Il Re dell'Aria/Parte prima/16. I misteri dell'Inaccessibile

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CAPITOLO XVI.

I misteri dell’Inaccessibile.

Rokoff era rimasto come intontito vedendo l’assalitore sparirgli dinanzi, poichè non aveva creduto che quel cornicione fosse così stretto, nè aveva, nella furia di difendersi, pensato che dietro di loro stava l’abisso pronto ad inghiottirli entrambi.

— Per le steppe del Don!... — esclamò, tergendosi il sudore che gli copriva la fronte, non ostante soffiasse lassù un vento freddissimo. — Se in quel momento mi afferrava, a quest’ora sarei anch’io in bocca ai pesci e colle membra fracassate.

Era un selvaggio quello? Eppure io non gli avevo fatto nulla per provocare la sua collera... — [p. 190 modifica]

Si era bruscamente interrotto, guardandosi intorno con una certa ansietà.

— Fulmini del Don!... — mormorò. — Un uomo nato sulle rive della Neva che vigila su questo scoglio!... Il mistero è subito spiegato. Non poteva essere altro che una sentinella collocata qui da quel cane di barone!... Che quel furfante si sia nascosto qui, invece che a Tristano? Gambe, amico, prima che ti accoppino!... —

Stava per slanciarsi giù nel canalone, quando un prepotente bisogno di visitare la misteriosa galleria lo prese. Sappiamo già che Rokoff era coraggioso come un vero cosacco, quindi non vi era nulla da stupirsi.

Non essendo accorso nessuno all’urlo mandato da quello sconosciuto, che pure era echeggiato fortissimo fra le rocce dell’immenso scoglio, il cosacco aveva ragione di supporre che almeno in quel luogo non si trovasse nessun’altra sentinella.

Quasi sicuro del fatto suo, attraversò rapidamente il cornicione e si cacciò in quella specie di caverna, non già però coll’intenzione d’inoltrarsi molto, temendo una seconda sorpresa.

Aveva fatto pochi passi, quando si trovò avvolto da una oscurità così profonda da non sapere più da quale parte dirigersi.

Il vento, ingolfandosi attraverso all’apertura, produceva dei rumori strani ed impressionanti.

— Senza una lampada non oserò andare innanzi, — disse Rokoff. — Ne so abbastanza per ora. —

Si mise ad indietreggiare ed inciampò in qualche cosa che giaceva a terra e che diede, nell’urto, un suono metallico.

Era un fucile, lasciato probabilmente cadere dall’uomo che lo aveva assalito per meglio afferrarlo per la gola. Intorno al calcio era avvolta una cartucciera con una cinquantina di cariche.

— Ecco una fortuna che non mi aspettavo, — mormorò il cosacco, impadronendosi dell’arma. — Con un buon mauser fra le mani si possono compiere dei miracoli, per chi sa ben adoperarlo. In ritirata, amico, e bada a non farti schiacciare dentro il canalone. —

Dopo aver dato un ultimo sguardo alla gigantesca parete rocciosa che cadeva a picco per centinaia e centinaia di metri, del tutto nuda e liscia come il palmo d’una mano, si lasciò scivolare giù dal canalone, tenendo in mano la traversa di legno per respingere le orde di quei noiosissimi pingoini.

La discesa fu assai più rapida della salita, tuttavia il cosacco [p. 191 modifica] [p. 193 modifica] — Dei biscotti! —
Il comandante s’impadronì della cassetta.... (Parte II. Cap. I)
[p. 195 modifica] parecchie volte corse il rischio di fare un capitombolo e di rompersi il collo contro le rocce del fondo.

Quando giunse nella catapecchia, Wassili ed il timoniere dormivano ancora, cullati dal rombo ritmico dell’oceano.

— In piedi, amici, — disse Rokoff, entrando e mostrando trionfalmente il mauser.

— Di dove venite? — chiesero ad una voce l’ingegnere e Ursoff, stupiti di vederlo armato.

— Non certo dallo Sparviero — aggiunse il primo.

— Silenzio e ascoltatemi, — rispose il cosacco. — Vi narrerò ora i misteri dell’Inaccessibile.

