Il Re dell'Aria/Parte seconda/1. Un fatto emozionante

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Parte seconda Parte seconda - 2. La caccia al Re dell'Aria
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CAPITOLO I.

Un fatto emozionante.

L’Orulgan, uno dei più splendidi e dei più grossi piroscafi della Compagnia transatlantica russa, il quale batteva la bandiera del barone di Teriosky, bianca ed azzurra, con tre teste di renna nel mezzo, aveva lasciato il porto di Halifax da quarant’otto ore, diretto verso gli scali del Mare del Nord e del Baltico.

Aveva imbarcati trecento passeggieri, fra i quali parecchi di prima classe, quasi tutti russi, che avevano fatto fortuna negli Stati Uniti e nel Canadà, e tremila tonnellate di merci diverse.

Favorito da un tempo assai calmo, quantunque delle nebbie s’avanzassero dalla parte di Terranuova e dell’isola del capo Bretone, si spingeva veloce verso l’Atlantico, mercè le sue poderose macchine a triplice espansione che gli davano un impulso di quindici nodi all’ora.

Era calata la sera. Il cielo ancora limpido, malgrado la continua minaccia delle nebbie, si era coperto di miriadi di stelle e la luna cominciava a far capolino all’orizzonte, tingendo le acque di superbi scintillii argentei.

A bordo del grosso transatlantico regnava la più viva allegria. Nel gran salone di prima classe, una bionda russa dagli occhi azzurri faceva echeggiare il pianoforte suonando un valtzer di Strauss e parecchie coppie danzavano, approfittando della grande calma che regnava sull’oceano.

In coperta, numerosi passeggieri di seconda e di terza classe chiacchieravano, ridevano e fumavano, rallegrati dal suono d’una fisarmonica.

Sul ponte di comando il capitano chiacchierava e discuteva coi suoi ufficiali e col medico di bordo, promettendo a tutti una superba traversata. [p. 220 modifica]

Verso le dieci l’allegria dei passeggieri, riscaldata da non poche bottiglie di champagne — vino che il russo preferisce a qualunque altro e che tracanna in grandissime quantità — era al colmo, quando delle grida di sorpresa e di terrore e un rapido accorrere di persone, interruppero bruscamente le danze e fecero tacere il pianoforte e la fisarmonica.

Sul ponte delle voci s’incrociavano.

— Che cos’è?

— Un condor?

— Ma no... un pallone.

— Con quelle ali!...

— È enorme!...

— E si dirige verso di noi!...

— Che sia qualche macchina infernale? —

Una voce imperiosa, quella del comandante, mise fine a quei commenti con un tuonante:

— Silenzio!... Ognuno a posto di manovra!... —

Gli emigranti, che si trovavano nei saloni o nelle cabine e ai quali era giunto distintamente quel comando, malgrado il fragore delle macchine, intuendo che qualche cosa di grave stava per accadere, si erano precipitati attraverso le corsie, pigiandosi sulle scale ed irrompendo rumorosamente sulla tolda.

— Affondiamo!... — gridavano tutti, spingendosi innanzi.

Per la seconda volta la voce energica del comandante tuonò:

— Silenzio!... Là... guardate!... —

Colla destra aveva indicato il cielo, in direzione della luna, la quale mostrava, in quel momento, tutto il suo disco al di sopra dell’orizzonte.

Tutti gli sguardi si erano rivolti verso quel punto e tosto uno stupore indicibile apparve su tutti i visi.

Un uccello enorme che aveva però una forma strana, poichè portava al di sotto delle sue immense ali come due piani orizzontali e che aveva il corpo luccicante, s’avanzava verso il transatlantico, ingrandendo a vista d’occhio.

Domande e risposte, malgrado le ingiunzioni del capitano e dei suoi ufficiali, tornarono ad incrociarsi fra i trecento emigranti che si affollavano sulla tolda, sul cassero e sul castello di prora.

— Che cos’è?

— Il diavolo che viene a portarci via? [p. 221 modifica]

— Un mostro sconosciuto?

— Io credo che sia uno pterodattilo, — disse uno scienziato.

— Che bestia è? — chiesero venti voci.

