Il Re dell'Aria/Parte prima/6. Lo Sparviero

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CAPITOLO VI.

Lo “Sparviero„.

Nel momento in cui gli assalitori davano così audacemente l’abbordaggio, gli uomini della cannoniera-torpediniera stavano affondando le ancore.

Udendo quel grido, il comandante, un giovane capitano di vascello, si era precipitato verso la poppa, colla sciabola sguainata, credendo di aver da fare con qualche banda di Ainos malamente armata e che sperava di ricacciare in mare con poche piattonate bene assestate.

Vedendo balzare al di sopra del coronamento di poppa tutti quegli uomini e, armati di fucili, era rimasto tanto sorpreso, da rimanere per qualche istante senza voce.

I marinai ed i forzati avevano subito approfittato di quel momento per impadronirsi del cannone della piattaforma poppiera e che doveva essere certamente carico, e volgerlo verso la prora, dove stava ancora radunato l’equipaggio occupato a far scorrere attraverso le cubie le catene delle ancore.

Boris aveva subito puntata la rivoltella contro il capitano della cannoniera, dicendogli freddamente: [p. 60 modifica]

— Arrendetevi o vi uccido!...

— Chi siete voi? — chiese il capitano, riprendendo il suo sangue freddo. — Un Ainos no di certo. —

Boris, invece di rispondere, si volse verso Liwitz:

— Prendi quattro uomini ed impadronisciti della macchina, — disse. — La nave deve rimanere sotto pressione. —

Poi, fissando l’ufficiale e scoprendosi il capo colla mano sinistra, gli disse con perfetta cortesia:

— Mi avete chiesto chi sono io. Sono un vostro superiore, ex-comandante della corazzata la Pobieda, una nave ben nota alla marina russa.

— Eh via!... — esclamò l’ufficiale, facendo un gesto di disprezzo. — Tu vuoi scherzare!... Indossi ancora la lugubre divisa dei forzati.

Sgombra, canaglia!...

— Non ho mai avuto l’abitudine, capitano, di scherzare, — rispose Boris, con voce pacata.

— Tu non sei altro che un audace briccone. Sgombra o ti farò arrestare e fucilare.

— Arrestare? E da chi?

— Dai cosacchi dei penitenziari.

— A quest’ora dormono, — rispose Boris, ironicamente.

— I miei marinai però sono svegli ancora.

— Si avanzino e li fucileremo come volpi bianche. —

Il capitano alzò la sciabola urlando:

— A me, ragazzi!... Cacciamo in mare questi furfanti!... —

I marinai della cannoniera-torpediniera, a quel comando si erano slanciati attraverso il ponte, armati di scuri, di spranghe di ferro e di manovelle, le prime armi che avevano trovato sotto-mano, credendo di aver facilmente ragione di quel gruppo di disperati.

Boris, a cui nulla sfuggiva, aveva a sua volta dato un comando secco:

— Pronti! —

I sei marinai ed i galeotti, con una mossa fulminea, si erano disposti a destra ed a sinistra del comandante, puntando i fucili.

— Volete farvi fucilare? — chiese Boris. — I miei uomini sono pronti a mandarvi all’altro mondo, ragazzi, e vi assicuro che i loro fucili non hanno delle confetture nel serbatoio. —

Quelle parole avevano arrestato di colpo lo slancio dei marinai della cannoniera. [p. 61 modifica]

Quei quattordici fucili puntati, pronti a far fuoco, ed il pezzo d’artiglieria già girato verso la coperta e pronto a vomitare forse una bordata spaventosa di mitraglia, avevano prodotto il loro effetto.

— Ebbene, capitano, perchè i vostri uomini si sono fermati? — chiese Boris, sempre ironico. — Questo era il buon momento per avventarli contro di noi e ricacciarci in mare.

Vi avverto però che lungo la spiaggia vi sono ancora più d’ottanta fucili, pronti ad aprire il fuoco sulla vostra nave. —

Una bestemmia era sfuggita al capitano della cannoniera.