Come era da prevedersi, anche a Wassili ed al timoniere, quando ebbero udito il racconto del cosacco, balenò subito nel cervello il sospetto che il barone si fosse rifugiato su quel gigantesco scoglio, anzichè a Tristan.

— Siete ben sicuro che quell’uomo che avete gettato in mare fosse un russo? — chiese Wassili dopo un lungo silenzio.

— Nato sulle rive della Neva come voi, signore.

— Che questo scoglio abbia nel suo interno delle immense caverne, ignorate perfino dagli isolani?

— È quello che pensavo anch’io, signor Wassili, — rispose Rokoff.

— E che quel pazzo di barone vi si sia nascosto dentro con mia nipote.

— Pazzo, avete detto: lo credo anch’io. La paura di venire scoperto dalle sue due vittime e di pagare il conto della sua doppia infamia deve aver scombussolato il cervello di quell’uomo.

— Unito anche alla furiosa passione che nutre per Wanda, — aggiunse Wassili.

— Ditemi un po’, ingegnere, di quale natura è la sua passione? Io non sono ancora riuscito a saperlo.

L’ha rapita per farne sua moglie?

— Niente affatto, signor Rokoff, — rispose Wassili. — Egli ama alla follia mia nipote perchè somiglia, in modo straordinario, ad una sua figlia, l’unica che aveva, annegatasi l’anno scorso, presso le coste scozzesi durante un tragico naufragio.

Egli l’aveva più volte chiesta a mio fratello proponendogli di adottarla come se fosse una sua vera figlia ed avutone, come potete immaginare, un reciso rifiuto, ordì la trama infernale contro di noi per poterla più facilmente rapire. [p. 196 modifica]

— Allora vostra nipote non può correre nessun pericolo.

— Assolutamente nessuno, — rispose Wassili.

— Allora quell’uomo è veramente pazzo.

— Ma un pazzo pericoloso, perchè, come avete veduto, per aver Wanda nelle sue mani, non ha esitato a rovinare me e mio fratello, mandandoci per di più in esilio in Siberia.

— Io credevo che l’amasse d’un altro genere d’amore.

— Ma no, signor Rokoff.

— Non ha figli il barone?

— Sì, uno solo, che è oggi uno dei più brillanti capitani della flotta da guerra russa.

— Che cosa faremo noi ora?

— A noi non rimane che aspettare il ritorno dello Sparviero. Solamente con quello noi potremo dare la scalata a questo scoglio gigantesco e perlustrarne i fianchi inaccessibili e anche la cima.

— Eppure, signor Wassili, ora che possediamo un buon fucile, potremmo tentare almeno l’esplorazione di quella caverna.

— E farci prendere. Come avete veduto il barone ha con sè della gente devota e risoluta a difendere il padrone e la sua preda. Ne avete avuto or ora la prova.

— E una terribile prova, signor Wassili, — rispose il cosacco. — Sono ancora sorpreso di trovarmi qui a discorrere con voi.

— Si potrebbe però, se durante la giornata i nostri compagni non ritornano e nulla succede sull’Inaccessibile, tentare una rapida esplorazione dopo calate le tenebre.

— È quello che volevo proporvi.

— Per ora limitiamoci a sorvegliare quel cornicione, perchè non ci venga di là qualche brutta sorpresa ed evitiamo di accendere il fuoco, onde il fumo non allarmi il barone, ammesso che sia veramente lui che si è rifugiato qui.

Certi di non correre, almeno pel momento, alcun pericolo, tornarono a coricarsi sul folto strato di warechs, mentre Ursoff, riparato sotto la sporgenza d’una roccia, vegliava al di fuori, armato del fucile, tenendo gli sguardi fissi sulle piattaforme superiori, sempre pullulanti di pingoini e di grossi uccellacci, somiglianti alle nostre oche, chiamati dagli isolani matti.

Il cielo era sempre fosco, carico di vapori, i quali avevano una triste tinta grigiastra e da ponente salivano di quando in quando delle raffiche poderose, precedute da scoppi assordanti di tuoni. [p. 197 modifica]

Anche l’oceano si manteneva sempre pessimo, impedendo agli abitanti di Tristan di visitare i due isolotti, per dare la caccia alle foche ed agli elefanti marini i quali formano, si può dire, insieme a poche capre selvatiche, l’unica risorsa di quei segregati dal mondo civile.

