Il bel paese (1876)/Serata XVII. - I vulcani di fango

Serata XVII. - I vulcani di fango

../Serata XVI. - Le Salse ../Serata XVIII. - Le fontane ardenti IncludiIntestazione 8 ottobre 2023 75% Da definire

Serata XVII. - I vulcani di fango
Serata XVI. - Le Salse Serata XVIII. - Le fontane ardenti

[p. 294 modifica]

SERATA XVII


I vulcani di fango.

La salsa di Sassuolo, 1. — Disillusione, 2. — Storia della salsa di Sassuolo, 3. — Ultima eruzione, 4. — Antico sviluppo dei vulcani di fango in Italia, 5. — Tra il mar Nero e il mar Caspio, 6. — Monti e catene di fango, 7. — Arcipelago di fango, 8. — Isole nascenti dal mare, 9. — Nascita e morte dell’isola di Kumani, 10. — Lezioncina sull’origine de’ continenti, 11.


1. «Dunque, per non mancare alla mia promessa, vi devo parlare dei vulcani di fango, ossia di quelle salse che offrono talvolta, come i vulcani, lo spettacolo di vere eruzioni; giacchè, in fondo non c’è differenza essenziale tra le semplici salse e i vulcani di fango. Le salse di Nirano, che vi ho descritte1, non differiscono punto dai più celebri vulcani di fango, finchè questi stanno in riposo. Ma le salse di Nirano non uscirono mai, che si sappia, da quello stato di quiete, in cui le abbiamo sorprese: non acquistarono quindi mai quel nome di vulcani di fango, il quale non è che un distintivo di grado nell’esercito delle manifestazioni vulcaniche. Potrebbero certo acquistarlo; ma intanto noi dobbiamo cercare altrove delle salse che abbiano già il diritto di portarlo. Per buona fortuna non abbiamo bisogno di andar molto lontano. Una delle celebrità di questo genere ce la troviamo in sulla via, può visitarsi il giorno stesso che si visitano le salse di Nirano, ritornando la sera a Modena comodamente. Difatti, appena ebbi visitate quel giorno le salse, scavalcato il ciglio del cratere, discesi cogli amici nella valle della Chianca. È una valle sterile e brulla, scavata nelle argille da torrenti che lasciano asciutti i [p. 295 modifica]loro letti di fango a screpolarsi al sole. Ma là sulla sponda opposta di quella valle inamena si spiccano, quasi pensili giardini, le verdi alture di Montegibbio. Vogliono alcuni che il nome di Montegibbio sia una corruzione di Monte del zibibbo, che è come dire Monte della buon’uva, del buon vino. Fondata o infondata che sia questa derivazione, fatto sta che ci bevemmo, ad una delle più misere stamberghe, un vino così delizioso, che avremmo volentieri chiamate quelle alture Monti del nettare. Nè ci voleva di meno per rinfrescarci d’un’arsura veramente africana, sotto la canicola, in quelle lande di cenere, dove le acque, oltre all’essere scarse, sono putride e salmastre. Laggiù difatto nel fondo di quella valle, a greco2 dell’amenissimo poggio, ove torreggia il villaggio da cui ebbero nome, si trovano i famosi pozzi di Montegibbio. Dico famosi perchè parecchi autori ne parlano: ma son da meno assai della fama. Son putridi stillicidî di acqua solfurea e salina, che geme commista a una piccola quantità di petrolio. Due di quei rigagni, che sembrarono meno avari di petrolio, furono condotti a formare un piccolo stagno artificiale ciascuno, entro una breve fossa, protetta da una volta in mattoni, che si chiuse con uscio e chiavistello. Il petrolio galleggia, e si accumula alla superficie dello stagno, d’onde si schiuma al modo antico da secoli. Ormai chi ci vorrebbe badare?

» Rimontammo un piccolo confluente della Chianca, e, giunti a cavaliere della collina di Montegibbio, pigliammo la via che discende a Sassuolo, e rasenta il celeberrimo vulcano di fango, noto comunemente sotto il nome di salsa di Sassuolo.

