Il Re dell'Aria/Parte prima/5. L'abbordaggio della cannoniera
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CAPITOLO V.
L’abbordaggio della cannoniera.
Un sole scialbo scialbo, privo di calore, che di quando in quando si nascondeva in mezzo alle candide nubi, gravide di neve, lanciava i suoi raggi attraverso le desolate pianure dell’isola maledetta, perduta ai confini dell’Asia abitata.
Un gelido vento di tramontana soffiava a lunghi intervalli, strappando dalle alte montagne del centro nembi di nevischio, il quale avvolgeva silenziosamente i forzati, ben chiusi nei loro lunghi cappotti grigi.
Bedoff, che conosceva a menadito il paese, apriva la via, tenendo sotto il braccio un fucile. Lo seguivano il comandante e suo fratello Wassili, poi i forzati, divisi in sei squadre, preceduti dal vecchio starosta.
Dinanzi a loro si estendeva una bianca pianura, coperta già da più d’un mezzo metro di neve; alle loro spalle s’alzavano le montagne dell’isola, profilantisi capricciosamente sul plumbeo orizzonte.
Un silenzio profondo regnava, rotto solo di quando in quando dal pigolìo di qualche smugo.
In un quarto d’ora la piccola pianura fu attraversata e la truppa silenziosa raggiunse la zona alberata, che si stendeva lungo le rive dell’isola, scomparendovi dentro.
Wassili, appena si trovò sotto le betulle e sotto i pini che curvavano i loro rami per il peso della neve, s’appressò a Bedoff il quale aveva accesa la pipa.
— Conducimi dove supponi che si trovi il guardacoste, — gli disse.
— Dubito che sia tuttora all’àncora, — rispose il carceriere. — Tutti i giorni, quando il mare non è pessimo, batte le spiagge da Pagovi a Rilliavo e non torna che dopo il tramonto.
Non odo il mare muggire, quindi è segno che ha già preso il largo.
— Non è già nostra intenzione di assalirlo di giorno, — rispose Wassili. — Noi tenteremo un abbordaggio di sorpresa, purchè i suoi uomini non abbiano il tempo di servirsi del cannone.
A me basta conoscere il luogo dove è solito gettare le sue àncore.
— Lo conosco perfettamente, signore. Ci vorrebbe però una scialuppa per giungere fino a quel legno.
— L’abbiamo.
— Allora tutto andrà bene, — rispose Bedoff, soffiando in aria una fitta nuvola di fumo acre.
Passarono attraverso la zona alberata, facendo scappare qualche lupo solitario e qualche volpe, che aveva già rifatta la pelliccia invernale e giunsero ben presto sulle rive dello stretto di Tartaria, in un luogo ove sorgevano delle altissime scogliere, le quali formavano dei minuscoli seni, veri e comodi ancoraggi per le navi di piccola mole e di scarsa pescagione.
— Vedete, signore? — disse Bedoff a Wassili. — Il lupo ha lasciato il covo ed ha ripresa la sua solita scorreria. Non tornerà che dopo il tramonto del sole.
— Non abbiamo fretta, — rispose il vecchio. — Fa accampare i forzati in modo che non si possano scorgere dal mare e non occuparti per ora di me. —
Poi, volgendosi verso Liwitz:
— Tu sai dove abbiamo lasciata la scialuppa.
— Non è lontana più di un tiro di fucile, — rispose il macchinista. — Fra cinque minuti noi saremo di ritorno.
La scialuppa è d’alluminio e non pesa più di un canotto. —
Wassili aspettò che i forzati si fossero accampati sotto le piante e che i suoi uomini si fossero allontanati, poi prese un braccio a Boris e, traendolo verso un tronco d’albero atterrato da qualche tempesta e di dove si scorgeva il mare, gli disse:
— Che cosa pensi di tutto ciò, fratello?
— Io mi domando se sono in preda a qualche strano sogno o se sono stato realmente fucilato, — rispose l’ex-comandante della Pobieda. — È bensì vero che quel Bedoff mi aveva avvertito che uno dei tuoi uomini, già forzato in quel penitenziario, gli aveva detto che tu eri qui giunto per salvarmi, però non vi avevo prestata molta fede. Mi pareva impossibile che tu, che io sapevo sepolto nelle miniere di Algasithal, fossi riuscito a fuggire e giungere qui.
