Il Novellino/Parte prima/Novella VI
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NOVELLA VI.
ARGOMENTO.
AL SERENISSIMO ROBERTO DI SANSEVERINO, PRINCIPE DI SALERNO E DEL REAME AMMIRAGLIO1.
ESORDIO.
Non avendo, Serenissimo Principe, in alcuna delle mie novelle della grande astuzia e sottilissimi partiti in pronto presi per le più de le donne monache nè poco nè molto in fino a qui parlato, m'è parso e utile e necessario. volendo a te unico Signor mio novellando alcuna cosa nuova iscrivere, de lor costumi e maniere darti qualche notizia; a tal che se per alcun tempo avessi di loro qualche degno gesto sentito, ti possi con la presente loro moderna operatione in sul tuo credere confirmare, e apertamente discernere come esse con l’arti nei monasteri imparate hanno già di loro manchevole sesso la natura superata, e talvolta col sapere superato quello de li prudenti uomini, sì come il seguente processo ne renderà in parte testimonio. Vale.
NARRAZIONE.
Nella nobile e tua amica città di Marsico2, come già ti può esser noto, è un monastero di donne di somma onestà famosissimo, nel quale l'anno
passato non essendovi3 altro che dieci monache tutte giovani e di gran bellezza ornate, con una vecchia abbadessa di buona e santa vita. La quale ancora che la sua florida gioventù non avesse indarno trapassata, nondimeno de continuo alle sue brigate persuadeva a non dovere col tempo insieme la loro giovenile etade perdere e consumare, con infinite ragioni affermandogli4 nissun dolore potersi a quello agguagliare che vedersi il tempo avere indarno speso, nè avvedersene se non quando o poco o niente il pentere e ’l remediar vale. E come che a ciò non li bisognasse assai fatica, attenta la loro ottima e generale dispositione, pure fra l'altre due vi erano di nobile famiglia, e di mirabile ingegno dotate; l'una di quelle ancora che Chiara non si chiamasse, mutandole nome, Chiara la nominerò, e meritamente, considerato che ben seppe, quando le fu bisogno, sì come saggia e discreta il suo fatto chiarire; e l’altra io medesimo battezzerò, e la chiamerò per nome Agnesa. Costoro, o che fossero state più de l’altre belle, forse più a li ricordi ed ordini de la lor prelata ossequiose, vedendo che il vescovo de la città con fieri ed espressi editti aveva proibito el conversare di quel monastero a qual si fosse persona, deliberarono con tutto ciò di non restare, anzi con maggior sollicitudine e studio adoperare tutti loro ingegni con strani e varii argomenti per potere a loro libidinose voglie satisfare. E in tali pensieri continuando, e seguito l'effetto, in brieve tempo il loro ben coltivato terreno produsse di molte frutta in forma di belli monachini; e stabilita fra esse due una indissolubile amistà e perpetua lega, sì lievemente si studiavano menare il rasoio, che piuttosto scorticare che radere saria stato giudicato. E come che tal loro operare non stesse troppo occulto, ma a notitia di molti pervenesse, fra gli altri a Messer lo Vescovo fu tal cosa manifestata; il quale andato un giorno a questo venerabile luoco, e forse per rifermarlo in bene operare, avvenne che ancor lui del piacere e bellezza de la Chiara si trovò essere fieramente preso; e dopo molte sue ordinationi e nuovi provedimenti a casa se ne ritornò altramente che non era partito. Dove cominciato a scrivere e a sonettare significò brievemente a la sua Chiara che tutto per suo amore si struggeva. La Chiara, che più giorni lo aveva tenuto in trame per meglio infiammarlo nella sua passione, veduto a l’ultimo Messere lo Vescovo avere un viso fatto da mal dipintore, e forse ritratto da li primi di Adam, e oltre ciò avarissimo fuori di modo, in ciò assai contrario agli uncini de la Chiara, del tutto si deliberò ponerlo al suo piccolo libretto dei beffati. Messer lo Vescovo accortosi del fatto, e che del suo amore era uccellato, e che questa era Chiara per altri ma torbida per lui, si deliberò volere sapere qual fosse colui al quale costei avesse suoi pensieri dirizzati; e