— Infine, che cosa volete voi da me? — chiese, coi denti stretti.

— Ve l’ho già detto: che vi arrendiate. Noi siamo uomini generosi e non vi faremo alcun male.

Non avrete altro disturbo che quello d’imbarcarvi sulle due scialuppe che vedo sospese alle grue di babordo e di tribordo e di recarvi a terra insieme al vostro equipaggio.

— E di lasciarvi la nave?

— Sì, giacchè non siete più in grado di difenderla. Volete provarvi? Noi siamo pronti ad accettare la lotta.

Non rispondo però dell’esito, almeno da parte vostra.

— Tu ti burli di me!... — urlò il capitano.

— All’ex-comandante della Pobieda non si è mai osato dare del tu, mio caro signore.

Io però non ho tempo di occuparmi, pel momento, di simili inezie. O vi arrendete immediatamente, o spazzo via voi ed il vostro equipaggio. Giù le armi e sgombrate!...

— Adagio, briccone, ho trenta uomini con me.

— Chiamatemi comandante! — gridò Boris, con voce irata.

— No: briccone!

— Sotto, amici! —

I quattordici uomini della baleniera si scagliarono contro i marinai della cannoniera, mirandoli al petto e urlando:

— Giù le armi o spariamo!... —

Il capitano, che erasi munito d’una rivoltella, puntò l’arma contro Boris, ma questi, che si teneva in guardia, fu pronto a prevenirlo.

Un colpo di fuoco rintuonò, seguito subito da un secondo ed il capitano cadde.

I suoi uomini, spaventati, avevano lasciate le scuri, le manovelle e le sbarre di ferro, armi assolutamente inutili contro i fucili a retrocarica dei marinai della scialuppa e dei forzati. [p. 62 modifica]

— Vi arrendete? — chiese Boris.

— Siamo nelle vostre mani, signore, — disse il mastro dell’equipaggio, facendosi innanzi. — Chiediamo solamente che ci si risparmi la vita.

— Mettete in acqua le due scialuppe della cannoniera, imbarcate le vostre casse, se lo desiderate, non essendo noi dei volgari bricconi, come credeva il vostro comandante, e raggiungete la costa.

Nessuno vi importunerà.

— Grazie, signore, — rispose il mastro, non poco sorpreso per quella inaspettata generosità.

Le due scialuppe furono tosto messe in mare ed i trenta uomini della cannoniera, dopo aver calato il cadavere del loro comandante, s’imbarcarono, avviandosi rapidamente verso la spiaggia.

In quel momento sulla scogliera comparivano i forzati guidati da Wassili e da Bedoff. Avevano guadato il canale, passando su alcuni banchi di sabbia che erano riusciti a scoprire, ed avevano preso terra di fronte alla cannoniera, per appoggiare, nel caso che ve ne fosse stato bisogno, l’attacco.

— Liwitz, — disse Boris al macchinista, che era ritornato in coperta. — Va’ a raccogliere mio fratello ed i suoi uomini.

— E fate presto, — disse uno dei forzati che si era issato fino alla piccola coffa dell’albero.

— Perchè? — chiese Boris.

— Vedo dei punti neri che corrono sulla neve della pianura.

— Dei lupi?

— È più probabile che siano i cosacchi del penitenziario, signore. A quest’ora i fumi della votka saranno svaporati attraverso i loro cranî.

— Li mitraglieremo, se verranno ad assalirci, — rispose il comandante. — Sbrigati, Liwitz, e voi altri tenetevi pronti a respingere l’attacco. —

Anche i forzati che avevano occupato lo scoglio dovevano essersi accorti di qualche cosa, poichè parecchi di loro avevano cominciato a scalare rapidamente le rupi, prendendo posizione dietro le punte estreme.

La baleniera prese subito il largo, guidata dal macchinista e da due marinai.

