Il Re dell'Aria/Parte prima/17. Il ritorno dello Sparviero
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | Parte prima - 16. I misteri dell'Inaccessibile | Parte seconda | ► |
CAPITOLO XVII.
Il ritorno dello “Sparviero„
Raggiungere la vôlta non era cosa molto difficile, essendovi nella vasta sala molti divani, sedie, tavolini e ammassi di macerie che si potevano riunire, sia pure con un lavoro lungo e faticoso.
I tre uomini, incoraggiati dalla speranza di poter raggiungere la sommità del cono e di poterlo ridiscendere per mezzo delle scale di corda che avevano scoperte, si misero febbrilmente all’opera.
Il cosacco che, come abbiamo detto, era dotato d’una forza straordinaria, in meno di mezz’ora ammonticchiò, sopra le macerie cadute dal tubo, tutti i divani, aiutato validamente da Ursoff, il quale non era meno robusto d’un orso nero delle foreste russe.
La piramide fu innalzata fino quasi alla vôlta, poi i tre uomini, uno ad uno, le diedero la scalata, raggiungendo felicemente i primi gradini della scala a chiocciola, i quali non avevano troppo sofferto malgrado la violenza dell’esplosione.
Un triplice grido di gioia sfuggì ai due russi ed al cosacco, dopo che si furono innalzati una decina di metri.
Avevano scorto in alto, un occhio luminoso, che non appariva più vasto del disco della luna, ma che annunciava loro come quel pozzo, che pareva aperto dalla mano dell’uomo, a prezzo di chissà quali fatiche e di quanti anni di lavoro, metteva sulla cima dell’enorme scoglio.
— Ciò è meraviglioso! — esclamò l’ingegnere, il quale procedeva cauto, essendo i gradini molto danneggiati. — Chi può aver compiuto una simile opera?
— Che non sia invece la gola di sfogo di qualche antico vulcano? — chiese Rokoff.
— Può anche darsi, ma gli uomini l’hanno rivestita d’una specie di cemento e fornita d’una scala abbastanza comoda.
— Di lavoro recente?
— No, antichissimo, — rispose l’ingegnere, — compiuto forse dai corsari che fra il 1600 ed il 1700 scorrazzavano in gran numero l’Atlantico.
Ho udito narrare anzi che anche a Picos, in uno scoglio, perduto pure su quest’oceano, vennero scoperte delle caverne meravigliose e anche dei tesori, nascosti forse da antichi scorridori o schiumatori, come vi piace meglio chiamarli.
— Come il barone di Teriosky può aver saputo ciò?
— Chissà!... Forse da qualcuno dei suoi marinai.
— Andiamo avanti, signore. Sospiro il momento di raggiungere la cima dello scoglio.
— Ed io non meno di voi, Rokoff, — rispose l’ingegnere.
Cinquanta metri più in alto trovarono quattro gallerie, che non pareva fossero state aperte dalla mano dell’uomo e che si addentravano nel cuore dello scoglio.
I due russi ed il cosacco però, troppo premurosi di rivedere la luce, non perdettero tempo ad esplorarle, quantunque avessero scorto delle spesse tende destinate forse a riparare quegli androni dai colpi di vento scendenti da quella specie di gola durante le notti tempestose.
— In alto!... In alto!... — gridava il cosacco, salendo i gradini a quattro a quattro, con una foga indemoniata.
Il foro superiore si allargava, proiettando nell’interno del pozzo una luce abbastanza intensa. I tre uomini continuavano a salire, ansando e sudando, senza occuparsi di altre gallerie che di quando in quando s’aprivano su quella interminabile gradinata.
Quell’ascensione, faticosissima, specialmente per l’ingegnere, il quale non era più giovane, durò una buona mezz’ora, poi tutti tre sbucarono su una vastissima piattaforma, che occupava tutta la sommità dello scoglio e dove si vedevano ancor diritte delle vecchie trincee armate di antichi cannoni di bronzo e lunghissimi.
Erano sulla cima dell’Inaccessibile!
Uno splendido panorama si offriva dinanzi ai loro sguardi.
L’oceano sconfinato s’apriva intorno all’immensa scogliera, sempre tumultuante. Tristan si profilava verso il nord, ancora quasi avvolta dalla nebbia; Nigtingale a ponente coi suoi ammassi di rocce brulle, prive di qualsiasi traccia di vegetazione.
