Il Re dell'Aria/Parte seconda/10. Il prigioniero
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CAPITOLO X.
Il prigioniero.
Per due giorni lo Sparviero si tenne lontano dall’isolotto, volteggiando quasi sempre in vista del piroscafo, il quale non aveva fatto un passo innanzi, quantunque la sua macchina fosse sempre sotto pressione.
Ranzoff voleva che la fiducia ritornasse fra gli arruolati del barone e che la convinzione che la torpediniera si era affondata in seguito ad uno scoppio accidentale, si affermasse completamente.
La sera del quarto giorno però abbordò il piroscafo ordinando al capitano di mettere in mare una delle sue baleniere e d’imbarcare quattro cacciatori canadesi scelti fra i più robusti.
— Questa volta assumerò io la direzione della seconda impresa, — disse Ranzoff ai suoi amici. — Non prenderò che Ursoff ed il signor Rokoff, giacchè a questi due uomini piacciono le avventure arrischiate.
— Ci sarà da menar le mani almeno, questa volta? — chiese il cosacco.
— Forse sì.
— Allora sono con voi, signor Ranzoff. Vi confesso che cominciavo ad annoiarmi.
— Cercherò di farvi divertire, — rispose il capitano dello Sparviero.
— E noi che cosa faremo intanto? — chiese Wassili.
— Ci rimorchierete fino nei pressi dell’isolotto, poi ritornerete qui, — rispose Ranzoff.
— E non verremo a raccogliervi?
— Domani notte incrocerete ad una ventina di miglia da Ascensione, non più innanzi.
Forse il barone può aver avuto sentore che noi possediamo una formidabile macchina volante e non voglio per ora che ci veda.
Lasciate fare tutto a me, amici, e vedrete che Wanda sarà liberata dalla prigionia che le impone quel vecchio pazzo. —
La baleniera era giunta presso lo Sparviero il quale si era adagiato sulle acque, a circa duecento passi dal piroscafo.
Era montata da quattro canadesi, quattro veri colossi, con torsi da bisonte e braccia grosse come rami di pino e armati di rifles americani, ottimi fucili che quegli audaci cacciatori di prateria sanno adoperare con una precisione meravigliosa.
Ranzoff, Ursoff ed il cosacco s’imbarcarono e legarono a prora una fune da rimorchio. Un momento dopo lo Sparviero s’innalzava, avviandosi, con velocità moderata, verso l’isolotto.
La baleniera si lasciava rimorchiare, fendendo agilmente le onde, che di quando in quando giungevano dal largo con un rumoreggiare strano.
— Non avrò nemmeno questa volta l’occasione di regalare a quel bravo Liwitz una coda di pesce-cane? — chiese Rokoff.
— Ci regalerete invece un uomo, — rispose il capitano dello Sparviero.
— Per le steppe del Don!... Volete fargli fare una zuppa di brodo umano?
— Non vi spaventate, signor cosacco. L’uomo lo conserveremo vivo, anzi vivissimo.
— Si tratta di andare a portar via uno di quei bricconi dunque?
— Ci è necessario per sapere dove il barone ha stabilito il suo covo e conoscere i punti più deboli per tentare un improvviso attacco, se sarà proprio necessario.
— Un bell’assalto lo desidererei. Dopo la presa di Plewna non ho più veduto delle superbe cariche.
— Eh, non so, signor Rokoff, se ne vedrete una qui. Io spero di trarre in inganno il barone e di portargli via la ragazza sotto il naso.
— In qual modo?
— Questo è un mio segreto. Per ora cerchiamo di impadronirci d’uno dei suoi avventurieri.
— Diavolo! — esclamò il cosacco, grattandosi la nuca. — Non mi pare una impresa facile.
— Forse sarà meno difficile di quello che credete. Non si tratta che di aver pazienza e di sapersi ben nascondere.