Boris per ogni buon fine aveva fatto puntare il cannone verso la spiaggia, prendendo di mira le due scialuppe che i marinai della cannoniera avevano abbandonate presso la costa. [p. 63 modifica]

— Fratello!... — gridò, quando vide che tutto era pronto per una valida resistenza. — Che cosa succede dunque?

— Pare che si avvicinino i cosacchi, — rispose Wassili. — Vi sono degli uomini che corrono attraverso la pianura.

— Pensa ad imbarcare il più presto possibile i tuoi uomini, fratello. Dei cosacchi ce ne occupiamo noi. —

Salì la grisella dell’albero, raggiunse la piccola coffa e spinse gli sguardi verso la bianca pianura.

Quantunque lungo la costa si estendesse una folta cintura di betulle e di piccoli pini, da quell’altezza potè scorgere distintamente numerosi punti neri, i quali spiccavano vivamente sul bianco lenzuolo e che si muovevano rapidamente.

— Sì, devono essere i cosacchi, — mormorò. — Sono però ancora lontani e forse non giungeranno in tempo. —

L’imbarco era cominciato, ma non potendo la baleniera portare più di quattordici o quindici persone per volta, quell’operazione richiedeva un certo tempo.

Alle due scialuppe, abbandonate sulla costa dai marinai della cannoniera, non vi era da pensarci, trovandosi troppo lontane dalla scogliera. E poi, molto probabilmente erano state rese inservibili, onde gli Ainos non se ne impadronissero.

Il secondo drappello di forzati era già giunto a bordo della cannoniera, quando alcuni colpi di fucile rimbombarono in lontananza.

I cosacchi, che dovevano essersi incontrati coi marinai russi, avevano aperto il fuoco a lunga distanza, mirando soprattutto la collina. Certamente dovevano essere furiosi pel brutto tiro giuocato loro da Bedoff e non domandavano che di prendersi una strepitosa rivincita, per evitar di passare sotto il consiglio di guerra.

Il maresciallo d’alloggio soprattutto doveva essere diventato più feroce d’una tigre, trovandosi in giuoco i suoi galloni faticosamente guadagnati con chissà quanti anni di servizio.

— Aspettiamo che compariscano fra le piante, — mormorò il comandante, scendendo rapidamente ed accostandosi al cannone. — Siamo in buon numero e la macchina è sotto pressione. —

La fucileria diventava di momento in momento più rumorosa. I cosacchi non facevano economia di cartuccie, però con nessun successo, poichè i forzati che occupavano le cime della scogliera, in attesa che i loro compagni trasbordassero sulla cannoniera, si guardavano bene dal mostrarsi. [p. 64 modifica]

Per la quinta volta la baleniera era tornata a bordo della piccola nave, carica quasi da affondare, quando i cosacchi, dopo una corsa sfrenata, raggiunsero il margine della zona alberata, aprendo un fuoco infernale contro la cannoniera e contro lo scoglio.

In mezzo a loro vi erano anche i marinai sbarcati poco prima e che non dovevano essere meno impazienti di riprendersi anche loro una rivincita.

— È il momento di farci anche noi vivi, — disse Boris, curvandosi sul pezzo e prendendo il cordone tira-fuoco.

Il mostro di bronzo avvampò con un fracasso assordante, che si ripercosse lungamente fra le scogliere, subito seguìto da nutrite scariche di fucileria.

I cosacchi, spazzati dalla mitraglia, si rifugiarono precipitosamente nella foresta, urlando ferocemente e lasciando parecchi di loro, morti o feriti, in mezzo alla neve.

— Mantenete il fuoco, amici, — comandò Boris, mentre i marinai della baleniera ricaricavano precipitosamente il pezzo.

Non vi domando che dieci minuti e poi la vostra libertà sarà assicurata. —

Non era veramente necessario incitare i forzati, poichè avevano troppo provato la nagaika dei selvaggi figli della steppa del Don per non vendicarsi.

In piedi sulle murate, come per dimostrare ai loro antichi aguzzini quanto li disprezzassero, avevano aperto un superbo fuoco di fila, un fuoco accelerato, battendo tutta la fronte della zona alberata.