— Io sono sei mesi che sono libero, — disse Wassili. — Sarei venuto qui prima a liberarti, se non mi avesse preoccupato il pensiero di tua figlia. —
Il viso dell’ex-comandante della Pobieda si era spaventosamente alterato.
— Wanda!... La mia Wanda!... — esclamò, con voce strozzata dall’emozione. — Che cosa è avvenuto di lei?
— Lo sapremo quando saremo a Pietroburgo, — rispose Wassili. — Vi sono delle persone che si interessano assiduamente della nostra sorte: un capitano dei cosacchi ed uno dei più ricchi negozianti di Odessa, che il mio amico Ranzoff ha salvati a Pekino nel momento in cui i chinesi, per errore, stavano per decapitarli.
— Ranzoff? Chi è costui? — chiese l’ex-comandante della Pobieda con stupore.
— Credo d’averti raccontato come tempo addietro mi sia occupato della fabbricazione d’una macchina aerea, destinata a surrogare i palloni a gas.
— Mi sembra infatti che tu mi abbia detto qualche cosa su ciò prima del nostro arresto.
— Stavo studiando assiduamente quel progetto, quando un giorno, per un caso fortunato, feci la conoscenza d’un ingegnere polacco a cui comunicai i miei progetti e le mie speranze.
Il mio arresto interruppe i miei studi e le mie esperienze, ma non quelle del generoso polacco, nel cui cervello era sorta l’idea di A mezzanotte l’ultima scialuppa raggiungeva la cannoniera-torpediniera, senza che si avesse perduto un sol uomo. (Cap. VI). strapparmi dalle miniere d’Algasithal mediante quella macchina volante che noi stavamo per costruire.
La compì coll’aiuto di un valente macchinista, quel giovinotto che io ho chiamato Liwitz e che ora comanda il piccolo drappello dei marinai, e mi strappò dalle miserie della miniera, approfittando d’una fortunata combinazione.
— Colla sua macchina volante?
— Sì, Boris, ed è appunto con quella che noi siamo venuti qui per salvare anche te. Il Re dell’Aria, come lo chiamiamo noi, è un uomo da mantenere le sue promesse.
Egli ha giurato di riabilitarci e di vendicarci e non ho alcun dubbio sulle sue promesse. Colla sua macchina tutto può fare, perfino distruggere tutte le navi che, nostro cugino, l’infame barone, lancia orgogliosamente attraverso gli oceani.
Sarà una guerra implacabile che non cesserà finchè non avremo ritolto a quel miserabile tua figlia e non l’avremo ridotto all’ultima miseria. —
Un lampo terribile aveva accesi gli occhi dell’ex-capitano della Pobieda.
— Il Re dell’Aria ci vendicherà? Egli mi ridarà mia figlia? — gridò.
— Tutto noi otterremo da lui, Boris, e dai suoi due amici, che ora agiscono a Pietroburgo per fornirci, al nostro ritorno, delle preziose informazioni su nostro cugino e su Wanda.
— Dov’è quest’uomo straordinario? Fammelo vedere, Wassili! —
Il vecchio alzò gli sguardi e attraverso uno squarcio della foresta additò al fratello un punto luccicante che stava per scomparire fra le nubi gravide di neve.
— Lo vedi? È lassù e veglia su di noi, senza perdere di vista le coste dell’isola. Se egli lo volesse, con una delle sue formidabili bombe ad aria liquida, questa sera farebbe saltare il guardacoste e tutti quelli che lo montano e ci aprirebbe il passo per raggiungerlo.
Noi dobbiamo però pensare a mettere in salvo tutti questi disgraziati che hanno impedita la tua fucilazione e fornire loro i mezzi necessari per raggiungere le coste del Giappone o della China.
— Sarebbe una inumanità lasciarli qui, in balìa di loro stessi, su questa terra che non dà che della neve, — rispose Boris, che fissava intensamente il punto brillante che si dileguava fra le nubi. — È meravigliosa!... Che macchina sarà quella?
— Un vero capolavoro della meccanica, fratello, — rispose Wassili. — Il cavaliere ha vinto, colla sua portentosa scoperta, i palloni, gli albatros, le aquile ed i condor. Nemmeno le agili fregate marine potrebbero gareggiare collo Sparviero.