Io non vi assicuro di poterlo acciuffare questa notte e forse nemmeno domani. È appunto perciò che ho fatte imbarcare delle provviste, non potendo sapere quanto tempo ci sarà necessario per condurre a buon fine quest’impresa. —
Mentre così chiacchieravano, lo Sparviero continuava a rimorchiare la baleniera, tenendosi ad un’altezza d’una cinquantina di metri.
Essendo la notte oscurissima, in causa di un fitto strato di vapori, i quali intercettavano completamente la debole luce degli astri, non vi era alcun timore che gli avventurieri dell’isolotto potessero scorgere la macchina volante e tanto meno la scialuppa.
Verso le undici Ranzoff sciolse la fune di rimorchio e diede ordine ai canadesi di prendere i remi.
Si trovavano solamente a tre o quattro miglia dall’isolotto e non era prudente che lo Sparviero si avvicinasse di più.
— Vi raccomando di fare meno rumore che sia possibile, — disse Ranzoff ai canadesi, dopo che la macchina volante si fu allontanata tornando verso il piroscafo. — Noi dobbiamo sbarcare inosservati ed evitare qualunque sorpresa.
— Siamo abituati a combattere cogl’indiani i quali sono i più furbi guerrieri del nuovo e anche del vecchio mondo, signore, — rispose uno dei quattro avventurieri. — Nessuno dei nostri nemici si accorgerà del nostro sbarco.
Forza, amici: siamo ancora lontani e nessuno può udirci. —
La leggera baleniera, spinta innanzi dai quattro atleti, balzò sulle onde avanzandosi velocissima.
Per più di mezz’ora continuò ad inoltrarsi verso l’isolotto il quale si distingueva a malapena tanto era oscura la notte, poi si arrestò bruscamente.
— Parbleu!... — esclamò il rematore di punta, alzandosi rapidamente. — È un affare un po’ serio passare.
Vi sono scoglietti dappertutto dinanzi a noi e se non m’inganno la spiaggia scende a picco.
— E la risacca è forte, — aggiunse un altro.
Ranzoff si alzò a sua volta per esaminare la costa e s’avvide subito che gli avventurieri avevano ragione.
Le onde si frangevano con furore sopra una moltitudine di scoglietti aguzzi come le punte di un pettine, balzando e rimbalzando con un fragore sinistro. Spingere la baleniera in mezzo a quegli ostacoli era come esporsi ad una perdita più che certa.
— Cercate un passaggio altrove, — disse Ranzoff. — Non abbiamo nessuna premura. —
I quattro canadesi si consigliarono per qualche istante, poi virarono di bordo, seguendo la linea degli scoglietti.
La risacca era dappertutto violentissima e la baleniera balzava e rimbalzava, imbarcando di quando in quando molte pinte d’acqua.
Ad un tratto filò diritta dinanzi a sè. Un passo tra gli scogli era stato scoperto dagli occhi acuti dei canadesi.
La baleniera, quantunque fosse sempre vivamente sballonzolata, superò felicemente tutti quegli ostacoli e, dopo d’aver attraversato uno stretto canale, andò ad arenarsi su un lido sabbioso.
Al rumore prodotto dai remi che venivano deposti sui banchi, uno stormo di pingoini, uccellacci che invece delle ali posseggono dei moncherini che servono loro più per nuotare che per volare, s’alzò fra le dune di sabbia mettendosi a muggire come tori, poi si disperse cacciandosi in mare.
— Ciò mi rassicura un po’, — disse Ranzoff.
— Perchè? — chiese Rokoff.
— Perchè potremo sbarcare inosservati e pel momento è quello che desidero.
Vi è molta profondità qui? — chiese poi rivolgendosi verso i canadesi.
— Appena un metro e mezzo, signore, — rispose uno dei quattro.
— È bastante per nascondere la scialuppa. Legatela saldamente alla punta d’uno scoglio, poi affondatela.
— E poi? — chiese Rokoff.