2. » Io l’avevo già visitata l’anno prima, venendo da Sassuolo3. Pieno di quanto avevo letto sui furori della terribile salsa, mi ero preparato l’animo a vedere qualche cosa di grosso, di spettacoloso. Un vulcano!... sia pure un vulcano di fango.... ma un vulcano che ha fatto impallidire tante generazioni!... Giunto coll’animo sospeso, al luogo dove li per i doveva trovarsi la gran belva, girando lo sguardo di su e di giù in tutti i versi, nulla mi si presentava che rompesse in nessun modo la monotonia dei dintorni. Dovetti domandare conto ai villani, i quali a mala pena compresero ciò che io cercassi, e col dito fecero segno a pochi passi di là. Io li guardai meravigliato, quasi volessi dire: — Voi non mi avete compreso: io cerco il vulcano.... quel [p. 296 modifica]terribile vulcano.... — Ma per la più corta mi mossi a vedere che cosa mi additassero a così breve distanza, e trovai.... che cosa?... un fossatello, una pozzanghera di pochi palmi, dalla quale si sprigionavano alcune gallozzole di gas. Intinsi il dito nell’acqua per assaggiarla e la trovai salata. Accesi uno zolfino, e le gallozzole si accendevano con uno leggero scoppiettio. Non v’ha dubbio: È la salsa.... la celeberrima salsa di Sassuolo. — Che disinganno! Rivenendo l’anno dopo, in quella stagione così asciutta, la trovai invilita ancor più. La canicola del 1864 si era bevuto il fossatello, e il gas sbucava di mezzo ai ciottoli che coprivano il fondo del fosso, cigolando dal fango vischioso,

Come d’un stizzo verde che arso sia
Dall’un de capi, che dall’altro geme,
E cigola per vento che va via».
                                        (Inf., C. XIII).

«Di chi sono cotesti versi?» domandò Giannina.

«Di Dante.... non capisci!... Si vede che Dante, quand’era fanciullo, era stato le mille volte, come voi, a badare a quei legni verdi, che, mentre ardono da una estremità, gemono dall’altra e si coprono di bava. Quella bava è formata dall’acqua che, riscaldandosi e riducendosi in vapori entro il legno che arde, si sprigiona dai pori: e parte dei vapori, giungendo alla estremità che è fredda, vi si riduce di nuovo in acqua: parte, rimanendo in forma di vapori e mescolandosi coi gas che si sviluppano dalla combustione, passano cigolando attraverso il liquido, che ne ribolle in forma di schiuma. Tutti i furori della salsa di Sassuolo; si erano ridotti al friggìo di uno stizzo che arde».

«Ma infine», domandò, con far disgustato, Giovannino, «era quella, sì o no, la celebre salsa?».

«Era certamente. Vi accadrà, se forse non vi è già accaduto, di vedere alcuno di quei grandi personaggi, che riempiono il mondo della loro fama. Sarà un generale che conta tante vittorie quante battaglie; sarà un poeta i cui versi sono attesi e letti colla frenetica avidità dell’entusiasmo; sarà uno scienziato, per cui pajono luminosi i più oscuri arcani della materia e dello spirito. La vostra imaginazione ha già composto a quei personaggi una figura, un ideale a modo. Il guerriero sarà per voi un uomo dalle forme erculee, dal viso arcigno, dallo sguardo fulmineo, con due baffi poi!... Il poeta avrà una fronte vasta come una piazza, il viso pallido che si colora di tinte fuggevoli come i lampi del [p. 297 modifica]pensiero; poi due occhi larghi, immobili, fissi in un certo punto, dove si vede.... chi sa che cosa vedono quegli occhi? Lo scienziato poi deve avere una testa da Giove Olimpio, un cranio, ca pace di contenere tanto cervello, quanto ne possiedono insieme tre uomini di stampo comune: un uomo che parla poco, non ride mai, pensa sempre. Finalmente un bel giorno avete la fortuna di vederli questi personaggi; un palpito insolito vi avverte della loro presenza.... Oh povero di me! Il gran guerriero è quell’omiciattolo là, tremolante su due gambette, col viso liscio e pelato, il capo chino, gli occhi socchiusi. E il poeta? Eccolo là, con tanto di pancia, la faccia tonda come l’O di Giotto, la testa senza una mezza protuberanza; sembra un cuoco. E lo scienziato?... è quell’uomo che ride a crepapelle, che v’infilza una dozzina di freddure, l’una peggio dell’altra, un vero scacciapensieri. Oh i nostri ideali!... La salsa di Sassuolo era anch’essa un vero tradimento fatto dal reale all’imaginario. Eppure quello spregevole fossatello era il vulcano di fango la cui storia paurosa è più antica di quella dei più formidabili vulcani.

3. » Plinio, al cui ardimento dobbiamo i documenti della prima eruzione storica del Vesuvio, narrata dal nipote....».

«Dovresti dirci qualche cosa di codesta prima eruzione», interruppe la Giannina.

