come volse la invida e prava fortuna, instabile, e non contenta di tanta quiete e pace, non varcò il secondo anno del suo quieto solio che il foco della pestifera e mortal guerra tutto il regno universalmente accese1. Era fra tanti movimenti di stato e cangiamenti di fortuna la magnifica e nobilissima città di Napoli, oltre ogni altra italica fedelissima, sì tribolata e oppressa che de continuo si vedeano li nemici assalire e depredare insino a le invitte porte di quella. Per queste, e assai altre cagioni non necessarie a ricontare, era la detta città quasi depopolata rimasa; e tra gli altri i religiosi, de li quali la moltitudine era grande, non trovando li soliti e fertili pascui nella città, gran parte di loro, che aveano renunciato fame freddo e fatica per l’amore di Cristo, come nimici di ogni disagio se ne erano di ciascun ordine fuggiti ove meglio parea a ciascuno e con più comodità poter poltroneggiare. Nondimeno rimasino alcuni; vi restò fra gli altri un santo frate napolitano, predicatore grandissimo, e ottimo confessore, e non minore investigatore di bellezze e facultà di donne, che di vizii o mancamento di fede che in alcun omo fosse stato; del quale come ch’io cognosca e sappia il nome e la religione, de la qua le lui falsamente se appellava osservante, per one sta cagione il tacerò, e solo il Partenopeo qui chiamarlo intendo. Costui non come gli altri volse andar di fuori, ma il rimaner dentro si elesse per avere più ampio campo di potere senza alcun ritegno
- ↑ Questa è la guerra che Ferdinando I ebbe dal Principe di Taranto e dal Duca di Sessa che chiamarono l’Angioino. È narrata dal Pontano nella sua Istoria, e poi dal Costanzo e dal Summonte.