Il Re della Prateria/Parte seconda/8. Il deserto d'Amargoza

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Capitolo Ottavo.

Il deserto d’Amargoza.



La fermata dei viaggiatori nella prateria si prolungò tre giorni, tempo necessario per preparare il tasaio, il quale viene lentamente affumicato e seccato per potersi conservare lungamente senza che corra pericolo di corrompersi, e per conciare le due pelli che Sanchez non voleva abbandonare, sapendo che sarebbero state di grande utilità nel viaggio. Durante quei tre giorni il marchese, Gaspardo ed i messicani fecero una vera orgia di carne fresca, cucinata allo spiedo ed in stufato, e di sanguinacci che vennero da tutti lodati per la loro squisitezza.

Il quarto giorno, insaccate le provviste di carne e ripiegate le tende e le due pelli dei bisonti, che avevano acquistata una morbidezza ammirabile, la carovana, ben riposata per quella lunga sosta, si rimetteva in cammino per raggiungere i monti Telescopio, che non dovevano distare più di una trentina di miglia.

La prateria, dopo il passaggio della grande banda di bisonti, era ridiventata silenziosa ma non deserta, poichè si vedevano qua e là attruppamenti di lupi intenti a banchettare con gli animali che erano stati feriti dalle scariche dei viaggiatori, e che più tardi dovevano essere caduti e uccisi dalle lance degli Indiani.

Procedendo sollecitamente e facendo solo brevi fermate, il giorno [p. 181 modifica]dopo superarono i monti Telescopio, salendo e scendendo per certi stretti cañon ricchi di vegetazione e di ruscelli.

Rinnovarono le provviste d’acqua, essendo vicini al deserto d’Amargoza, ed incerti di trovarne al Rio delle Fornaci, che è quasi sempre asciutto.

Attraversata una vallata brulla, sprovvista di piante e quindi di selvaggina, piegarono verso i monti Funeral, le cui cime aride e nere spiccavano sinistramente sull’orizzonte.

Con molta fatica poterono varcare quella catena, che al pari di tutte le altre scorre dal nord al sud, ma che mancava di valli e di sentieri. Gli animali, che su quegli aridi pendii non trovavano nemmeno un filo d’erba, soffrirono la fame.

Fortunatamente sui versanti orientali Sanchez scoprì una valletta inaffiata da un magro torrente, ma coperta di un fitto strato di erba. Ne fece raccogliere quanta più potè, caricando muli e cavalli, poi ripartirono addentrandosi nel deserto d’Amargoza.

Questo deserto si estende dai monti Funeral fino alle rive del Rio Virgin, affluente del Colorado. È composto di sabbia, d’argilla e di sale; ma non si creda che sia arido come i deserti dell’Africa. Quantunque le erbe da pastura manchino quasi del tutto e non si trovino fiumi perenni, pure crescono qua e là delle piante che sono di una grande utilità, sia per l’assetato viaggiatore come per gli affamati animali, e s’incontrano delle catene di monti, fra le quali quella della Spring, e delle alture isolate nei cui cañon cresce qualche po’ di vegetazione, specialmente nell’autunno e nella primavera. Nell’estate, però, tutto si dissecca e non si trova un filo d’erba.

La carovana si mise in marcia lentamente, essendo il terreno cedevole per le sabbie che lo coprivano, e quindi molto faticoso, sia per gli uomini che per gli animali.

Quantunque la stagione fosse assai inoltrata, faceva ancora caldo, ed il sole, riflettendosi su quelle sabbie mescolate al sale, feriva gli occhi cagionando spesso degli acuti dolori alla retina. Nessuna però si lagnava, e proseguivano il viaggio cercando di affrettare il passo.

Quel primo giorno percorsero oltre venti miglia, non avendo [p. 182 modifica]fatto che una breve fermata. Si accamparono verso sera sulle rive del Rio Fornace affluente del Rio Amargoza, ma era completamente asciutto.

Il secondo giorno, dopo una marcia di tredici ore quasi non interrotta, si spinsero fino al Rio Amargoza, il quale attraversa buona parte del deserto, perdendosi fra le sabbie nei pressi dei monti Funeral; ma neppur questo conteneva una sola goccia di acqua, anzi pareva che fosse disseccato da parecchi anni, poichè il suo letto era coperto di polvere asciutta.

Quella scoperta cagionò vive inquietudini ai viaggiatori, essendo assai scarsa la provvista d’acqua che portavano i muli. Sanchez si provò a scavare le sabbie, sperando di trovare sotto di esse qualche sorgente, ma senza frutto.

— Bisogna affrettarsi, altrimenti proveremo le torture della sete, — diss’egli al marchese. — Temo di non trovare acqua che al Rio Virgin.