«Un’altra sera, nel caso: ora non m’interrompere. Plinio dunque ci narra egli stesso la più antica eruzione storica della salsa di Sassuolo. Egli riferisce come nell’anno 663 di Roma (91 anni avanti Cristo) un portentoso avvenimento gettò il terrore nella campagna di Modena. Tra lo scuotersi e il rimbalzare dei monti si videro in pieno giorno fiamme e fumo levarsi al cielo. Le ville nei dintorni si diroccarono, e molti animali rimasero schiacciati. Trattasi certamente della salsa di Sassuolo che è appunto visibile d’in sulla via Emilia, antica strada romana da cui, dice Plinio, molti cavalieri romani e viandanti stettero a contemplare il fenomeno. Del resto la nostra salsa non mancò di rendere testimonianza alla veracità di Plinio, ripetendo a volte a volte il brutto gioco, da cui non ha l’aria di essersi ancora divezzata. In più luoghi gli storici narrano di terremoti nel modenese, et precisamente ad un terremoto è attribuita la rovina di Sassuolo nel 1501. — Non parlano propriamente della salsa; ma ciò che essa fece e prima e poi, ci fa supporre che non rimase probabilmente estranea a quei disastri. Infatti noi troviamo che nel 1592, la nostra salsa, dopo una serie di terremoti, arse per più giorni, [p. 298 modifica]eruttando ceneri e terra e sassi. E così via via continuò bravamente i suoi esercizî brillanti, per cui leggiamo che una volta un certo signor Marco Pio gridava all’armi contro di essa perchè vomitava, con immenso strepito, fuoco, sassi, bitume; e poi lo stesso signor Marco, o un altro Marco qualsifosse, faceva mettere le briglie ai cavalli, per paura che la salsa, che buttava fuoco senza misura, non venisse a incendiare Sassuolo. Di tratto in tratto leggiamo di altre eruzioni, con fragore di fulmini, grandine di sassi, torrenti di fango e terremoti che giungono a scuotere fin le città della Romagna. Una volta, per esempio, ebbe il coraggio di balestrare in aria un masso di 800 libbre4.

L’ultima eruzione avvenne nel 1835. Quando io visitai la salsa nel 1864, e la trovai così avvilita, la memoria di quell’ultima catastrofe era ancora vivamente scolpita nella mente dei paesani, che me la dipingevano coi più vivi colori, e coi particolari più concordi.

4. » Nel giorno 4 di giugno del 1835, il cielo era purissimo, l’aere sereno e temperato. D’un tratto si sparge all’ingiro un forte odore di bitume, che ad alcuni parve di solfo. Dopo pochi momenti il terreno si scosse, e si udì uno scoppio, simile a un colpo di cannone. Quella scossa si propagò a tutta la zona montuosa che si stende fra la Secchia e il Tresinaro. Allora si vide levarsi con veemenza una colonna di denso fumo, fino all’altezza di circa 50 metri. Sul fondo nero di essa spiccavano scintillanti fiammelle, or gialle, or rossastre, ora azzurrognole. Dal vertice della nube poi venivano lanciati all’ingiro sassi voluminosi e pioveva densa fanghiglia, discorrendo giù per le sottoposte pendici, in forma di un grosso torrente di fango. Tale violenta eruzione durò 20 minuti, ripetendosi poi nel pomeriggio dello stesso giorno, ma con minore intensità. La salsa non rientrò nella sua calma consueta, che dopo nove settimane. Volete sapere quanta materia fu vomitata in quella sola eruzione? essa fu calcolata all’incirca di un milione e mezzo di metri cubici».

«Questa salsa può dunque scoppiare ancora», osservò Giovannino.

«Certamente, da un giorno all’altro».

«Mi piacerebbe essere presente a quello spettacolo», continuò il fanciullo. [p. 299 modifica]

«Davvero?... Quei di Sassuolo non sarebbero del tuo gusto».

«Facevo per dire....».

«Anch’io fo per dire.... Come spettacolo di natura, chi non desidererebbe di assistervi? Se io sapessi che domani c’è un’eruzione, piglierei oggi la via di Modena: s’intende. Mi dorrebbe certamente che alcuno ne avesse a patir danno; ma non considerando che il fenomeno in se stesso, le grandi manifestazioni delle forze occulte della natura appagano il nostro desiderio di sapere e ci danno un’idea più chiara, o almeno più sentita, della potenza di quel Dio, di cui la natura non è che un’umile ancella, e per la cui sapienza, come leggesi nella Scrittura, eruppero gli abissi5».

5. «E di tutto quel fango eruttato dalla salsa che avviene?». domandò la Camilla.