Di quando in quando un buon colpo di cannone, sparato dall’ex-comandante della Pobieda, appoggiava gagliardamente le loro scariche, fracassando qua e là abeti, pini e larici.

I cosacchi, nascosti dietro i tronchi degli alberi, rispondevano a casaccio, senza osare più a farsi innanzi. La mitraglia che spazzava la spiaggia era troppo indigesta anche per quegli indomiti guerrieri delle steppe.

Intanto l’imbarco continuava rapidissimo, sotto la direzione di Wassili e senza perdite, essendo la scogliera troppo elevata per venire battuta dai proiettili dei nemici nel luogo ove si effettuava il trasbordo.

A mezzanotte la scialuppa raggiungeva la cannoniera-torpediniera, senza che avesse perduto un solo uomo.

— Salpate le àncore! — comandò Boris, scagliando un’ultima bordata di mitraglia verso la costa. [p. 65 modifica] Tutti gli altri dovevamo essere stati fatti a pezzi dalla violenza dell’esplosione.... (Cap. VII). [p. 67 modifica]

In un baleno i due ancorotti furono strappati dal fondo e la cannoniera, sotto una vera tempesta di palle, poichè i cosacchi, vedendo sfuggirsi la preda, erano tornati verso la spiaggia, mosse velocemente verso l’uscita della piccola baia, rimorchiando la scialuppa.

Stava per superare la barra, quando in alto, fra le nubi, fu notato un lampo rossastro che si spense fra una miriade di scintille.

— Lo Sparviero! — disse Wassili a Boris. — Ranzoff deve essere un po’ inquieto, udendo questo cannoneggiamento.

— Rispondi al suo segnale?

— Non ancora. Non desidero che questa gente sappia in quale modo noi siamo giunti e come ripartiremo.

— Avranno anche loro notato quel lampo. Vedo che tutti guardano in alto.

— Può essere stato un bolide, — rispose Wassili, alzando le spalle. — Chi potrebbe sospettare che lassù si trova una macchina volante? Il segreto è stato troppo bene conservato e nessuno ne sa nulla in Russia, nè in Siberia.

E poi fra poco ci separeremo da questi forzati e probabilmente non li rivedremo mai più. Credi che possano riuscire a salvarsi?

— Jeso non è lontana e in dieci o dodici ore si troveranno in salvo sulla terra giapponese, — rispose Boris. — Non hanno che da attraversare lo stretto di La Pèrouse.

— Non avranno dei fastidi?

— Ho pensato a tutto io. —

La cannoniera si allontanava rapida, senza curarsi di rispondere al fuoco dei cosacchi, diventato ormai, per la lontananza, assolutamente inefficace.

Quantunque fosse una vecchia carcassa, teneva abbastanza bene il mare e la sua macchina non funzionava troppo male sotto la direzione di Liwitz e di alcuni forzati, i quali sembrava avessero una certa pratica.

A cinque miglia dalla costa, Boris, dopo essersi bene accertato che nessuna altra nave incrociava al largo, la fece fermare.

Era giunto il momento della separazione. Già un secondo lampo, e questa volta azzurrastro, era comparso in cielo, lasciando cadere un’altra nuvola di scintille.

Il capitano dello Sparviero, inquieto per quel lungo silenzio, chiedeva insistentemente una risposta ai suoi segnali.

Wassili fece radunare in coperta tutti i forzati, poi mandò due dei [p. 68 modifica] suoi marinai nella baleniera che era sempre tratta a rimorchio. Essi ritornarono prontamente, carichi di due piccoli sacchi.

— Amici, — disse il vecchio, rivolgendosi ai politici, — la mia missione è compiuta e dobbiamo lasciarci. —

Fra i forzati vi fu un vivo movimento di sorpresa e di commozione.

— Perchè abbandonarci, signore? — chiese lo starosta.

— È un segreto che non appartiene a me e che quindi io non posso svelare. Tu guiderai la nave verso la terra più vicina e sbarcherai i tuoi compagni.