Fregate e albatros superbi volteggiavano intorno all’alto scoglio, descrivendo volate fulminee per poi precipitarsi, quasi come corpi morti, verso l’oceano.
— Dunque, ingegnere? — chiese Rokoff, il quale respirava a pieni polmoni l’aria libera dell’Atlantico, tenendosi curvo innanzi per resistere alle raffiche furiose che lo investivano da tutte le parti.
— Io mi domando se sogno o se sono desto, — rispose Wassili.
— Ed anch’io, signore, — disse Ursoff. — Ecco un Inaccessibile diventato accessibile alle nostre gambe.
— Mercè l’opera meravigliosa di chissà quali corsari, poichè questo è stato un lavoro compiuto dalla mano umana. Tuttavia ciò non mi stupisce, perchè, come vi ho detto, una volta i pirati abbondavano nell’Oceano Atlantico, non meno dei famosi filibustieri che si erano invece annidati nelle isole del golfo del Messico e che...
— E che? — chiese Rokoff che lo ascoltava con vivo interesse.
L’ingegnere era rimasto muto. Curvo innanzi, con ambe le mani tese al di sopra delle sopracciglia per ripararsi gli occhi dai riflessi accecanti dell’oceano percosso dai primi raggi del sole, il quale si era aperto un varco attraverso le sempre tempestose nubi, guardava attentamente in direzione di Tristan.
Un punto oscuro era comparso al di sopra della nebbia che avvolgeva l’isola e pareva che si dirigesse verso l’Inaccessibile, ingrandendo rapidamente.
— È lui!... — esclamò ad un tratto, rialzandosi violentemente.
— Chi, lui? — chiesero ad una voce il cosacco ed il timoniere.
— Lo Sparviero!...
— Sognate, signore?
— Viene da Tristan e si dirige verso di noi. Signor Rokoff, è carico il vostro mauser?
— Ha otto cartucce nel serbatoio.
— Fate fuoco subito, senza risparmio di munizioni. Là, guardatelo!... Si avanza con velocità fulminea!...
— Per le steppe del Don!... — urlò il cosacco. — È proprio lo Sparviero. Questo si chiama avere una fortuna indiavolata!
Alzò il fucile che teneva fra le mani e sparò, uno dietro l’altro, otto colpi, precipitosamente.
Dallo Sparviero risposero con tre colpi pure sparati frettolosamente. La macchina volante si era innalzata per raggiungere la cima dello scoglio. Tutte le sue eliche giravano furiosamente, le orizzontali specialmente. .... sparavano contemporaneamente sulla macchina volante. (Parte II - Cap. III).
Si vedeva ormai distintamente Ranzoff alla barra del timone.
Un grido altissimo partì dallo Sparviero:
— Amici!... Siamo noi!... Cessate il fuoco!... —
Rokoff continuava a sparare come se fosse impazzito.
La macchina volante aveva raggiunto l’altezza dell’Inaccessibile. Descrisse un gran giro circolare e si posò sulla vasta piattaforma.
Ranzoff, Fedoro e Boris erano balzati a terra, precipitandosi fra le braccia del cosacco e dell’ingegnere, mentre i cinque marinai circondavano Ursoff.
— Vivi!... Sulla cima di questa montagna inaccessibile!... — aveva esclamato il capitano dello Sparviero. — In seguito a quale miracolo vi troviamo qui, mentre vi avevamo veduti precipitare attraverso le rocce?
— Oh che!... — gridò Rokoff. — Credevate che noi avessimo le ossa di cartapesta? Siamo ancora uomini solidi, è vero, signor Wassili?
— Così pare, — rispose l’ingegnere, ridendo.
— Avete fatto colazione? — chiese Ranzoff.
— Non abbiamo nel ventre nemmeno un biscotto, nè una tazza di latte, — rispose il cosacco. — Le capre sono scappate dall’Inaccessibile, a quanto pare, poichè non ne abbiamo trovata nemmeno una.
— Liwitz, la colazione! — gridò il capitano dello Sparviero. — Mangiando si narrano meglio le avventure.
