Il Novellino/Parte prima/Novella VII
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NOVELLA VII.
ARGOMENTO.
AL MAGNIFICO E GENEROSO MARINO CARACCIOLO1.
ESORDIO.
Tante sono state le cagioni e sì giuste per le quali mi trovo indutto a grande e inusitato dolore e a continuo tedio della mia vita, che non avrai da maravigliarti, magnifico mio Marino, se insino a qui ho teco serbato silenzio e non ti ho scritto. Che se consideri, non hanno potuto ultimamente gli avversi insulti della mia crucciosa fortuna che il grande amore che io ti porto non abbia in me il suo luogo ritrovato, e mossa l’angosciosa mente e relassata mano a scriverti la presente, e di un nuovo travenuto caso donarti sufficiente avviso, non solamente per satisfare in parte al tuo onesto desiderio, ma per tua eterna cautela e di qualunque nel futuro la leggesse, come in qual maniera da gli agguati dei malvagi ipocriti e finti religiosi ne dovemo continuamente guardare; imperocché sotto ingannevole apparenza di lor vestimenti, non come fere selvagge e rapaci, le quai per lo abbaiamento di cani e rumor di cacciatori a li lor soliti boschi si rifuggono, ma come domestici lupi e di noi divenuti famigliari, sgridati si ricoverano nel secreto di nostre proprie camere, coverti di scudo di loro innata e temeraria prosuntione, usurpandone lo onore, polpe, ed ossa, con ogni nostra facoltà insieme, siccome oltre le altre esperientie, ancor questa di rendertene certissimo ti sarà cagione. Vale.
NARRAZIONE.
La chiara fama che per l’universo è già sparsa può dare ai posteri vera notizia come dopo la morte de l'excelso e glorioso principe Re Don Alfonso d’Aragona, restò pacifico re e signore di questo nostro siculo Regno il vittorioso Re Don Ferrando come suo erede e unigenito e molto amato figliuolo: del quale fra brevissimo tempo dal santissimo Papa poi fu investito, e come dignissimo Re unto e coronato. Ripigliato adunque da tutti i baroni e popoli il debito omaggio, e del regno integra e pacifica possessione, come volse la invida e prava fortuna, instabile, e non contenta di tanta quiete e pace, non varcò il secondo anno del suo quieto solio che il foco della pestifera e mortal guerra tutto il regno universalmente accese2. Era fra tanti movimenti di stato e cangiamenti di fortuna la magnifica e nobilissima città di Napoli, oltre ogni altra italica fedelissima, sì tribolata e oppressa che de continuo si vedeano li nemici assalire e depredare insino a le invitte porte di quella. Per queste, e assai altre cagioni non necessarie a ricontare, era la detta città quasi depopolata rimasa; e tra gli altri i religiosi, de li quali la moltitudine era grande, non trovando li soliti e fertili pascui nella città, gran parte di loro, che aveano renunciato fame freddo e fatica per l’amore di Cristo, come nimici di ogni disagio se ne erano di ciascun ordine fuggiti ove meglio parea a ciascuno e con più comodità poter poltroneggiare. Nondimeno rimasino alcuni; vi restò fra gli altri un santo frate napolitano, predicatore grandissimo, e ottimo confessore, e non minore investigatore di bellezze e facultà di donne, che di vizii o mancamento di fede che in alcun omo fosse stato; del quale come ch’io cognosca e sappia il nome e la religione, de la qua le lui falsamente se appellava osservante, per one sta cagione il tacerò, e solo il Partenopeo qui chiamarlo intendo. Costui non come gli altri volse andar di fuori, ma il rimaner dentro si elesse per avere più ampio campo di potere senza alcun ritegno le sue insino allora occultate scelleragini adoperare; e così di pastore divenuto lupo sotto mansueta rista di agnello, col collo torto, discalzo, e mal vestito, che a cui cognosciuto non l'avesse un altro santo Ilarione li saria sembiato, si aveva con tale apparenza vendicata una fama e divotione maravigliosa, e non solo tra privata gente, ma avea per tal modo abbagliata la signora Regina3, or col fingersi sfrenato aragonese or con assai altri simulati inganni, che da niuno secreto consiglio era privato. E in sì malvagio stato continuando, come amico di sé medesimo, si aveva paricchi centinara di fiorini accomodati; e accompagnatosi con un altro frate Ungaro, non meno di lui scellerato ribaldo, passati un giorno per lo Pendino de’ Scigliati4, e veduta quivi abitare e centra voglia stare al pubblico