Sai che in cinque o sei giorni noi potremo, con quella macchina, attraversare tutta la Siberia e calare sulle rive della Neva?
— È impossibile.
— Lo vedrai, Boris.
— Il mondo non sa nulla di quella meravigliosa scoperta?
— Ne parla vagamente, poichè lo Sparviero è stato notato qua e là, in America, in Asia ed anche in Europa, ma nessuno ha mai potuto sapere di che cosa si tratti.
Si è perfino supposto che sia un uccello di dimensioni straordinarie, uno di quei giganteschi volatili che solcavano il cielo prima del diluvio universale.
— E quella macchina ci raccoglierà?
— Non ho che da fare un segnale con un razzo.
— E il Re dell’Aria scenderà fino a noi?
— Ci raccoglierà a fior d’acqua, — rispose Wassili.
— E a Pietroburgo potremo noi sapere che cosa è avvenuto della mia Wanda? — chiese il comandante con estrema emozione.
— Gli uomini che il cavaliere ha salvati, e che è andato appositamente a raccogliere a Odessa, lavorano per me e per te.
— Oh! Potessi un giorno vendicarmi del barone e riprendergli mia figlia!...
— Avremo l’una e l’altra gioia, — disse Wassili. — Rispondo io di tutto.
— Che sia ancora a Pietroburgo Teriosky?
— Su questo ho i miei dubbi. Tu sai che quel miserabile è uno dei più potenti armatori di tutta la Russia e che le sue cinquanta navi solcano tutti i mari del globo.
Noi però lo sapremo dal capitano Rokoff o da Mitenko o dal presidente della gaida degli Hooligani.
— Che cosa c’entra nei nostri affari quel presidente dei depravati e dei ladri più immondi della capitale?
— Non siamo forse stati accusati di far parte di quella società segreta di furfanti?
— È vero: Teriosky ha avuto questo coraggio!
— E gli Hooligani ci presteranno man forte per dimostrare innanzi tutto che noi non siamo mai stati membri di quell’associazione di ladri, perchè nelle loro file non accettano gente onorata, e poi per ricompensarci, in certo qual modo, di ciò che noi abbiamo dovuto soffrire per una tale infame accusa.
— Sarà una lotta senza quartiere che noi intraprenderemo contro quel miserabile, fratello, — disse l’ex-comandante della Pobieda.
— Una lotta terribile, che non dovrà cessare se non colla morte di quel furfante, — rispose Wassili, con voce cupa. — Egli mi pagherà tutti i tormenti e le angosce che io ho passate in fondo alle tetre miniere d’Algasithal. —
Un concerto di acuti latrati interruppe la loro conversazione.
Wassili e Boris si erano alzati.
— I russi? — aveva chiesto il primo.
Anche i forzati, che si erano accampati a breve distanza, sotto i pini e le betulle, rannicchiati gli uni addosso agli altri, attendendo impassibili il momento di abbordare il guardacoste, erano balzati su, colle armi in pugno, osservando attentamente la boscaglia.
— Non vi mostrate, — disse Bedoff. — Sono Ainos che pescano coi loro cani.
Quei poveri diavoli non ci daranno alcun fastidio, anzi potremo ottenere da loro una buona colazione.
Comandante, signor Wassili, se non vi dispiace seguitemi, così potremo avere forse delle preziose informazioni sul guardacoste.
Che gli altri non si muovano; è meglio che quei selvaggi non li vedano. —
Presero i loro fucili, quantunque non vi fosse nulla da temere da parte di quegli isolani, che sono sempre stati assolutamente innocui, e si avviarono verso la spiaggia, non senza qualche precauzione.
Fra le rocce, che coronavano la sponda, si erano radunati dieci o dodici individui dalla tinta giallo-brunastra, gli occhi obliqui come i cinesi ed i giapponesi, con lunghe barbe incolte, vestiti con pelli di foca e di orso bianco, luridi e puzzolenti come bestie selvagge.
Erano indigeni dell’isola, strani tipi che pare siano gli antenati dei moderni giapponesi e che hanno conservata pura la loro poco invidiabile razza, attraverso i secoli.
