Il Re della Prateria/Parte seconda/3. Dal San Benito alla Sierra Nevada
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Capitolo Terzo.
Dal San Benito alla Sierra Nevada.
Verso le due pomeridiane, dopo d’aver rasentato gli ultimi pendii della Sierra Salinas, la quale corre parallelamente alla costa, abbassandosi gradatamente nei pressi dell’antica capitale californiana, la piccola carovana giungeva sulle rive del Rio Salinas, il quale, dopo un corso piuttosto breve, va a scaricarsi nella baia di Monterey, alcune miglia al nord-est della città.
Attraversato il fiume su di un ponte di legno, i viaggiatori proseguirono salendo i pendii di una catena di monti poco elevati, i quali formano, colla Sierra del Diavolo o Coast-Range la vallata del Rio San Benito, altro fiume che scaricasi nell’ampia baia di Monterey, ma dopo d’aver descritto un largo giro verso l’est.
Un vento freddo soffiava dalle alte montagne della Sierra Nevada, le cui cime da parecchie settimane dovevansi essere coperte di neve, sfrondando gli alberi di cotone, così chiamati perchè le foglie sono coperte d’una bianca lanugine, gli alberi dei pinocchi, specie di pini che danno delle frutta coniche, il cui sapore somiglia alle mandorle d’Europa, e sfrondando le acacie spinose che producono una specie di fava assai ricercata dagli Indiani.
Il cielo però era limpido, ed uno splendido sole brillava sulle più alte cime della Sierra del Diavolo, indorando a poco a poco le sottostanti vallate.
Procedendo attraverso a sentieri sassosi, circa il tramonto, la carovana superava la cima dei monti e calava nella valle del San Benito, il cui fiume svolgevasi fra i burroni e le campagne, come un immenso nastro d’argento.
S’accamparono nella pianura presso le sponde. Sanchez fece scaricare le mule e rizzare la tenda.
Gli arrieros in un batter d’occhio allestirono la cena, una vera cena da minatori consistente in qualche tortillas, che sono specie di focacce preparate lì per lì e cotte in un fornello improvvisato con pochi sassi, in alcuni pezzi di lardo fritto, in una zuppa di fagiuoli e caffè.
Il marchese vi aggiunse alcune scatole di pesce conservato ed una bottiglia di vino di Spagna.
Quantunque si trovassero in una regione priva di pericoli, Sanchez, che voleva abituare i suoi uomini, stabilì i quarti di guardia.
Nulla accadde durante la notte; però si udirono solamente urlare le coyotes, specie di sciacalli paurosi, che sfuggono la vicinanza dell’uomo.
All’alba, dopo una leggera colazione, la carovana si rimetteva in marcia inoltrandosi nelle vallate della Sierra del Diavolo, le cui vette, coperte da giganteschi pini, si drizzavano maestosamente, spiccando sul cielo azzurro che somiglia molto a quello così splendido delle regioni italiche.
Il più grande silenzio regnava in quelle vallate che erano affatto disabitate, quantunque così vicine alla costa. Solo pochi urabu, specie di falchi, solcavano silenziosamente l’aria e stavano indolentemente appollaiati sulle cime dei pinon o delle rocce, senza dubbio reduci da Monterey o dalla borgata di San Benito, dove si recano ai primi albori, per rimpinzarsi delle spazzature delle vie.
Sulle cime più elevate della Sierra, si vedeva fuggire talvolta, ma con fulminea velocità, qualche daino dalla coda nera, agilissimo animale, grande come i daini comuni, con orecchi lunghi come quelle dei muli, corna poco sviluppate e la coda breve, bianca da un lato e nerissima all’estremità, ed in fondo ai burroni si vedeva saltellare qualche daino rosso, inseguito dalle affamate coyotes.
A mezzodì, dopo un’ascensione assai faticosa, la carovana superava le ultime cime scoprendo il Rio San Gioachino, e più oltre la massa imponente della Sierra Nevada, la quale, coi suoi alti picchi coperti già di neve, chiudeva tutto l’orizzonte orientale, perdendosi verso il nord e il sud.
Le cime della Coast-Range erano coperte di quei pini enormi che meravigliarono in ogni tempo gli esploratori, che s’avventurarono nell’interno della California.
Queste piante, che gli yankees chiamano sequoia, ma il cui vero nome è di pinus lambertina, si slanciano in alto per trecento piedi, cioè hanno comunemente un’altezza di cento metri e delle circonferenze mostruose. Si narra che nella corteccia di uno di questi giganti della vegetazione, trenta persone vi diedero una festa da ballo!...