— Un mostruoso uccellaccio dell’epoca giurese che si credeva scomparso alcune migliaia d’anni or sono.

— Mangiavano le persone a quei tempi, quei pterodattili?

— No, no, perchè io non c’ero allora, — rispose serio lo scienziato.

— Capitano!... — urlarono trenta o quaranta voci. — Dateci delle armi!... —

Il capitano Orloff che stava sul ponte di comando, circondato dai suoi ufficiali, con un cannocchiale appoggiato ad un occhio, scrollò le spalle.

— Che uccello d’egitto! — esclamò. — Quella mi ha l’apparenza d’una macchina volante o di qualche terribile istrumento da guerra.

— Ragione di più per prendere delle precauzioni, comandante, — disse il medico di bordo. — Se fosse montato da pirati?

— O da nichilisti? — aggiunse il secondo.

— Ecco un’idea che non mi era ancora venuta, — disse il capitano, aggrottando la fronte. — Fortunatamente abbiamo un pezzo d’artiglieria a bordo e anche delle buone carabine.

Mastro Anguska!...

— Signore!

— Carica il pezzo di prora: un colpo in bianco e, se non si risponde, tira a palla. Assumo io tutte le responsabilità. —

Un vecchio marinaio, di forme massiccie, s’aprì il passo fra gli emigranti, urtandoli ruvidamente, seguìto da quattro uomini.

Salì sulla prora, tolse un pezzo di tela cerata che formava come una piccola cupola e smascherò un pezzo da 25 millimetri, che era montato su un perno girante, in modo da poterlo puntare verso tutti i punti dell’orizzonte.

Lo alzò più che potè, lo fece caricare dai suoi quattro aiutanti e sparò un colpo in bianco, facendo tremare, colla poderosa detonazione, tutta la nave. Il mostro volante, macchina od uccellaccio che fosse, non si trovava allora che a qualche chilometro dal transatlantico.

— Vediamo se risponde o se farà qualche segnale, — disse il capitano Orloff.

Gli emigranti, in preda ad una viva apprensione, poichè non sapevano di che cosa si trattava, non ostante la barocca spiegazione scientifica data dallo scienziato, non lo perdevano di vista un sol momento. [p. 222 modifica]

Il segnale o la risposta attesa non venne. Anzi il misterioso mostro parve accrescere la sua velocità muovendo diritto verso il transatlantico.

— L’avevo detto io che si tratta veramente d’uno pterodattilo, — brontolò lo scienziato. — Forse la razza non si era completamente estinta ed eccone infatti qui una prova.

Quello è un uccellaccio!... —

Il capitano, vedendo che il colpo in bianco non aveva ottenuto alcun effetto e spaventato dall’idea espressa dal suo secondo di bordo che quella macchina fosse montata da nikilisti, incaricati di distruggere il commercio marinaresco russo, non esitò più sul partito da prendere.

— Mastro Anguska!... — gridò. — Fa’ un bel centro e fallo cadere in mare, prima che giunga sopra di noi.

Vivaddio!... Voglio pescare io quei signori!...

— Purchè non si alzi troppo, — brontolò il cannoniere.

Il pezzo era stato prontamente caricato con un obice di buon calibro.

Mastro Anguska, quantunque dubitasse del buon esito del tiro, non potendo alzare di più il cannone, non indugiò a far fuoco.

La detonazione non era ancora cessata, quando si vide quel misterioso uccellaccio alzarsi con rapidità prodigiosa, mentre l’obice, dopo d’aver descritta una lunga traiettoria, ricadeva in mare, senza aver colpito il bersaglio.

Un urlo di rabbia era echeggiato a bordo del transatlantico, seguìto da una interminabile filza d’imprecazioni.

L’uccellaccio ormai era inattaccabile, poichè il pezzo non poteva tirare verticalmente, non avendo il movimento adatto.

Il capitano Orloff, vivamente impressionato e temendo una imminente catastrofe, diede il comando di virare di bordo e di puntare sull’isola del Capo Bretone, la quale non si trovava che ad una trentina di miglia verso settentrione.