Erano accompagnati da tre o quattro dozzine di grossi cani, dal pelo lunghissimo e colla testa da volpe.
Vedendo comparire i tre stranieri armati di fucili, brandirono le loro picche, ma un gesto amichevole di Bedoff li tranquillizzò subito.
— La pesca è libera su queste coste, — aggiunse subito il carceriere.
— Noi non vi inquieteremo; anzi, se vorrete, compreremo il frutto della vostra caccia.
Desidero solo scambiare due parole col vostro capo. —
Un vecchio Ainos, che stava misurando in quel momento la profondità dell’acqua coll’asta della sua picca, barbuto fino quasi agli occhi, dopo una breve esitazione, si avanzò verso Bedoff, camminando curvo in segno di rispetto.
— Come vedi dalla mia divisa, — gli disse Bedoff, che parlava correntemente la vecchia lingua giapponese, — sono il guardiano d’un penitenziario.
Io sono qui venuto per fare una comunicazione a quella bestia nera che fuma e che ogni sera viene qui a dormire.
L’hai veduta tu?
— Sì, — rispose il capo dei pescatori. — È uscita al largo prima che spuntasse il sole.
— È andata verso il nord o verso il sud?
— Verso il nord.
— Non ho da chiederti altro; continua pure la tua pesca. —
I cani erano già entrati nell’acqua latrando festosamente e nuotando come lontre.
Abilmente istruiti in quello strano genere di pesca, s’avanzavano, formando due colonne separate, mentre i loro padroni se ne stavano indolentemente sdraiati sulle roccie, aspettando il momento opportuno per entrare in azione.
Gli isolani delle Sakaline al pari dei fuegini della Terra del Fuoco, non conoscono l’uso delle reti o, se anche non lo ignorano, non se ne servono affatto.
A loro bastono i cani, e i risultati che ottengono sono così meravigliosi da far stupire i più abili pescatori russi. Si capisce che sono animali d’una razza speciale, che non vivono altro che di pesce, essendo la Sakaline scarsissima di selvaggina.
Il modo di agire di quei pescatori a quattro gambe è curiosissimo.
A un primo segnale dato dai loro padroni si slanciano in acqua, nuotando in linea retta ed in fila, formando due colonne separate.
A un secondo segnale, che consiste in un grido acuto lanciato da tutti gli Ainos che si trovano presenti alla pesca, i cani della colonna di destra convergono verso la sinistra e quelli di sinistra convergono a destra fino a che i capo-fila si sono raggiunti.
Dato allora un terzo segnale, i cani ritornano rapidamente verso la riva, descrivendo un semicerchio che va sempre più restringendosi. Quando stanno per prendere terra è facile scorgere nell’acqua, che è quasi sempre poco profonda intorno a quell’isola, una grande quantità di pesci che le schiere dei cani nuotanti hanno spaventati e che, spinti da essi, fuggono smarriti verso la spiaggia.
I cani, abituati a quella manovra, non hanno altro da fare che di tuffarsi e, rapidi come freccie, ciascuno afferra la sua preda che depone ai piedi del padrone.
La ricompensa che spetta ai bravi animali consiste nella testa del pesce catturato, che si affrettano a divorare avidamente, essendo sempre affamati.
Bedoff, Wassili e l’ex-comandante della Pobieda attesero la prima pescata, come sempre abbondantissima, ne acquistarono una gran parte con qualche manata di kopek, avendo commesso l’imprudenza di lasciare il penitenziario senza essersi provvisti di viveri, e fecero ritorno all’accampamento, carichi come muli, mentre gli Ainos continuavano le loro battute lungo le coste della piccola baia.
Durante la giornata, sempre nevosa e ventosa, due volte il punto scintillante ricomparve fra le nubi, non avvertito che da Wassili, da Boris e dagli uomini della scialuppa.
La macchina volante incrociava sopra la costa, spingendosi talora verso terra e tal’altra al largo, in attesa del segnale per scendere e raccogliere la scialuppa.
Alla sera, qualche ora dopo il tramonto del sole, la colonna si metteva in marcia per sorprendere il guardacoste, il quale doveva già essere ritornato al suo solito ancoraggio.
I marinai portavano la scialuppa, la quale poteva essere necessaria per montare più facilmente all’arrembaggio.
