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Novella V - La Maximilla vagheggiata da un preite e da un sarto: il preite vole ponere il Papa a Roma, el sarto il Turco a Costantinopoli

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Novella V - La Maximilla vagheggiata da un preite e da un sarto: il preite vole ponere il Papa a Roma, el sarto il Turco a Costantinopoli
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NOVELLA V.




ARGOMENTO.


La Massimilla vagheggiata da un prete e da un sarto, promette lo suo amore a tutti due: gode in casa col sarto: il prete va per la promessa, vuole entrare per forza: il sarto per paura se ricovera nel solaro: il prete entra, dice voler ponere il Papa a Roma: il sarto vede la festa, pensa non dovere andar senza suoni, sona la piva: il prete fugge: il sarto piglia la possessione de la persa preda.


AL MAGNIFICO MISSER ANGELO CARACCIOLO.1


ESORDIO.


Tra' volgari si suole talvolta ragionando dire, magnifico mio compare, che non solo con danari si pagano i debiti: il quale proverbio se ad alcuno fu mai caro, bisogno ne ebbe, io sarò di quelli V uno che ad usarlo teco son costretto. E ciò addiviene che dal cominciamento de la nostra amicitia insino a qui mi trovo in tante e si diverse maniere di cose a te obbligato, che non solo al rimunerare di quelle in alcun modo comparer potria, ma al pensare di esse come insufficientissimo me cognosco. E perchè a li [p. 67 modifica]magnanimi, qual tu se’, le poche cose, ricevendole da coloro con li quali in vera amistà sono congiunti, sogliono più che le sontuose aggradire, mi son disposto alcuna particella del mio a te devuto debito con la seguente novella satisfare. Supplicoti dunque che con amor la ricevi; e se in tutto o in parte il rozzo idioma di mia materna lingua te dispiace, che non il flore del mio incolto ed inexercitato ingegno, ma il solo frutto di quella prendere debbi. Vale.


NARRAZIONE.