Due marinai risalirono sulla macchina volante e ritornarono subito con due vassoi colmi di tazze di the e di biscotti.
— Mangiate e narrate, — disse Boris. — Se voi siete curiosi di conoscere le nostre avventure, noi lo siamo non meno.
A voi prima l’onore di aprire il fuoco. —
Fu Wassili che raccontò quanto era loro toccato, dopo il terribile ma anche fortunato capitombolo.
Ranzoff, Boris e Fedoro lo lasciarono dire, senza interromperlo, poi quand’ebbe finito si guardarono l’un l’altro sorridendo:
— Che cosa vi avevo detto io? — chiese il primo. — L’informazione era esattissima.
— Quale? — chiese Wassili.
— Della lettera che noi abbiamo prima strappata all’intendente e poi al marinaio del barone che noi, coll’aiuto del governatore, abbiamo scovato a Tristan.
— Non vi capisco, — disse l’ingegnere.
— Lo credo, — rispose il capitano dello Sparviero, sorridendo. — Ora ascoltate noi, miei cari amici. Abbiamo fatta una vera corsa disastrosa attraverso l’Atlantico, tanto disastrosa che tutti noi siamo stupiti di essere ancora in vita.
Sbattuti dai venti, senza alcuna direzione poichè, come ve ne sarete accorti anche voi, nell’urto il timone si era spezzato, abbiamo lottato due giorni e due notti colla morte che ci minacciava ad ogni istante e oppressi dall’angoscia, poichè noi ignoravamo se eravate riusciti a salvarvi.
Soltanto ieri sera, essendosi un po’ calmata la burrasca al largo, potemmo montare un altro timone e far ritorno in questi paraggi.
Come le ali e le eliche abbiano potuto resistere a tanta furia di vento io non ve lo saprei dire. Delle cadute sul mare, in mezzo ai cavalloni, ne abbiamo fatte però e non poche, è vero signor Boris?
— Io ero ormai rassegnato a finire in fondo all’Atlantico, — rispose l’ex-comandante della Pobieda.
— Ma voi venivate ora da Tristan, — disse Rokoff.
— Ed è stata una vera fortuna che una raffica ci cacciasse verso quell’isola, — rispose Ranzoff, — a spaventare quei bravi abitanti, i quali da prima avevano creduto, in buona fede, di aver da fare con uno spaventoso uccellaccio.
— Avete approdato a Tristan!... — esclamò l’ingegnere.
— E non siamo dispiacenti di aver fatto la conoscenza di quei coloni, poichè ci hanno forniti delle notizie preziose.
— Sul barone, è vero?
— Sì, mio caro Wassili. Il furfante aveva preso appunto dimora su questo scoglio.
— Io ed il signor Rokoff ne eravamo sicurissimi.
— Ma ora quel miserabile ci è scappato di mano, — disse Boris, facendo un gesto d’ira. — Ci hanno narrato d’averlo veduto fuggire la notte scorsa a bordo d’un piccolo piroscafo, che potrebbe essere benissimo una torpediniera d’altomare, stando alla descrizione che me ne hanno fatta.
— Dopo di averci bombardati, — disse Rokoff.
— Infatti gli isolani ci hanno narrato che quella nave, mentre si allontanava dall’Inaccessibile, sparava delle cannonate.
— Contro di noi, — disse Wassili. — Ma da quando si trovava qui quel pazzo?
— Era giunto a Tristano da circa tre mesi, — disse Ranzoff, — su un grosso bastimento montato da un numero infinito di marinai e di operai, prendendo subito possesso di questo scoglio.
Gl’isolani ci hanno raccontato che per tre o quattro settimane udirono un continuo tuonare di mine e videro molte persone salire quassù, mediante scale di ferro adattate contro le pareti e piantate sui cornicioni, poi un giorno la nave scomparve.
Teriosky doveva essersi installato comodamente qui, poiché di quando in quando i pescatori scorgevano delle colonne di fumo alzarsi sulla vetta e brillare anche dei fuochi.
— E non doveva trovarsi male su questo scoglio, capitano, — disse Rokoff. — Abbiamo veduto nella grande sala dei bellissimi mobili di molto valore e perfino un pianoforte che doveva servire alla signorina.
— È vero, — confermò Wassili. — Peccato che le ultime mine abbiano fracassato tutto.
