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192 | parte ii. — la grande prateria degli apaches. |
possono viaggiare e difendersi, le femmine verso l’agosto tornano a riunirsi ai maschi e riprendono la emigrazione.
Pare che la vita libera dei boschi e delle praterie sia vantaggiosa pei tacchini, poichè, come vedete, ingrassano e superano per statura e bellezza i loro compagni allevati nella stia.
— Ma di che cosa vivono?
— Di semi e di ghiande; ma non sdegnano le lucertole e neppure le rane.
— Credete che i tacchini, che si allevano in Europa e che vengono chiamati polli d’India, appartengano a questa razza?
— Certo, marchese; anzi un cacciatore di prateria mio amico e che era molto istruito, essendo un europeo, mi disse che erano stati introdotti prima di tutto nella Spagna, verso il 1600.
In quell’istante in lontananza, verso l’est, echeggiarono due colpi di fucile.
— È la carabina di Gaspardo, — disse il marchese.
— Che abbia raggiunti i tacchini? — si chiese Sanchez.
— Lo credo, — rispose Mendoza.
— O che abbia incontrato qualche pericoloso capo di selvaggina?
— E quale mai?
— Qualche orso, per esempio. Lungo i fiumi s’incontrano talvolta i glezè.
— Che specie d’orsi sono?
— Sono orsi gialli e si trovano nelle pianure. Speriamo che non abbia avuto un cattivo incontro; ritorniamo all’accampamento, señor; lo aspetteremo preparando l’arrosto. —
Raccolsero i quattro tacchini e raggiunsero gli arrieros che stavano strigliando gli animali. In un batter d’occhio fecero accendere un bel fuoco, pelare un tacchino, e lo misero nello spiedo, infilzandolo semplicemente nella bacchetta d’acciaio del rifle.
Un’ora dopo Sanchez serviva, su di un piatto di foglie, l’arrosto, che mandava un profumo appetitoso.
— E Gaspardo? — chiese il marchese, che cominciava ad inquietarsi per quella assenza prolungata. — Sono due ore che manca.