Egli sperava, forzando le macchine, di sfuggire l’attacco di quel misterioso uccellaccio, ma dovette ben presto accorgersi che avrebbe consumato inutilmente il suo carbone e guastate, senza alcun risultato, le sue caldaie.

In pochi istanti quella strana macchina che si librava in alto come un condor e che volteggiava come un vero re dell’aria fu sopra il transatlantico. [p. 223 modifica]

Si librò per alcuni secondi sopra i ponti, ad un’altezza di trecento metri, facendo distintamente udire il ronzìo delle sue ali che battevano febbrilmente, poi un oggetto cadde dall’alto rimbalzando, con uno strano fragore metallico, sul castello di prora.

Ciò fatto, i passeggieri lo videro, con loro immenso stupore, innalzarsi rapidamente, poi scomparire, con velocità fantastica verso l’isola di Terranuova.

Un lungo respiro era sfuggito da trecento petti e per parecchi istanti nessuno osò muoversi. Perchè quell’uccellaccio era scomparso senza far male a nessuno?

Mastro Anguska, che si trovava sempre al suo pezzo diventato inservibile, si era subito impadronito dell’oggetto lasciato cadere sul castello e così destramente da non colpire nessuno.

Non era nè una bomba, nè una torpedine, come dapprima aveva temuto. Si trattava d’una semplice scatola di latta, d’una di quelle che servono per mettervi dentro i biscottini.

— Che siano così gentili da regalarci dei dolci? — si chiese il cannoniere. — E noi che li avevamo presi invece a colpi d’obice! —

Il capitano, dopo d’aver dato ordine al timoniere di riprendere la rotta di prima ed in macchina di rallentare quella corsa precipitosa, era disceso dalla passarella, muovendo incontro a mastro Anguska, il quale teneva in alto la scatola perchè tutti potessero vederla e persuadersi che non era una granata.

— Ebbene, Anguska? — chiese il comandante.

— Ci hanno regalato dei biscotti, signore, — rispose il mastro. — Sono troppo pochi però per trecento e trentadue persone.

Quella brava gente non aveva certo pensato che noi avevamo a bordo anche degli emigranti.

— Dei biscotti!...

— Eccoli qui, signore. —

Il comandante s’impadronì vivamente della cassetta, ma si accorse subito che doveva essere vuota o quasi.

— Tu sei pazzo, Anguska, — disse, alzando le spalle. — Io credo che qui dentro vi sia invece qualche documento. —

Si volse verso i suoi ufficiali i quali lo avevano seguìto e disse loro:

— Venite nel quadro, signori. —

Poi, indirizzandosi ai passeggieri, aggiunse ad alta voce:

— Ritornate nelle vostre cabine, signori, e sgombrate la tolda e i ponti. Ormai non vi è più alcun pericolo. [p. 224 modifica]

Andate a riposarvi. —

Tenendosi la cassetta sotto il braccio, scese la scaletta che metteva nella sala di poppa destinata all’ufficialità e la depose sulla tavola che occupava il centro.

— Vediamo prima di tutto che cosa contiene, — disse. — Qui vi deve essere dentro qualche documento.

— Ne sono persuaso anch’io, — disse il medico di bordo. — Avevo dapprima creduto che si trattasse di qualche nuovo ordigno di distruzione fabbricato da quei maledetti nikilisti.

Il capitano si fece portare uno scalpello e aprì facilmente la scatola, la quale era di latta e non molto spessa. Lesto come un lampo, ritirò una carta piegata in quattro, di colore azzurro e l’aprì accostandosi alla lampada elettrica, la quale proiettava una luce vivissima nel salotto.

Non vi erano che poche righe.

«Si prega di avvertire il signor barone Dimitri di Teriosky di condurre dentro un mese all’isola Tristano de Cunha la signorina Wanda Starinsky e di consegnarla a quel governatore.

«Non facendolo, si avvisa che nessuno dei suoi cinquanta piroscafi sfuggirà alla distruzione.

«Il Re dell’Aria


Un grido di stupore e anche di spavento era uscito da tutte le bocche. Il capitano, pallidissimo, era rimasto muto, spiegazzando nervosamente il misterioso documento e guardando con strana fissazione la scatola di latta.