come amante a cui rare vie sono occulte, sottilmente inquisito il fatto, e trovato che il venerabile priore di San Jacobo godeva con Sor Agnesa, e la Chiara con un altro ricchissimo prete chiamato Don Tanni Salustio si trionfava5 e che di compagnia quasi ogni notte andavano a sollazzare con le dette loro innamorate, presa del tutto singolare informatione, propose per ogni modo avere li due prefati artisti ne le mani, non solamente per ottimamente carpirgli de la folta piuma che avevano, ma per vendicarsi ancora de l'oltraggio che a lui, più fortunato e facile in ottenere il vescovato che la grazia di Chiara, già faceano. E andando ogni notte personalmente con gran coorte de suoi lupacchioni chierici d’intorno al luoco per potere tal doppio suo desiderio adempire, avvenne che una notte uscendo da quello il priore, e incontratosi tra lo agguato de' nemici e da loro preso, fu dinanzi a Caifas pontefice presentato: e tremando d’altro che di freddo, ancorché di niuna cosa fosse dimandato, pensatosi forse con accusare il compagno toglier da sé il furore del vescovo, disse che lui non andava a niuno mal fare, ma solamente aveva accompagnato Don Tanni Salustio dentro il monastero, e lasciatolo in cella con la Chiara. Il Vescovo non poco lieto di aver preso il Priore, né manco volonteroso di avere il compagno, quello ben ligato e mandatonelo a casa, poste in ordine sue artegliarie6 per intrar quieto nel monastero, deliberò prendere a salva mano il Salustio se possibile gli fosse stato. Agnesa che vigilante e dubbiosa era rimasa, sentito il priore essere stato preso, ancor che sino al cuore gli dolesse, pur come leal compagna avendo udito che il Vescovo cercava d’entrare, andatasene rattissima in cella de la Chiara, li raccontò in breve come il fatto andava. La quale novella quantunque da la Chiara fosse con grandissimo rincrescimento ascoltata, cognoscendo quanto di male le ne doveva seguire, nientedimeno non perdendosi niente di core, come astuta ed animosa da subito consiglio aitata, da tal evidente e periglioso fango pensò liberarsi: e fatto levare in piedi il prete che per sorte allora avea discaricata la balestra e fatti di molti belli tratti al bersaglio, e avvisatolo allo stare attento, rattissima a la camera de la badessa se n’andò, e con spaventevole voce chiamatala disse: Madonna, corrite clie il serpe o altra fera pessima s’è data tra vostri pollicini, e tutti se li mangia. La badessa che, come vecchia e religiosa e femmina, avarissima era, ancora che la vecchiaia molto l’annoiasse pure per defensare i suoi subito si gettò dal letto, e d’un trotto lupino verso la massaria de’suoi polli se n’andoe. La Chiara che bene attenta stava, vedendo che il pensiero li era riuscito, cavato senz’altro indugio il prete de la sua cella, e pigliatolo per lo lembo della camiscia, con panni in collo, con frettolosi passi, a guisa di bestia che va al macello, in camera de la badessa lo condusse, e fattolo coricare nel suo proprio letto, più veloce che’l tento in la sua camera se ne ritornò. E quasi in quel medesimo punto il Vescovo era con la sua brigata entrato, e giunto sul dormitorio, e per avventura con la badessa scontratosi, la quale con un bastone in mano allegra del non trovato serpe e vittoriosa tornava, veduto il Vescovo col volto dell’allarme, tutta territa guardandolo così gli disse: Messere, che novelle son queste a tal ora? Il Vescovo che con la fierezza del suo orribile viso avria spaventato gli orsi, a lei rivoltatosi pontualmente ogni cosa le ricontoe, conchiudendo che lui intendeva per ogni maniera avere il Salustio e la Chiara in mano. La badessa dolente a morte del successo caso, e quanto li era possibile la sua innocenza escusando, rispose che a suo volere satisfacesse, che di tutto lei ottimamente se contentava. Il Vescovo che el perdere più tempo assai gli doleva, con la sua brigata e con la badessa alla cella de la Chiara brevemente si condussero; e percosso l’uscio, la chiamarono che quello aprisse. Chiara