchè gli avventori si stancarono di lui, e uno per uno se ne andarono. Il poco che facevamo, era speso in zuppa e buona pietanza e vino per il povero vecchio, che aveva il male dell’uccello nello stomaco.»
— «Di che?» sclamò Lucy.
— «Un uccello, signora, che divorava tutto quanto mio padre ingojava; domandatelo al dottor Antonio, e vi dirà che cosa è. Noi eravamo allora tanto poveri, che spesso mi toccava andare due volte il giorno al bosco; e alla fin dei conti, non guadagnavo se non abbastanza per pagare un po’ di carne e una bottiglia di vino per mio padre. Se non fosse stato il dottor Antonio che ci ajutava in molte maniere, ed era come un angelo custode vegliante sopra di noi, non credo che avremmo potuto tirar innanzi. Alla fine, dopo sedici mesi di cotesta vita, arrivò una lettera di Battista. Era mesta, perchè, poverino! era stata scritta quando aveva saputo la morte di sua madre; ma per noi fu come un messo del cielo che ci esortava a farci coraggio. Questa lettera era la prima che ci fosse giunta, ma non la prima ch’egli avesse spedita. Diceva che stava bene; che aveva già messa da parte una buona somma di danaro; che era sicuro di raddoppiarla in altri sei mesi; ma poi sarebbe tornato a casa, e saremmo stati insieme felici. Piangemmo di gioja, leggendola. Mio padre, che stava in letto molto malato, giunse le mani e disse: — «Ora, mio Dio, prendetemi con voi se è la vostra volontà; io sono pronto a partire, perchè la mia figlia non sarà abbandonata senza appoggio. — Una settimana dopo,» continuò Speranza rasciugandosi gli occhi, «noi portammo il caro vecchio alla sepoltura.
«Ah! signora, noi contavamo i giorni, come un uomo condannato a morte conta le ore che ha da vivere. Sei mesi passarono, poi sette, otto, nove, dieci, e Battista non veniva. Era una sera burrascosa del marzo scorso; mia madre ed io meste meste ce ne stavamo sedute all’oscuro per risparmiar l’olio — la nostra piccola provvisione era quasi finita, e non avevamo danaro per ricomprarne: — soffiava il vento, e il mare mugghiava come una bestia feroce, e io pensava ai poveri marinai in mare; quando tutto a un tratto sentii un passo a traverso il giardino, — il cuore mi balzò fin alla gola, e io corsi fuor di me alla porta. Era lui! — io aveva conosciuto il suo passo, e ancor una volta io era nelle sue braccia. Oh! quale benedetto istante! Tutti i miei tormenti erano dimenticati, tutta la mia miseria era sparita perchè egli era tornato, egli era qui — egli, Battista! Oh! perchè mi fece Iddio intravedere così un momento il paradiso per farmene sentir poi più amaramente la perdita! Mia madre ed io eravamo pazze di gioja, ma non durò molto. Appena fu acceso il lume, noi leggemmo un mondo di dolori nella faccia del povero Battista — tanto era smunto e pallido: i suoi occhi erano sbattuti: le sue guance affatto infossate. Egli aveva la mano destra al collo in un fazzoletto. — «Che v’è successo?» domando io tutta agitata. — «Abbiamo fatto naufragio!» rispose egli; «tutti i marinari si sono annegati, poveretti! eccetto un altro ed io; e tutto quanto io possedevo è perduto.» E mentre diceva queste parole, scoppiò in pianto. Credetti proprio che il cuore mi si spezzasse in due. Sciolsi il fazzoletto; c’era un grosso taglio a traverso la mano. Mia madre andò a chiamare il dottor Antonio — io mi sentiva troppo male per poter muovermi — e lo portò seco tornando. Appena udii la voce del medico, mi sentii sollevata; perchè, pensai io, egli ci ajuterà. La voce di un amico nelle disgrazie è dolce davvero, cara signora,» disse la poverina facendo ogni suo sforzo per ritener le lagrime. «Il dottor Antonio medicò la ferita, e cominciò subito a confortarci, dicendo che noi dovevamo ringraziar Dio del bene che ci veniva lasciato: — che sarebbe accaduto se Battista si fosse annegato cogli altri?
