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capitolo ix. — la scomparsa di gaspardo. 195

palude di sabbie mobili, in una savana tremante, come diciamo noi, oppure nelle mani degl’Indiani.

— Allora Gaspardo è morto.

— No, finchè non abbiamo trovato e seguìto la sua strada, questo non si può dire. Avanti caballeros, e tenetevi pronti a tutto. —

Raggiunto lo stagno paludoso, il messicano e gli arrieros cominciarono le ricerche, osservando le erbe ed i cespugli che crescevano lungo le rive. Le loro indagini non andarono perdute, poichè dopo una mezz’ora ritrovavano le tracce al di là dello stagno, ed anche parecchie penne di tacchini.

— Seguiamole, — disse Sanchez. — Occupatevi dei cavalli e lasciate a me la cura di non smarrirle.

— Siete certo di non ingannarvi? — chiese il marchese.

— Non temete, señor. Queste erbe sono state calpestate da Gaspardo e questi rami sono stati spezzati da lui. Guardate, sono ancora umidi e lasciano colare la linfa, segno evidente che sono stati recisi da poche ore.

— Avanti, adunque, Sanchez. —

Si rimisero in cammino, fermandosi ogni tanto per ascoltare i rumori della foresta. Percorsero così quasi due miglia e si fermarono dinanzi ad una magra prateria, al di là della quale ricominciava la pianura sabbiosa, il secondo deserto. Sanchez, dopo aver gettato un rapido sguardo dinanzi a sè, impallidì ed emise una sorda esclamazione.

Canarios! — mormorò, mentre la sua fronte si aggrottava. — La cosa è grave!

— Che mai dite? — chiese il marchese con viva ansietà. — Avete scoperto qualche cosa che ci metta sulle tracce del povero Gaspardo.

— Sì, signor marchese; ma è una terribile scoperta. —

Si curvò a terra e da un magro cespuglio trasse una canna lunga sessanta centimetri, armata d’una punta di ferro.

— Conoscete quest’oggetto? — chiese, porgendola al marchese.

— Una freccia!...

— Una freccia indiana, señor.

— Che cosa volete concludere? — disse Mendoza, con un fil di voce.