«Che vuoi che ne avvenga? dopo aver sepolto, se il caso porta, una florida campagna, diventa campagna esso medesimo. Campagna sterile per altro; giacchè devi sapere che quel fango bituminoso e salato, ha tutte le male qualità che rendono sterile un terreno. Un suolo di tal natura si distingue ad occhio le miglia lontano, perchè gli è un deserto, ove non cresce che una vegetazione tisica e stenta. Anzi sai? i geologi, dalla natura di quel fango, possono arguire l’esistenza di una salsa, anche là dove uomo non ne vide mai. È così che si venne a conoscere che una gran parte d’Italia, nelle regioni dell’Apennino, fu creata dalle salse.... non fate gli occhiacci.... la cosa è come ve la dico. Al modo stesso che i colli di Roma, e tutta la campagna romana, e le montagne del Lazio, e i distretti di Orvieto e di Bracciano e tutto il paese all’ingiro del golfo di Napoli, e una gran parte della Sicilia, furono creati da veri vulcani; così molti dei colli, molte delle valli dell’Apennino sono una creazione dei vulcani di fango».

«Chi può dirlo?» fece Giovannino.

«Lo dice appunto quella sterminata quantità di fanghi, che nell’Italia centrale e meridionale hanno tutti i caratteri dei fanghi eruttati dalle salse d’adesso. Sai quale fu la massima difficoltà che incontrarono i nostri ingegneri nel condurre le grandi linee ferroviarie attraverso l’Apennino, quella, per esempio, da Bologna a Pistoja, e l’altra da Foggia a Napoli erano questi fanghi, così malfermi, così soggetti a smottare, che li riducevano veramente alla disperazione. Imaginatevi monti interi di fanghi neri, [p. 300 modifica]bigi, plumbei, rossi, d’ogni colore, impastati di frantumi di roccia, goccianti acqua salata, sparsi di gesso e di mille combinazioni di solfo, di soda, di ferro, di rame, infine con tutti quei caratteri che i naturalisti assegnano alle argille vomitate dai vulcani di fango. Come vi si può reggere un muro chè non sbonzoli, od una galleria chè non si sfianchi? Se andrete una volta da Foggia a Napoli.... Mi rimarranno sempre impresse quelle orribili valli, che sembrano fatte con arte maliziosissima per disporre l’animo ad assaporare tutto quanto ha di dolce la più gradita sorpresa, quando, come all’alzarsi d’un sipario, si spiega d’un tratto sotto gli occhi la magica veduta di quell’anfiteatro incantevole, di quel paradiso terrestre che è il golfo di Napoli. In tutto il tratto dell’Apennino, da Bovino a Caserta, vi s’affacciano d’ogni parte regioni deserte, sterili, desolate, direbbesi maledette. Il terreno sdrucciolevole si smotta, come se i terremoti lo scotessero di continuo. I villaggi, pensili sulle ignude rupi, quasi nidi di aquile, dominano, soli al sicuro, il fondo inabitabile delle valli. Quella vasta desolazione è dovuta ai vulcani di fango, che un giorno formarono così quei terreni colle loro eruzioni».

«E si sa», domandò la Giannina, «quando ciò avvenne?».

«Eh carina! ciò che voi chiamate storia antica, per il geologo è la cronaca di jeri. Capisci? l’uomo non fu nemmeno presente alla maggior parte di quegli avvenimenti che il geologo narra come se li avesse visti. Chi sa quanti secoli corsero dal giorno in cui tacquero per sempre i vulcani di fango che fabbricarono quei monti, a quello in cui comparve il primo uomo?».

«Chi sa quale aspetto», sclamò la Marietta, «aveva in allora l’Italia!».

«L’aspetto a un dipresso che hanno di presente certe regioni del mar Caspio».

«Come?» continuò la Marietta, «si trovano ancora dei paesi dove i vulcani di fango siano così attivi e potenti, come tu dici?».

«Sì. Quando leggo la bella descrizione che il signor Abich6 ci fa delle regioni occidentali del mar Caspio, della penisola di Apscheron, e delle isole che si trovano lungo quelle coste, parmi veramente di vedere rifatta l’Italia di que’ tempi».

«Ebbene», prese a dire la Giannina, «vorrai pur dirci qual che cosa di quei paesi. Mi sento già la smania di andarci».

«Veramente non era nelle mie intenzioni di intraprendere un [p. 301 modifica]viaggio all’estero. Ma via, andiamci, con un biglietto di andata e ritorno, col treno della fantasia.