— Che quel suo danaro, alla fin fine non era la felicità; che Battista ed io eravamo giovani e forti; e che siccome egli aveva perduto il suo danaro, noi dovevamo lavorar di più, e ringraziar Dio che ci aveva conservato l’un per l’altro. E come io ascoltava queste buone parole, il male mi si partì dal cuore. Il Dottore si mise a sedere con noi, e allora Battista ci raccontò tutto il naufragio; come il bastimento si fosse urtato in uno scoglio coperto sulle coste della Corsica — quasi a vista di casa, — e si fosse affondato in un minuto; com’egli e un altro dell’equipaggio fossero stati raccolti da un bastimento francese diretto a Marsiglia, e come avesse fatto la strada a piedi di là a Bordighiera. Ci trattenemmo a lungo, e discorremmo del passato, e del povero mio padre morto, e della povera cara vedova Susanna; e facemmo disegni per l’avvenire; e quando ci separammo, ci separammo col cuor più leggiero — perchè in fin dei conti, non era rimasto egli per me, ed io per lui? Siccome era già mezzanotte passata, e Battista non avrebbe trovata alcuna casa aperta in quell’ora, il dottor Antonio lo condusse a dormire in casa sua per quella notte.
«La mattina seguente, io teneva per certo che Battista sarebbe venuto da noi di buon’ora; e mi meravigliai molto che fossero già le otto, e Battista non si vedesse. Ma non pensai ad alcuna cosa di male, finchè non vidi venir solo il dottor Antonio. Appena fu vicino abbastanza, gli conobbi dalla faccia che aveva cattive nuove per me. Il dottore mi disse subito che Battista era stato chiamato a San Remo per l’affare della coscrizione, e che io non doveva affliggermi; ma prepararmi ad andare con lui e con mia madre a San Remo. Diceva che sarebbe andato a trovare il Comandante, e avrebbe fatto il possibile per mettere in regola Battista. Il Dottore non ci disse allora quello che conoscemmo molto presto di poi, che due carabinieri erano stati spediti da San Remo a prender Battista: che lo avevano arrestato in istrada; gli avevan messo i ferri, e così portatolo in mostra per la città, come se fosse stato un ladro o un assassino; e poi lo avevano portato via in un battello. Essi dicevano che tale era la legge. Io non penso che ci sia molta giustizia in cosiffatte leggi,» disse Speranza con molta amarezza.
«Così il Dottore, mia madre ed io, ci recammo il più presto che potemmo a San Remo, e andammo subito alla prigione; ma siccome non avevamo permesso, ci fu rifiutato l’ingresso. Poi andammo dal Comandante, che era occupato, ci dissero, e non poteva veder nessuno. Insistendo tuttavia, il dottor Antonio venne introdotto, ma non potè ottenere nulla — nemmeno il permesso di veder Battista: — sol la risposta che tale era la legge, e che la legge aveva ad essere obbedita. Dopo che ebbe subita una settimana di prigionia in San Remo — Dio sa perchè! — Battista fu condotto scortato da’ carabinieri in Genova, e posto nell’Arsenale, fuor del quale non gli era mai permesso di uscire. Il dottor Antonio scrisse per lui a tutti i suoi amici in Genova, e fino al Console inglese. Il curato ci diede una lettera, dicendo che Battista era quasi orfano, avendolo suo padre abbandonato in età di due anni; ma non valse a niente.»
— «E qual differenza,» domandò Lucy, «ci sarebbe stata per lui se suo padre fosse realmente morto?»
— «Oh, signora, non sarebbe stato preso nella coscrizione. Il figlio unico di una vedova è esente da servizio. Tanto la legge è indulgente per uno a cui sia morto il padre; e perchè non avrebbe ad esserlo altrettanto per uno il cui padre per lui è lo stesso come se fosse nel cimitero? Ma a che serve ragionar di questo? la legge è troppo forte per il povero. Battista, come sapete, è condannato e...» — (Speranza fece uno sforzo disperato per vincere la sua emozione, e continuò lenta e composta): — «Bene; sia pur così; posso sopportar tutto senza lamentarmi. Non tutti son nati fortunati. Io ho volontà di offrire tutte le mie speranze, in questo mondo, alla Vergin Benedetta, Santa madre de’ dolori. Se è destino che io non debba esser moglie di Battista, bene: io posso rinunziare a lui... — di qua dalla tomba. Ma io non posso, no» — proseguì con uno scoppio di passione, che le fece colar giù le lagrime a rivi — «io non posso sopportare ch’egli si getti al male; che egli, sempre stato un tale esempio di bontà, si metta a rompere i Comandamenti di Dio, e che poi noi siamo separati per tutta l’eternità. Ecco quello che mi strazia il cuore, e mi fa impazzire. Oh no, no! Dio non permetterà questo!»