guadagno una giovenetta siciliana di bellezza assai meravigliosa, il venerabil patre, ancora che di corseggiare venesse e non senza guadagno, e col compagno amichevolmente divisa la preda, viste e considerate tante bellezze vendersi a si vile e menomo prezzo, oltre che fieramente di lei s'accendesse, gli occorse di lui voler tutto ad un tratto tale mercatanzia comparare; e a lei accostatosi con divoto modo in tal forma li disse: Figliuola mia, forzaraite domani venire sino alla nostra chiesa per salute de l'anima e contentezza di te medesima. A cui la giovane presto rispose, volerne volentieri andare. Preso ed infiammato a casa se ne ritornò, e chiarita la sua passione e quanto circa tal fatto adoperare intendeva al suo fìdelissimo frate Ungaro, con grandissimo desiderio attendeva la seguente matina per dare a tutto con opera compimento. La quale venuta, e salito in pergolo, nè a pena cominciato il suo sermone, quando l’aspettata giovene vide apparire, e di tanta onestà vestuta che in mille doppii si accesero le fiamme del suo preso e nuovamente legato cuore: finita adunque la predica, fattaglisi la calca subito intorno e di uomini e di donne, tale per consiglio e tale per favore, avendo altrove fermati i suoi pensieri, a tutti rispose; Figliuoli miei, non avete voi udita la parola di Cristo nel Vangelo di stamane che più festa e gloria si fa nel coro celestiale d’un’anima dispersa convertirse, che di novantanove perfette e non indigenti di penitenza? E per tanto io voglio vedere se potrò fare entrare qualche scintilla di spirituale amore nel freddo petto di questa poveretta giovene. E presala per mano al sediale ove si confessa la menoe; e col suo mantello avviluppatosi, benignamente ad esaminare la cominciò de la cagione del suo stare al comune servigio, e fattasi serva degli beccarini5 di carne umana. La giovene, ancora che per la molta pratica avesse non poco dell’intendente, non potè conoscere la malignità del suo ascoso core, ma lacrimando, per lo più breve modo che potè tutto il fatto del suo disavventurato avvenimento gli ricontoe. Alla quale il frate, Figliuola mia, disse, Colui che è unico conoscitore dei secreti mi sia testimonio con quanta amaritudine ho ascoltati i tuoi avversi casi, e quanto a me è noioso vederti in sì reo stato dimorare: e per tanto quando tu ti disponessi del tutto ritrarti ad onore di marito, io ti offerisco tutte le mie facultà, le quali non vagliono sì poco che non ti bastassero a fare stare comodissimamente bene; ed oltre a ciò da ora voglio che tu ti pigli de l’anima e del corpo mio la intera possessione, pur ch’io te veggia de la tenebrosa carcere uscitane la quale, secondo che tu medesima dici, contro tua volontà dimori; certificandoti che col tuo gratioso ed accorto viso e tue più divine che umane bellezze, mi hai in maniera preso che io sono assai più tuo che non son mio novamente divenuto, in modo che sono tutto tuo. Supplicote dunque, dolcissima vita mia, che di me e di te medesima compassione ti mova, e vogli redurti in casa di ima donna vedova nostra devota, con la quale senza alcuna infamia o scandalo ti starai, ove ti farò godere di quanto a l’anima ti diletta, finché il nostro Creatore ne manderà alcuno buono e discreto giovene davanti, a cui per moglie te doneremo, come il mio cuore unicamente desidera. La giovene la cui credenza era infino a qui stata lontanissima da quel che con tanta lascività li aveva preruto6 a scoprirli la sua passione, come prudente cognobbe esser vero quello che per addietro avea per falso giudicato, e come questa infernal coorte di poltroni hanno in preda gran parte del Cristianesimo; e come colei che ad ogni prezzo sapea vendere la sua mercanzia, veduto che il frate con tanta istanza di comperarla cercava, propose di non solo non donarla ma più tosto gli la stravendere a carissimo prezzo, e così gli rispose: Padre mio, io vi ringrazio de tanta vostra bona carità, ma per dirvi il vero io sono col mio caro omo in tal termine clie di me non oso far quel che io vorrei; imperocché essendo lui un gagliardo giovine, ricco, amatole molto favorito in questa città, non dubito che vedendosi di me privo, poneria mille vite in periglio per avermi, e doppo per suo onore guastarmi della persona7: nondimeno il tempo suole adattar molte cose; e fra questo mezzo vedrete se