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206 Capitolo XVII.

CAPITOLO XVII.

Il ritorno dello “Sparviero„

Raggiungere la vôlta non era cosa molto difficile, essendovi nella vasta sala molti divani, sedie, tavolini e ammassi di macerie che si potevano riunire, sia pure con un lavoro lungo e faticoso.

I tre uomini, incoraggiati dalla speranza di poter raggiungere la sommità del cono e di poterlo ridiscendere per mezzo delle scale di corda che avevano scoperte, si misero febbrilmente all’opera.

Il cosacco che, come abbiamo detto, era dotato d’una forza straordinaria, in meno di mezz’ora ammonticchiò, sopra le macerie cadute dal tubo, tutti i divani, aiutato validamente da Ursoff, il quale non era meno robusto d’un orso nero delle foreste russe.

La piramide fu innalzata fino quasi alla vôlta, poi i tre uomini, uno ad uno, le diedero la scalata, raggiungendo felicemente i primi gradini della scala a chiocciola, i quali non avevano troppo sofferto malgrado la violenza dell’esplosione.

Un triplice grido di gioia sfuggì ai due russi ed al cosacco, dopo che si furono innalzati una decina di metri.

Avevano scorto in alto, un occhio luminoso, che non appariva più vasto del disco della luna, ma che annunciava loro come quel pozzo, che pareva aperto dalla mano dell’uomo, a prezzo di chissà quali fatiche e di quanti anni di lavoro, metteva sulla cima dell’enorme scoglio.

— Ciò è meraviglioso! — esclamò l’ingegnere, il quale procedeva cauto, essendo i gradini molto danneggiati. — Chi può aver compiuto una simile opera?

— Che non sia invece la gola di sfogo di qualche antico vulcano? — chiese Rokoff.

— Può anche darsi, ma gli uomini l’hanno rivestita d’una specie di cemento e fornita d’una scala abbastanza comoda.

— Di lavoro recente?

— No, antichissimo, — rispose l’ingegnere, — compiuto forse dai