6. » Non vi ha, credo, al mondo una regione più classica pel Catena dell’Ottman-Boss del Toragai e del Kissil-Kécci. geologo di quella che si distende tra il mar Nero e il mar Caspio. Oltre alle immani catene di montagne, oltre ai giganteschi Cratere dell’Ottman-Boss. vulcani, fra i quali il celebre Ararat, dobbiamo andar là se vogliamo vedere quanto può natura anche in quelle manifestazioni che, a fronte delle eruzioni vulcaniche, pajono così spregevoli. [p. 302 modifica]Il principale teatro dei fenomeni a cui alludiamo è la regione occidentale del mar Caspio, che comprende la penisola di Apscheron e i paesi tra Bakù e Soljan. Guardate la carta, e troverete la regione ch’io dico, partendo dalla estremità orientale della catena del Caucaso e tirando a libeccio7 fino al confluente dei due fiumi, l’Aras e il Kura. È una regione famosa già da lungo tempo per le sue sorgenti minerali, pe’ suoi petrolî, e sopra tutto pe’ suoi vulcani di fango. Paesi sono quelli di terremoti frequenti, di eruzioni, di fenomeni sotterranei d’ogni genere, che indicano un qualche cosa là sotto, che non li lasciò mai, nè par che voglia lasciarli così presto, in riposo. Chi sa quante catastrofi ci avvennero! e a queste catastrofi sono certamente legate le più antiche vicende del genere umano, che in quelle regioni ebbe la culla».

«Cioè?» fece la Giannina.

«Mi dovreste avere inteso. I più antichi avvenimenti, di cui parlano la Storia sacra e la Storia profana antica, non riguardano essi quei paesi che circondano il mar Caspio? per esempio la Mesopotamia, dove gli interpreti collocano il paradiso terrestre, le montagne dell’Armenia, ove fermossi l’arca di Noè, le regioni dell’Eufrate e del Tigri, verso le quali si diressero le prime emigrazioni e dove si stabilirono le prime grandi società. Ma non allarghiamoci troppo. I fenomeni di cui voglio parlarvi si presentano principalmente nel luogo che vi ho detto, e ce n’è d’avanzo per ciò che desiderate conoscere.

7. » I vulcani di fango, appena noti ai fisici in Italia, vi si presentano colà con un apparato, così magnifico, da farvi supporre che vogliano atteggiarsi a rivali de’ veri vulcani, i quali più in là, coi loro coni levati alle stelle, coronano i grandi rilievi del Caucaso, dell’Armenia e della Persia. Quei vulcani di fango hanno un cono, come i veri vulcani: hanno un cratere: sono vere montagne: costituiscono vere catene di monti di fango, teatro anche adesso di spaventose eruzioni. Una di tali stupende catene è quella che vanta tre grandi vulcani, l’Ottman Boss, il Toragai e il Kissilkecci. Che nomi, n’è vero?... Ebbene sono vere montagne, prodotte da vaste accumulazioni di fango vomitate dalle viscere della terra. L’Ottman Boss è alto 279 piedi8, e [p. 303 modifica]presenta un vero cratere, formato come di sette anelli l’un dentro l’altro, del diametro complessivo di 1200 piedi9».

«È certo poi che Montagne e Arcipelago di fango del mar Caspio.sia un vulcano di fango?» domandò Giovannino.

«Se è certo!... ebbe una poderosa eruzione nel 1854, che durò tre ore. Il Toragai è alto 467 piedi10, ha un cratere di 1400 piedi11, ed è circondato da una vera catena di vulcani di fango. Il Kissilkecci non è che una ripetizione del Toragai, Lascio di parlarvi di altri monti e di altre catene e vi basti di figurarvi a mo’ di esempio come fosser colà la nostra Brianza, e la regione delle colline che fiancheggiano l’Apennino, con questa differenza che i colli sulle rive del Caspio sono altrettanti vulcani di fango.

8.» Se le terre che fiancheggiano il Caspio presentano monti e catene, fabbricati dai vulcani di fango, il mare alla sua [p. 304 modifica]volta contiene isole, anzi un vero arcipelago, uscito dalla stessa officina. L’isola Bulla, una delle più importanti, può darci un’idea di quello strano arcipelago. È ovale, lunga 8050 piedi12 e larga 455013. Veduta dal mare, ha la figura di una piattaforma, sorretta all’ingiro quasi da muri verticali fino all’altezza di 60 piedi14. Essa è composta di un fango, misto a una quantità di pietrame, fra cui abbondano massi di una grossezza considerevole. Sulla piattaforma si alza un cratere, il cui labbro si porta fino all’altezza di 15015 piedi sul livello del mare. È il cratere di un poderoso vulcano, che in tempi molto recenti dovette vomitare delle correnti formidabili di fango. Si distinguono infatti benissimo delle masse di fango che hanno la forma di altrettante correnti che, uscendo dal cratere, si volgono al mare. Quell’isola nacque e crebbe certamente per la sovrapposizione di strati di fango eruttati da quel vulcano».

«Ma non c’è nessuno che abbia visto davvero una di tali eruzioni?» volle sapere la Camilla.