io vi possa in cosa alcuna servire, non meno desidero esser vostra che voi mostrate d’esser mio. Il frate sentendo pure il fatto terminarsi in satisfare la maggior parte del suo desiderio, non curando altramente del resto, alla giovene, che Marchesa avea nome, in tal modo rispose: Tu parli saviamente, figliuola mia che Dio ti benedica, ma ove noi averimo commodità di essere insieme, attento che del tuo omo io non mi fìdarei in alcuna maniera? A cui ella rispose: Del mio omo non bisogna dottare, che oltre che lui è di natura secretissimo, traendo di questa cosa profìtto, come voi dicete8, non è da credere che lui medesimo cercasse donarsi la zappa ne lo piede: fate pur voi di contentarlo, e a me lasserete del resto l'affanno. Disse il frate: Poi che a te pare, a me tutto piace; e però non resta altro da eseguirsi se non qualora io manderò di notte il nostro compagno con lo mio abito, travestita in frate con lui insieme a me te ne verrai, che io avrò modo dentro la nostra cella cautamente riceverti. La giovene contenta e nel preso ordine rimase. Disse il frate desideroso, che ella gli lasciasse un bascio per arra; e la Marchesa altresì per più nel suo amore infiammarlo, quantunque fosse da la ferrea graticula che ne la sedia stava a quella la via impedita di potergli de la dolce bocca far copia, pur gratiosamente più che potè la sua serpentina lingua gli porse. E con tale soavità dispartitisi, tornata in casa, e trovato il suo omo, a quello in tal modo a dire cominciò: Griffone mio, io andai sta mane credendo esser presa, ma se tu se’ savio, ho pigliato un uccellone per lo becco, coperto di folta piuma che avremo spazio da pelarlo de parecchi mesi. E cominciato dal principio sino a l’ultima conclusione ogni cosa per ordine pontualmente gli raccontò; del che essendo Griffone oltre misura lietissimo, mille anni gli parea che la fusta di Ungaria venesse a rimborcare9 la siciliana barca. Fra lupo da l’altra parte che lietissimo era rimasto volendo al fatto pensiero donare celere e votivo espedìmento, acciò che da niuno dei frati ricevesse impaccio, andatosene subito alla Reina così li cominciò a parlare: Sacra Maestà, io chiaro cognosco che a niuno dei nostri pari lo attendere a partialità di stati mondani saria conveniente, ma solo considerando io essere cristiano, da necessità mi trovo costretto con la volontà del nostro Signore il Papa confirmarmi10, come vicario di Cristo in terra e de la santa madre Ecclesia santissimo pastore; nientedimeno parendomi far bene dico11 non solamente sono costretto ad esser partigiano del Signore Re e vostro, ma anche bisognando a pigliarne grave martirio, non altramente che per la nostra cattolica fede il ricevessi. Occorremi dunque, Donna mia, non per dir male d’altrui, che Iddio non voglia, che la maggior parte de’ nostri frati non essendo di tal mia buona e cauta intentione, sariano da esser poco più che niente esistimati, in qualunque cosa un irremediabile scandalo seguire ne potesse: e per questo cognoscendo io essermi bisogno di molto ben da loro guardarmi, sarà necessario a tal cosa si pigli alcuno rimedio, onde conducendosi di notte a me alcuno vostro partegiano, mio divoto, per rivelarmi qualche suspetto che nella città si avesse, o forse per insegnarmi alcun occulto modo di trovar denari per lo Signore Re, o per mille altre cose occorrenti, e per non essere cognosciuti, cui travestito in frate, e cui in un modo e cui in un altro conducer si vuole; e li nostri portinai sono tanto stimolosi, che volendo da qualunque ci viene spiculare e intendere ogni particolarità di sua venuta, fanno che questi tali prima deliberano ritornarsi, che fidarsi e non saper di cui; la qual cosa quanto potesse da un’ora a un’altra nuocere o giovare a lo stato del Signor Re, la Maestà Vostra facilmente lo può comprendere. Per tanto a me pare, e di ciò quanto posso vi supplico, acciò che da pericoli possibili ed evidenti ne liberamo, che subito ordinate col nostro Prelato, che per servigio del vostro stato mi conceda per ogni modo una chiave del luoco, e che ammonisca tutto il convento che niuno di loro debbia per alcuna via impacciarsi di cui o di giorno o di notte a parlare me venesse, e che me consegne una stanza separata da le altre, ove io possa occultamente e ad ogni ora senza loro incomodità donare udienza. La