Il Re della Prateria/Parte seconda/5. Assediati nella caverna
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Capitolo Quinto.
Assediati nella caverna.
A quel primo urlo, che annunziava la vicinanza di uno degli orsi, era succeduto un profondo silenzio, essendosi per un istante arrestata anche la furia della burrasca.
Sanchez, il marchese, Gaspardo e i sei mulattieri, armati di fucili, si erano precipitati come un solo uomo verso la barricata, in preda ad una certa ansietà, ignorando ancora con quanti nemici avevano da lottare nè conoscendo la forza, che talvolta è veramente prodigiosa e la ferocia degli orsi neri, specialmente quando diventano furibondi. Temendo che scrollassero e sfondassero l’ammasso di pietre, vi si erano appoggiati contro, per opporre una maggiore resistenza.
Ben presto, fra i soffi impetuosi del ventaccio che fischiava entro le gole e ruggiva attorno ai picchi nevosi della Sierra, si udì un secondo urlo molto più vicino, e questa volta pareva un urlo di furore. Senza dubbio l’orso o l’orsa che si appressava, aveva scorto l’ostacolo che barricava la caverna, e si era accorto della presenza dei nemici.
— Non perdetevi d’animo, — disse Sanchez volgendosi verso i mulattieri, che li vedeva tremare. — Appena l’orsa cercherà di forzare il passo, fate fuoco.
— Che sia sola? — chiese il marchese, che conservava una calma ammirabile.
— Lo credo; — rispose il messicano; — ma non tarderanno a giungerne altri. Forse sono stati sorpresi dalla tempesta molto lontani da qui.
— Se giungessero uno alla volta, sarebbe cosa facile l’ucciderli.
— Ma temo il contrario, marchese. Udranno le urla del loro compagno o della loro compagna e si affretteranno a ritornare.
— Eccolo! — esclamò Gaspardo, che aveva accostato gli occhi ad una fessura. — È grosso quanto un bufalo! —
Il marchese e Sanchez guardarono attraverso ai fori che lasciavano qua e là i sassi ammonticchiati, e videro a pochi passi di distanza un orso enorme, dal mantello nero, il quale fissava i suoi occhietti vivaci sulla barricata, come se cercasse d’indovinare con quale specie di ostacolo aveva da fare.
Girò e rigirò per alcuni istanti dinanzi alla grotta, poi si accostò alla barricata, ed avvicinato il muso ad una fessura, soffiò rumorosamente in viso a Sanchez un alito caldo, che puzzava di selvatico.
— Ah! Sei qui, mio caro! — esclamò il messicano, impugnando una pistola e cacciando la canna nella fessura. — Prendi!... —
Fece fuoco attraverso alla barricata. L’orso, senza dubbio colpito dalla palla, emise un vero ruggito, e scosse con furore i massi, facendone crollare parecchi e cacciò i suoi poderosi unghioni nelle fessure.
Il marchese e Gaspardo, che stavano presso il messicano fecero pure fuoco, quantunque non scorgessero la fiera.
A quelle due detonazioni, fecero eco, in distanza, altre urla.
— Si appressano gli altri! — esclamarono i mulattieri.
— Tenetevi pronti, ed io rispondo di tutto, — disse Sanchez. — Finchè la barricata resiste, nulla abbiamo da temere.
— Ma se la sfondano? – chiese il marchese.
— Li caricheremo a colpi di scure. Spero che non saranno una diecina. —
In quel frattempo l’orso, che forse era stato ferito gravemente, si era ritirato, e si udiva urlare in modo spaventoso, errando per la gola della Sierra. Pareva che volesse affrettare la marcia dei compagni, che forse, in quel momento, stavano arrampicandosi sui dirupati fianchi delle montagne.
— Se potessi farlo tacere... — disse il messicano che cercava di scoprirlo, guardando attraverso alle fessure. — Quel maledetto chiamerà a raccolta gli altri orsi.
— Lo scorgete? — chiese il marchese.
— No, si tiene lontano da noi.
— Che sia ferito gravemente?