— Quella carta contiene una minaccia terribile, — disse finalmente il medico di bordo.

— E contro il nostro armatore, — aggiunse il luogotenente del transatlantico. — Sono anzi stupito come ci abbia risparmiati, mentre quel signor Re dell’Aria avrebbe potuto facilmente lasciar cadere su di noi una bomba carica di qualche terribile esplosivo e mandarci tutti a fondo.

— Questo documento è infatti d’una gravità eccezionale, — disse finalmente il capitano dell’Orulgan, come parlando fra sè. — Se questa minaccia dovesse effettuarsi, sarebbe la rovina dell’armatore.

— Udiamo, comandante, — disse il medico di bordo. — Sapete voi qualche cosa, innanzi tutto, dell’istoria di questa signorina Wanda Starinsky? —

La fronte del capitano si abbuiò. [p. 225 modifica] .... la gragnuola di bombe continuava implacabile.... (Parte II, Cap. V). [p. 227 modifica]

— Ma... forse, — disse poi. — È però un segreto che mi fu comunicato dal direttore generale della Compagnia e che io, almeno per ora, non posso tradire.

— Ci direte almeno dove si trova l’armatore. Ho udito raccontare che da parecchi mesi ha lasciato Pietroburgo per una destinazione ignota. È vero?

— Effettivamente ha lasciato la Russia da parecchi mesi, caro dottore, — rispose il comandante, il quale appariva assai preoccupato. — Dove si sia recato nessuno lo sa o forse lo sa solo il direttore generale.

Credo però che il barone sia diventato pazzo.

— Una pazzia però che potrebbe costargli cara, dopo la minaccia fatta da quel signor Re dell’Aria, — disse il medico.

— Dite una minaccia terrificante, — rispose il capitano. — Più nessun transatlantico sarebbe sicuro di giungere in porto.

— Che cosa credete che sia, comandante, quell’uccellaccio? — chiese il secondo di bordo.

— Una macchina infernale di certo, assai temibile perchè è padrona dello spazio. Chi potrebbe lottare contro di essa? Nemmeno i più poderosi incrociatori del governo.

— Eppure ho udito il dottor Zircoff parlare d’un uccello appartenente ad una razza scomparsa non so quante migliaia d’anni or sono.

— Quello è un imbecille, — disse il capitano, alzando, come era sua abitudine, le spalle. — Già vi sono volatili che lasciano cadere delle scatole da biscotti con dei documenti dentro e scritti in buon russo. Dovevano essere meravigliosi gli uccelli di cinque o diecimila anni fa.

— Concludiamo, capitano, — disse il medico.

— La conclusione è presto fatta, signori. A noi non rimane che di consegnare questo documento al direttore generale della Compagnia, il quale non mancherà, spero, di trasmetterlo al figlio del barone.

Quello che vi raccomando, o signori, è di non parlare coll’equipaggio, finchè non saremo giunti nelle acque del Baltico e tanto meno coi passeggieri, o noi non troveremo più nessun uomo che s’imbarchi sui transatlantici del barone.

Buona notte. Per ora noi non abbiamo nulla da temere. —

Gli ufficiali lasciarono il quadro per ritirarsi nelle loro cabine, essendo l’ora molto tarda, eccettuato quello incaricato del quarto di guardia, il quale doveva vigilare sulla rotta del transatlantico.

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Quattordici giorni dopo, l’Orulgan, dopo d’aver toccato Amburgo per mettere a terra una parte del carico e di emigranti e per lanciare un dispaccio confidenziale al direttore della Compagnia Teriosky, entrava a tutto vapore nel porto di Riga, ancorandosi di fronte alla vecchia banchina dell’Onega.

Il capitano Orloff, dopo di aver ricevuto il capitano del Porto per le solite pratiche e dopo avergli rimesso il libro di bordo, scese in una scialuppa e prese terra presso l’immenso edificio della Compagnia, facendosi condurre dinanzi al direttore generale, un ex-vice-ammiraglio, molto vecchio, che la sapeva però assai lunga sul suo mestiere di uomo di mare.

— Avrete ricevuto il mio dispaccio speditovi da Amburgo, è vero, signore? — chiese il capitano dell’Orulgan, salutandolo.

