Il Re della Prateria/Parte seconda/9. La scomparsa di Gaspardo
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Capitolo Nono.
La scomparsa di Gaspardo.
Il Rio Virgin, che vuol dire fiume vergine, chiamato così dai primi spagnoli che si avventurarono in quelle deserte regioni dell’Utah, dell’Arizona e dell’alto Nuovo Messico, è uno dei meno conosciuti dell’America del Nord, avendo gli Indiani impedito l’avanzarsi degli esploratori.
Si sa però che nasce fra il 122° e il 113° di longitudine e il 37° e 38° di latitudine settentrionale, ma in quale punto preciso si ignora. Taluni ritengono che scenda dalla catena dei monti Vahasat, e forse hanno ragione, essendo questa l’unica Sierra che si trova nello spazio racchiuso fra i meridiani e i paralleli sopraccennati.
Corre verso ponente descrivendo dei serpeggiamenti assai vasti, ricevendo sulla sua destra pochi fiumi di breve corso ed attraversando territori aridi e spopolati; ma giunto presso il 114° meridiano, piega verso il sud e dopo di aver ricevuto il Beaverdam che scende dal nord, rinforzato dal Sokol, ed il Rio Mudoy, si getta nel Rio Colorado, il quale poi va a scaricarsi nel Mar Vermiglio o Golfo di California.
Le rive del fiume erano coperte da boschetti di cotton wood, così chiamato dagli Americani per la bianca lanugine che copre il rovescio delle foglie, alberi belli, che somigliano alla querce, col tronco nodoso ed i rami lunghi; segnano quasi sempre la presenza di un corso d’acqua. Vi erano pure boschetti di noci, di ontani, di querce e di aceri, e macchie di nocciuoli e di sommacco, in mezzo alle quali si vedevano fuggire grossi serpenti e si udivano gorgogliare i tacchini selvatici.
Sanchez, aprendosi il passo fra quei boschetti e quei cespugli, scese la riva del fiume e stette lungamente in ascolto, temendo di trovarsi in un luogo abitato dagli Indiani. Ma la corrente era deserta, la sponda opposta priva di abitazioni ed il silenzio quasi perfetto.
— Ci accamperemo qui? — gli chiese il marchese.
— Passeremo sulla sponda opposta, che mi sembra coperta da boschi più fitti e dove spero di trovare del foraggio per le nostre bestie. Ci accamperemo un paio di giorni per riposarci dalle fatiche della lunga traversata e rinnovare le nostre provviste. Sento dei tacchini gorgogliare al di là del fiume, e spero stasera di regalarvi un arrosto delizioso.
— Avete scoperto un guado?
— Il fiume è scarso d’acqua e lo attraverseremo facilmente in qualunque punto. Fate avanzare i cavalli ed i muli, señor. —
Gli arrieros e Gaspardo, che si erano fermati all’ombra di un gruppo di cotton, si fecero innanzi. Salirono tutti in arcione per non bagnare le armi e le munizioni, e spinsero gli animali nel fiume.
Essendo l’acqua bassa assai e la corrente poco forte, in pochi minuti giunsero alla sponda opposta, e si accamparono in mezzo ad un boschetto di ontani.
Rizzate le tende e legati i cavalli ed i muli, dopo aver loro somministrato un abbondante foraggio, Sanchez, il marchese e Gaspardo presero i fucili e s’internarono nei boschi per esplorare i dintorni e procacciarsi una cena migliore del solito.
— Che vi siano degli Indiani in queste vicinanze? — chiese il marchese a Sanchez, che esaminava il terreno per scoprire delle cipolle e dei navoni e le tracce di qualche capo di selvaggina.
— In questi deserti no; accampano di preferenza lungo le rive dei fiumi per non morire di fame. So che sul Virgin un tempo si trovavano parecchi wigwans di Navajoes e di Apaches, — rispose il messicano. — Ma voi sapete che la pelle rossa non ha stabile dimora, e che sovente si allontana molto dalle regioni che poco prima occupava.
— Gli Apachi che noi cerchiamo, sono ancora assai lontani?