— Ed ora dove sarà andato a rifugiarsi quel pazzo? — chiese Fedoro, che fino allora si era mantenuto silenzioso.
— Non hanno saputo dirvi nulla gli isolani? — chiese Wassili.
— Assolutamente nulla, — rispose Boris, con sorda ira. — Non gli daremo però quartiere, nè lasceremo l’Atlantico prima di averlo scovato, è vero, signor Ranzoff?
— Io sono tutto a vostra disposizione, signori, — rispose il capitano dello Sparviero. — Credo anzi che faremo bene a prendere subito il largo e dare la caccia a quella torpediniera.
Ha su di noi ventiquattro ore di vantaggio, ma non può competere con noi in fatto di velocità.
Quale direzione avrà presa? Ecco il grande problema!
Si è diretta verso l’Africa o l’America? È risalita verso il nord od è discesa verso il sud? Quell’uomo è capace di andarsi a trovare un nuovo rifugio fra le isole dell’Antartico.
Ormai da un tale uomo si può aspettare qualunque pazzia.
— Io sono certo che quel furfante è andato a trovarsi qualche altro rifugio in qualche nuova isola, — disse Boris, — e che avrà probabilmente altre caverne a lui note, poiché si dice che la sua prima fortuna l’abbia fatta su quest’oceano, esplorando gli antichi asili dei corsari, nei quali avrebbe trovato dei tesori favolosi. Hai udito parlare anche tu di questo, Wassili?
— Sì, anzi io conosco una istoria curiosissima che vi narrerò più tardi. Io so che il barone era da giovane un valente uomo di mare e che navigò moltissimi anni accumulando una fortuna immensa.
Suo padre non gli aveva lasciate che poche terre, quasi incolte, nella Lituania, che tutte insieme non valevano nemmeno la macchina d’un vascello a vapore.
Oggi possiede più di cinquanta navi e certo deve averle acquistate coi tesori rinvenuti in chissà quali isole dell’Atlantico.
— Dite un po’, comandante, — disse Ranzoff, rivolgendosi verso l’ex-capitano della Pobieda. — Vi sono molte isole disabitate in questo oceano?
— Non molte, se non si contano quelle che esistono più al sud, nell’oceano australe. Non sono che cinque o sei: S. Matteo, Ascensione, quasi deserta, quella della Trinità e Martino de Vaz, Los Picos e Le Rocos presso Fernando de Noronha.
Che io sappia non ne sorgono altre in questi mari.
— Tutte queste isole un tempo servivano d’asilo a dei corsari?
— Sì, signor Ranzoff.
— Verso quale si sarà diretto il barone? Voi escludete che egli possa aver fatto ritorno verso i paesi civili.
— Io non credo che sia scappato in America o in Africa.
— E nemmeno io, — disse Wassili.
— E come avrà fatto ad accorgersi che noi gli diamo la caccia? — chiese Fedoro.
— Se lo sarà immaginato, scorgendo la nostra macchina volante aggirarsi in questi paraggi, innanzi tutto, — disse Ranzoff.
— E poi non gli ho ucciso un marinaio? — aggiunse Rokoff. — È probabile che ci abbiano spiati quando occupavamo quella catapecchia.
— Orsù, — disse Ranzoff. — Il Consiglio di Guerra è finito e non dobbiamo lasciare a quella nave troppo tempo.
Batteremo l’Atlantico in tutte le direzioni e, se non riusciremo a raggiungerla, daremo battaglia a tutte le navi che portano i colori del barone e non ci fermeremo finchè non si deciderà a farsi vivo ed a restituirci Wanda.
A bordo, amici: non abbiamo più nulla da fare qui. Abbiamo anche il vento in favore e fileremo meglio d’un albatros. —
Si imbarcarono uno dopo l’altro e lo Sparviero si mise subito ad agitare le sue immense ali, mentre le eliche mordevano l’aria vertiginosamente.
Presa la spinta, la macchina volante s’innalzò, per poi abbassarsi subito verso l’oceano.
— Ah!... Ecco, di dove sono discesi!... — esclamò in quel momento Rokoff, il quale stava curvo sul parapetto di poppa. — Vedete, signor Wassili?... Scale di corda e scale di ferro!