Preferisci il Giappone alla China: là almeno sarete tutti più sicuri.

In questo sacco vi sono cinquemila rubli che vi dividerete e che vi serviranno a sopperire alle prime spese; l’altro appartiene a Bedoff.

— E di questa nave che cosa dovremo farne?

— La abbandonerete sulla costa, — disse Boris, facendosi innanzi. — Non cercate di venderla, perchè in tal caso verreste trattati come pirati e non risponderei delle conseguenze.

— Faremo come voi dite, signore, — rispose lo starosta.

— Liwitz, accosta la scialuppa, — gridò Wassili. —

La baleniera fu tratta sotto la poppa della cannoniera-torpediniera ed i sei marinai, Wassili e Boris vi scesero, mentre i forzati tendevano verso di loro le braccia e piangevano di commozione.

— Addio, amici: siate felici sulla terra della libertà — gridò Wassili.

Un grido altissimo si alzò sulla tolda della piccola nave:

— Grazie! —

La fune fu subito troncata e la baleniera, spinta innanzi dalla sua misteriosa macchina, che le imprimeva una velocità assolutamente sconosciuta, balzò sulle onde dello stretto di Tartaria colla rapidità d’una freccia, lasciando dietro una scìa bianchissima.

Wassili guardava in aria. L’oscurità era però troppo fitta ancora per poter discernere la macchina volante.

— Non deve essere lontano lo Sparviero — disse a Boris, il quale teneva, con salda mano, la barra del timone. — Aspettiamo che la cannoniera sia più lontana, poi risponderemo.

— Sono impaziente di vedere quella macchina meravigliosa.

— Rimarrai stupito. Che cosa sono i palloni più o meno dirigibili in suo confronto? Delle carcasse degne appena di essere relegate nei musei, come un ricordo dei tempi passati. [p. 69 modifica]

— Non correremo il pericolo di fare un capitombolo?

— Io ho attraversato sullo Sparviero, in compagnia di quel capitano dei cosacchi e di quel ricco negoziante di the di Odessa, tutta l’Asia, dalla Siberia alla foce del Gange e mai abbiamo fatta una caduta, quantunque attraverso il Tibet ci síano toccate delle avventure emozionanti. Noi fileremo a grande velocità verso l’Europa e fra cinque o sei giorni saluteremo le acque della Neva.

— Che motore possiede dunque quella macchina?

— Un motore d’una potenza ancora sconosciuta, d’una economia straordinaria, poiché la sua forza viene fornita esclusivamente dall’aria liquida, una materia che si trova dovunque, come puoi ben comprendere.

— Ho udito infatti a parlare delle meraviglie dell’aria liquida, — disse Boris.

— Vedrai come quel genio di Ranzoff ha saputo applicarla al suo motore. Siamo abbastanza lontani e la cannoniera non si scorge più. Possiamo fare il segnale.

Levò dal fondo della scialuppa una piccola lastra di alluminio e trasse un involto coperto da una tela cerata.

— Che cos’è? — chiese Boris.

— Un semplice razzo, — rispose Wassili.

Lo levò dalla tela, si assicurò prima che non fosse umido, poi accese uno zolfanello e vi diede fuoco, facendolo salire altissimo, verso il cielo tenebroso.

Scoppiò a due o trecento metri sopra la scialuppa, che in quel momento si era fermata, con una detonazione secca, lasciando cadere una pioggia di scintille azzurrastre, del più splendido effetto.

Un momento dopo fra le nubi appariva un getto di luce pure azzurrastra.

— Hanno risposto: vengono, — disse Wassili.

Poi, volgendosi ai marinai, che pareva aspettassero qualche suo ordine, aggiunse:

— Preparate i paranchi: fra pochi minuti saremo sullo Sparviero.

Una massa nera scendeva dal cielo, agitando rapidamente due immense ali e portando, lungo i suoi fianchi, disposti in senso orizzontale, due traverse di dimensioni gigantesche.