Reina che al buon frate donava indubbia e grandissima fede, cognosciuto il suo acconcio parlare e sopra vere ragioni fondato, prima renduteli infinite grazie, fatto a sé venire un suo privatissimo cortegiano, al maggiore de’ frati de continente lo invioe, che senza altra eccettione subito fosse il sopradetto volere di Fra Partenopeo a intero effetto mandato. Ove in quello istante essendo a compimento ogni cosa eseguito, avuta la chiave, e senza indugio guarnitasi una camera da signore, venuta la desiderata notte, mandò il suo fra Ungaro a condurli la Marchesa in frate amascarata; né avendo molte ore aspettato, vedendo tornare il buon cacciatore che senza cani aveva già condotta la preda, fattosi loro incontro, e ardentissimamente basciatala, presala in braccio con mille dolci parole dentro in camera la condusse; ove doppo la degna colazione, licenziato fra Ungaro, a lor piacere in sul letto montarono; e per farle toccare che ancora i frati sanno a suon di naccare far ballare altrui, come che matutino non sonasse, da nove volte in su fe’ il frate il suo ardito gallo dolcemente cantare. Il fra Ungaro che rimasto era di fuori, udendo batter fieramente la cartera, non essendo da Medusa convertito in sasso, ma come ad uomo vivo venne ancora la resurretione de la carne; e trovandosi più che mai da tal furore infiammato gli occorse fare non altramente che i fanti di cucina, i quali da golosità vinti e per non contaminare l’arrosto del signore, solo a l’odor di quello si mangiano lo assutto12 pane; tal che come il fatto andasse ciascuno mi può intendere senza altra glosa: penso ben io che quella notte gli fosse più volte lo suo braccio amico13. Venuta adunque l’alba, e volendo il venerabile frate mandarne la giovene a casa contenta, donatile de’ più cari gioielli, e aperta la sua scatola colma di moneta, ridendo li disse: Anima mia, noi non usamo toccare dinari, e però tu medesima ne piglierai quanti a te piace. Di che non aspettando lei molti inviti, stesa la delicata mano, e presine quanti in quella ne caperono, ripigliati suoi arnesi, e dato al frate uno stretto ed amoroso bacio, con la guida di fra Ungaro alla sua casa se ne ritornoe; e buttata la moneta in grembo del suo Griffone14, gli disse in che termini stava la cosa, e come aveva il frate in maniera adescato che in brevissimi di se confidava rodergli insino all’ossa. E fatta di ciò fra loro grandissima festa, desiderosi traere el resto, molto spesso il cominciato camino se continuava; ed essendo ognuno per diversi rispetti di tal gioco contento, quantunque lo amore del frate ogni dì aumentasse, e li doni e le spese non iscemassero, nondimeno essendo la già detta colma scatola diminuita in maniera che un cieco ne avrebbe il fondo veduto, non che la Marchesa che di ciò si era molto bene accorta come quella che in simili baratti era espertissima, cominciò con infinite colorate ragioni a dinegare l’andata; il che15 il frate, che da sfrenata libidine era vinto, pure accortosi, ancora che tardi, come la giovene de la sua roba e non di lui era invaghita, aguzzò l’ingegno di riempire la vota scatola di altra quantità di moneta; e trovata in la loro chiesa per mezzo del suo fra Ungaro una gran quantità di dinari per uno sbandito cittadino occultati, e di quelli avutine circa cinquecento fiorini, e lo resto consignati a la sua Corte, in la sua interlassata impresa se ne tornoe. Ed avendo già tanta sicurtà presa di coloro, che non solo de notte col suo fra Ungaro, ma talvolta de dì alla inonesta casa de la Marchesa si conduceano, ferono le loro sceleste operationi in pubblica voce e fama del vulgo divenire. Dove per mezzo d’un nobile giovine, e forse da la Marchesa amato, ne ebbe il suo Prelato particolare informatione; il quale per non consentire che un tal figliuolo di perditione maculasse la loro perfetta religione, sentendo una notte che fra Partenopeo a goder con la sua Marchesa, e senza fra Ungaro, si era in quella volta condotto, accompagnato da molti suoi frati e da altri gentiluomini divoti de l’ordine, a casa de la giovene si condussero secretamente, e quelli a salva mano presi, oltre le fiere battiture che a frate Partenopeo furono date, il quale ignudo nel letto con la Marchesa trovarono, fu a perpetuo carcere condannato, e quivi amaramente li suoi giorni finìo.
MASUCCIO.