Specialmente fra l’Inaccessibile e Nigtingale le onde infuriavano in modo spaventevole, slanciandosi all’assalto dei due scogli con rabbia instancabile.

Il rombo prodotto da quei cavalloni nel frangersi contro le formidabili pareti rocciose, certi momenti era così infernale che pareva si combattesse una vera battaglia navale coi potentissimi pezzi moderni.

Era da prevedersi che lo Sparviero, il quale probabilmente doveva aver subìto delle avarìe nell’urto contro l’enorme fianco dello scoglio, non sarebbe potuto ritornare, almeno finchè non cessavano quei terribili colpi di vento.

La giornata trascorse senza che nulla di straordinario accadesse. I tre uomini si erano succeduti nella guardia, tenendo sempre d’occhio il cornicione, ma nessun uomo si era più mostrato lassù.

Alla sera fecero i loro preparativi per fare una visita alla caverna. Ursoff aveva intrecciate, con dei fuchi, delle torce e le aveva bene impregnate con grasso d’elefante marino onde potessero durare per qualche tempo. Dopo un attento esame all’orizzonte, per vedere se potevano scoprire i segnali dello Sparviero, segnali che Ranzoff non avrebbe certamente mancato di fare al suo avvicinarsi all’Inaccessibile, i tre uomini, il cosacco armato del fucile e gli altri due di traverse di legno e dei coltelli, cominciarono la salita del canalone, avanzando con grandi precauzioni, potendo darsi il caso che qualche altra sentinella fosse stata posta a guardia della caverna o del cornicione.

Rokoff, che conosceva ormai i passaggi più facili, marciava alla testa, levando i massi che potevano spostarsi, rotolare giù dalla spaccatura, e provocare un allarme niente affatto desiderato.

Fortunatamente gli uccelli marini dormivano profondamente, sicchè anche quel noioso e rumoroso assalto fu evitato.

Superato il secondo cornicione, dopo un brevissimo riposo per riprendere il respiro, i tre uomini scalarono successivamente gli altri due senza aver notato nulla di sospetto. Un ventaccio furioso fischiava lungo le pareti rocciose del cono, mentre sotto, ad una grande profondità, il mare muggiva cupamente, rompendosi con detonazioni secche, contro l’infinito numero di scoglietti. [p. 198 modifica]

Rokoff, temendo giustamente una nuova sorpresa, fece fermare i suoi due compagni sotto il cornicione e s’avanzò solo verso la caverna o galleria che fosse, tenendo il fucile imbracciato per essere più pronto a far fuoco.

Non vedendo nessuna sentinella, tornò indietro colle medesime precauzioni, dicendo:

— Avanti: accenderemo una torcia quando saremo là sotto. —

Wassili e Ursoff furono lesti a raggiungerlo, poi si spinsero tutti e tre attraverso il tenebroso passaggio.

Si erano appena cacciati sotto le prime arcate, quando una detonazione violentissima rimbombò nell’interno della montagna con un fragore spaventevole.

Una valanga di massi, staccatisi dall’alto, rotolarono lungo i fianchi dello scoglio, inabissandosi con cupi fragori.

La scossa era stata così formidabile che i tre uomini erano stramazzati l’uno sull’altro.

— Per le steppe del Don!... — esclamò Rokoff, il quale era stato il primo a rialzarsi ed a fuggire all’aperto. — Che cosa è accaduto?

— È scoppiata qualche enorme mina, — disse l’ingegnere, il quale si era affrettato a raggiungerlo.

— Ma dove?

— Nell’interno dello scoglio.

— Colla speranza di farci saltare?

— Non credo, signor Rokoff. È scoppiata troppo lontana da noi. —

In quell’istante un altro scoppio, più debole del primo però, avvenne e questa volta verso la cima dell’Inaccessibile.