Pareva un enorme uccellaccio, d’una struttura nuova, scendente sul mare.

— È meraviglioso!... — mormorava Boris, che non staccava un solo [p. 70 modifica] istante i suoi sguardi dallo Sparviero, il quale ingrandiva a vista d’occhio. — Quel Ranzoff è riuscito dunque a strappare ai volatili il segreto della loro vertiginosa direzione?

— Non ti stupire così presto, — disse Wassili. — Vedrai ben altre meraviglie, quando noi fileremo attraverso la Siberia colla velocità dei condor e delle aquile.

Pronti, amici: agganciate forte la scialuppa. —

La macchina volante era discesa sul mare e s’avanzava verso la scialuppa sfiorando quasi le onde.

Giunta a dieci o dodici metri si fermò quasi di colpo, lasciando cadere le sue enormi ali e le traverse e si coricò dolcemente sull’acqua, lasciandosi dondolare dai piccoli cavalloni che s’avanzavano attraverso lo stretto di Tartaria.

Sembrava un piccolo vascello in riposo, in attesa d’un colpo di vento favorevole per riprendere la corsa, avendo la sua parte principale o meglio vitale, la forma d’un lunghissimo fuso arrotondato nella sua parte inferiore e perciò in grado di reggersi benissimo anche sull’acqua.

La baleniera si era spinta rapidamente innanzi, abbordando lo Sparviero a prora e assicurando i paranchi a dei robusti anelli.

— Sali, fratello, — disse Wassili, che sembrava lieto della sorpresa che aveva invaso il comandante. — Ti troverai sicuro come se tu fossi ancora sulla Pobieda.

Supponi che sia una corazzata volante di dimensioni più modeste, ma non meno formidabilmente armata e infinitamente più veloce. —

Un uomo, che teneva in mano una lampada a magnesio, che mandava un intenso sprazzo di luce, era comparso sul castelletto di prora della macchina volante, dicendo:

— Buona sera, signor Wassili, o meglio buon giorno, poichè è già molto tardi. La vostra missione è riuscita bene?

— Vi conduco mio fratello.

— Che sarò ben felice di salutare, signor Wassili.

L’uomo che così parlava era un bel tipo, di statura alta e di forme eleganti, colla pelle leggiermente abbronzata, con due occhi nerissimi e pieni di splendore e una barbetta pure nera pettinata con gran cura e tagliata all’americana.

Era vestito tutto di pesante flanella bianca, con una larga fascia rossa che gli stringeva i fianchi e calzava alti stivali di pelle nera.

— Il signor Boris, l’ex comandante della Pobieda — disse [p. 71 modifica] stendendo la mano. — Ben felice di vedervi, signore e di ospitarvi sullo Sparviero.

Era tempo di strapparvi da quell’inferno.

— Voi siete il signor Ranzoff, il costruttore di questo meraviglioso congegno, è vero? — rispose Boris, stringendogli affettuosamente la destra.

— Un uomo straordinario, fratello, — disse Wassili. — Lo vedrai alla prova.

— Non mi vantate troppo, amico, — rispose il capitano dello Sparviero, ridendo. — Sono un uomo che vale un altro e che... —

Un grido, mandato da uno dei marinai che stavano assicurando la scialuppa, lo aveva interrotto.

— In guardia!... —

Quasi nel medesimo tempo un lampo ruppe le tenebre, seguìto da una fortissima detonazione e dal ronfo metallico d’un proiettile.

— Ah!... Furfanti!... — esclamò il capitano dello Sparviero, facendo un salto indietro. — Non mi aspettavo questa sorpresa!

— È quel maledetto guardacoste, — gridò Wassili.

— Liwitz! Alla macchina! — comandò Ranzoff. —

Il macchinista, d’un balzo attraversò il piccolo ponte, scomparendo entro un buco oscuro.

— È assicurata la baleniera? — chiese Ranzoff, il quale conservava un sangue freddo ammirabile.