Per Lucy era la prima volta che le fosse dato di guardare in un cuore addolorato; la prima volta che siffatte cose, come bisogno, stento e angoscia, fin allora per lei astrazioni indefinite piuttosto che severe realtà, le fossero state davanti in forma viva, e avessero narrato a lei la loro mesta istoria, e avessero singhiozzato, e si fossero contorti sotto i suoi occhi, e presso alle sue orecchie. Lasciamo immaginare al lettore, come si sollevassero tutte le santi sorgenti di simpatia e di pietà nel gentil cuore di Lucy, e prorompessero in parole di consolazione, e carezze, e calde promesse di ajuto.
— «Forse voi conoscete il Re?» disse la giovane contadina, sollevando a un tratto la testa con un lampo di speranza negli occhi.
— «No,» disse Lucy; «perchè mi fate questa domanda?»
— «Perchè,» disse Speranza, «se gli aveste potuto raccontare l’istoria di Battista, son sicura ch’egli sarebbe stato pietoso di noi. Oh! se il Re potesse soltanto saper la cosa, egli ne proverebbe dispiacere. Perchè mai potrebbe, egli sì grande sul trono, voler che la povera gente sia rovinata?»
— «Se noi non possiamo parlare al Re,» disse Lucy, «possiamo scrivergli — intendo dire, che possiamo mandargli un memoriale in favor di Battista.»
— «Non servirebbe a nulla,» rispose la giovinetta abbattuta. «Memoriali mandati da poveri non giungono mai al Re, i cattivi consiglieri li intercettano.»
— «Ma forse,» insistè Lucy, «noi possiamo trovare alcuno che prometta di rimettere il memoriale nelle mani stesse del Re.»
Speranza scosse il capo con incredulità. Era chiaro che ella aveva dei memoriali un’opinione tanto cattiva quanto il dottor Antonio.
— «Troveremo qualche modo, siatene pur sicura,» continuò Lucy; «e chiederò al dottor Antonio cosa s’abbia a fare.» Ambedue le giovinette si rianimarono a quest’idea. Evidentemente Speranza aveva più fede nel dottor Antonio che nel memoriale.
Lucy pensò a lungo sopra la storia di Speranza; e desiderava che venisse il domani per poter domandare al dottor Antonio il miglior modo di ajutare la sua protetta; e poi si mise a meditare con particolar compiacenza sulla parte che Antonio aveva avuto in questo piccolo dramma. Bisogna pur confessare che ella non valutò le espressioni entusiastiche della giovinetta italiana — di esser a lei il Dottore stato quasi un angelo custode — nè come esagerate, nè come fuor di luogo. Quell’uomo le pareva nato a fare il bene. Non aveva ella sentito, non aveva forse conosciuto per propria esperienza, che dovunque fosse malattia o dolore, lagrime da asciugare o cuor abbattuto da sollevare, che quivi egli doveva ritrovarsi a confortare, a sostenere, e a render servigi in mille modi? Ed ora un barlume di luce brillò all’intelletto di Lucy; per il quale cominciò a capire come un uomo straordinario simile ad Antonio, potesse accomodarsi alla sua sorte attuale; anzi si sentì persino disposta a pensare altamente di quell’umile sfera, nella quale il destino lo aveva cacciato: sfera ripiena, come ben vedeva, di miseria, di oppressione e di ingiustizia, e perciò atta a mettere in moto tutta la forza e la cavalleresca cortesia del naturale di lui.
Lucy si perdè prestissimo in un labirinto inestricabile di speculazioni e di argomenti, ne’ quali non importa a noi di seguirla, ma che la occupò assai più che non il Manzoni o la chitarra, e la condusse al fine della giornata meno spiacevolmente di quello si fosse aspettata. Anche sir John quando venne a vederla la sera, pareva più sereno e lieto di quello fosse mai stato dacchè avevano preso a dimorare nell’osteria — serenità e letizia attribuita in parte da Lucy al passo consideratamente fatto verso lui dal Dottore la mattina. Ma siccome sir John faceva suonar molto in alto le lodi del cuoco antico del Vescovo d’Albenga, siamo inclinati a credere che il pranzo da lui mangiato avesse a fare col suo presente ottimismo molto più del dottor Antonio.