— È lontano?

— Ci bisogneranno tre e forse quattro giorni di cammino.

— Non vi è alcuna sorgente in questo deserto?

— Sì, una, ma molto al nord, e le sue acque sono veramente deliziose; migliori della soda-water artificiale.

— Acque gazose, adunque.

— Sì, ma più piccanti delle gazose di limone che si vendono nelle birrerie o nei caffè delle nostre città. Gli Indiani chiamano quelle fonti, poichè ve ne sono parecchie, sorgenti medicinali, ed hanno per quelle acque spumanti una venerazione, credendo che nascondano un dio acquatico.

Ve n’è anzi una nella valle Salinas, che abbiamo attraversata la scorsa settimana, la quale gode molta fama e che è assai frequentata dagl’indiani Yuta e anche dai Navajoes. Si chiama la fontana che bolle, e le sue acque sono così squisite, così fresche, e così piccanti da superare tutte le migliori sode che si vendono. Perfino gli animali accorrono dalle più lontane regioni della vasta prateria per dissetarsi colà.

— L’avrei visitata volentieri, Sanchez.

— È lontana, marchese. Ci vorrebbero sei o sette giorni per [p. 183 modifica]arrivarvi, poichè si trova al nord dei monti Spring; giungeremo prima sulle rive del Rio Virgin. Dormiamo, marchese, chè domani dobbiamo fare una lunga marcia. —

Prima dell’alba, uomini, cavalli e muli erano in piedi per riprendere il cammino, ma la notte non era bastata a riposarli. Tutti erano affranti prima di rimettersi in via ed assetati, avendo consumata quasi tutta la provvista dell’acqua; specialmente gli animali soffrivano e mandavano nitriti dolorosi.

Sanchez, dopo essersi orizzontato, piegò verso il sud colla speranza d’incontrare un lago, sulle cui sponde contava di trovare del foraggio. Non calcolava sulle acque del bacino, non ignorando che tutti quelli che s’incontrano nella regione, sono salati ed amari più dell’Oceano.

La marcia diventava sempre più faticosa su quelle sabbie che sfuggivano sotto i piedi, ed anche a causa del sole che si rifletteva su prismi di sale che coprivano vaste estensioni di terreno. Gli animali si trascinavano innanzi a grande stento e gli uomini erano costretti a spingerli a colpi di frusta tutte le volte che qualcuno rimaneva indietro e si rifiutava di proseguire, costringendo gli uomini a frequenti fermate.

Quel giorno non riuscirono a percorrere più di quindici miglia e si arrestarono ai piedi di un monte isolato, arido e coi fianchi scoscesi. Eccettuato Sanchez, che era abituato a tutte le privazioni e alle marce lunghissime, gli altri non erano più capaci di fare un passo.

Misurata l’acqua rinchiusa negli otri, si vide che non ne rimanevano che due litri, misura appena sufficiente per gli uomini che morivano di sete. Quella scoperta spaventò tutti, poichè equivaleva alla perdita degli animali, pei quali non ne rimaneva una sola goccia.

Bisognava prendere una decisione immediata, altrimenti correvano il pericolo di lasciare le loro ossa in quel deserto, che pareva non avesse confini.

— Ci troviamo in una situazione assai difficile, signor marchese, — disse Sanchez, gettando uno sguardo disperato su quell’arida distesa sabbiosa, su cui non si vedeva spuntare un solo filo d’erba. — [p. 184 modifica]Speravo di trovare dell’acqua nel Rio Fornace o in quello d’Amargoza e delle piante, ma l’estate è stata assai ardente ed ha assorbito fino le ultime gocce.

— Che cosa possiamo fare? Se non troviamo acqua, domani gli animali non si rialzeranno.

— Lo so, marchese.

— Non vi è alcun’altra sorgente?

— Nessuna, che io sappia.

— Nemmeno un fiumicello?

— Sì, il Rio Mudoy, che va a scaricarsi nel Rio Virgin; ma temo che le sue acque non siano bevibili avendo la propria sorgente in un lago salato.

— E nessun altro?

— Il Beaverdam, che nasce presso la Sierra Boneto e scaricasi pure nel Rio Virgin, ma è molto lontano.

— Che cosa contate di fare?

— Abbeverare il mio cavallo con una parte dell’acqua che ci rimane e spingermi fino al Mudoy. Spero di trovare sulle sue rive, se non dell’acqua dolce, almeno delle piante che me ne procurino.

— Delle piante che danno dell’acqua?

— Sì, señor, e ve ne sono parecchie in questa regione. La jucca che è una specie di asfodelo, le cui radici, spremute, schizzano acqua; i fiori della lyonia o albero del romice e i cactus a bocce. Se ne trovo, possiamo salvare noi ed anche gli animali.