— Eh! Sono animali che hanno la pelle assai dura ed uno strato di lardo che devia facilmente le palle. Talvolta non bastano quattro o cinque colpi di fucile per atterrarli.
— Rimuoviamo i sassi ed affrontiamolo prima che giungano i suoi compagni.
— Bell’idea, marchese, purchè gli altri non ci sorprendano!
— Bisogna tentare, — rispose Mendoza.
Il messicano afferrò alcuni macigni e li gettò nella caverna, aprendosi un passaggio appena sufficiente da permettere ad un uomo di uscire. Si munì del suo rifle, e strisciò coraggiosamente all’aperto, seguìto dal marchese e da Gaspardo.
Nonostante che la notte fosse oscurissima e la neve si sollevasse come una cortina immensa sotto i soffi impetuosi del vento, scorsero l’orso semi-coricato in mezzo alla gola. Volgeva il capo verso l’uscita di levante e urlava con quanta forza aveva, per richiamare l’attenzione degli altri.
Sanchez e i due brasiliani puntarono le armi, prendendolo di mira e fecero fuoco simultaneamente. La nube di fumo erasi appena diradata, che videro apparire in fondo alla gola sei enormi masse nere, che si avanzavano correndo.
— Presto, alla caverna! — gridò il messicano.
Senza guardare se l’animale mirato era caduto od era ancora in piedi, superarono rapidamente la barricata e si precipitarono nella caverna, mentre i mulattieri si affrettavano a turarne l’apertura.
Era tempo! Gli orsi grugnendo e urlando, assalivano allora il cumulo di macigni, scuotendolo e cercando di rovinarlo colle loro potenti zampe.
Resi furiosi per la morte o per le ferite del loro compagno e per l’ostacolo che impediva loro di raggiungere il proprio covo ed i propri piccini, diroccavano con rabbia estrema la barricata rimuovendo e strappando i macigni, decisi ad affrontare i nemici. Si sentivano i loro artigli aggrapparsi agli orli superiori dell’apertura e cacciarsi nelle fessure con lunghi stridori; si sentivano entrare dai fori i loro aliti fetenti ed ardenti come se uscissero da una fornace, e si vedevano i loro occhi brillare ora qua e ora là.
I cavalli ed i muli atterriti avevano spezzato i legami e correvano all’impazzata per la caverna spargendo la confusione fra i mulattieri, che pareva avessero perduta la testa.
Fortunatamente il messicano, il marchese e Gaspardo avevano conservato la consueta calma, quantunque il pericolo diventasse più grave, più terribile ad ogni istante.
Appoggiati ai massi per impedire che crollassero, lasciando il varco agli assalitori, scaricavano le loro armi attraverso le fessure, cercando di non perdere i colpi. Gli arrieros, che non potevano imitarli per mancanza di posto e di aperture, passavano loro le carabine e le pistole.
— Animo! — tuonava la brava guida, ad ogni colpo di fucile che rintronava.
— Mirate giusto e picchiate sodo, signor marchese! Fuoco, Gaspardo, e voi altri tenete duro, appoggiatevi contro i massi e spicciatevi a passarci le armi!... —
Ma gli orsi, resi maggiormente furibondi, non lasciavano la barricata. Protetti dalle tenebre, che mandavano a vuoto la maggior parte dei colpi di fucile, e dai sassi che continuavano a rimuovere mentre il messicano e i due suoi compagni a causa della loro posizione non potevano nè vedere nè mirare ben esattamente, gli orsi lavoravano con crescente accanimento, urlando e fremendo, rovesciando i macigni e cercando di passare fra la vôlta dell’apertura e la sommità dell’ostacolo.
Erano sei, di statura colossale, dotati di una forza erculea e, a quanto pareva, decisi a riconquistare il loro covo e rivedere i loro piccini. A forza di strappar macigni e di urti e scosse potenti, aprirono una breccia, facendo crollare parte della barricata. Il più forte e il più ardito introdusse il muso attraverso l’apertura, ed allargando il passaggio con due colpi di zampa fece la sua comparsa nella caverna, mettendo un urlo così potente da far gelare il sangue a tutti.