Un’altra valanga di macigni si rovesciò lungo le pareti, precipitando attraverso i canaloni. Fu un vero miracolo se i due russi ed il cosacco non furono colpiti da qualcuno di quei proiettili.

— Fanno saltare lo scoglio dunque? — chiese Rokoff, il quale era tornato a rifugiarsi sotto le prime arcate del passaggio tenebroso. — Avete ragione, ingegnere: queste sono mine che scoppiano. Durante l’investimento di Plewna ho udito ancora questi fragori, quando i nostri facevano sventrare le lunette di Osman Pascià. Che sia finita questa musica infernale?

— Se fossi insieme a questi misteriosi minatori ve lo saprei dire, — rispose Wassili, il quale conservava un meraviglioso sangue freddo.

— Una mina nel centro dello scoglio ed una in alto!... Che cosa significa ciò? Capite qualche cosa voi, ingegnere? [p. 199 modifica]

— Nulla, finchè non esploreremo questo passaggio, — rispose Wassili. — Aspettiamo però, prima di avanzarci. Le vôlte potrebbero caderci addosso dopo un altro scoppio.

Si sedettero presso la prima arcata, per essere più pronti a fuggire all’aperto e attesero pazientemente, col cuore stretto però da una profonda angoscia, temendo che, ad ogni istante, un altro e più spaventevole scoppio avvenisse.

Passarono dieci minuti, lunghi come secoli, poi l’ingegnere, non udendo più alcun fragore, si alzò risolutamente, dicendo:

— Accendi una torcia, Ursoff.

Il timoniere fu pronto ad obbedire.

— Il primo posto a me, — disse il cosacco. — Nessuno passerà dinanzi al mio fucile. —

La torcia, bene inzuppata di grasso, bruciava splendidamente, spargendo intorno una luce vivissima, essendo il grasso degli elefanti marini buonissimo per l’illuminazione.

Avanzatisi di pochi metri, l’ingegnere s’avvide subito che quella galleria non era naturale.

Degli uomini dovevano averla aperta a colpi di piccone e fors’anche coll’aiuto delle mine.

— I misteriosi abitatori di questo scoglio devono essersi preparato qualche rifugio imprendibile, — mormorò. — Che cosa scopriremo noi?

Avevano percorsi una diecina di metri quando scoprirono un altro passaggio, più stretto del primo, ed ingombro di massi caduti dalle vôlte.

— Non dobbiamo essere lontani dal luogo ove è scoppiata la prima mina, — disse l’ingegnere, il quale osservava attentamente le pareti. — Avanzatevi con precauzione, signor Rokoff, quantunque io sia ormai convinto che non ci debba essere più nessuno in questo scoglio. —

Si cacciarono anche dentro quel nuovo passaggio. Rokoff precedeva sempre i compagni, seguìto subito da Ursoff, il quale bruciava le sue torce. L’ingegnere veniva ultimo.

Altri dieci o dodici metri furono così percorsi, poi si trovarono dinanzi ad un nuovo franamento.

Le vôlte anche là erano crollate, però un nuovo passaggio, appena sufficiente a permettere a Rokoff, il quale era il più grosso di tutti, di attraversarlo strisciando, si offerse ai loro sguardi.

— Udite nessun rumore? — chiese l’ingegnere. [p. 200 modifica]

— No, signore, — rispose il cosacco.

— Potete passare?

— Sì, con qualche fatica. Bah!... La mia pelle è dura.

Il cosacco spinse innanzi il fucile prima di tutto, poi, aiutandosi colle mani e coi piedi, si avanzò. Subito un grido di meraviglia gli sfuggì.

— Per le steppe del Don!... Che cosa è ciò?

Ursoff e l’ingegnere, che erano meno corpulenti, non avevano tardato a raggiungerlo.

La sorpresa del cosacco era più che naturale.

Quell’ultimo passaggio, semi-rovinato dallo scoppio della mina, li aveva condotti in una immensa sala sotterranea, aperta nel centro dello scoglio, la quale aveva delle numerose aperture circolari attraverso le quali si scorgeva qualche stella che faceva capolino fra le tempestose nubi. La mina doveva essere stata fatta scoppiare in quel luogo, poichè si scorgevano dovunque enormi massi accumulati qua e là, capricciosamente.