«Oh certamente: l’ultima che si ricorda è recentissima. Avvenne nel 1857. L’esplosione fu preceduta da forti scosse di terremoto. Poi ecco dal fondo del cratere rizzarsi una fiamma incessante, a guisa di una colonna di fuoco, accompagnata da una gran nube, certamente di vapore acqueo. Intanto una grandine di pietre veniva lanciata all’ingiro ed un diluvio di piccole palle, a modo di mitraglia, fu balestrato in alto dall’eruzione, e spinto a cadere fin sul continente. Intanto dalla gola del cratere erompeva un torrente di fango, che volgevasi al mare; un vero fiume della larghezza di 1200 piedi16. In ultimo levossi, precisamente come avviene nelle lucerne a lucilina quando si abbassa il lucignolo al di sotto del becco, una fiamma conica che fu tratta ben lontana sul mare e svanì».

9. «Dunque», riflettè Giovannino, quelle isole una volta non esistevano».

«No, certo: esse nacquero dal mare, come i monti vulcanici dalla terra».

«Perchè dunque, continuò Giovannino, «ora non ne nasce più nessuna?». [p. 305 modifica]

«Chi te lo dice? ne nascono e ne nasceranno certo in avvenire, perchè l’attività interna del globo, se non ha cominciato con noi, con noi non vorrà nemmeno finire. Chi sa quante salse si celano nelle profondità di quel mare, pronte ciascuna a sua volta a generare un’isola! In fatti nel golfo di Bakù si vede qua e là ribollire dalle acque il gas infiammabile, che accusa la presenza di salse sottomarine. Una di queste salse fu anzi scoperta e studiata a ponente dell’isola Bulla. In quel luogo vedevasi svolgersi dalle onde, con molta vivacità, una corrente di gas infiammabile. Calato lo scandaglio, e rilevata con esso l’orografia sottomarina, ossia il rilievo del fondo marino in quel punto, si venne a riconoscere l’esistenza di una fossa ad imbuto, precisamente di un cratere, dal cui fondo ribolliva, come dai crateri di Nirano e da tutte le salse del mondo, il gas infiammabile. Quella salsa era in piena attività, e lavorava ad ingrandirsi il suo piccolo regno. Il cratere in fatti, scoperto e misurato nel giugno del 1860, trovossi ingrandito del doppio e assai mutato di forma nel gennajo del 1863, Presentava in quest’epoca la figura di una fossa elittica, che misurava per il lungo 700 piedi inglesi. Si infossava rapidamente come i crateri vulcanici, terminando in un gorgo eccentrico della profondità assoluta di 240 piedi17. Dalla parte più profonda del cratere, e da altri punti sgorgava il gas infiammabile».

«Dunque si videro nascere quelle isole», insistè Giovannino.

«Certo, il fenomeno dovette ripetersi più volte sotto gli occhi degli abitatori delle regioni del Caspio, perchè tutto, in terra e in mare, accenna a un lavorio molto recente, e a un processo ancora attivissimo. Ma quelle provincie cominciano ora appena a sbarbarirsi: e se nelle regioni più civili d’Europa, in Italia se vuoi, si contano così pochi che studino con amore i fenomeni naturali, e li osservino, e ne tengano nota, chi vuoi che se ne occupasse là, dove un po ’ di civiltà è ora portata da una delle più barbare potenze d’Europa?».

«La Russia, n’è vero?» fece Giannina.

«Non ho nessuna difficoltà di affermarlo. La Russia vanta già da qualche tempo degli scienziati veramente illustri, e il governo vi mantiene corpi accademici assai floridi e splendide collezioni di storia naturale. Ma la scienza colà è tutt’altro che popolare, restringendosi ai pochissimi che ne fanno professione. Se poi uscite [p. 306 modifica]dai confini d’Europa, siete sicuri che dallo scienziato di primo ordine discendete d’un salto al cosacco, sia pure il cosacco in divisa di generale. Infine quanto sappiamo delle regioni del Caspio, dalle quali la scienza attende la soluzione di tanti problemi, di quelli principalmente che riguardano le origini della umanità, si riduce, quasi unicamente, a quanto ce ne riferirono, in un tempo che ormai può dirsi remoto, Murchisson e De Verneuil, due grandi geologi morti da poco, inglese il primo, francese il secondo. Oggidì poi ci abbiamo il signor Abich, tedesco di origine, chimico e geologo eminente, vulcanista per eccellenza, il quale risedendo a Tiflis, si trova precisamente sul campo più opportuno per esercitare il suo ingegno eminentemente osservatore, e per trarre il miglior partito da quegli studî che l’hanno reso da lungo tempo celebre in Europa. Egli pubblicò già molti lavori sulla geologia e sulla geografia fisica del Caspio, e se non potè assistere egli stesso alla nascita di un’isola, potè almeno raccogliere le notizie di un avvenimento così curioso, ch’ebbe luogo nel 1861. Ecco come espone il fatto l’illustre naturalista.

