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capitolo ix. — la scomparsa di gaspardo. 193

— Che stia rimorchiando un carico di tacchini? — chiese Sanchez. — O che si sia smarrito nella foresta?

— Avete udito nessun’altra detonazione?

— Nessuna.

— Che gli sia avvenuta qualche disgrazia?

— Non mi sembra uomo da farsi sorprendere da una fiera, nè da fallire i suoi colpi di fucile.

— Eppure, Sanchez, comincio a diventare inquieto.

— Se non tornerà durante il pasto, andremo a cercarlo. Sta per calare la notte, ed affretterà il passo, señor. —

Si assisero attorno all’arrosto, ma il pasto fu triste. Delle vaghe paure cominciavano ad invadere l’animo di tutti, e s’interrompevano ad ogni istante per tendere gli orecchi ai rumori del largo e per guardare al di là dei cespugli.

Il marchese, specialmente, non poteva star fermo, e si alzava di frequente, credendo di udire delle grida lontane.

La notte calò, ma Gaspardo non giunse al campo, nè diede segno di vita.

— È impossibile che si sia smarrito, — disse il marchese. — Bisogna andarlo a cercare.

— Proviamo a chiamarlo, — disse Sanchez. — Se si trova nella foresta, risponderà.

Prese il suo rifle e lo scaricò tre volte, con intervalli di due minuti fra un colpo e l’altro. Nessuna detonazione rispose, nè lontana, nè vicina.

Solamente si udirono sotto i boschi ululare i lupi e le coyotes.

— È stato ucciso! — esclamò il marchese con accento disperato.

— Non lo credo, — disse Sanchez. — Forse i tacchini lo hanno trascinato molto lontano.

— Andiamo a cercarlo, Sanchez. Il cuore mi dice che gli è successa una disgrazia.

— Ma dove dirigere le nostre ricerche, con questa oscurità? Non riusciremo a scoprire le sue tracce.

— Tentiamolo, Sanchez. —

Il messicano, che cominciava a sentirsi invadere da sinistre inquietudini, si arrese. Andò in cerca di un ocote, albero resinoso