— La trarremo a galla quando ne avremo bisogno. —
I canadesi presero le armi, le munizioni ed i viveri, deponendo tutto sulla spiaggia, poi cacciarono sott’acqua la baleniera, mettendovi dentro parecchi massi di grossa mole.
— È fatto, signore, — disse il più anziano.
I sette uomini salirono cautamente la sponda, che in quel luogo era molto ripida e cosparsa di rocce altissime.
Ranzoff fece segno ai compagni di fermarsi e diede la scalata ad una rupe la quale s’innalzava per una cinquantina di metri, per dare uno sguardo al versante opposto.
Quantunque la notte fosse sempre oscurissima, s’accorse subito d’aver preso terra dinanzi ad una valletta fiancheggiata da aspre colline i cui fianchi sembravano tagliati a picco. Il fondo era tutto cosparso di macigni colossali, staccatisi forse delle cime.
— Ecco un bel luogo per una imboscata, anche se non vi sono boscaglie, — mormorò. — Che nessuno di quegli avventurieri venga qui a cacciare o a raccogliere delle ostriche lungo la spiaggia?
Sarà solamente questione di pazienza ed io ne posseggo non poca, e non ho mai avuto fretta. —
Ridiscese con precauzione e raggiunse i compagni i quali lo aspettavano coi fucili in mano.
— Andiamo a esplorare la valletta e a cercarci un rifugio, — disse loro.
— Avete scorto nessuno? — chiese Rokoff.
— Non ho gli occhi dei gatti, — rispose Ranzoff.
— Ma nemmeno un lume?
— Neanche quello.
— Che siano scappati?
— E con che cosa, se non hanno più la torpediniera?
— Non so, con delle zattere per esempio.
— Non vi sono alberi qui.
— Dove si saranno dunque cacciati?
— In qualche luogo li scoveremo. Seguitemi tutti e badate di non far rotolare dei massi. Noi non sappiamo ancora se il rifugio di quei bricconi si trova vicino o lontano. —
Il piccolo drappello si dispose in fila indiana e superò la barriera formata da una lunga catena di rocce, scendendo silenziosamente nella valletta ed impegnandosi fra terreni difficili sparsi di rocce acute e di piccolissime zone erbose.
Procedendo quasi a tentoni, raggiunsero un cumulo di rocce addossate alla parete meridionale della valletta.
— A me sembra che qui si possa trovare un nascondiglio di dove potremo osservare senza essere scorti, — disse Ranzoff. — Occupiamolo e aspettiamo l’alba. —
Diedero la scalata salendo una specie di canalone, e, raggiunta la cima, che era circondata da una doppia linea di punte aguzze, si sdraiarono a terra tenendo accanto i fucili.
Un silenzio profondo regnava nella valletta. In lontananza invece si udiva la risacca rumoreggiare cupamente intorno alle scogliere.
Il sole spunta presto ad Ascensione, sicchè l’attesa del drappello non fu troppo lunga.
Appena la luce cominciò a diffondersi per la valletta, tutti si alzarono, ansiosi di conoscere il luogo ove si trovavano.
Le rocce che avevano scalato servivano a meraviglia come rifugio, essendo la cima ben riparata da punte rocciose, abbastanza alte per nascondere un gruppo d’uomini.
La parete poi, che saliva ripidissima e contro la quale si addossava quell’ammasso di rocce vulcaniche, presentava qua e là delle larghe fenditure e dei rientramenti, sufficienti ad offrire un ottimo asilo nel caso che gli arruolati del barone avessero precipitato dall’alto dei massi. Il luogo sembrava affatto deserto, però là dove la valletta terminava s’alzava un enorme scoglio, simile all’Inaccessibile di Tristano de Cunha e che pareva dominasse tutto l’isolotto.
— Io credo che siano lassù, — disse Ranzoff al cosacco. — Vedo lungo i fianchi di quella colossale roccia dei punti oscuri, che potrebbero essere benissimo delle finestre o delle feritoie.
— Ecco una fortezza formidabile, che mi ricorda altre consimili da me vedute nell’Albania, — rispose Rokoff.