che niente dormito avea, e pur fingendo di tutta sonnacchiosa levarsi, non fornita di vestirsi, stropicciandosi gli occhi, venuta alla porta, senza nulla sbigottita mostrarsi, sorridendo così disse: Che vuol dire tanta armata? Il Vescovo, che ancora che più che sé l’amasse, e alla vista di tanti lumi più che l'usato bella gli paresse, pure per dargli gran temore disse: Come ribaldella, noi senio qui per punirti come sacrilega, e tu parli motteggiando, e come se non sapessimo che il Salustio è giaciuto questa notte con teco, e ancora è qui dentro? La badessa, che prudente era, da la prospera7 fortuna di Chiara incitata, prima che quella a niente rispondesse, con molte villane parole prima increpatala. furiosamente quasi le mani le volea porre addosso. Chiara che nell’altrui tana aveva già il suo orso collocato, alquanto isdegnosetta verso la badessa in tal forma rispose; Madama, voi siete corsa con troppa furia, e contro ogni onestà e dovere cercate maculare il mio onore; ma io spero in Dio e nel glorioso San Tommaso al servigio del quale noi senio, che Messere non uscirà di qui che apertamente cognoscerà la mia innocenza con l’altrui peccato; e Colui che liberò Susanna da la falsa accusa dei pessimi Sacerdoti libererà me dalla infamia che mi è posta addosso. E ciò detto con finte lagrime e gran furia disse: Entrate lupi rapaci pure a vostro modo. Il Vescovo che per fermo tenea che il prete fusse dentro, subito quivi con tutti i suoi entrato, e cercato in parte che appena un lepre vi sarebbe potuto stare, nò per nissun modo trovandolo, pieno d’ira e di sdegno uscitosene disse: In buona fe’ noi il trovaremo senza lasciarvi luogo a cercare. La badessa a tale che si cercassero le celle di tutte le monache, disse: Messere, per Dio, cercate per lutto, e cominciate da la mia camera: il simile dissero tutte le altre monache che ivi a lo strepito erano corse. Il Vescovo parendogli comprendere a che effetto la badessa parlava, impose a duo de’suoi che entrassero in camera de la innocente badessa, e che quivi di cercare fìngessero, come luogo a lui non sospetto, per potere prestamente a le altre pervenire. Entrati dunque coloro, e veduto il letto alquanto rilevato, cognosciuto in quello essere uomo, tiratigli li panni da dosso, trovarono il misero Salustio mezzo morto; il quale da lor cognosciuto, subito come cani da presa lo pigliarono, e gridando ecce homo; e a quel rumore venuto il Vescovo con quanti seco erano, intrati subito dentro, e trovato il prete in camiscia giacere nel letto della badessa, ciascuno può facilmente giudicare quanto restassero di ciò tutti ammirati, e massimamente la dolente ingannata badessa che cosi attonita e stupefatta di tale accidente stava, che morta sarebbe da ognuno che veduta l’avesse stata giudicata, ricordandosi tal uomo non avere lei in letto lasciato, né sapea se quel che vedea o per sogno o pure per vero lo stimasse, parendole che non meno il negare che l'accettare le fosse interdetto. Madonna Chiara veduto il fatto riparo esser ridotto al remedio del desiderato fine, si può leggermente presumere a quante sconce ed enormi parole verso il Messer lo Vescovo prorompesse, et etiam in contra la povera e beffata badessa, dicendo fra l’altre cose: Per la Croce di Dio, io manderò domani per miei parenti che da questo bordello pubblico me fogliano, dove si trovano preti di notte e dentro i letti di coloro che doveriano dare a l'altre buono esempio; vecchia del diavolo, che possa cascare foco dal cielo, e miracolosamente la foglia di sopra la terra. E con queste e altre assai simili parole con gran furia entratasene in cella, e dentro serratasi, lasciò il Vescovo con tutti gli altri di fuori abbagliati. Il quale convertita la sua rabbia in grandissimo dolore e scorno, verso il dolente prete voltatosi, quello fe’ subito come un ladro ligare, e senza altramente accomiatarsi da la afflitta e svergognata badessa o altre monache, a casa se ne ritornò. La seguente matina fatto vista di formare