— Abbiamo da attraversare un altro deserto, quello che si estende fra il Rio Virgin e il Rio Verde o Colorado settentrionale e raggiungere il Rio San Juan.
— Ma il Rio Chelle dove si trova?
— Al di là della Sierra Calabasa; ed è un affluente del Rio San Juan, come sono pure il Rio Chaco ed il Gothic.
— Dovremo camminare molti giorni ancora? Non vedo l’istante di giungere colà.
— Ci mancano circa trecento miglia per toccare la valle Tunecha. Fra venti giorni, e forse meno, possiamo giungere sul Rio Chelle.
— E lo troveremo là, mio nipote?
— Ecco quello che ignoro, signor marchese. Speriamo che sia colà e soprattutto di ritrovarlo vivo o noi passeremo un brutto quarto d’ora, se non ci accadrà di peggio.
— Che cosa volete dire?
— Che se non incontriamo un protettore, gli Apaches ci scotenneranno ed accenderanno sul nostro petto un poco allegro falò. Quei demoni non risparmiano le pelli bianche.
— Dirò che sono lo zio dell’uomo bianco.
— Bah! Non vi presteranno fede, señor.
— Volete spaventarmi, Sanchez?
— No, voglio prepararvi a tutto.
— Non avete conoscenze fra quegli Indiani?
— Sì, conosco il capo Mato-Lonza, ossia l’Orso Agile, ed il capo Ish-ta-sha, ossia l’Occhio Bianco, ma dell’amicizia degli Indiani, ve lo dissi un’altra volta, non bisogna fidarsi, e poi, saranno ancora vivi? Ascoltate: io ero diventato l’amico d’un valente capo Arapahoe, il sakem Mano Sinistra,1 il quale mi aveva trattato bene, tutte le volte che mi ero recato presso la sua tribù guidando dei trafficanti di prateria. Ebbene, un brutto giorno, avendogli rifiutato un revolver che avevo comperato a Santa Fè, mi fece prendere e legare e salvai la mia capigliatura per miracolo, essendo riuscito a fuggire durante la notte. Fidatevi dell’amicizia delle pelli rosse!
— Ma io...
— Zitto, signor marchese! — esclamò in quel momento Gaspardo, abbassandosi bruscamente.
— Che cosa avete veduto? — gli chiese Sanchez, che per ogni precauzione aveva prontamente armato il rifle.
— Muoversi qualche cosa in mezzo a quella macchia.
— Sarà qualche daino o... Fermi tutti, che sta per venire l’arrosto!—
Si accovacciarono prontamente dietro ad un cespuglio di nocciuoli, ed attesero col dito sul grilletto del fucile.
Dinanzi a loro, a trenta o quaranta passi, i giunchi si agitavano in parecchi luoghi, come se nascondessero della selvaggina, e si udivano, ad intervalli, dei sommessi gorgoglii.
Dopo pochi minuti uscivano quindici o venti tacchini, quasi il doppio più grossi di quelli comuni, coperti di penne brunoverdastre ed il petto adorno d’un lungo piumaccio di crini neri, che scendeva verso terra per parecchi pollici.
Si avanzavano senza diffidenza attraverso alle macchie, beccando avidamente le bacche e le ghiande delle querce.
— Fuoco! — disse il messicano.
Cinque colpi di fucile echeggiarono formando quasi una sola detonazione, e quattro tacchini caddero fulminati. Gli altri fuggirono attraverso il bosco correndo con rapidità sorprendente; ma Gaspardo, che sperava di abbatterne degli altri, si diede ad inseguirli a tutta possa, cercando di caricare il fucile.
— Ti sfiaterai inutilmente! — gli gridò Sanchez.
Ma il brasiliano era ormai lontano e scomparve fra le macchie, inseguendo sempre la preda.
— Tornerà presto, — disse il messicano. — Ci vorrebbero dei cani per raggiungerli. —
Uscirono dalla macchia e andarono a raccogliere le vittime. Erano quattro superbi maschi, che pesavano dai quindici ai diciotto chilogrammi ciascuno.