— Imprendibile, secondo voi?
— Almeno da questo lato. Si vede che i corsari dell’Atlantico sapevano scegliere bene i loro rifugi.
— Certo che non erano degli stupidi, — rispose Ranzoff. — Può però essere attaccabile dall’altro versante.
— Noi però discutiamo oziosamente, capitano. Non abbiamo ancora nessuna prova che ci confermi essersi il barone rifugiato su quel nido d’uccelli rapaci. —
Ranzoff non rispose. Guardava attentamente l’enorme cono, con un cannocchiale da marina.
— La prova, — disse ad un tratto. — Noi l’abbiamo già.
Guardate verso la cima, signor Rokoff. —
Il cosacco prese il telescopio che Ranzoff gli porgeva e a sua volta lo puntò nella direzione indicatagli.
— Non è possibile ingannarsi! — esclamò dopo qualche minuto. — È vero fumo quello che sfugge dal picco più alto.
— Sì, signor Rokoff, — rispose il capitano dello Sparviero.
— Non vi sono vulcani qui?
— No: l’isola è di formazione vulcanica, però non ha mai dato segno di vita.
— Allora quel fumo esce da qualche camino?
— Così almeno la penso io.
— Furfanti!... — brontolò il cosacco. — Non potevano trovare un luogo migliore. Che cosa faremo ora, signor Ranzoff? — chiese poi.
— Aspettiamo che il nostro uomo giunga.
— Verrà?
— Io lo spero. Intanto, signor Rokoff, per non annoiarci troppo, facciamo colazione. —
Dopo essersi ben assicurati che nessun essere umano percorreva la valletta, si sdraiarono dietro le rocce e diedero il sacco ad una parte delle provviste.
Un canadese, per maggior precauzione, vegliava, steso dietro un enorme masso che si teneva quasi in bilico presso l’orlo della piattaforma.
Terminato il pasto, accesero le pipe, aspettando pazientemente che il loro uomo giungesse o da una parte o dall’altra; per piombargli addosso e portarlo via.
Le ore passarono senza che nulla accadesse. A mezzodì scorsero ancora una piccola colonna di fumo alzarsi sul picco gigante ed una terza un po’ prima del tramonto.
Rokoff cominciava molto a dubitare delle speranze del capitano, quando, nel momento in cui il sole si tuffava nell’Atlantico, vide il canadese di guardia lasciare precipitosamente il suo posto e ripiegarsi verso l’accampamento improvvisato.
— Che cosa avete scorto? — chiesero ad una voce Ranzoff ed il cosacco, alzandosi rapidamente.
— Degli uomini scendono la valle, — rispose il canadese.
— Quanti? — chiese il capitano dello Sparviero.
— Sette.
— Armati?
— Sì, hanno dei fucili.
— E null’altro?
— Mi pare di averli veduti muniti di reti.
— Che vadano a pescare? — chiese Rokoff.
— O a cacciare le testuggini? — chiese invece il capitano dello Sparviero. — L’isola è molto frequentata da quegli anfibi.
— Buona occasione per fare dei prigionieri e guadagnare nel medesimo tempo una splendida cena.
Mi ricordo sempre di quelle che abbiamo prese a Trinità.
— Siete un ghiottone numero uno, signor Rokoff.
— Sono un cosacco.
— Diavoli di cosacchi!... Voi mangiate, voi bevete, voi fumate e voi uccidete colla scusa di essere nati nelle steppe del Don!
— Che cosa volete? Noi siamo fatti così e nessuno potrebbe cambiarci, — rispose Rokoff.
— Ebbene vediamo che cosa possiamo fare. Affiderò a voi la parte principale. —
Si accostarono alle rupi che nascondevano la piccola piattaforma e guardarono attentamente.
Il canadese non si era ingannato.
Un drappello si avanzava lentamente, girando intorno ai massi enormi che coprivano la valletta.