Quello però che maggiormente fece stupire i due russi ed il cosacco fu il vedere, fra quel rovinìo di macerie, delle poltroncine di velluto azzurro fracassate, un lusso assolutamente sconosciuto agli isolani di quel minuscolo gruppo; gli avanzi d’un pianoforte; dei frammenti di specchi e di lampade; degli arazzi bellissimi mezzi consunti dalla fiamma sprigionata dalla formidabile mina e che fumavano ancora, nonchè dei veri ammassi di cristallerie che scintillavano vivamente sotto i riflessi delle torcie che Ursoff andava accendendo.

Intorno alle pareti, che erano state sventrate dalla forza immensa dell’esplosione, si vedevano ancora dei divani turchi in broccato pure azzurro ricamato in oro e alle finestre delle tende di seta d’egual colore.

— Questo doveva essere l’asilo di qualche fata! — esclamò Rokoff, raccattando alcune candele che erano cadute insieme ai lampadarii. — Non deve essere un nido di corsari.

Che cosa dite, signor Wassili?

— Io mi domando se sto sognando, — rispose l’ingegnere.

— No, perchè io bevo, — disse il cosacco, — e questo è vero sliwovitz!

Il cosacco fra quei rottami, oltre a parecchie candele, aveva scoperta una bottiglia miracolosamente sfuggita alla strage ed il briccone beveva a garganella, con l’avidità già ormai proverbiale dei figli del Don. Ad un tratto però la lasciò cadere, mandandola in pezzi, mentre stramazzava addosso a Ursoff. [p. 201 modifica]

Un’altra mina era scoppiata e questa volta, a quanto pareva, in direzione dei passaggi che poco prima avevano attraversati.

La torcia che teneva in mano il timoniere si era bruscamente spenta ed una profonda oscurità aveva avvolto i due russi ed il cosacco, mentre dall’alto rovinavano altri massi.

— Signor Wassili!... — aveva urlato Rokoff, spaventato.

— Sono vivo, — aveva prontamente risposto l’ingegnere.

— E tu Ursoff?

— Non mi sono bruciato che un po’ di barba.

— Ci ammazzano!...

— Silenzio!... — comandò Wassili. — Lasciamo credere ai nostri misteriosi nemici di essere stati uccisi sul colpo.

Rimanete coricati e non vi muovete. —

Quella seconda e più angosciosa attesa durò per lo meno un quarto d’ora, senza che avvenisse nessun altro scoppio. Anzi un silenzio profondissimo era regnato nell’interno dello scoglio.

— Mi è impossibile di resistere di più, — disse finalmente il cosacco. — Preferisco il fragor d’una battaglia a questa agonia che è più spaventevole della morte.

Checchè debba succedere, io mi alzo e sfido i nostri misteriosi nemici a colpi di fucile!

— Serbate le cartuccie, signor Rokoff, — disse l’ingegnere. — To!... Che cos’è questo fischio stridente?

— Si direbbe la sirena d’una nave a vapore, — rispose Ursoff.

— Che i nostri nemici scappino? — chiese il cosacco. — Accendi una torcia, timoniere, o meglio una delle candele che ho raccolte. —

Ursoff che teneva la scatoletta dei fiammiferi affidatagli dall’ingegnere, preferì dar fuoco ad una delle sue torcie. Rokoff gliela strappò quasi di mano e si precipitò verso una delle aperture circolari che dovevano servire da finestre.

La notte era buia e tempestosa ancora, però potè subito distinguere una massa nera, sormontata da tre fanali, uno rosso, uno verde ed uno bianco, rimbalzare sulle onde che si frangevano intorno alla base dell’Inaccessibile.

Delle scintille volteggiavano in aria, trasportate dal vento.

— Una nave a vapore!... — gridò. — Accorrete!... Accorrete!... —

L’ingegnere e Ursoff, i quali avevano acceso un’altra torcia, si erano affrettati a raggiungerlo.

— Presto, dei segnali!... — esclamò il primo. [p. 202 modifica]

Il cosacco sporse il braccio attraverso l’apertura ed agitò disperatamente la fiaccola.

