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220 | Capitolo I. |
Verso le dieci l’allegria dei passeggieri, riscaldata da non poche bottiglie di champagne — vino che il russo preferisce a qualunque altro e che tracanna in grandissime quantità — era al colmo, quando delle grida di sorpresa e di terrore e un rapido accorrere di persone, interruppero bruscamente le danze e fecero tacere il pianoforte e la fisarmonica.
Sul ponte delle voci s’incrociavano.
— Che cos’è?
— Un condor?
— Ma no... un pallone.
— Con quelle ali!...
— È enorme!...
— E si dirige verso di noi!...
— Che sia qualche macchina infernale? —
Una voce imperiosa, quella del comandante, mise fine a quei commenti con un tuonante:
— Silenzio!... Ognuno a posto di manovra!... —
Gli emigranti, che si trovavano nei saloni o nelle cabine e ai quali era giunto distintamente quel comando, malgrado il fragore delle macchine, intuendo che qualche cosa di grave stava per accadere, si erano precipitati attraverso le corsie, pigiandosi sulle scale ed irrompendo rumorosamente sulla tolda.
— Affondiamo!... — gridavano tutti, spingendosi innanzi.
Per la seconda volta la voce energica del comandante tuonò:
— Silenzio!... Là... guardate!... —
Colla destra aveva indicato il cielo, in direzione della luna, la quale mostrava, in quel momento, tutto il suo disco al di sopra dell’orizzonte.
Tutti gli sguardi si erano rivolti verso quel punto e tosto uno stupore indicibile apparve su tutti i visi.
Un uccello enorme che aveva però una forma strana, poichè portava al di sotto delle sue immense ali come due piani orizzontali e che aveva il corpo luccicante, s’avanzava verso il transatlantico, ingrandendo a vista d’occhio.
Domande e risposte, malgrado le ingiunzioni del capitano e dei suoi ufficiali, tornarono ad incrociarsi fra i trecento emigranti che si affollavano sulla tolda, sul cassero e sul castello di prora.
— Che cos’è?
— Il diavolo che viene a portarci via?