il processo per volere il priore e il prete al foco condannare, fìnse per mezzo di buoni amici il suo rigido furore aver mitigato: e cosi lo foco che volea dare ai sacrileghi con tali altri insieme minacciati tormenti, in lo gulosissimo liquore di Messer San Giovanni Bocca d’oro si convertirono; e fu di tanto singoiar virtù che non solamente coloro da la meritata morte assolse, ma oltre la remissione del peccato diede loro plenaria autorità di potere per li già da loro solcati mari liberamente navigare, e per ogni altro pelago che a loro fatto venisse, senza alcuna pena, purché come figliuoli di obbedienza donassero a Messer lo Vescovo la lor dovuta decima parte, a tal che Iddio di bene in meglio i lor guadagni moltiplicasse. Ecco adunque, gloriosissimo Signor mio, come la sagace Chiara col suo subito riparo da li lacci di Messere il Vescovo se liberoe, e incolpando altrui che del foco la minacciava, netta del periglioso luogo uscio.
MASUCCIO.
Per non volere novellando di una in altra materia trascorrendo trapassare, ho lasciato e di lasciare intendo certi utili e necessari secreti da sapere di alcune donne monache, e tra le altre di quelle che a frati son sottoposte. Taccio dunque de le sette e mortali nimistà che fratiere e secolari hanno tra loro; e come quelle che s'impacciano con laici son peggio che giudee tenute e reputate, e come eretiche sono incarcerate, discacciate, perseguitate ognora; e le altre favorite e onorate hanno ufficii, hanno licenze, hanno a l'ultimo prerogative grandissime. Taccio anco quanto dir si potrebbe circa lo sposarse con li frati, dove io medesimo non una ma più volte sono intervenuto e visto e toccato con mani8: fanno le nozze grandi, da l'una a l’altra custodia li amici convitano, con le salmerie carche d’ogni bene si presentano, la messa vi cantano, festeggiare e motteggiare non lasciano, con secreti strumenti vi ballano, con lo assenso de la badessa e del loro prelato capitoli scritti e sigillati fanno, e sontuosamente cenato e fatta ogni altra nuzial cerimonia, non altrimenti che se dal proprio padre gli fosse per matrimoniale legge stata concessa, senza timore vergogna in letto si entrano. E benché io conosca avere impropriamente parlato, attento che nella precedente novella dissi che di quelle monache il coltivato terreno di belli monachini produceva, nondimeno costando a me di ciò il contrario, non tacerò quello che intorno a tal fatto con maggiore acerbità e abbominazione considerar si dee. Dico che per non ingravidare, di infinite arti usano, che di narrarle la onestà me lo vieta: ma che diremo quando scappa loro l’asino dal capestro, e lor prolifico seme generali naturai suo feto? che per non far venire il parto a compimento, di infinite e varie medicine usano, e tante altre detestande e velenose bevande e di sotto e di sopra oprano, che, di continuo martellando, prima che l’innocente anima di loro figliuoli abbia il materno latte gustato, o veduta la eterna luce del cielo, o almeno l’acqua del santo battesimo ricevuta, la uccidono e violentemente a le parti infernali la rilegano. E se alcuno dirà questo esser bugia, miri tra le fetide cloache di monache, e quivi vedrà di loro commessi omicidii testimonianza aperta, e vi troverà un cimiterio di tenerissime ossa de la già fatta uccisione, non minore di quella che per Erode in l’Innocenti ebrei fu operata. Nè so che altro intorno a ciò dire mi sappi se non che la pazienza di Dio troppo sostiene; ed io non potendo o non sapendo tal proposta materia a compimento scrivere, a la seguente novella per lo più breve modo potrò di pervenire intendo; de la quale non è lungo tempo che io donai avviso al magnifico Marino Caracciolo nobilissimo partenopeo, ancora che il dolore del mio caro e virtuoso fratello9 mi avesse l’ingegno per maniera offuscato, che io medesimo non sapea qual camino prendere mi dovessi per dare al mio scrivere principio; pure da’ suoi preghi confortato e da più sue lettere spronato, a scrivergli mi condussi.