Era composto di sette uomini, quasi tutti di statura gigantesca, armati di fucili e muniti di reti che portavano appese alle spalle.
— Diavolo! — mormorò Rokoff. — Ci vorrebbero dodici solidi marinai per impadronirsi di quei colossi.
— A me ne basta uno, — disse Ranzoff.
— Saremo capaci di prenderlo quello?
— Io spero che si disperderanno lungo la spiaggia. E poi i nostri canadesi valgono bene gli arruolati del barone.
— Non dico di no, — rispose Ranzoff, corrugando un po’ la fronte. — Vedremo.
Amici, prepariamoci a seguire quei furfanti. —
I quattro cacciatori di prateria si erano alzati come un solo uomo, mentre il più anziano diceva:
— Signore, volete che li decimiamo? Quattro soli colpi di fucile e saranno quattro di meno che ci daranno fastidio.
— Lasciate in pace i vostri rifle, — rispose Ranzoff. — Vi ho raccomandato di non fare rumore.
— Abbiamo i nostri bowie-knife.
— Lasciate in pace anche quelli, per ora.
— Come volete, signore.
— Seguitemi e state attenti ai miei ordini. —
I sette uomini si lasciarono scivolare giù dalla massa rocciosa e toccarono, senza malanni, il fondo della valletta.
Gli avventurieri del barone erano già passati e si dirigevano verso la spiaggia.
Ranzoff e i suoi compagni attesero che varcassero la doppia linea delle rupi che divideva la valletta dal mare, poi a loro volta si misero in cammino; tenendosi nascosti dietro ai massi enormi che si trovavano dispersi.
Rokoff, sempre impaziente di menare le mani, non importerebbe dirlo, era alla testa del drappello.
Superata la barriera, scorsero subito gli avventurieri del barone.
Si erano dispersi lungo la spiaggia e stavano accoccolati dietro alle dune.
Essendo la notte abbastanza chiara, era facile scorgerli dall’alto delle rocce.
— Non mi ero ingannato, — disse Ranzoff. — Aspettano che le testuggini giungano per deporre le uova.
— Ci starei anch’io a mangiare una frittata, — disse Rokoff. — Devono divorarne spesso quei fortunati furfanti.
— Occupiamoci degli uomini invece che delle uova.
— Non chiedo di meglio, signor Ranzoff, almeno pel momento. Volete che cominciamo l’attacco?
— Niente affatto, capitano. Vi ho già detto che noi non dobbiamo agire colla violenza.
Quegli uomini hanno dei fucili, saranno certamente coraggiosi, succederebbe uno scambio di fucilate e ciò allarmerebbe il barone.
No, niente baccano.
— Non riesco a capire come vorrete impadronirvi di quegli uomini senza venire a un corpo a corpo.
— Aspettate, signor impaziente. E poi è un uomo solo che a me occorre e non già tutti.
Non saprei dove metterli. Ah!... Vedete?
— Che cosa?
— Quell’uomo che si allontana seguendo la spiaggia.
— Lo vedo. Che cosa va a cercare?
— Forse a raccogliere delle ostriche. Cerchiamo di catturarlo finchè i suoi compagni aspettano le testuggini. —
Ridiscesero la barriera formata da quella lunga fila di rocce e si misero a correre nella direzione tenuta da quell’uomo.
Percorsi cinquecento metri e, trovato un passaggio, calarono verso la spiaggia nascondendosi in mezzo alle dune di sabbia.
Il compagno dei cacciatori di testuggini continuava a seguire la spiaggia, fermandosi di quando in quando per raccogliere delle frutta di mare che poi poneva nella rete. Era già molto lontano e siccome la costa in quel luogo si piegava, formando un arco molto accentuato, non poteva più scorgere gli altri. La fortuna favoriva in modo straordinario Ranzoff e più presto di quello che credeva.
— Lo attacchiamo? — domandò Rokoff.
Invece di rispondergli il capitano dello Sparviero si volse verso i canadesi.