Gaspardo che teneva in pugno una pistola, gliela scaricò fra le aperte mascelle, mentre Sanchez, raccolta una scure, vibrava alla fiera un colpo tale da spaccarle il cranio. Colpita a morte, si accasciò su se stessa, cacciando un sordo grugnito, richiudendo l’apertura col suo enorme corpo.
Gli arrieros, ai quali l’imminenza del pericolo aveva restituito un po’ di coraggio, fecero una scarica generale attraverso alle fessure.
Al di fuori si udirono grugniti ed urli, poi si videro quelle masse nere ritirarsi precipitosamente, quasi ne avessero avuto fin troppo di quella pioggia di proiettili.
Per alcuni istanti si udirono i loro fremiti rauchi nei pressi della caverna; poi più lontani, e infine si spensero, soffocati dai ruggiti della burrasca.
— Sono partiti? — chiese il marchese a Sanchez, che ascoltava con profonda attenzione.
— Non li odo più, — rispose il messicano.
— Dio sia ringraziato!
— Non ancora, marchese.
— Che cosa temete? Un ritorno offensivo?
— No, ma quei dannati ci aspetteranno fuori.
— Lo credete?
— Ne sono certo, marchese. Gli orsi sono testardi e ci assedieranno.
— Si stancheranno, spero.
— Se non si stancheranno, li costringerà la fame a levare l’assedio; ma quando?
— Non abbiamo fretta, Sanchez, tanto più che con questa burrasca non possiamo lasciare il ricovero.
— Che si siano nascosti presso di noi?
— Non temono il freddo quegli animali, e si saranno accovacciati fra le nevi, pronti a piombarci addosso al nostro apparire.
— La situazione si complica, — disse il marchese.
— E temo che si complichi ancor più, — disse in quel momento Gaspardo, ritornando precipitosamente verso di loro.
— Per qual motivo? — chiesero il marchese ed il messicano.
— Avete visitata la galleria?
— Sì, — disse Sanchez sorpreso.
— Sapete dove finisce?
— No.
— Seguitemi allora. —
Gaspardo condusse il marchese e Sanchez presso lo stretto passaggio e fece loro cenno di ascoltare.
In fondo alla nera galleria, si udivano degli strani grugniti, che pareva s’avvicinassero.
— È il vento, — disse il marchese.
— V’ingannate, señor, — rispose Sanchez che era diventato pallidissimo. — O m’inganno assai o questi brontolii...
— A chi li attribuite?
— Agli orsi, señor. Essi stanno per assalirci alle spalle.
— Che la galleria comunichi...
— Zitto, marchese, udite! — esclamò Gaspardo.
Un urlo era echeggiato in fondo alla galleria, seguìto poco dopo da parecchi grugniti.
— Fuggiamo! — esclamò Sanchez. — O siamo perduti.
— Ma con questa orribile notte?
— È necessario, señor. Presto, o sarà troppo tardi. —
Si slanciò verso gli arrieros che si erano seduti attorno al fuoco, credendosi, almeno pel momento, sicuri.
— Sfondate la barricata, impadronitevi dei muli e dei cavalli e fuggite!... —
Poi, armando il fucile e volgendosi verso i due brasiliani:
— Teniamo testa alle belve, per alcuni minuti, tanto da lasciare il tempo ai mulattieri di uscire. Calma ed occhio sicuro, caballeros! —
Mentre gli arrieros sgombravano rapidamente l’uscita, i due brasiliani e il messicano si appostarono presso la galleria, tenendo sottomano le carabine e le pistole.
I brontolii si avvicinavano, e si udivano talvolta gli orsi graffiare le pareti, come se stentassero a passare. Senza dubbio la strettezza della galleria impediva loro di avvicinarsi rapidamente.
Sanchez aveva riaccesa la torcia e l’aveva piantata in una fessura, per scorgerli per tempo per poter mirare con qualche sicurezza.
— Siete pronti? — chiese agli arrieros, che lavoravano con suprema energia.
— Il passo è libero, — risposero i mulattieri, lanciando fuori gli ultimi macigni.