10. » La regione, egli dice, che forma il littorale occidentale del Caspio, va soggetta a frequenti terremoti, i quali hanno quasi il loro centro nella città di Scemaca, dirigendosi verso levante e indebolendosi in guisa, che sulle coste riescono appena sensibili. Terribili furono le scosse nel maggio 1859, e nel gennajo 1860. Quei terremoti sono evidentemente legati alle eruzioni fangose, e le annunciano, come annunciano quelle dei veri vulcani. Infatti la notte dell’11 giugno 1859 avvenne una poderosa eruzione sul lido, presso Alat. Chi la osservava da Bakù, vedeva uno splendore, un incendio quasi fosse scoppiato un vulcano di gas infiammabile. Un vascello, ancorato presso l’isola Bulla, a 20 verste (chilometri 21,340) dal lido, fu coperto di sabbia di color plumbeo. Il mare, scosso, brontolava, come un temporale in distanza. I terremoti si ripeterono nel 1861, e appunto il 7 maggio di quell’anno il comandante di un vascello scoperse un’isola nuova, che fu detta Kumani, a mezzogiorno di Bakù. L’ho detta nuova non solo perchè scoperta soltanto allora, ma perchè nuova veramente, nata allora allora, sorta, per dir così, dal fondo del Caspio, come un fungo che spunta e spiega il suo ombrello sul suolo muschioso di una foresta. Prima in quel posto non v’era che un banco, cioè un bassofondo: ora, vi esisteva un’isola».

» E come era nata quell’isola?» domandò la Giannina, esprimendo sola colle parole, ciò che gli altri dicevano cogli occhi meravigliati. [p. 307 modifica]

» La sua fede di nascita la portava con sè, nella sua stessa natura. Essa era un’isola di fango, appena seccato alla superficie, e ancora molle e caldo nell’interno. La sua forma era quella di una volta assai bassa, che sporgesse appena appena dal mare; ossia aveva la forma di una gran lente convessa di fango, a cui fosse base il fondo del mare. Era regolarmente ovale, lunga 87 metri, larga 66, e alta 3 metri e mezzo. Il fango, ond’era composta, era un impasto di argilla, di sabbia, di pietrame. Osservando più attentamente, si vedeva come quella massa di fango, Carta topografica e profilo dell’isola Kumani. uscendo da un crepaccio, apertosi sul fondo del mare, si era distesa all’ingiro come avviene di una massa molle che sia schizzata da un orifizio qualunque su di un piano, e aveva viaggiato alquanto, in forma di corrente, verso mezzodì18».

«Come mi piacerebbe», sclamò Giannina, «visitare quell’isola».

«Non saresti più in tempo. La furia del mare non acconsentì che una effimera esistenza a quella nuova creatura. Come volevi che una massa di fango si salvasse dall’ingordigia dell’onde, di cui sono preda gli scogli più duri? Il mare è veramente come il vecchio dio Saturno, il quale, secondo la mitologia, mangiava i suoi figli. Quando studierete la geologia, vedrete come quadri questo paragone. Tutte le isole, tutti i continenti nacquero dal mare; ma il mare infuria contro le sue creature, e se le va divorando a brani a brani».

11. «Come? sorsero dal mare le isole e i continenti?» fece la Camilla con aria d’incredula. [p. 308 modifica]

«L’ho detto: ma è impossibile che te ne dia la ragione. Bisognerebbe ch’io cominciassi troppo da lontano. Del resto ciò che la scienza balbetta oggi, non l’aveva già da parecchie migliaja d’anni proclamato la Bibbia? Non dev’essere cosa nuova per voi. Nella Storia sacra che leggete alla scuola deve trovarsi ancor questo».

«Mai più!» asserì la Giannina coll’accento della più profonda convinzione. «Se avessi letto che le isole e i continenti uscirono dal mare, mi sarebbe rimasto impresso senza dubbio».

«Bada, Giannina, che io ti colgo in fallo stavolta. Nella Storia sacra avrai letto che in principio Iddio creò il cielo e la terra».

«Eppoi disse: Sia fatta la luce».

«Benissimo....».

«Eppoi divise le acque....».

«Adagio.... Anderò innanzi io, proprio colle parole della Bibbia: — E Dio disse: si radunino le acque, che sono sotto il cielo, in un luogo solo, ed appaja l’arida, cioè la superficie asciutta: e all’arida diè il nome di terra, e la congregazione delle acque chiamò mare».

«Poi disse»: proseguì Giannina, «germini la terra e le erbe....».

«Basta, basta! Abbiamo già detto quanto ci occorreva».

«Ma le isole e i continenti....» osservava Giannina!