Questi pini danno delle frutta coniche, grandi oltre mezzo metro, ripiene di mandorle eccellenti e molto nutritive, che si mangiano abbrustolite o che si macinano riducendole in farina.
Durante la giornata procedettero, quasi senza interruzione, attraverso alle profonde vallate della catena, e volendo raggiungere le sponde del San Gioachino, marciarono anche gran parte della notte.
Solamente verso le tre del mattino giunsero sulle sponde di quel corso d’acqua, che è uno dei più considerevoli della Nuova California.
Il Rio San Gioachino nasce sui contrafforti della Sierra Nevada, fra i picchi Minaret e Abbat; scende attraverso le vallate di quella grande catena di monti, e dopo aver descritta un’ampia curva, corre a levante della Sierra del Diavolo, congiungendosi col Rio Sacramento, a breve distanza da San Francisco.
Questi due fiumi che menano non poco oro fra le loro acque, formano un delta maremmoso di circa quattro miriametri, il quale finisce nella baia di Suisun, a settentrione del Golfo di San Francisco.
Sanchez, trovato un guado, condusse la carovana sulla sponda opposta e comandò di rizzare le tende, essendo tutti assai stanchi.
Nei giorni precedenti attraversarono le vallate aperte fra la Coast-Range e la Nevada, e il 10 novembre giunsero ai piedi della grande catena nevosa.
Questa Sierra forma, si può dire, l’ossatura principale di tutta la California. Si estende da Los Angeles, città che si trova sui confini della Vecchia California, allo Stato d’Oregon, da dove si unisce alla catena delle Cascate, la quale sale più a settentrione, addentrandosi nello Stato di Washington fino allo stretto di San Juan de Fuca.
È un ammasso enorme di montagne, le quali occupano una larghezza di parecchie leghe, un caos di picchi aguzzi che celano le loro punte nevose nel seno delle nubi, di vallate profonde, di abissi spaventevoli, di coste erte, che non lasciano che pochissimi passaggi.
Nevi eterne coprono, anche durante i più grandi calori, le cime, specialmente la montagna del Diavolo, che giganteggia sopra tutte, ed il picco Whitney. Pini smisurati e querce secolari coprono i fianchi dirupati di quella catena, arrampicandosi fin presso la linea delle nevi eterne e fra quelle rocce, di natura quarzose per lo più, si celano ricchissimi filoni d’oro che pare non debbano finire più, malgrado il lavoro accanito e costante dei cercatori del prezioso metallo.
Sanchez, dopo aver fatto riposare gli uomini ed i cavalli per parecchie ore, diede il segnale della partenza salendo la prima catena di monti, i quali sono separati dalla vera Sierra da una valle profonda.
— Per dove passeremo? — chiese il marchese alla guida.
— Cercheremo di raggiungere un passo che fiancheggia il Whitney, — disse Sanchez. — Le nevi lo avranno chiuso forse, ma i passaggi sono rari e tutti assai elevati. Se sarà necessario, ci apriremo la via coi badili.
— Passeranno i cavalli?
— I mustani sono abituati ai grandi calori e ai freddi eccessivi, e la montagna non li spaventa.
— E dove caleremo noi?
— Sulle rive del lago Owen.
— E dovremo girarlo?
— Vedremo più tardi. Forse troveremo qualche mezzo per attraversarlo, senza perdere una o due settimane nel girarlo. Orsù, saldi in gambe e attenti agli abissi poichè chi cade è uomo morto. —
Superando coste ripidissime, sulle quali i cavalli e i muli penavano assai a piantare i ferri degli zoccoli, lambendo baratri spaventevoli, in fondo ai quali si udivano muggire torrenti e cascate, e attraversando vere foreste di pini dai tronchi colossali, la carovana verso sera giunse sulla cima della prima catena, calando poscia nella profonda vallata, nel cui centro si vedevano scorrere fiumi ed alzarsi colonne di fumo indicanti gli accampamenti dei cercatori d’oro scesi dalla Sierra Nevada per la sospensione dei lavori e pel freddo.
Accampatisi nel piano, in prossimità d’un torrente, all’alba attraversavano la vallata cominciando la salita della Sierra. Dinanzi a loro giganteggiava il Whitney, la cui cima, coperta di neve, era mezzo celata fra le nubi.