Il direttore, che stava seduto dietro un ampio scrittoio, ingombro di carte marine, aveva alzata vivamente la testa, guardando curiosamente il comandante.

— Vi aspettava con impazienza, signor Orloff, — disse. — Che cosa vuol dire ciò? Che vi siano ancora dei pirati nell’Atlantico? —

Orloff, invece di rispondere, estrasse dal portafoglio il documento e glielo porse, dicendogli:

— Leggete, signor vice-ammiraglio. Poi mi direte che cosa pensate di ciò. —

Il direttore prese la carta e la lesse attentamente, impallidendo a vista d’occhio.

— Ciò che contiene questo documento è terribile, — disse finalmente. — Questa è una dichiarazione di guerra.

— Pare anche a me, — rispose il comandante dell’Orulgan.

— Raccontatemi in quale modo lo avete ricevuto. —

Orloff si sedette dinanzi allo scrittoio e narrò al direttore quanto gli era toccato quarant’otto ore dopo la sua partenza da Halifax.

— Era un pallone? — chiese il vice-ammiraglio, il quale appariva molto impressionato.

— Vi dico di no, — rispose il comandante. — Si trattava d’una macchina che volava meglio d’un albatros e con una velocità prodigiosa.

— Quante persone vi erano a bordo?

— Non ne abbiamo vedute, essendo ciò avvenuto di notte.

— Avete veduto del fumo?

— No: niente fumo. [p. 229 modifica]

— Come si manteneva in aria allora e da quale forza erano mosse quelle due ali?

— Chi lo sa?

— Voi credete che quella macchina volante possa davvero diventare pericolosa per le navi?

— Basta che lasci cadere su uno dei nostri transatlantici una buona granata od una bomba alla dinamite e potete immaginarvi quale terribile catastrofe succederebbe.

— Avete ragione, — disse il direttore, il quale aveva ripreso il suo sangue freddo. — Si potrebbe cannoneggiarla?

— A distanza forse sì, quantunque quella macchina fili, come già vi dissi, con una velocità spaventevole.

— Non sarà blindata, suppongo.

— Anche se lo fosse, le sue ali non resisterebbero allo scoppio d’un buon obice.

— Comunque sia, la notizia che mi avete comunicata è gravissima. Si tratta della distruzione dell’intera flotta del signor di Teriosky: una rovina completa.

Al mio posto che cosa fareste, comandante?

— Avvertirei il barone e lo consiglierei di far condurre immediatamente a Tristan de Cunha quella signorina.

— Avvertirlo? E come, se non sappiamo più dove sia?

— È impazzito il barone?

— Lo si teme, — rispose il direttore.

— Avvertite allora suo figlio. Sapete dove si trova?

— Sempre a Cronstad, a bordo del suo incrociatore.

— Andate a trovarlo e senza perdere tempo, signore. È bensì vero che quel signor Re dell’Aria ci ha accordato un mese, ma trenta giorni passano presto. Pensate che, se succede qualche catastrofe, noi non troveremo più un marinaio che s’imbarchi sulle nostre navi.

— Purtroppo, comandante, ed i nostri transatlantici saranno costretti a spegnere i loro fuochi e ad invecchiare inutilmente nei porti.

— Quanti ne abbiamo ancora in America?

— Una trentina.

— Quelli ritorneranno in tempo.

— Ma non gli altri che sono partiti questa settimana pei porti dell’America del Sud e del golfo del Messico.

Manderò subito un dispaccio dettagliato al figlio del barone, [p. 230 modifica] pregandolo di venire qui subito. Dinanzi ad un fatto così grave potrà ottenere facilmente un permesso.

— E si perderebbe del tempo, — disse il comandante dell’Orulgan. — Fate accendere i fuochi su uno dei nostri rimorchiatori e andate a trovarlo. È probabile che l’Ammiragliato s’interessi di questa faccenda e che prenda delle misure energiche per far catturare o bombardare quella macchina infernale e l’Ammiragliato non si trova qui, bensì a Pietroburgo.

— Ancora una volta avete ragione, — disse il direttore. — Fra un’ora sarò in viaggio.

