Il Re della Prateria/Parte seconda/4. Gli orsi della Sierra Nevada
Questo testo è completo. |
◄ | Parte seconda - 3. Dal San Benito alla Sierra Nevada | Parte seconda - 5. Assediati nella caverna | ► |
Capitolo Quarto.
Gli orsi della Sierra Nevada.
Il vento della notte aveva prodotto un cambiamento di tempo. Enormi masse di vapori si erano accumulate sulle ripide cime della nevosa Sierra, nascondendo le più elevate, e si vedevano turbinare, sui fianchi delle aspre montagne ed attorno alle rupi, nembi di nevischio.
Il Whitney era scomparso; ma lassù udivasi il vento ruggire con estrema violenza, quantunque la stagione fosse assai avanzata; nel seno delle nubi si udiva, ad intervalli, rullare il tuono.
Raffiche impetuose scendevano, scuotendo e curvando i giovani pini e facendo oscillare fortemente le cime altissime dei più vecchi e dei più giganteschi, e si perdevano in fondo alle valli od attraverso le gole.
Sanchez era diventato inquieto e si fermava spesso guardando le alte vette delle montagne. Era sceso di sella e conduceva il suo cavallo per la briglia, cercando di scoprire i sentieri sotto lo strato di neve, che diventava sempre più profondo e più difficile ad attraversare, a causa della ripidità dei pendii.
— Temete qualche uragano? — gli chiese il marchese, che era pure disceso di sella, per meglio aiutare il mustano.
— Sì, señor, — rispose il messicano. — Lassù avremo da affrontare una vera bufera.
— Non possiamo fermarci qui?
— Perderemmo molto tempo. La cattiva stagione è cominciata, e questa bufera può durare anche due settimane. È meglio affrettare la marcia e cercar di guadagnare il versante opposto più presto che si può.
— Sono pericolose queste burrasche?
— Assai, marchese. Ne affrontai una, l’anno scorso, sulle cime della Sierra Bianca, che mi travolse in un burrone assieme al mulo che cavalcavo. Sono vivo per miracolo.
— Attraverseremo il passo prima di sera?
— Non lo sperate, marchese. Avremo da faticare assai, per giungervi dopo il calar del sole.
— E saremo costretti ad accamparci lassù, fra le nevi?
— È necessario; ma vi condurrò in un rifugio, in una vasta caverna che s’addentra nei fianchi del Whitney. Colà potremo accendere un buon fuoco e resistere al freddo ed alla burrasca.
— Avanti dunque!... — disse il brasiliano.
La salita diventava ad ogni passo più aspra e più faticosa. Gli animali scivolavano ad ogni istante su quello strato di neve ormai quasi gelato, e gli uomini erano costretti a fermarsi per rialzarli, e dall’alto scendevano senza posa nembi di nevischio che li avvolgevano, accecandoli ed assiderandoli.
Il vento cresceva di violenza in quella regione elevata, e le raffiche seguivano sempre più impetuose, minacciando di trascinare negli abissi uomini ed animali. Sul Whitney il tuono rullava sempre e si sarebbe detto che le folgori percuotevano le rocce nere di quel colosso.
Malgrado i tanti ostacoli ed i crescenti pericoli, la carovana procedeva sempre, tenendosi riparata dalle rocce e dai pini per offrire meno presa al ventaccio gelido della montagna e marciando unita per aiutarsi meglio. Gli animali, coperti di neve, tremavano pel freddo e si mostravano riluttanti, ma gli uomini li forzavano a proseguire a legnate ed a strappate.
A diecimiladugento piedi, Sanchez, che non voleva stremare completamente gli uomini e gli animali, comandò la fermata dietro una gigantesca roccia, che li proteggeva dalle raffiche e dal nevischio.
Si fermarono una mezz’ora per riprendere lena e per riscaldarsi con una bottiglia di aguardiente, poi ripresero la salita fra un vero uragano di neve, che li assaliva da tutte le parti.