— Sì, capitano, — risposero i marinai.

— Lancia, Liwitz!... —

Un secondo colpo di cannone rimbombò in quel momento e una palla passò, sibilando raucamente, fra le due ali dello Sparviero, le quali si erano allora rialzate.

— Vogliono fracassarci, — disse Wassili.

— Non avranno tempo di sparare il terzo colpo, — rispose Ranzoff, sempre impassibile. — Sei pronto, Liwitz?

— Sì, capitano, — rispose il macchinista dall’interno del battello volante.

— Spegnete la lampada! —

Una profonda oscurità avvolse subito la macchina volante. Quasi subito le due immense ali si misero in moto, le eliche cominciarono a girare vertiginosamente e lo Sparviero, dopo aver preso lo slancio, s’innalzò obliquamente con una velocità fulminea, mentre sotto vi passava una terza palla. [p. 72 modifica]

— Un momento di ritardo e qualche ala od i piani orizzontali venivano colpiti, — disse Ranzoff, colla sua solita calma. — È che hanno la sfortuna di non far fuoco a tempo.

Si vede che i cannonieri russi sono in ritardo. Un polacco avrebbe probabilmente sparato più presto.

— Ed è quello che voglio vedere, mio caro Ranzoff, — disse Wassili.

— Che cosa vuoi dire?

— Che è necessario mettere fuori d’uso le macchine di quel guardacoste, col tuo pezzo ad aria liquida.

— Perchè?

— Perchè vi sono cento forzati che in questo momento si sforzano di raggiungere l’isola di Jeso per non farsi riprendere dai russi di Sackalin e che montano una cannoniera sgangherata, che non potrebbe sfuggire a quel guardacoste, se si mettesse in caccia.

Rendiamo a quei disgraziati anche questo servizio che sarà l’ultimo.

— Se ciò può farti piacere, amico, io sono pronto a darti una prova di come tirano i polacchi. —

Si curvò sulla balaustrata della macchina volante e osservò attentamente il mare. Cinquecento metri più sotto, il guardacoste fumava terribilmente, cercando di seguire lo Sparviero.

— Siamo a buon tiro, — mormorò Ranzoff. — Liwitz! ...

— Signore, — rispose il macchinista, ricomparendo sul ponte.

— È pronto il pezzo?

— Sempre e con un buon obice.

— Va bene. —

Il comandante si diresse verso la prora dove si vedeva un piccolo cannone in acciaio, montato su un grosso perno che permetteva di girare la bocca da fuoco in tutte le direzioni, l’abbassò verso la superficie del mare e mirò attentamente, intanto la macchina volante, girando le sue eliche in senso inverso, mantenevano l’apparecchio quasi immobile.

— È carico con polvere? — chiese Boris a Wassili.

— È roba troppo vecchia per noi, — rispose il vecchio, ridendo. — Qui non impera che l’aria liquida. —

In quel momento si udì un leggiero sibilo. Il proiettile era partito, senza produrre l’orrendo frastuono dei pezzi da guerra.

Trascorsero pochi secondi, poi si udì uno scoppio spaventevole ed una gigantesca fiammata si alzò sul guardacoste. [p. 73 modifica]

Le murate del legno furono scaraventate in mare, insieme ai due alberi ed al cassero, e sulla sua tolda si aprì una voragine fiammeggiante.

— Le macchine sono saltate, — disse il capitano dello Sparviero. — C’era un chilogrammo di dinamite nell’obice.

Il mio è un pezzo di cannone veramente ammirabile.

Liwitz, ci alziamo. Spingi a tutta velocità.

Fra sei giorni voglio salutare le rive della Neva. —

Lo Sparviero descrisse una grande curva, poi, raggiunti i cinquecento metri d’altezza, si slanciò a corsa sfrenata al di sopra dello stretto di Tartaria, muovendo verso l’Amur.

— Vieni, fratello, — disse Wassili, prendendo per una mano Boris. — Io ti farò vedere ora questa macchina meravigliosa. —