Un momento dopo una vampa brillava sul ponte della nave seguìta da una fragorosa detonazione e un proiettile si piantava, con gran rumore, a qualche metro sopra lo stipite della finestra, sgretolando la roccia.

— Pezzo da 65 millimetri a tiro rapido! — aveva esclamato il cosacco, ritirandosi precipitosamente e spegnendo la torcia. — Quei briganti ci uccidono!... A terra!... A terra!... —

Seguì un tuonare furioso. Pareva che non già uno, bensì due pezzi a tiro rapido fulminassero l’Inaccessibile, il quale certo, se fosse stato un essere vivente, si sarebbe riso delle moderne invenzioni degli uomini, lui che da secoli e secoli sfidava impavido ed incrollabile i furori dell’Atlantico ed i fulmini del cielo.

Quegli spari, prodotti da pezzi a tiro rapido, diventarono però ben presto meno intensi, finchè cessarono completamente.

— Stupidi!... — gridò il cosacco. — Credevano forse che questo scoglio fosse un pane di zucchero, per sperare di demolirlo?

— Era contro di noi che facevano fuoco, mio caro signor Rokoff e colla speranza di farci a pezzi, — rispose l’ingegnere.

Si era alzato, accostandosi nuovamente alla finestra. Sul mare tenebroso e tempestoso brillavano sempre, ad una grande distanza però, i tre fanali di posizione.

— Sono scappati, — disse.

— Prima di farsi riconoscere, — aggiunse Ursoff.

— Che cos’erano adunque? Dei corsari? — chiese Rokoff.

— O il barone e i suoi marinai? — disse invece l’ingegnere.

Ad un tratto si battè fortemente la fronte, mandando un grido.

— La terza mina!...

— Ebbene? Che cosa succede ora? — chiese Rokoff con un po’ d’inquietudine.

— È scoppiata verso i passaggi che noi abbiamo attraversati.

— Senza ucciderci.

— E se tutto fosse crollato dietro di noi? —

Fra i tre uomini regnò un angoscioso silenzio.

— È necessario assicurarcene, — disse Rokoff. — Ursoff, accendi una delle tue torcie. —

Una fiamma brillò fra la profonda oscurità. Il cosacco e l’ingegnere accesero a loro volta delle torcie e tutti tre, in preda ad una vivissima [p. 203 modifica] ansietà, rifecero la via percorsa, passando attraverso i cumuli di macerie e gli avanzi di quella ricchissima mobilia, che le mine avevano ridotta in uno stato miserando.

Il vento, che s’ingolfava con estrema violenza attraverso le finestre, faceva vibrare le corde dell’infranto pianoforte, dando dei suoni strani.

Dopo cinque minuti, poiché la sala aveva delle dimensioni enormi, i tre uomini giungevano dinanzi al passaggio.

Come avevano preveduto, una mina era scoppiata in quel luogo e le pareti e le volte erano crollate, ostruendo completamente la galleria d’uscita.

Durante quella passeggiata l’ingegnere aveva però avuto il tempo di riflettere.

— Bah!... — disse, quando si trovò dinanzi a quella gigantesca barriera di massi. — Noi abbiamo avuto torto a spaventarci. Ci sono delle finestre qui e usciremo da quelle.

— Purché mettano su qualche cornicione, — disse Rokoff. — Se sono state aperte lungo la nuda roccia noi non potremo scendere.

— Verrà a liberarci lo Sparviero. Quella meravigliosa macchina può spingersi fino alla cima del cono ed anche più in alto.

Un po’ tristi, tornarono indietro, ma dovettero rinunciare ad esplorare la parete esterna dello scoglio in causa del vento il quale spegneva subito le torce e anche le candele, appena esposte fuori dalle quattro finestre che dovevano servire ad illuminare la sala.

— Aspettiamo che spunti il sole, — disse Wassili. — Ormai gli abitanti dello scoglio se ne sono andati, sicuri di averci rinchiusi e non torneranno di certo per farci scoppiare sulla testa qualche altra mina.