Avevano appena attraversata la foresta di pini e di betulle, quando Bedoff, che apriva sempre la marcia, conoscendo meglio d’ogni altro i luoghi, si fermò, dicendo:
— Eccolo!
— Chi? — chiesero ad una voce Wassili e Boris.
— Il guardacoste. Non è ancora fermo e sta eseguendo non so quale manovra misteriosa intorno alle scogliere.
— Gettatevi tutti a terra e non vi muovete finché non avrete ricevuto un mio ordine, — disse Wassili ai forzati.
Tre punti brillanti scintillavano sul mare, al di là della linea formata dalle scogliere che servivano di barriera alle onde dello stretto di Tartaria: uno bianco in alto e più sotto uno rosso ed uno verde.
— È proprio lui, — disse Wassili. — Che cosa credi che faccia, fratello?
— Esplora, — rispose il comandante. — Si direbbe che cerca qualche cosa.
— Ora comprendo, — disse Wassili. — Qualcuno deve aver avvertito l’equipaggio che ieri sera una scialuppa è giunta qui: la mia.
— E la cerca. — aggiunse Boris.
— Che cosa mi consigli di fare? Di assalirlo subito? —
Il comandante osservò le scogliere, le quali spiccavano nettamente sul mare tenebroso, essendo tutte coperte di neve, poi chiese:
— Quanti uomini può portare la tua scialuppa?
— Una dozzina.
— Imbarca i migliori e fa prendere loro posizione fra gli scogli. Sarà tanto di guadagnato.
— Non ci scorgeranno?
— Le rocce sono alte assai più della nave. Prenderò io il comando dell’imbarcazione.
— Non saranno pochi dodici?
— Per un attacco di sorpresa basteranno, e poi non vi sono gli altri pronti ad appoggiarci con un buon fuoco di fucileria? L’equipaggio di quella nave non avrà il tempo di scaricare più di una volta il suo cannone.
Orsù, spicciamoci: i cosacchi potrebbero svegliarsi e prenderci alle spalle.
— È vero, — rispose Wassili. — Mi ero scordato di quegli ubbriaconi.
Ritornò indietro e fece avanzare dodici uomini, fra i quali erano i sei marinai che portavano la scialuppa.
Il comandante li passò rapidamente in rivista, poi fece gettare in acqua l’imbarcazione, mentre la nave continuava le sue esplorazioni, passando e ripassando dinanzi alle scogliere.
— Che cosa devo fare io? — chiese Wassili a Boris, mentre i dodici uomini s’imbarcavano, senza produrre il menomo rumore.
— Cerca di far guadagnare agli altri la scogliera. L’acqua è bassa qui e un bagno, anche gelato, non farà male a questi galeotti, abituati ormai ai grandi freddi.
Forse non avremo bisogno del vostro aiuto, poiché noi tenteremo un colpo di sorpresa. Addio, fratello. —
Balzò leggermente nella scialuppa, prendendo la barra del timone, mentre la misteriosa macchina, messa in movimento da Liwitz, ricominciava a funzionare, senza produrre rumore alcuno.
— Adagio, — aveva detto Boris al macchinista. — Le scogliere che qui sorgono sono tutte pericolose. —
In quel momento i tre punti luminosi, che spiccavano vivamente sul fondo oscurissimo del cielo, coperto sempre di nuvoloni gravidi di neve, avevano cambiata posizione, muovendo lentamente da mezzodì a settentrione.
Il guardacoste, a quanto pareva, non si era ancora deciso ad affondare le àncore e continuava a perlustrare, con una ostinazione che faceva andare in bestia l’equipaggio della scialuppa, lo spazio d’acqua compreso fra la scogliera e la lingua di terra che proteggeva la piccola baia dall’impeto dell’oceano.
Qualche grave motivo senza dubbio spingeva il comandante di quella nave a percorrere quello spazio così limitato, mentre vi erano tanti altri seni da guardare. Qualcuno doveva di certo averlo avvertito della comparsa della misteriosa scialuppa giunta dal largo.