Note
- ↑ Bisogna conoscere questo Roberto Sanseverino Principe di Salerno. Eccone il ritratto che ne fa il Summonte lib. V. pag. 302. «Fu il costui padre detto Giovanni, Conte di Sanseverino, buon castello del regno presso Salerno, stato ottenuto da’ progenitori sin da Normanni: la madre altresì detta Giovanna dell'istessa famiglia. Venuto il padre a morte, e lasciato de più figliuoli, la sollecita madre prendendo cura di essi gli allevò con gran tenerezza e amore, e come che era di animo grande e vivea limitatamente e con molta misura (il che è proprio di donne savie) facea in un tempo l’ufficio di madre e di padre, governando i figliuoli e loro entrate. Ma ella amò sopra tutti Roberto, per dover come maggiore succedere a lo stato paterno, e procacciò di non solo ampliarli il dominio, ma di farlo divenire, quanto ogni altro della sua età, adorno di tutte quelle buone arti e discipline che si richiedono ad im signore, ed essendo ella di continuo stata a divozione del Re. volle ancora che così fusse istituito il figliuolo, non attendendo con maggiore studio ad altro che a stabilirlo in grazia di quello. Pervenuto il giovene in età convenevole, incominciò a cavalcare e andare a caccia, e talora si esercitava nella scrima, e nel lanciar il palo, non lasciando alcun dì vacuo di così nobili esercizii: nel qual tempo diede ancor opra alle buone lettere, e molto più ciò fece entrando negli anni di buon giudizio: per le quali azioni egli era in grandissima stima e riputazione avuto da i Principi e dal Re, a cui fu molto caro, per essere anco ricco de’ doni di natura, atteso che egli era di bello e grato aspetto, d'alta e signorile statura, e nel favellare non men grato e dolce che libero e faceto. In oltre fu molto affabile e cortese, e tanto liberale che la sua casa era per ordinario aperta a ciascheduno, e finalmente dimostrava in ogni sua azione evidenti segni di derivare da quella non meno antica che illustre progenie onde egli era nato.» Masuccio dunque fu segretario di un degnissimo signore, e le parole che egli scrive nell’ultimo Parlamento al suo Novellino, e con le quali piange la morte di Roberto, sono vere ed affettuose.
- ↑ Il Sanseverino prima di essere Principe di Salerno, era Conte di Marsico.
- ↑ Dovrebbe dirsi: non v’erano.
- ↑ affermando ad esse.
- ↑ Questo trionfava è bellissimo. Invece di Tanni, fosse Janni?
- ↑ Qui ed altrove Masuccio usa artegliarie per espedienti, mezzi, istrumenti. Le artiglierie erano note in Italia, anche nel Trecento, e i Francesi le adoperarono alla battaglia di Crecy nel 1346. Villani, Storie XII, 671.
- ↑ forse non prospera.
- ↑ Questa è testimonianza gravissima. Diranno, calunnia, bugie; e Masuccio risponde, ho visto e toccato con mano. E poi nel primo Indice stampato nel 1564 c'è un libro che ha questo titolo: Matrimonio delli preti e delle monache.
- ↑ Francesco Guardati, fratello di Masuccio, fu prete, come si lesse nel manoscritto Pinto.