— Bell'arrosto! — esclamò il marchese.
— E succolento, señor, — disse Sanchez. — Questi tacchini sono più gustosi di quelli che vivono in schiavitù.
— Se ne trovano molti in questa regione?
— Nelle grandi praterie del nord, o sulle rive del Missouri e del Mississippi, se n’incontrano dei grandi stuoli. I tacchini si radunano verso l’ottobre, intraprendono lontane emigrazioni non arrestandosi nè davanti ai fiumi, nè davanti ai monti, e trovato un posto adatto, lontano dagli Indiani e dai cacciatori, si accoppiano e preparano il nido. Passano insieme il novembre, il gennaio e il febbraio; poi si separano e le femmine depongono le uova che sono in numero di dieci, quindici e talvolta anche più.
Le madri vegliano attentamente, e se si allontanano dai nidi, prima hanno la precauzione di coprirli per bene con foglie, perchè i lupi e le linci non li divorino. Quando i piccoli sono allevati e possono viaggiare e difendersi, le femmine verso l’agosto tornano a riunirsi ai maschi e riprendono la emigrazione.
Pare che la vita libera dei boschi e delle praterie sia vantaggiosa pei tacchini, poichè, come vedete, ingrassano e superano per statura e bellezza i loro compagni allevati nella stia.
— Ma di che cosa vivono?
— Di semi e di ghiande; ma non sdegnano le lucertole e neppure le rane.
— Credete che i tacchini, che si allevano in Europa e che vengono chiamati polli d’India, appartengano a questa razza?
— Certo, marchese; anzi un cacciatore di prateria mio amico e che era molto istruito, essendo un europeo, mi disse che erano stati introdotti prima di tutto nella Spagna, verso il 1600.
In quell’istante in lontananza, verso l’est, echeggiarono due colpi di fucile.
— È la carabina di Gaspardo, — disse il marchese.
— Che abbia raggiunti i tacchini? — si chiese Sanchez.
— Lo credo, — rispose Mendoza.
— O che abbia incontrato qualche pericoloso capo di selvaggina?
— E quale mai?
— Qualche orso, per esempio. Lungo i fiumi s’incontrano talvolta i glezè.
— Che specie d’orsi sono?
— Sono orsi gialli e si trovano nelle pianure. Speriamo che non abbia avuto un cattivo incontro; ritorniamo all’accampamento, señor; lo aspetteremo preparando l’arrosto. —
Raccolsero i quattro tacchini e raggiunsero gli arrieros che stavano strigliando gli animali. In un batter d’occhio fecero accendere un bel fuoco, pelare un tacchino, e lo misero nello spiedo, infilzandolo semplicemente nella bacchetta d’acciaio del rifle.
Un’ora dopo Sanchez serviva, su di un piatto di foglie, l’arrosto, che mandava un profumo appetitoso.
— E Gaspardo? — chiese il marchese, che cominciava ad inquietarsi per quella assenza prolungata. — Sono due ore che manca.
— Che stia rimorchiando un carico di tacchini? — chiese Sanchez. — O che si sia smarrito nella foresta?
— Avete udito nessun’altra detonazione?
— Nessuna.
— Che gli sia avvenuta qualche disgrazia?
— Non mi sembra uomo da farsi sorprendere da una fiera, nè da fallire i suoi colpi di fucile.
— Eppure, Sanchez, comincio a diventare inquieto.
— Se non tornerà durante il pasto, andremo a cercarlo. Sta per calare la notte, ed affretterà il passo, señor. —
Si assisero attorno all’arrosto, ma il pasto fu triste. Delle vaghe paure cominciavano ad invadere l’animo di tutti, e s’interrompevano ad ogni istante per tendere gli orecchi ai rumori del largo e per guardare al di là dei cespugli.
Il marchese, specialmente, non poteva star fermo, e si alzava di frequente, credendo di udire delle grida lontane.
La notte calò, ma Gaspardo non giunse al campo, nè diede segno di vita.
— È impossibile che si sia smarrito, — disse il marchese. — Bisogna andarlo a cercare.