— Fuggite per la gola di levante. Vi raggiungeremo presto. —
In quell’istante, a quindici passi dai due brasiliani apparve il primo orso. Si avanzava penosamente, strisciando contro le pareti che lo schiacciavano, aiutandosi colle robuste unghie.
Scorgendo la torcia, si arrestò, aprendo le mascelle e mostrando gli acuti denti.
— Fuoco! — comandò Sanchez.
Il marchese e Gaspardo lasciarono partire i loro quattro colpi. L’orso emise un urlo terribile che gli echi della caverna ripeterono, e si accovacciò, impedendo il passo agli altri. Sanchez gl’inviò il colpo di grazia col suo rifle.
— In ritirata! — comandò poi. — Quando gli orsi torneranno ad uscire, noi saremo lontani. —
Attraversarono correndo la caverna ed uscirono all’aperto, portando seco le armi e le coperte.
La burrasca pareva allora che raddoppiasse di violenza, quasi volesse impedire la fuga ai disgraziati, minacciati dall’assalto delle fiere. Il vento soffiava con forza irresistibile, schiacciandosi per così dire, fra il Whitney e la montagna di fronte, spazzando la gola con mille fischi e sollevando nembi di neve, mentre dall’alto cadevano, attraverso alla fitta tenebra, macigni ed ammassi di nevischio, che minacciavano di cangiarsi in vere valanghe.
Non nevicava, ma pioveva a dirotto, come si fossero improvvisamente aperte le cateratte del cielo. Non erano goccioloni, erano veri zampilli che scrosciavano sui fianchi delle vette e che precipitavano attraverso alle ripide balze in forma di cateratte. Sanchez, il marchese e Gaspardo, tenendo i fucili avvolti fra le coperte perchè la polvere non si inumidisse e mancasse al colpo nel momento opportuno, attraversarono correndo la gola, spinti innanzi dalla furia delle raffiche, e sostarono un momento dietro ad una rupe, sull’estremo ciglio del versante orientale.
— Udite gli arrieros? — chiese il messicano.
— Sì, odo le loro grida ed i nitriti dei cavalli sotto di noi, — rispose Gaspardo.
— Allora, avanti! Badate dove appoggiate i piedi, poichè chi scivola è un uomo morto!... —
Aggrappandosi agli sterpi che coprivano la china e che il vento aveva sbarazzato dalla neve che li nascondeva, e sostenendosi l’un l’altro per meglio resistere alle raffiche, cominciarono a scendere le balze della Sierra, guidati dalle grida dei mulattieri e dai nitriti lamentevoli dei poveri animali.
La paura di venire raggiunti dai quattro orsi, che forse erano usciti dalla galleria, gli spronava, ed affrettavano la discesa a rischio di precipitare, con quella profonda oscurità e quel ventaccio indiavolato che gli sbatteva contro le rupi, in fondo a qualche spaventevole abisso.
Cinque o seicento metri più sotto, raggiunsero gli arrieros che spingevano innanzi gli animali coi calci dei fucili.
— Presto! Presto! — esclamò Sanchez. — Forse abbiamo gli orsi dietro di noi.
— Ma dove ci fermeremo? — chiese il marchese, che non resisteva più.
— Più giù, señor. Avanti!... —
Raddoppiando gli sforzi, spingendo i cavalli ed i muli che s’impennavano e tremavano, tenendosi stretti per non venire trascinati dai torrenti che scendevano, muggendo giù per la sierra, percorsero un altro miglio arrestandosi presso un bosco di pini enormi, i quali si curvavano come stuzzicadenti con mille scricchiolìi, malgrado la loro mole.
— Alto! — disse Sanchez. — Accampiamoci ora sotto questi giganti ed aspettiamo l’alba. Di più non posso esigere dalle vostre forze! —
Gli arrieros fecero sdraiare gli animali, che non potevano più tenersi in piedi; tesero alla meglio le tende e tutti vi si cacciarono sotto, mentre al di fuori la bufera continuava ad imperversare con tremendi ruggiti, quasi volesse misurarsi cogli immensi picchi della Sierra, che si elevavano maestosamente fra le tenebre, sfidando l’ira impotente della natura sconvolta.