— Un ultimo sforzo, — disse il messicano che, in testa a tutti, lottava con suprema energia contro il vento che cercava di trascinarlo nelle sottostanti vallate. — Il passo è dinanzi a noi e la caverna è lassù!... —
Le nubi avvolgevano in quel punto tutta la grande catena correndo all’impazzata attraverso ai picchi, ora lacerandosi sotto i crescenti soffi del vento ed ora riunendosi. La carovana si trovava immersa in una specie di nebbione oscuro, che le impediva di vedere il Whitney; ma Sanchez procedeva sempre e si udiva tuonare ad ogni istante, dominando colla sua robusta voce i ruggiti e i fischi del vento:
— Coraggio amici!... Il passo è là!... Uno sforzo ancora!... Spingete!... Trascinate!... —
E la carovana procedeva a sbalzi, ora fermandosi ed ora riprendendo lena, dibattendosi fra la neve che le turbinava attorno, spingendo rabbiosamente i muli ed i cavalli che nitrivano pel terrore e che tremavano pel crescente freddo.
Alle quattro, il marchese, che non ne poteva più e che vedeva gli arrieros allontanarsi, rimanendo indietro, si fermò dicendo a Sanchez:
— Non si può andare innanzi; fermiamoci qui.
— No, signor marchese, — disse il messicano. — Chi si ferma qui è un uomo morto!... Più su, più su!...
— Ma i cavalli ed i muli non possono più avanzare, Sanchez.
— Punzecchiateli coi coltelli se è necessario, ma dobbiamo salire. L’uragano sta per scoppiare e una valanga può seppellirci tutti o trascinarci in fondo agli abissi. Animo, Pedro, spingi, Alonzo; coraggio, voi altri, che il passo è vicino!... —
Facendo uno sforzo disperato, gli uomini ripresero le mosse, incoraggiandosi colla voce e con l’esempio, sferzando gli animali che sprofondavano fino a mezza gamba nella neve e cercando di tenersi uniti per non smarrirsi in mezzo a quel nebbione ed a quelle nuvole di nevischio.
Aggrappandosi colle mani e coi piedi, cadendo e risollevandosi, verso le sette gli uomini superarono gli ultimi pendii, toccando una specie di altipiano che si rinserrava fra il Whitney ed una montagna vicina. Gli animali, spinti o trascinati, li avevano seguìti.
Colà il vento, ingolfandosi fra le due montagne che formavano una specie di gola, ruggiva su tutti i toni e sconvolgeva lo strato nevoso, alzandolo in forma di trombe turbinanti, od ammonticchiandolo qua e là addosso alle rocce, mentre dall’alto cadevano le valanghe, le quali s’infrangevano contro le rupi e le foreste di pini e scomparivano con cupi boati nelle profonde vallate dei bassipiani.
— Dove siamo noi? — chiese il marchese, che batteva i denti dal freddo e che si era curvato per non venir trascinato via dalle furiose raffiche.
— Al passo, — disse Sanchez, — ancora uno sforzo, e saremo nella caverna.
— Presto, presto! — gridarono gli arrieros. — Possiamo essere schiacciati dalle valanghe del Whitney. —
Punzecchiando colla punta dei coltelli le povere bestie, attraversarono in fretta l’altipiano spazzato dalla burrasca e si fermarono dinanzi ad una profonda e nera apertura, che s’internava nei fianchi della grande montagna.
— Entriamo, caballeros, — disse Sanchez, trascinando il proprio cavallo. — Dio sia ringraziato d’averci protetti!... —
Spingendo gli animali, entrarono nella caverna, oscura come il fondo d’un barile di catrame; sbarazzatisi delle coperte, che erano diventate bianche per la neve che le copriva, accesero una torcia, che il previdente messicano portava nel suo sacco da viaggio.
La caverna era spaziosa, assai alta, sorretta qua e là da enormi colonnati naturali ed abbellita da un’infinità di stalattiti e di stalagmiti e da ammassi di prismi quarzosi, che alla luce della torcia scintillavano come fossero enormi diamanti. In un angolo si apriva una specie di galleria bassa, che pareva si prolungasse assai. Il marchese e Sanchez, che si erano spinti fin là, tendendo gli orecchi udirono un cupo muggito che veniva dal fondo.