Se l'acerbo e condegno supplicio dato al nostro frate Partenopeo fosse stato o fosse cagione di retraer gli altri da reprobati vizi e continuati mali, saria non solo laudevole ma da esser tra virtuosi con eterna memoria commendato; ma perchè ne siegue il contrario, panni che ornai se lassano con loro pravità vivere in pace. Attento che veramente si può giudicare tal perversa generatione essere de natura de lupi, i quali, avvenendo che tra le lupine caterve alcuno vi sia per tal modo ferito che non possa gli altri seguire, tutti gli si volgono intorno e rabbiosamente lo sbranano come se de loro avversarli fosse stato: similmente queste venerabili genti fanno che qualora ad alcun di loro interviene alcun manifesto scandalo, e tale che con loro fraudolenti mantelli noi possano coprire, non ci bastano continue e fiere battiture, infinite persecutioni e perpetuo carcere a condennarlo; e ciò per due evidentissime ragioni lo adoprano: l’una, ad esempio e timore degli altri che non facciano venire le loro opere in pubblica voce e fama del vulgo incautamente; l’altra, che i perseguitatori abbiano maggior credito e fede dai secolari. E che ciò sia vero, non sono molti giorni passati che trovandomi con alcuni di loro sopra questa medesima materia parlando, uno, e di non minimo credito e reputatione e assai mio domestico, tali parole mi disse: Masuccio mio, se per una nave che pate naufragio nel viaggio di Alessandria le altre ne lasciassero il navigare, mai granello di pepe tra noi si mangiaria: ma veramente le forche sono fatte per gli sventurati. Da le quali parole si potria pigliare argomento che ogni loro grandissima scelleragine gli pare esserli per approvata consuetudine permessa, dove senza alcuno stimolo di vergogna o coscienza l’adoprano; e nè timore di Dio nè pericolo di vituperosa morte li può raffrenare quando a scapucciare incominciano. E cosi per maggior testimonio de tutto el sopraditto mostrarò quel che un famoso predicatore e solenne maestro in Sacra Scrittura senza alcuni riguardi dicesse in la seguente novella a certi scolari, che poco più ne averia fatto un lascivo soldato.
Note
- ↑ Marino Caracciolo, signore di Santobuono, fu caro al Duca di Calabria. Vedi la novella 44, nella quale si parla di lui — Fu ambasciatore al Duca di Modena, al Duca di Milano, alla Signoria di Firenze. Vi sono molte lettere scritte a lui in nome del Re Ferrante nel 1467. Vedi il Codice Aragonese. Il Summonte lib. V: tomo 3. pag. 500 dice che morì nella guerra contro i Turchi ad Otranto nel 1480.
- ↑ Questa è la guerra che Ferdinando I ebbe dal Principe di Taranto e dal Duca di Sessa che chiamarono l’Angioino. È narrata dal Pontano nella sua Istoria, e poi dal Costanzo e dal Summonte.
- ↑ Isabella di Chiaromonte, figliuola del vecchio Principe di Taranto, moglie di Re Ferdinando I.
- ↑ Pendino si chiama anche oggi quella parte dell’antica città posta sul pendio. Pendino de’ Scigliati o Scillati e dei Mocci era quella contrada dove stavano le case degli Scillati, nobili salernitani, e dei Mocci napoletani, presso il Rione della Spezieria vecchia nel quartiere di Portauova. V. Pietri, Istoria nnpoletana, ed il Celano. g, IV. pag. 139. ediz. del 1859.
- ↑ Beccarini, credo da beccaro o beccaio: e beccarini di carne umana credo voglia intendere di coloro che fanno guadagni su le meretrici, de’ lenoni e protettori.
- ↑ Dice prerutto, che non s’intende: forse Masuccio scrisse preruto, proruto, da prorere, aver prurito: e il concetto e la frase sarebbero napolitani schietti, L’ediz. dell’83 dice puito.
- ↑ Ecco sin nel Quattrocento il camorrista protettore della mereirice, il quale se è abbandonato da lei le taglia la faccia.
- ↑ Dove l’ha detto? Forse manca innanzi: anzi certamente manca, se si considera quel che segue.
- ↑ rimborcare, da rimburchiare, tirare come si tira il burchio, rimorchiare.
- ↑ forse conformarmi.
- ↑ di ciò?
- ↑ assutto dice il salernitano invece di asciutto.
- ↑ Queste parole si potrebbe anche toglierle; forse è glosa appostavi, anclie perchè doveva dir mano e non braccio.
- ↑ Questo buttata la moneta è proprio di quelle donne, ed è bello.
- ↑ Questo il che vale onde