— Stiamo in guardia, — aveva mormorato il comandante, il quale non perdeva di vista, nemmeno per un momento, i tre punti luminosi. — Se lancia un fascio di luce elettrica potrebbe scoprirci e allora dovremo fare i conti col suo cannone. —
La scialuppa continuava intanto la sua marcia, a piccola velocità, verso la grande scogliera. Tutti gli uomini avevano i fucili in mano, aspettandosi, da un momento all’altro, un allarme.
Dopo una brevissima sosta in un minuscolo seno, aveva ripresa la marcia in avanti per girare la scogliera e sorprendere il guardacoste verso la poppa.
La risacca era piuttosto forte in quel luogo e scuoteva vivamente la leggiera imbarcazione, ora alzandola ed ora precipitandola violentemente negli avvallamenti.
Le ondate che giungevano dal largo, si precipitavano entro la baia con un rombo assordante e monotono, formando un’ampia fascia di spuma la quale spiccava vivamente fra quella profonda oscurità.
I tre punti luminosi avevano virato ancora di bordo e pareva che in quel momento si dirigessero verso l’uscita della baia, dove s’alzava, in mezzo al passaggio, un’altissima roccia tagliata a picco sul mare.
Il rosso ed il verde apparivano però così bassi, che pareva sfiorassero le onde. Anche il fanale bianco, che prima sembrava tanto alto, si era considerevolmente abbassato.
— Signor Boris, — disse ad un tratto Liwitz, che si era portato a prora per meglio osservare le mosse della nave. — Noi abbiamo preso un grosso granchio.
— Che cosa vuoi dire? — chiese il comandante.
— Che non è più il guardacoste di ieri sera quello che abbiamo dinanzi. È una cannoniera-torpediniera, signore.
— L’avevo sospettato, — rispose Boris. — I fanali erano troppo bassi.
— Ed il guardacoste? Che esplori al largo, signore? Mi pare che la nostra impresa cominci ad imbrogliarsi.
— E perchè, amico?
— Se giungesse in sul più bello dell’abbordaggio?
— Lo cannoneggeremo col pezzo della cannoniera-torpediniera: ecco tutto.
— Che diavolo d’uomo, — mormorò Liwitz. — Vale il signor Wassili.
— Alto! — disse in quel momento un marinaio di punta. — Vi sono scoglietti dappertutto dinanzi a noi e la sponda scende a picco.
— E la risacca è forte, — aggiunse un altro.
Boris si alzò per esaminare la scogliera e s’accorse subito che i marinai della scialuppa avevano visto bene.
Le onde che giungevano dal largo s’infrangevano con furore sopra una moltitudine di scoglietti aguzzi come le punte d’un pettine, balzando e rimbalzando con formidabili muggiti.
Spingere la scialuppa in mezzo a quegli ostacoli era come esporsi ad una perdita quasi certa.
— Bisogna girare la scogliera, — mormorò Boris. — Purchè non accendano la lampada elettrica, tutto andrà bene. —
Si curvò verso Liwitz che stava presso la misteriosa macchina regolando delle valvole.
— Accelera, — gli disse. — Moveremo diritti sulla cannoniera-torpediniera, che mi pare si sia finalmente decisa a gettare le àncore. —
Poi, volgendosi verso i marinai ed i forzati, aggiunse:
— Pronti: si abborda!
— Siamo pronti, — risposero tutti, stringendo i fucili.
Sotto i poderosi colpi dell’elica, la scialuppa avanzava rapidissima, girando la scogliera.
Il fragore prodotto dalle onde rompentisi sul fondo della baia, confondeva i morsi dell’elica, mentre la profonda oscurità, resa più fitta dalle masse di vapore che il vento polare spingeva verso il sud impetuosamente, copriva la scialuppa, rendendola invisibile agli uomini di guardia della cannoniera.
A centocinquanta passi dalla piccola nave, che si era ormai ancorata al di là della scogliera, l’ex-comandante della Pobieda tornò ad alzarsi, stringendo nella sinistra una grossa rivoltella.
— Ci siamo, amici, — sussurrò. — Preparatevi a saltare sul ponte!
La baleniera, abilmente guidata, abbordò la cannoniera-torpediniera a poppa, dalla parte ove stava piazzato il cannone sulla bassa piattaforma, ed in un lampo marinai e forzati irruppero in coperta, puntando i fucili e gridando a squarciagola:
— Fermi tutti o facciamo fuoco! —