Lungo la parete di levante dell’Inaccessibile, si scorgevano distintamente delle lunghissime scale di ferro, le quali congiungevano i diversi cornicioni, riparate sopra e dai lati da robuste reti di filo di ferro per impedire delle spaventevoli cadute.
Oltre a quelle, ve n’erano pure parecchie di corda le quali pendevano da alcuni fori i quali dovevano senza dubbio aver servito per dare luce alle gallerie superiori.
— Ecco un capriccio da milionario, — disse l’ingegnere. — Il nostro amabile cugino poteva però permetterselo mercè le famose pietre del vecchio Jones.
— Quali pietre? — chiesero Rokoff e Fedoro i quali stavano presso.
— Ah! È vero! Non vi ho ancora narrato come il barone sia diventato immensamente ricco, mentre suo padre era morto quasi in miseria.
— E ce l’avevate promessa quella storia, — disse il cosacco.
— Anzi sono due, — aggiunse l’ingegnere. — Come vi ho detto, il barone ha fatto la sua fortuna sull’Atlantico e non certo trafficando in zuccheri o caffè.
Io ho udito narrare la prima storia da un vecchio servitore di mio padre che era passato ai servigi del barone.
Non so se in Africa o in America, il barone, che allora comandava un piccolo brigantino, l’unica sua risorsa, aveva incontrato un vecchio capitano di mare ritiratosi ormai a terra a godersi il frutto dei suoi risparmi. La storia fu narrata da mio cugino, una sera in cui era ubbriaco, ad alcuni suoi amici e udita perfettamente dal vecchio servitore. Mi ricordo parola per parola quanto mi fu riferito, tanto mi aveva interessato.
Quel lupo di mare si chiamava Jones e, non so come nè per quale motivo, aveva stretto amicizia con mio cugino.
Una sera, dopo forse un’abbondante bevuta, fece vedere al barone molte curiosità raccolte qua e là, nei suoi lunghi viaggi attraverso al mondo, e, fra quelle, alcune grosse formazioni cristalline.
Mio cugino che non era uno stupido...
— Ce ne ha date le prove, — interruppe Rokoff.
— .... S’accorse subito che non erano quelli, cristalli di rocca come li supponeva il vecchio marinaio, bensì dei diamanti d’una purezza unica. Si offerse subito di acquistarli, ma Jones, messo in sospetto, si dice che rifiutasse e che poi, messo alle strette o ben ubbriacato, confessasse di averli trovati in un’isola deserta dell’Atlantico.
Quale era? Nessuno lo seppe mai. Solo vi posso dire che quando Teriosky tornò a Riga era ricco a milioni.
— Per le steppe del Don!... — esclamò Rokoff. — È proprio vero che in questo mondaccio la fortuna tocca sempre ai furfanti.
— E questo non è tutto, — rispose Wassili. — Si dice che un’altra enorme fortuna toccasse al barone, diventando raccoglitore accanito di tutti i tesori sperduti nell’Atlantico.
Avete mai udito parlare della Invincibile Armada che Filippo II re di Spagna aveva inviata verso le coste inglesi per punire quei «diavoli in gonnella» come egli chiamava la Regina Elisabetta?
— Sì, vagamente, — risposero Fedoro ed il cosacco.
— Una lunga serie di spaventevoli burrasche, disperse quella magnifica squadra, la quale aveva subìto già delle batoste da parte dei due ammiragli inglesi Hawkins e Drake.
Una delle navi ammiraglie, la Fiorenza, comandata da Gaspare de Suza, alle cui dipendenze era una divisione di cinquanta navi, cercò rifugio nella baia di Tobermary nell’isola di Mull, presso la costa occidentale scozzese.
Fu incuria dell’equipaggio o malanimo degli abitanti, i quali odiavano profondamente gli spagnoli pel solo motivo che erano cattolici? O fu piuttosto una misura ordinata segretamente dal governo scozzese, il quale forse aveva paura di veder compromessa la sua neutralità e temeva le vendette della terribile Elisabetta, che aveva già fatta decapitare la sventurata Maria Stuarda?