Ciò che vi raccomando è di non parlare con chicchessia, affinchè i nostri equipaggi non s’impressionino.

— Avevamo trecento emigranti a bordo e tutti hanno veduto quell’uccellaccio. Sarà impossibile chiudere la bocca a tutti. È probabile che a quest’ora abbiano già parlato.

— Cercate almeno di tranquillizzare i vostri uomini.

— Dirò loro che ci hanno fatto un semplice scherzo. Quando vi rivedrò?

— Prima della vostra partenza sarò qui per darvi le istruzioni necessarie.

Vedremo che cosa decideranno il capitano Teriosky e l’Ammiragliato. —

Si strinsero la mano ed il comandante ritornò a bordo del transatlantico.

Lo scarico era incominciato ed il capitano notò subito una folla insolita raggruppata sulla banchina fronteggiante il vapore e che discuteva animatamente. In mezzo si scorgevano degli emigranti scesi a terra poco prima e che si sbracciavano indicando ora l’Orulgan ed ora il cielo.

— Giungo troppo tardi, — mormorò il comandante. — Prima di questa sera tutta la popolazione conoscerà quanto mi è accaduto. —

Non s’ingannava.

La notizia si era sparsa, con velocità fulminea, fra il ceto marinaio mercantile prima, poi fra la popolazione.

Una massa enorme di persone si rovesciava di quando in quando sulle banchine, guardando con un po’ di spavento il transatlantico. La notizia, come pur troppo succede, era stata, passando di bocca in bocca, straordinariamente gonfiata.

Si diceva che l’Orulgan aveva subìto un vero attacco da parte di [p. 231 modifica] una banda di pirati aerei e che era sfuggito all’abbordaggio, mercè i tiri ben aggiustati del suo cannone. Anche la voce, che invece di pirati si trattava d’un colossale uccello, di nuova specie, di quel famoso pterodattilo scovato fuori dallo scienziato, aveva trovato pure credito, specialmente fra il popolino.

Alla sera tutti i giornali di Riga narravano e commentavano lo stranissimo avvenimento, e ventiquattro ore dopo tutta la stampa europea s’impossessava del singolare avvenimento, versando torrenti d’inchiostro e moltiplicando le edizioni.

Dapprima il mondo marinaresco si mostrò un po’ scettico, poi cominciò vivamente a preoccuparsi, quando dall’America e dal Sud-Africa giunsero notizie confermanti la comparsa di un enorme uccello scorrazzante l’Oceano Atlantico.

Una nave inglese che da Buenos-Ayres si recava alla Città del Capo, l’aveva veduto, una sera, a circa quattrocento miglia dal piccolo gruppo di Tristan de Cunha; una cannoniera, che faceva degli scandagli intorno all’isola dell’Ascensione, assicurava di averlo non solo veduto ma anche bombardato, senza però alcun successo; una terza nave, francese questa, che aveva lasciato le coste di Terranuova due settimane prima che l’Orulgan ricevesse il terribile messaggio, l’aveva pure scorto.

Come si poteva, dopo tante prove, mettere in dubbio la brutta avventura toccata all’Orulgan?

L’ipotesi che si trattasse d’un mostruoso condor o d’un uccellaccio antidiluviano fu subito scartata da tutti gli scienziati europei, interrogati in proposito. Fu invece accettata quella che si trattasse d’una macchina volante montata da audaci pirati.

Forse che tutti gli anni, un certo numero di navi non scomparivano, senza lasciare alcuna traccia di loro, nè degli equipaggi che le montavano? Poteva ben darsi che le affondassero quegli schiumatori dell’Atlantico.

Il panico cominciò ad invadere tutti i marinai del nuovo e del vecchio mondo e per qualche settimana gl’imbarchi di nuovi marinai furono difficilissimi, e anche molte navi russe, per tema di venire scambiate con quelle del barone di Teriosky, rimasero ferme nei porti.

Le cose erano giunte a questo punto, quando si sparse la voce che il governo russo, deciso di por fine al panico che aveva invaso le sue genti di mare, si preparava a mandare uno dei suoi migliori incrociatori nell’Atlantico, per catturare quel misterioso Re dell’Aria.