— Durerà molto la vostra assenza?

— Spero di essere di ritorno fra sei ore. Il mio cavallo è vigoroso e lo lancerò a tutta corsa, dovessi aprirgli i fianchi a colpi di sperone.

— Non incontrerete gl’Indiani?

— Se li incontro, mi difenderò, marchese. Tutto si deve tentare per la salvezza comune.

— Andate adunque, e che Iddio vi guardi. —

Il messicano non perdette tempo. Gettò al suo cavallo il poco foraggio che ancora rimaneva, lo abbeverò con un litro d’acqua, raccolse le sue armi, appese alla sella gli otri, e dopo d’aver raccomandato di fare buona guardia, si allontanò verso l’est di gran galoppo. [p. 185 modifica]

Il marchese ed i suoi compagni, in preda ad una viva ansietà e ad una grande tristezza, si sdraiarono presso le tende, in attesa del suo ritorno.

Gli animali, sfiniti per la fame e per la sete, nitrivano sordamente accanto a loro, rompendo il grande silenzio che regnava nel deserto.

Passarono parecchie ore d’angosciosa aspettativa, ma il messicano non ritornava. Erasi spinto più lontano in cerca d’acqua e di erbe, o il suo cavallo, sfinito per le precedenti marce, era caduto a mezza via per non più rialzarsi? Il marchese, che diventava sempre più inquieto e che non era stato capace di chiudere gli occhi, tendeva sempre gli orecchi sperando di udire un lontano galoppo, ed aguzzava gli occhi credendo di vedere disegnarsi sull’orizzonte l’ombra del messicano; ma nulla udiva e nulla vedeva.

Cominciava già a disperare, temendo che Sanchez fosse stato ucciso dagli Indiani o che gli fosse capitata qualche disgrazia, quando udì in lontananza un lontano galoppo.

S’alzò di scatto e vide un cavallo che s’avvicinava di galoppo, portando in sella una massa che pareva enorme. Poco dopo udì una voce allegra gridare:

Caballeros, Dio è con noi! —

Era Sanchez, il quale portava, dinanzi e dietro alla sella, due ammassi di erbe e gli otri ben gonfi.

— Siamo salvi! — esclamò il marchese. — Cominciavo a temere che vi fosse toccata qualche disgrazia.

— Ritorno sano e salvo, señor, — rispose il bravo messicano, balzando a terra. — Credo di aver percorso venti chilometri sempre di galoppo e temo di avere il cavallo rattrappito.

— Fin dove vi siete spinto?

— Fin sulle rive del Mudoy.

— Scorre acqua nel fiume?

— No, è asciutto e coperto di alti strati di sale.

— Ma l’acqua che portate?...

— Ho trovato le piante che vi dissi.

— Si ringrazi Iddio. E degli Indiani, nessuna traccia ancora?

— Non ne ho veduti sulle sponde del fiume. [p. 186 modifica]

— Sedete e riposatevi, chè dovete essere stanco.

— Lo credo, señor. —

Gli arrieros, dopo di essersi dissetati senza riguardo, abbeverarono le povere bestie e diedero ad esse da mangiare, avendo il messicano recato una grossa provvista di foraggi freschi e buoni.

Il 10 dicembre i viaggiatori lasciavano quel luogo, che per poco non diventò la loro tomba, e ripartivano per guadagnare le sponde del Mudoy.

Animali ed uomini, ben riposati e ben pasciuti, procedevano più rapidamente del solito, essendo ormai certi di non correre più il pericolo di morire di sete, dopo le scoperte del messicano.

L’11, verso il mezzodì, giungevano sulle rive del fiume, il quale, quantunque fosse asciutto e coperto solamente da un alto strato di sale che fiammeggiava sotto i raggi del sole, pure era contornato da boschetti di palme nane, di cactus a bocce, grossi cespi di verdura, somiglianti, per la loro forma, ad alveari irti di spine, ma che tagliati a fette, gli animali mangiano avidamente contenendo un umore acqueo abbondante. Crescevano pure delle splendide graminacee, alte due metri e più, dei nocciuoli e pochi ontani.

Si arrestarono un giorno per dare riposo agli animali e per provvedersi di carne fresca, essendo gli scoiattoli numerosi, poi ripresero l’interminabile cammino per raggiungere le rive del Rio Virgin.

Il 13 attraversarono l’estremità meridionale dei monti Mormon, che si estendono a mo’ di semicerchio, toccando quasi, colle loro ultime colline, il Rio Virgin e il Rio Beaverdam, e la sera del 14, stanchi per la lunga traversata, giungevano sulle sponde del sospirato fiume.

Il deserto d’Amargoza era stato attraversato.