Le ricerche storiche le più accurate non hanno ancora chiarito il mistero, ma comunque fosse, sta il fatto che, una notte dell’agosto del 1588, la Santa Barbara dell’ammiraglia spagnuola esplodeva inattesamente e la splendida e formidabile nave, che portava centinaia di cannoni, affondava subito insieme a tutti i disgraziati che la montavano.
La Fiorenza portava un grosso carico d’oro e d’argento, il tesoro di guerra della Grande Armada ed il tesoro personale del ricchissimo Don Gaspare de Suza il quale non mangiava che in vasellame d’argento e non beveva che in calici d’oro tempestati di pietre preziose.
— Un marinaio chic!... — esclamò Rokoff.
— Poi, — proseguì, — era stato imbarcato anche il tesoro religioso, affidato a sette Domenicani che ogni giorno celebravano dall’alto dei ponti la Messa.
Il mare s’incaricò di confermare le ricchezze favolose che racchiudeva nella sua stiva il galeone, gettando di quando in quando, sulle spiagge circostanti, dei doppioni, dei piatti d’argento, delle spade finamente cesellate, delle corazze di gran pregio e perfino dei cannoni e delle bombarde.
In varie riprese, attraverso il secolo XVII ed il XVIII, furono fatti molti tentativi per ricuperare i tesori della Fiorenza, e sempre senza successo. Ora pare che il mio signor cugino sia stato più fortunato degli altri e che, ai diamanti raccolti sull’isola misteriosa di Jones, abbia unito anche il tesoro di guerra dell’Ammiraglia Spagnuola.
Come? In qual modo? Ecco quello che non si sa. Il fatto è che oggi Teriosky, coi tesori ricuperati nell’Atlantico, è il più potente e il più ricco armatore della Russia.
— Briccone fortunato! — borbottò Rokoff. — Penserà il signor Ranzoff a ridurlo in miseria, se non ci farà conoscere il suo indirizzo e non restituirà al signor Boris la signorina Wanda. —
Mentre chiacchieravano, lo Sparviero, dopo d’aver rasentato Tristano, si era lanciato attraverso l’Oceano Atlantico, filando con rapidità vertiginosa verso levante.
Ranzoff voleva prima ben assicurarsi se la torpediniera del barone si era diretta verso le coste occidentali dell’Africa.
Quella corsa, veramente fantastica, durò due giorni, senza successo alcuno, poichè non scorsero che due velieri che pareva si dirigessero verso la Città del Capo.
Avvistate le coste dei Granchi Namagna, senza aver veduto nessuna colonna di fumo alzarsi sui purissimi orizzonti, lo Sparviero virò di bordo e riprese la sua fulminea corsa verso ponente, per visitare le coste dell’America del Sud, almeno fino all’altezza del capo S. Rocco, il più avanzato del Brasile e che si protende verso le isole Rocas e Fernando de Noronha.
Fu una seconda corsa non meno furiosa della prima e non più fortunata. Ranzoff ed i suoi compagni scorsero in lontananza molti velieri e molte navi a vapore, ma nessuna che somigliasse ad una torpediniera d’alto mare. Ritornò lo Sparviero verso l’Atlantico centrale, tagliando due volte l’Equatore ed il risultato fu ancora lo stesso.
Dove erasi dunque rifugiato il barone? Disperando di poter trovare un’altra isola che gli servisse di rifugio, si era forse deciso a cercare qualche nascondiglio in Europa o nell’America del Nord? In quale stato? Chi poteva saperlo?
— Amici, — disse una sera il capitano Ranzoff, dopo la cena, mentre lo Sparviero si trovava in vista delle Azzorre. — La nostra crociera, che dura ben da sette giorni, è finita.
Non sprechiamo inutilmente il nostro tempo in un inseguimento vano. È l’ora di agire e di far comprendere al barone che noi siamo più potenti di tutta la sua flotta.
Forse ci metteremo in guerra col governo russo, ma che cosa importa a noi? Ci mandi contro le sue corazzate o i suoi incrociatori e vedremo chi avrà la peggio. Io sono il Re dell’Aria e, finché non ne sorgerà un altro, l’impero dell’aria sarà sempre nostro.
Dove potremo incontrare le navi del barone?
— Fra Terranuova ed i porti dell’Europa centrale, — rispose Boris.
— Benissimo, — disse Ranzoff. — Andiamo a perlustrare le coste di Terranuova. —