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342 Capitolo X.


— Perchè la chiami povera?

— Non fa che piangere, signore, ed è così buona e così graziosa!...

— Allora non ti rincrescerebbe se venisse liberata dalla sua dura prigionia.

— Niente affatto, signore.

— Quale montagna occupa il barone?

— La più alta: il gran cono centrale.

— Vi sono delle caverne?

— E meravigliose, signore, scavate in parte da antichi corsari, a quanto ho udito raccontare, e che il barone già conosceva ancora prima che noi approdassimo.

— Hanno una sola uscita?

— No, due, signore, — rispose il giovanotto.

— Si potrebbero forzare?

— Eh, non senza difficoltà, signore, poichè il barone ha fatto aprire delle feritoie ed innalzare delle trincee. Pare che tema sempre un attacco da parte di misteriosi nemici e, a quanto vedo, non si è ingannato poichè voi siete qui.

— Sapresti disegnarmi un piano esatto di quelle caverne?

— Approssimativamente sì.

— Se tu me lo farai, avrai altri mille rubli.

— Siete un nababbo indiano voi?

— Non ti occupare di questo. Il barone ha qualche nave ancorata nelle baie dell’isola?

— Aveva una torpediniera d’alto mare ma, non si sa in seguito a quale disgraziato accidente, è saltata e affondata. Ora non possiede che una scialuppa appena capace di contenere dieci uomini, mentre ne ha sessanta con sè.

— Dispone di molte armi?

— I fucili non mancano nell’armeria e possiede anche una mitragliatrice.

— E pezzi?

— Nessuno: sono affondati colla torpediniera.

— Di che umore è il barone?

— Sempre irascibile, signore, e sospettoso. Diffida di tutto e di tutti, per paura che gli portino via la fanciulla.

— Gli sono fedeli i suoi uomini?

— Fedelissimi perchè paga come un bojardo della piccola Russia e li lascia ubriacarsi due volte al giorno.