— Che sia il vento? — chiese il brasiliano.
— Non saprei dirlo, — rispose il messicano. — A me pare che questo fragore provenga da un torrente.
— Non sapete dove mette questa galleria?
— Non l’ho mai esplorata.
— Vi siete stato ancora, in questa caverna?
— Parecchie volte, señor. Anzi l’anno scorso, durante la buona stagione, sono rimasto qui tre giorni con alcuni cacciatori d’orsi. Forse in quell’angolo troveremo ancora della legna, portata quassù dai miei compagni.
— Non sarei scontento di sedermi dinanzi ad un bel fuoco.
— Andiamo a vedere, señor, e... —
Si era interrotto bruscamente, tendendo gli orecchi e facendo cenno al marchese di stare zitto.
— Giurerei d’aver udito un grugnito, — disse dopo alcuni minuti.
— Dove?
— Nella galleria, señor.
— È il vento.
— Posso essermi ingannato. —
Fecero il giro della spaziosa caverna, ed in un angolo trovarono una catasta di legna che pareva ben secca.
— È quella portata quassù dai cacciatori d’orsi, — disse Sanchez. — Ci scalderemo e ceneremo allegramente. —
Gli arrieros, che avevano scaricati i muli ed i cavalli per preparare la cena, in pochi istanti si radunarono accanto alla catasta, recando le provviste e l’occorrente per cucinarle.
Poco dopo un allegro fuoco brillava illuminando come in pieno giorno la caverna, e attorno si adagiarono i nove uomini, riscaldandosi le membra intirizzite, in attesa che la pentola grillettasse.
Una eccellente zuppa di pemmican1 e un buon caffè rimisero di umore gaio i viaggiatori.
Stavano accendendo le sigarette, quando in fondo alla spaziosa caverna si udì una specie di urlo soffocato. Sanchez e gli arrieros balzarono in piedi, guardandosi in viso l’un l’altro con ansietà.
— Un urlo!... — esclamò la guida, che aveva raccolto una scure. – Questo non è il vento, carramba!...
— No, non è il vento, — confermarono i mulattieri.
— Ma chi supponete che l’abbia emesso? — chiese il marchese.
— Non lo so, ma io giurerei che è uscito dalla gola d’una fiera.
— Che vi sia qualche lupo?
— Od un orso? — disse Sanchez.
— È impossibile, Sanchez! Abbiamo visitata la caverna da una estremità all’altra, e nulla abbiamo veduto, — disse il marchese.
In quell’istante, in fondo alla caverna si udirono dei grugniti che pareva si avvicinassero. Non vi era più da dubitare; degli animali si trovavano nell’antro e forse stavano per assalire gli avventurieri.
— Prendete i fucili, — disse il messicano, raccogliendo un tizzone ardente. — Sono curioso di sapere, con quale bestia noi abbiamo da fare. —
Impugnando colla destra la scure, arma formidabile in sua mano, s’avanzò verso il fondo della caverna seguìto dal marchese, da Gaspardo e dagli arrieros, che avevano montati i fucili.
— Non vedo nulla, — disse il messicano, alzando il tizzone per illuminare meglio le pareti. — Che mistero è questo? Eppure non siamo sordi!
— Che l’animale sia nascosto nella galleria? — chiese il marchese.
— Andiamo a vedere, señor. —
S’avvicinò alla stretta apertura che si prolungava nei fianchi della montagna, e s’inoltrò in quella specie di corridoio tenendosi curvo, essendo la vôlta tanto bassa da non permettergli di star ritto. Gaspardo aveva fatto pochi passi, quando udì dei sordi brontolii e vide dinanzi a sè degli occhi, che brillavano fra le tenebre.
— Carramba! — esclamò, arrestandosi bruscamente. — Quali belve si nascondono qui? Che sia il covo di qualche orso?...
— Volete la mia carabina? — chiese il marchese che gli stava dietro.