— Voi che siete sempre in guerra cogl’indiani, in queste faccende dovete essere più abili di noi.
Sareste capaci di sorprendere quell’uomo e d’impadronirvene, senza lasciargli il tempo di servirsi del fucile?
— È un giuoco da ragazzi, — disse il più anziano dei quattro. — A me, camerati. —
Gettarono i rifle per essere più liberi, non conservando che i loro coltellacci da caccia, e si cacciarono fra le dune strisciando come serpenti.
— E noi? — chiese Rokoff un po’ umiliato.
— Stiamo a vedere, pronti a portare loro aiuto, se ve ne sarà bisogno, — rispose Ranzoff pacatamente.
— Avrei amato meglio prendere parte anch’io all’attacco.
— Voi siete un uomo della steppa e non già dei boschi, — rispose il capitano, sorridendo.
— Qui boschi non ve ne sono.
— Ma vedrete come agiranno quegli uomini anche fra le dune. Non abbiamo ancora preso d’assalto la rocca del barone: allora vi potrete sfogare, se la guarnigione non si arrenderà. —
I quattro canadesi continuavano ad avanzarsi, passando da una duna all’altra senza produrre il menomo rumore, precauzione forse soverchia poichè la risacca rumoreggiava sempre fra gli scoglietti.
Di quando in quando alzavano la testa per guardare il loro uomo, il quale continuava a raccogliere ostriche, ricci e datteri di mare, sicurissimo di non correre alcun pericolo su quell’isolotto abitato solo dai suoi compagni e dal barone.
A un tratto i quattro colossi delle foreste canadesi si precipitarono su di lui. L’assalto fu così fulmineo che il raccoglitore d’ostriche non ebbe nemmeno il tempo di levare il fucile che portava a bandoliera.
In un baleno fu rovesciato, legato e anche imbavagliato con una fascia di lana che un canadese si era tolta dalla cintura.
Ranzoff ed il cosacco erano subito accorsi.
— Alla baleniera, — disse il primo. — Scappiamo, prima che gli altri s’accorgano della scomparsa di quest’uomo. —
I quattro colossi sollevarono il prigioniero e partirono di corsa, seguìti dal capitano dello Sparviero e da Rokoff.
Bastarono cinque minuti per giungere dinanzi allo scoglietto alla cui base avevano affondata la scialuppa.
I canadesi deposero il prigioniero sulla spiaggia, entrarono in acqua senza spogliarsi, levarono i massi e rimisero a galla la baleniera, dopo averla vuotata coi loro larghi cappellacci. Un momento dopo tutti s’imbarcavano, prendendo rapidamente il largo.
I canadesi avevano presi i remi; Ursoff si era messo al timone.
Quando furono a circa un miglio lontani, Ranzoff tolse al prigioniero il bavaglio e lo mise a sedere sul banco di mezzo dicendogli:
— Ora, caro amico, parliamo. —
Il prigioniero era un robusto giovanotto di ventidue o ventiquattro anni, biondo come quasi tutti i russi del settentrione, con baffettini appena nascenti e occhi azzurri e dolci come quelli d’una fanciulla.
— Che cosa volete da me? — chiese, senza manifestare alcuna eccitazione.
— Farti una semplice proposta, — rispose Ranzoff. — O parlare per guadagnarti un migliaio di rubli o tacere, e allora ti regaleremo una buona corda per appiccarti al più alto pennone della mia nave.
Non hai che da scegliere. —
Il giovanotto sorrise lievemente, poi rispose con voce affatto tranquilla:
— Preferisco i mille rubli, signore.
— Ti avverto però, che prima di averli, tu dovrai rispondere a tutte le mie domande e che rimarrai prigioniero fino a che mi sarò bene assicurato della tua sincerità. Se avrai mentito, ti farò appiccare senza misericordia.
— Sono pronto a rispondere, signore.
— Tu sei uno degli uomini che il barone di Teriosky ha arruolato. È vero?
— Sì, signore.
— Da quanto tempo ti trovi con lui?