Un ventaccio freddo scendeva dalla grande massa dei monti, ingolfandosi nelle gole con lunghi fischi ed ululati, e facendo ondeggiare fortemente le alte cime dei pini; ma il sole brillava sulle alte vette, facendo risaltare vivamente il grande manto nevoso che si stendeva, a perdita d’occhio, verso il nord e il sud.
Attraverso i boschi si vedevano fuggire daini rossi in gran numero ed anche parecchi lupi, i quali ululavano lugubremente dietro alla carovana.
Di passo in passo che salivano, il freddo diventava sempre più acuto ed il vento cresceva di violenza. Pareva che sulle alte vette si scatenasse una impetuosa bufera.
Sanchez, che segnava la via, non parlava, ma ogni tanto guardava il Whitney con inquietudine e crollava il capo.
L’ascensione diventava così sempre più faticosa, sempre più difficile. I sentieri erano da lunga pezza scomparsi ed erano costretti ad avanzare fra le rocce che non sempre lasciavano dei passaggi, spingendo e stimolando cavalli e muli che non sapevano dove posare gli zoccoli. Di quando in quando spaventevoli abissi o profondi burroni li arrestavano, costringendoli a fare dei lunghi giri o ad improvvisare un pericoloso ponte abbattendo due o tre giovani pini che gettavano attraverso alle spaccature della grande sierra.
Dappertutto precipitavano con impeto irresistibile dei torrenti, i quali rimbalzavano di roccia in roccia formando centinaia di cascate e di cascatelle, che poi scendevano nel fondo dei burroni e dei baratri dove si udivano correre con furiosi muggiti.
Aiutandosi ed incoraggiandosi l’un l’altro, e fermandosi spesso per riposarsi e per rinvigorire i polmoni, che soffrivano non poco respirando quell’aria fredda e assai rarefatta, verso le sei di sera si accampavano presso una folta pineta, a circa ottomilacinquecento piedi d’altezza.
A breve distanza da loro apparivano le prime nevi, le quali s’innalzavano gradatamente verso le alte cime della Nevada. Il Whitney stava loro di fronte, lanciando arditamente in aria il suo gigantesco picco, candido e dirupato, quasi volesse, colla sua vetta, toccare la luna che scintillava sopra di lui.
In lontananza, sotto l’oscura ombra delle boscaglie, si udivano ad intervalli i cupi ululati dei lupi, che pareva s’avvicinassero lentamente calando dalle alte regioni della Sierra.
Sanchez fece riunire i cavalli ed i muli e legarli ad un giovane pino che s’alzava solitario in mezzo ad una piccola spianata; attorno fece rizzare le tre tende e mandò gli arrieros nel bosco a raccogliere della legna per mantenere dei grandi fuochi tutta la notte.
— Temete di venire assalito dai lupi? — gli chiese il marchese, che aveva notato tutte quelle insolite precauzioni.
— Può essere, — rispose il messicano. — Quelle bestie affamate si radunano spesso in grandi frotte e osano assalire gli accampamenti.
— Le tiene lontano il fuoco?
— Sì, señor; ed è perciò che faccio raccogliere molta legna. Finchè la fiamma brilla, i lupi non ardiscono di avvicinarsi.
— E gli orsi, hanno pure paura del fuoco?
— In generale tutte le belve lo temono. Ceniamo, señor, e poi avvolgiamoci per bene nelle nostre coperte, poichè questa notte il freddo pungerà assai.
Accesero un gran fuoco, capace di arrostire un bue intero, a breve distanza dai cavalli e dai muli, cenarono in fretta, poi si avvolsero nelle loro coperte e s’addormentarono sotto la guardia di Gaspardo e dell’arriero Pedro.
Soffiava forte il vento sulla Sierra, scuotendo i rami dei giganteschi pini, e ingolfandosi con lamentevoli urla nelle gole profonde sbatteva le tende. Nembi di nevischio, scendevano dalle elevate cime cadendo attorno all’accampamento e facendo crepitare le fiamme del falò.
Gaspardo e Pedro, rannicchiati presso il fuoco, avvolti nelle loro coperte, coi fucili sulle ginocchia, fumavano in silenzio, prestando attento orecchio agli ululati dei lupi che si avvicinavano sempre più.
La notte però passò tranquilla e quelle feroci belve non osarono di avvicinarsi.
Alle sette del mattino, la carovana riprendeva l’ascensione, inoltrandosi fra le nevi.