— Io vorrei però sapere perché hanno sgombrato così rapidamente, dopo d’aver fatto saltare la galleria e rovinata questa magnifica sala, mentre sarebbe loro riuscito così facile di prenderci e anche di sopprimerci, — disse Rokoff.

— Questi sono i misteri dell’Inaccessibile, però oggi sono più che mai convinto che questo luogo servisse di rifugio al barone.

— E dove sarà scappato?

— Non lo so, eppure un giorno dovrà ben mandarci sue nuove, — rispose Wassili. — Gli faremo una guerra spietata, finché non si rassegnerà a restituire a mio fratello Wanda e confessare la sua trama infernale. Più di cinquanta delle sue navi battono l’Atlantico e gliele affonderemo tutte, se si ostinerà a sfuggirci di mano. [p. 204 modifica]

— Purchè lo Sparviero ritorni, — disse Rokoff, scuotendo la testa.

— Voi avete dei dubbi?

— Che cosa volete, signor Wassili, non sono tranquillo. Questo ritardo mi spaventa.

— La bufera non si è ancora calmata.

— Questo è vero.

— E dovrà riparare forse qualche guasto. Abbiate pazienza, Rokoff. Lo Sparviero, come vola, può anche navigare, senza correre troppi pericoli, perchè è meravigliosamente equilibrato ed ha, nei suoi piani orizzontali, un appoggio sorprendente. Vi ripeto, aspettiamo che la furia del vento cessi.

Si sedettero presso una finestra, riparandosi dietro al parapetto, perchè le raffiche, continuavano ad ingolfarsi nell’immensa sala, con lunghi sibili, e attesero pazientemente che la luce ritornasse.

Di quando in quando si alzavano per lanciare qualche sguardo verso il tempestoso orizzonte, sempre colla speranza di scorgere, sospesi fra mare e cielo, i fanali dello Sparviero, senza però riuscire a scorgere nessun punto luminoso.

Quando finalmente l’alba spuntò, un’alba grigiastra, di brutto aspetto, che non prometteva ancora una buona giornata, i due russi ed il cosacco si affacciarono ansiosi alla finestra.

Prospettava verso il lato orientale dello scoglio, ossia in direzione opposta a quella ove si trovava la catapecchia, e gli sguardi potevano spingersi su un immenso tratto d’oceano e dominare anche Tristan, la quale emergeva dalle onde a poche miglia, quasi tutta nascosta in una fitta nebbia.

Sull’azzurra superficie, sempre agitatissima, non spiccava alcun punto nero che indicasse la presenza di qualche nave.

— I fuggiaschi si sono allontanati, — disse Rokoff. — Che abbiano continuata la loro corsa verso il largo o che abbiano preso terra a Tristan?

— Si vedrebbe qualche colonna di fumo alzarsi laggiù, mentre non scorgo altro che della nebbia, — rispose Wassili.

— E come hanno fatto quei birboni a scendere? È questo che io vorrei sapere, anche perchè potrebbe servire a noi.

— Come! Ecco là una scala di corda che pende ancora da un cornicione, — disse Ursoff, il quale aveva scavalcato il parapetto, mettendo i piedi sulla sporgenza d’una roccia.

— Si potrebbe raggiungerla? [p. 205 modifica]

— È impossibile, signor Rokoff, — rispose il timoniere. — Non vi è alcun cornicione sotto di noi e non siamo degli uccelli.

— Allora siamo prigionieri.

— Non abbiamo ancora esplorata questa sala, — disse l’ingegnere. — Deve esserci qualche altro passaggio. Vediamo prima di tutto da qual parte sono cadute tutte queste macerie. Da queste finestre non devono essere scappati quei signori che ci bombardarono.

Seguitemi, amici. —

Ritornarono sui loro passi e si fermarono là dove era franato in seguito allo scoppio delle due mine e scorsero, non senza stupore, che in quel luogo si apriva una specie di pozzo o meglio di enorme tubo, le cui pareti erano in parte crollate.

Rokoff, alzando una candela, potè scorgere un po’ sopra della vôlta, gli avanzi d’una scala la quale saliva in forma di spirale.

— Signori, — disse, — l’uscita è trovata. Basta guadagnarcela. —