«Le isole e i continenti uscirono dal mare: non l’hai inteso? Quando si legge che le acque si radunarono in un luogo solo, e apparve la terra asciutta, non è precisamente come se dicesse che il mare si distendeva prima anche là dove sorgono le isole e i continenti? Non è ciò lo stesso come il dire che le isole e i continenti uscirono fuori dal mare? La Bibbia non ci descrive il modo con cui avvenne il fatto: ma il fatto ce lo dice chiaro e lampante».

«È vero», disse la Giannina, alquanto umiliata; «non ci avevo pensato».

«È vero.... Quante cose vere vi si insegnano fin dalla prima infanzia, che, quando siete grandi, vi appajono come novità, e fors’anche come novità incredibili! Ma l’infanzia non è l’età della riflessione e spesso una cosa sembra nuova, perchè ci si riflette per la prima volta nell’età matura. Vedrete quante cose ci di cono i filosofi, i naturalisti, come grandi novità, come stupendi trovati della scienza, che l’ultimo villanello ha appreso da un [p. 309 modifica]pezzo sulle panche della chiesa o della scuola del villaggio.... E quante cose sanno i villanelli e le donicciuole che gli scienziati ignorano o mettono in derisione! Ma torniamo alla nostra isola, di cui veramente non c’è più nulla a dire, poichè, scoperta il 7 maggio 1861, era già scomparsa nel novembre dello stesso anno, e circa un anno più tardi, ove l’isola sorgeva, lo scandaglio misurava una profondità di 12 a 15 piedi19».

«Dunque», osservò Giovannino, «queste isole saranno sempre distrutte».

«Cioè, vi ho già detto che nel mar Caspio esiste un vero arcipelago di fango, e certamente tutte quelle isole, come l’isola Bulla, nacquero al modo stesso dell’isola Kumani. Dunque i vulcani di fango possono produrre delle stabili terre. Basta che sappiano eruttare tanta copia di fango, o ripetere le eruzioni a così brevi intervalli, che il mare non riesca a tutto inghiottire. Certo col tempo anche quelle isole scomparirebbero. Ma questa è, come vi dissi, la sorte anche dei grandi continenti, i quali, battuti in breccia dalle onde del mare, e rosi continuamente dai fiumi, finirebbero coi secoli per ritornare in grembo al mare. Ma in natura, lo vedrete a suo tempo, vi sono tanti provvedimenti, tante leggi di compensazione!... La natura, insomma, mentre demolisce, edifica; con una mano distrugge, coll’altra crea. Ma basta.... Capisco che voi desiderereste che io vi dicessi qualche cosa di più determinato; che vi facessi un po ’ di storia delle origini del mondo Ma non s’intende la storia dei mondi che furono, se non da chi conosce abbastanza il mondo che è. Perciò preferisco di insistere nelle mie conversazioni sui fenomeni del presente, sperando di potervi ammettere più tardi ai misteri del passato. Intanto un’occhiatina furtiva nello stereoscopio del passato l’avete data: vi ho messo sott’occhio qualche cosa del mondo presente, che vi dà un’idea di ciò che era l’Italia, quando su tutta la penisola erompevano quei vulcani di fango, del cui prodotto consta si gran parte delle colline e delle valli del nostro Apennino. Se volete sapere perchè quei fanghi poterono salvarsi dalla furia del mare, nel cui seno si deposero, ve lo dirò.... ma non domandatemi spiegazione. Quei fanghi si sottrassero alla furia del mare, perchè l’Italia si sollevò, in tempi relativamente recenti, e il mare fu costretto a ritirarsi, abbandonando la sua preda».


Note

  1. Vedi la Serata precedente.
  2. Greco è il punto dell’orizzonte che sta di mezzo fra levante e tramontana: è quindi il nord-est.
  3. Vedi il sito di Sassuolo nella carta a pag. 268.
  4. Le eruzioni a cui qui si allude avvennero negli anni 1591, 1601, 1681, 1711, 1781, 1787, 1790.
  5. Sapientia illius eruperunt abyssi. Prov. III, 20.
  6. Vedi la nota a pag. 268.
  7. Libeccio è il sud-ovest. I nomi citati in questo articolo si trovano variamente scritti su varie carte; Apscheron, Arasse e Araxes, Kur, Salfan e Saljany, Kissilketchy, Schemacha, ecc.
  8. Essendo piedi inglesi equivalgono a metri 85,04.
  9. Metri 365,76.
  10. Metri 142,31.
  11. Metri 426,72.
  12. Metri 2453,14.
  13. Metri 1386,84.
  14. Metri 18,29.
  15. Metri 45,72.
  16. Metri 365,76.
  17. Metri 73,15.
  18. Vedi il profilo dell’isola Kumani di sotto al piano topografico nella figura qui sopra.
  19. Da metri 3,65 a metri 4,57.