— Da sette mesi.
— Allora devi essere stato a Tristan de Cunha.
— No, su uno scoglio chiamato l’Inaccessibile, — rispose il giovanotto senza esitare.
— Da quanto sei all’Ascenzione?
— Da circa un mese e mezzo. —
Il capitano dello Sparviero pensò un momento, poi disse:
— È vero: il calcolo è esattissimo. Col barone si trova sempre quella fanciulla?
— La signorina Wanda? Sì, sempre, — rispose l’avventuriero. — Povera ragazza!
— Perchè la chiami povera?
— Non fa che piangere, signore, ed è così buona e così graziosa!...
— Allora non ti rincrescerebbe se venisse liberata dalla sua dura prigionia.
— Niente affatto, signore.
— Quale montagna occupa il barone?
— La più alta: il gran cono centrale.
— Vi sono delle caverne?
— E meravigliose, signore, scavate in parte da antichi corsari, a quanto ho udito raccontare, e che il barone già conosceva ancora prima che noi approdassimo.
— Hanno una sola uscita?
— No, due, signore, — rispose il giovanotto.
— Si potrebbero forzare?
— Eh, non senza difficoltà, signore, poichè il barone ha fatto aprire delle feritoie ed innalzare delle trincee. Pare che tema sempre un attacco da parte di misteriosi nemici e, a quanto vedo, non si è ingannato poichè voi siete qui.
— Sapresti disegnarmi un piano esatto di quelle caverne?
— Approssimativamente sì.
— Se tu me lo farai, avrai altri mille rubli.
— Siete un nababbo indiano voi?
— Non ti occupare di questo. Il barone ha qualche nave ancorata nelle baie dell’isola?
— Aveva una torpediniera d’alto mare ma, non si sa in seguito a quale disgraziato accidente, è saltata e affondata. Ora non possiede che una scialuppa appena capace di contenere dieci uomini, mentre ne ha sessanta con sè.
— Dispone di molte armi?
— I fucili non mancano nell’armeria e possiede anche una mitragliatrice.
— E pezzi?
— Nessuno: sono affondati colla torpediniera.
— Di che umore è il barone?
— Sempre irascibile, signore, e sospettoso. Diffida di tutto e di tutti, per paura che gli portino via la fanciulla.
— Gli sono fedeli i suoi uomini?
— Fedelissimi perchè paga come un bojardo della piccola Russia e li lascia ubriacarsi due volte al giorno.
Non li assalite quando avranno bevuto, perchè allora si batteranno come demoni scatenati dall’inferno.
— Saprò regolarmi, — disse Ranzoff, con un sottile sorriso. — Attaccheremo verso l’alba, quando cioè avranno digerita per bene la loro sbornia. —
Poi, guardandolo fisso, gli chiese:
— Se io te lo ordinassi, mi guideresti fino al rifugio? Ti avverto che io agisco per conto del padre della fanciulla.
— Quando vorrete io sarò a vostra disposizione, — rispose il giovanotto, — poichè io compiango sinceramente la triste prigionia di quella signorina che so essere la figlia d’un bravo comandante, d’un leale uomo di mare come sono anch’io.
— Chi te lo ha detto?
— Lei stessa, signore, in un momento di grande sconforto.
— Dunque io posso contare su di te?
— Interamente, anche senza i rubli che mi avete promessi.
— Sei un bravo giovane. Ti chiami?
— Giovanni Gadomsky.
— Un polacco, se non m’inganno.
— Sì, signore.
— Ho piacere di aver trovato un leale compatriota, — disse Ranzoff.
Un rapido rossore colorì le guance del prigioniero.
— Anche voi polacco!... — esclamò con profonda emozione.
— Sì, amico.
— Allora non avrò mai da pentirmi di avervi reso un così piccolo servigio.
— Non piccolo, grandissimo. Avanti, canadesi: date dentro ai remi. Ecco lo Sparviero che giunge per raccoglierci. —