— Proviamo a chiamarlo, — disse Sanchez. — Se si trova nella foresta, risponderà.
Prese il suo rifle e lo scaricò tre volte, con intervalli di due minuti fra un colpo e l’altro. Nessuna detonazione rispose, nè lontana, nè vicina.
Solamente si udirono sotto i boschi ululare i lupi e le coyotes.
— È stato ucciso! — esclamò il marchese con accento disperato.
— Non lo credo, — disse Sanchez. — Forse i tacchini lo hanno trascinato molto lontano.
— Andiamo a cercarlo, Sanchez. Il cuore mi dice che gli è successa una disgrazia.
— Ma dove dirigere le nostre ricerche, con questa oscurità? Non riusciremo a scoprire le sue tracce.
— Tentiamolo, Sanchez. —
Il messicano, che cominciava a sentirsi invadere da sinistre inquietudini, si arrese. Andò in cerca di un ocote, albero resinoso i cui rami si possono adoperare come torce, e tagliò parecchi pezzi che diede agli arrieros.
— Accendeteli ed andiamo, — disse, gettandosi in ispalla il rifle. — Temo però di non ritrovare le sue tracce prima dell’alba. —
Al chiarore rossastro e fumoso di quei rami, gli otto uomini si misero in cammino, internandosi nella foresta. Giunti presso i cespugli dai quali erano usciti i tacchini, Sanchez esaminò accuratamente il terreno, e dopo un attento esame riuscì a scoprire le tracce del povero brasiliano.
Guardando sempre le erbe, per non perderle, il messicano si avanzò verso l’est per sei o settecento passi; ma giunto sulle rive di uno stagno paludoso, le smarrì. Cercò per parecchi minuti qua e là, ma essendo la luce delle torce debole e l’erba assai fitta, non riuscì a ritrovarle.
— È inutile, marchese, non possiamo scoprirle prima dell’alba. Ritorniamo all’accampamento ed aspettiamo.
— Povero Gaspardo, è perduto!
— Non vi disperate, señor. Forse si è spinto assai lontano e temendo di smarrirsi, si sarà fermato. —
Ritornarono all’accampamento più tristi di prima. Ormai tutti erano convinti che una disgrazia fosse toccata al coraggioso brasiliano.
Quella notte nessuno dormì, sperando sempre di udire o qualche detonazione o qualche lontana chiamata; ma l’alba spuntò senza che Gaspardo fosse ritornato.
— Andiamo, — disse Sanchez, appena spuntò il sole. — Vivo o morto, bisogna trovarlo.
— Ma voi, che cosa temete che gli sia accaduto? — chiese il marchese con voce commossa. — Voi forse lo sapete e non volete dirmelo.
— Non lo so, señor; a quest’ora ve lo avrei detto, se avessi qualche sospetto. Attraversiamo un paese che nasconde mille sorprese e mille pericoli. Può mordervi un serpente velenoso, può assalirvi un orso e sbranarvi, potete venire circondato da una banda di lupi o sventrato da un bisonte furibondo, o potete cadere in una palude di sabbie mobili, in una savana tremante, come diciamo noi, oppure nelle mani degl’Indiani.
— Allora Gaspardo è morto.
— No, finchè non abbiamo trovato e seguìto la sua strada, questo non si può dire. Avanti caballeros, e tenetevi pronti a tutto. —
Raggiunto lo stagno paludoso, il messicano e gli arrieros cominciarono le ricerche, osservando le erbe ed i cespugli che crescevano lungo le rive. Le loro indagini non andarono perdute, poichè dopo una mezz’ora ritrovavano le tracce al di là dello stagno, ed anche parecchie penne di tacchini.
— Seguiamole, — disse Sanchez. — Occupatevi dei cavalli e lasciate a me la cura di non smarrirle.
— Siete certo di non ingannarvi? — chiese il marchese.
— Non temete, señor. Queste erbe sono state calpestate da Gaspardo e questi rami sono stati spezzati da lui. Guardate, sono ancora umidi e lasciano colare la linfa, segno evidente che sono stati recisi da poche ore.
