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214 Capitolo XVII.


tardi. Io so che il barone era da giovane un valente uomo di mare e che navigò moltissimi anni accumulando una fortuna immensa.

Suo padre non gli aveva lasciate che poche terre, quasi incolte, nella Lituania, che tutte insieme non valevano nemmeno la macchina d’un vascello a vapore.

Oggi possiede più di cinquanta navi e certo deve averle acquistate coi tesori rinvenuti in chissà quali isole dell’Atlantico.

— Dite un po’, comandante, — disse Ranzoff, rivolgendosi verso l’ex-capitano della Pobieda. — Vi sono molte isole disabitate in questo oceano?

— Non molte, se non si contano quelle che esistono più al sud, nell’oceano australe. Non sono che cinque o sei: S. Matteo, Ascensione, quasi deserta, quella della Trinità e Martino de Vaz, Los Picos e Le Rocos presso Fernando de Noronha.

Che io sappia non ne sorgono altre in questi mari.

— Tutte queste isole un tempo servivano d’asilo a dei corsari?

— Sì, signor Ranzoff.

— Verso quale si sarà diretto il barone? Voi escludete che egli possa aver fatto ritorno verso i paesi civili.

— Io non credo che sia scappato in America o in Africa.

— E nemmeno io, — disse Wassili.

— E come avrà fatto ad accorgersi che noi gli diamo la caccia? — chiese Fedoro.

— Se lo sarà immaginato, scorgendo la nostra macchina volante aggirarsi in questi paraggi, innanzi tutto, — disse Ranzoff.

— E poi non gli ho ucciso un marinaio? — aggiunse Rokoff. — È probabile che ci abbiano spiati quando occupavamo quella catapecchia.

— Orsù, — disse Ranzoff. — Il Consiglio di Guerra è finito e non dobbiamo lasciare a quella nave troppo tempo.

Batteremo l’Atlantico in tutte le direzioni e, se non riusciremo a raggiungerla, daremo battaglia a tutte le navi che portano i colori del barone e non ci fermeremo finchè non si deciderà a farsi vivo ed a restituirci Wanda.

A bordo, amici: non abbiamo più nulla da fare qui. Abbiamo anche il vento in favore e fileremo meglio d’un albatros. —

Si imbarcarono uno dopo l’altro e lo Sparviero si mise subito ad agitare le sue immense ali, mentre le eliche mordevano l’aria vertiginosamente.