— Aspettate un po’ che osservi meglio. —
Spinse innanzi la torcia e guardò. Quattro orsacchiotti, giuocherellavano in mezzo ad un mucchio di ossami, grugnendo e mordendosi. Erano grossi come cani, pure vedendo il messicano si alzarono tutti e quattro, mostrando i denti e allungando le zampe armate d’artigli.
— È un covo di orsi, — disse il messicano, brandendo la scure. — Piccini miei, avremo l’onore di mettervi allo spiedo e di gustare le vostre succulenti carni. Uno... due!... —
Gaspardo si slanciò contro gli orsacchiotti, e senza badare ai loro grugniti minacciosi ed alle loro zampe che cercavano di respingerlo, con quattro potenti colpi di scure gli stese l’un sull’altro senza vita.
— Faremo una colazione da principi, señor, — disse al marchese. — Sono più delicati dei maialetti, ve lo assicuro.
— Ma come si trovavano qui? — chiese Mendoza.
— Saranno nati qui.
— Da una sola orsa?
— Da più femmine.
— Ma dove saranno le madri?
— Per la Sierra in cerca di preda.
— E non torneranno?... —
Il messicano, colpito da questa domanda, impallidì non ostante il suo provato coraggio.
— Temo che dobbiamo passare una brutta notte, señor, — disse, girando intorno uno guardo inquieto. — Affrettiamoci a ritornare! —
Gettò i quattro orsacchiotti ai mulattieri e tornò rapidamente nella caverna dirigendosi verso l’uscita.
— Verremo assaliti? — gli chiese il marchese che lo seguiva.
— Gli orsi non tarderanno a ritornare, señor, — gli rispose il messicano che era in preda ad una viva agitazione. — Se si trattasse d’affrontare un solo orso, non sarebbe nulla; ma temo che ci assalga una vera truppa.
— Abbandoniamo la grotta prima del loro ritorno.
— La notte è cupa e la bufera si è scatenata al di fuori. Guardate, marchese!... —
Lo trasse presso l’apertura ed uscirono. Una oscurità profonda avvolgeva le alte cime della Sierra e la burrasca infuriava tremendamente. Il vento, ormai scatenato, ruggiva attorno alle vette spingendo innanzi a sè nuvole di nevischio, e dall’alto del gigantesco Whitney si udivano rotolare con sordi fragori massi enormi e valanghe di neve.
Affrontare un simile uragano, fra quell’oscurità, che non permetteva di distinguere i sentieri nè i passi, era come incontrare la morte.
— Vedete? — chiese il messicano.
— Vedo che l’uscita è impossibile. E cosa facciamo adunque?
— Barrichiamoci in questa grotta. L’apertura, fortunatamente, è stretta ed i macigni abbondano qui. A me, mulattieri! —
Gli arrieros, che erano diventati non meno inquieti del loro capo, si affrettarono ad accorrere. Aiutati da Gaspardo e dalla guida, che da sè solo sollevava massi del peso di due quintali, in meno di dieci minuti turarono l’apertura, lasciando qua e là dei fori, per farvi passare le canne dei fucili. La massa delle pietre era così enorme, che sarebbe stato necessario un ariete per sfondarla.
— Ora possiamo dormire con piena sicurezza, — disse Sanchez, tergendosi il sudore che inondavagli la fronte. — Se gli orsi ci assalgono, troveranno pane pei loro denti.
— Che orsi sono? Grigi forse?
— Se fossero grizly, guai a noi! Fortunatamente sono orsi neri.
— Sono feroci?
— Non dico di no, e ci assaliranno con furore, temendo pei loro piccini.
— Bah! Abbiamo dei buoni fucili! — disse Gaspardo.
In quell’istante, al di fuori, fra i ruggiti della burrasca che raddoppiava di violenza, si udì un urlo prolungato.
Gli arrieros impallidirono e balzarono in piedi, mentre i cavalli ed i muli, svegliati di soprassalto, emettevano nitriti di spavento.
- ↑ Carne secca sminuzzata e mescolata con grasso.