— Avanti, adunque, Sanchez. —
Si rimisero in cammino, fermandosi ogni tanto per ascoltare i rumori della foresta. Percorsero così quasi due miglia e si fermarono dinanzi ad una magra prateria, al di là della quale ricominciava la pianura sabbiosa, il secondo deserto. Sanchez, dopo aver gettato un rapido sguardo dinanzi a sè, impallidì ed emise una sorda esclamazione.
— Canarios! — mormorò, mentre la sua fronte si aggrottava. — La cosa è grave!
— Che mai dite? — chiese il marchese con viva ansietà. — Avete scoperto qualche cosa che ci metta sulle tracce del povero Gaspardo.
— Sì, signor marchese; ma è una terribile scoperta. —
Si curvò a terra e da un magro cespuglio trasse una canna lunga sessanta centimetri, armata d’una punta di ferro.
— Conoscete quest’oggetto? — chiese, porgendola al marchese.
— Una freccia!...
— Una freccia indiana, señor.
— Che cosa volete concludere? — disse Mendoza, con un fil di voce.
— Che Gaspardo è stato rapito.
— Dagl’Indiani?
— Sì, señor.
— Lui!...
— Guardate, marchese: ecco qui le tracce di parecchi cavalli sprovvisti di ferri, ed ecco là uno stoppaccio semiarso, che deve essere appartenuto alla carabina di Gaspardo.
— Ma in qual modo volete che sia stato rapito? Aveva un fucile; dovrebbe aver ucciso qualcuno di quei predoni, e non vedo nemmeno una macchia di sangue. —
Sanchez non rispose: egli guardava attentamente attorno a sè, come se cercasse qualche altra cosa. Il suo sguardo acuto investigava le erbe, i cespugli ed i gruppi d’alberi intristiti che si vedevano qua e là.
Ad un tratto si scosse, camminò dritto innanzi a sè e si fermò dinanzi ad un fitto gruppo di magri ontani, ai cui piedi s’alzavano dei fitti cespugli di nocciuoli.
— Guardate... — disse poi, volgendosi verso il marchese che lo aveva seguìto.
— Vedete questo largo solco, aperto fra queste erbe e che si allontana da noi?
— Lo vedo.
— Da che cosa credete che sia stato prodotto?
— Non saprei...
— Allora ve lo dirò io: qui è stato trascinato violentemente un uomo, che prima era stato atterrato.
— E che cosa volete dire?
— Che Gaspardo è stato sorpreso.
— Non vi comprendo.
— Ecco: gl’Indiani devono essersi nascosti in quel gruppo d’alberi. Vedendo passare Gaspardo che inseguiva i tacchini, hanno lanciato un lazo, lo hanno atterrato, e poi, saliti sui loro cavalli, lo hanno trascinato per parecchi metri finchè svenne.
— Lo hanno preso con un lazo!...
— Sì, marchese, e sono certo di non ingannarmi. Gl’Indiani sono abili nel lanciare i lacci, e riducono all’impotenza un uomo anche se è lontano dieci metri.
— Che l’abbiano strangolato?
— Avrebbero lasciato qui il suo cadavere, dopo di averlo scotennato. No, marchese, quelle canaglie l’hanno portato con loro per fargli soffrire chissà quali spaventevoli supplizi al palo di tortura, e dinanzi alla loro tribù.
— È orribile! E noi lo perderemo così? —
Sanchez non rispose, e parve in preda a profondi pensieri.
- ↑ Il sakem, Mano Sinistra, doveva più tardi far parlare di sè. Fu lui che insieme ai capi Cheyennes promosse l’insurrezione del 1863. Cadde coi capi Caldaia Nera ed Antilope Bianca nel massacro di Sand-Creek ordinato dal feroce e ributtante colonnello Chiwington, il quale non risparmiò nè le donne indiane, nè i bambini lattanti, che vennero orrendamente macellati. Dopo tale inumana strage, il sanguinario colonnello venne destituito dal comando e il luogo ove compì la strage si chiamò a sua infamia Chiwington Massacre.