Leggesi in più autentiche e di memoria degne scritture le nobiltà e ricchezze che furono già nel dilettevole paese della costa di Amalfi; e come che nei passati tempi quelle e maggiori con verità dire se ne potrebbeno, nondimeno per quel che di presente vedemo non solo le ricchezze con li marittimi traffichi diminuiti sono, e li gran palazzi minati, magli abitanti con difficoltà grandissima vivere vi ponno. Onde a noi tornando dico, che non molto lontano dalla città, de la quale quanto sia piacevole il luogo, il nome2 in parte lo dimostra, era una villetta, ne la quale non è gran tempo che era un prete Don Battimo nominato, il quale ancoraché di villa fosse pure del pratico e dell’intendente avea; ed essendo giovene e robusto molto, del tutto si era dato più al servigio de le donne, che alle debite ore i divini uflicii celebrare; ed in tal giuoco de continuo exercitandosi, a molti poveretti del paese facea portar la diadema dell’ariete in su la fronte. Di che fra le altre avvenne che un giorno pose gli occhi addosso ad una [p. 68 modifica]giovenetta sua vicina, la Massimilla nominata, moglie d’un povero legnaiuolo; la quale, ancora che per la sua gran bellezza molto si gloriasse quando da alcuno era amata, pure essendosi accorta esser di lei il prete fieramente preso, forse per avere altrove posti i suoi pensieri giammai si degnò, non che d’altro, ma di una sola piacevole guardatura satisfarlo. Il prete che instabile e volenteroso era per natura, cognosciuto che il vagheggiare non gli giovava, e che né preghi né lusinghe in lei trovavano luogo, cominciò con importunità grandissima, con gridi, e con minacce a seguitarla, per modo tale che la giovene più per fastidio e paura che per vaghezza che ne avesse, gli promise un di che come il marito andava fuora il paese era contenta fare il suo volere. Rimaso dunque il prete al promesso ordine contento, ed onestamente il suo innamoramento raffrenando, avvenne che un giovine d’un’altra villetta non molto da quella lontana, chiamato Marco, sartore, similmente della Massimilla innamoratosi, né essendo quello ne la sartoria troppo esperto, si era dato ad andare per le feste che in quelli luoghi d’intorno si faceano, sonando con una sua piva molto bella che egli avea; ed essendo di volto e di persona bello e tutto pieno di nuovi motti, dovunque andava era con feste e piacere ricevuto; la qual cosa gli mettea di gran lunga migliore ragione clie il suo mestiere antico. Amando dunque, com’è già detto, oltre modo la nominata giovene, e con dolci e con accorte maniere vagheggiandola, di indurla a similmente amarlo le fu cagione: e in tale amore continuando, un dì accadde che la Massimilla gli fe’ con piacere la simile impromessa che al fastidioso prete con [p. 69 modifica]rincrescimento fatta avea: di che maestro Marco lietissimo con non piccolo piacere e desiderio la partenza del povero marito aspettava, quantunque dal prete e dalla moglie non fosse con minore ansietà aspettata. E come da la lor ventura, o sciagura del marito fosse permesso, non passarono molti dì che il povero uomo andò per marinaro in una caravella che in Palermo facea suo viaggio. E facendosi una festa pochi dì doppo la sua partita ad un luogo molto a loro vicino, ed essendo chiamato il maestro Marco a sonare con la sua piva, e per avventura trovatavi la Massimilla che con altre paesane era a detta festa andata, ne fu oltre misura contento; exon piacere comune tutto quel giorno vagheggiatisi, venuta l’ora che già la festa finir si dovea, il maestro Marco per cauta via alla donna accostatosi per lo più breve modo possette li chiese di grafia che la già fatta promessa osservare gli dovesse: la giovene a cui non molto grave era stato il promettere, finalmente come a persona discreta lo attendere3 parendole assai leggiero, dopo diverse e lusinghevoli parole d’un innamoramento di villa, gli disse: Da qui a un poco io partirò di qua, e anderò per quella via che va quinci traversa: tu dunque starai bene attento, e subito che partita sarò mi seguiterai, che in buono e cauto luogo, come il rostro bisogno ricerca, ne trovaremo. Aveva la Massimilla una sua casetta con un orticello in una costa di montagna sopra il casale, la quale il marito in luogo di bottega esercitava lavorando in essa legname de le barche, e talvolta l’anno in tempo d’estate con la sua famiglia v’andava ad abitare, dove pensò la giovene [p. 70 modifica]poter sicuramente essere col maestro a pigliare non solo il rimanente del giorno piacere, ma anche gran parte de la seguente notte. Il maestro di tal cosa lietissimo, voltatosi ad un piccolo figliuolo che con lui aveva, e datagli la cornamusa de la sua piva, gl’impose che a casa ne la portasse: lui da l’altra banda postasi la piva in cintura, e veduta partire la Massimilla, quando tempo gli parve prestamente si avviò seguendola sua pista; e traversando il paese quasi in un medesimo tempo nella già segnata casetta si trovarono, ed intrati dentro, e serrato l’uscio, si acconciarono per ordinatamente godere. Il prete che di ciò niente sapeva, né di lai e uomo meno aveva sospetto, ma pur sapendo che il marito di colei era andato in Palermo, e che ella era stata alla festa, parendogli già ora di ridursi in casa, ed avvisatosi trovarla a la solita abitazione della villa, deliberatosi andare a provare sua ventura, postasi la via tra i piedi, con una gran coltellessa a lato, che lui chiamava salvimi me fac, con lento passo, per via di diportarsi4 verso la casa de la Massimilla se invioe; e trovatala serrata dal canto di fuori, stimò subito lei essere là dov’era, imperocché di andarvi era spesse volte solita; ed essendogli assai noto il luogo con la qualità del camino, ancorché duro gli paresse per lo grandissimo caldo che facea, da amore sospinto, rivolti suoi passi verso del monte, con non piccolo affanno alla signata casetta arrivato, e quasi in quel ponto che il maestro a pena l’aveva a basciare incominciata, sentendo la giovene dentro, e credendola esser sola, con non poco gaudio a picchiare l’uscio incomincioe. La donna [p. 71 modifica]lasciato il basciare disse: Chi è di fuori? Rispose il prete: Io, sono il tuo Don Battimo. E che buona nuova a talora? disse la giovene. A che il prete rispose: E come non sai tu quello che voglio? pure adesso non ci è tuo marito né altri che c’impacci: aprimi te ne priego. Disse lei: Deh, va con Dio buon uomo, che io non sono al presente acconcia a fare tal cosa. Il prete a tal risposta più turbatosi senza più consiglio, disse: In fe’ di Dio, se tu non mi apri io butterò quest’uscio per terra, e farò a tuo mal grado quello che io vorrò, e di poi ti anderò svergognando per tutto il paese. La Massimilla sentito il suono delle parole, e cognosciuto avere il cervello sopra il cappuccio, e che prima lo avrebbe fatto che detto, voltatasi al maestro che non manco di lei tremava di paura, sapendo il capo balzano del prete, così gli disse: Amore mio fino, tu puoi chiaramente cognoscere il pericolo in che noi siamo per questo demonio scatenato maledetto da Dio; e per tanto a nostro comune salvamento monterai su per questa scaletta, ed entrerai per lo cateratto, e ricoverato nel solaro e tiratati lascala dietro, qui chetamente alquanto spatio ti starai, che io spero far per modo che senza portarsi niente del nostro se n’andrà con la sua; mala ventura. Il maestro che più di pecora che di leone l’animo aveva, al subito consiglio de la giovene accordatosi, pienamente eseguio quanto per quella gli fu ordinato; e quivi dimorando posto l’occhio per un pertuso che nel solaro stava, con insopportabile dolore aspettava a che dovesse il giuoco riuscire. Il prete che di gridare non si arrestava che gli fosse aperto, veduto la giovene il buon uomo occultato, con lieto volto gli corse ad aprire, e [p. 72 modifica]toccandogli ridendo la mano, volendo in parole procedere, il prete l’appizzò non altramente che l'affamato lupo la timida capra, e senza alcuna onestà o ritegno non solo a basare la cominciò come il maestro fatto aveva, ma a rabbiosamente mordere, nitrendo forte come cavallo di battaglia: ed avendo già l'arco teso diceva per ogni modo volere ponere lo Papa a Roma. La donna che dal maestro sapeva essere veduta, diceva: Che Papa è questo, e che buona ventura di parole sono le tue? e tutta sdegnosa mostrandosi debolmente si difendeva. Il prete ad ogni ora più infocato nel suo amore, deposte brevemente le parole, deliberò li fatti adoperare; e buttatala di netto sopra un letticciuolo, e forte per lo primo corritore acconciato, riposta la mano ai suoi ferri, gridando: A Roma entra il Papa, il pose alla polita dentro al palio per ciò atto ed ordinato, ed in maniera che ad ogni colpo gli facea vedere e toccare l’altare e la tribuna di S. Pietro. Il maestro Marco che col dolore aveva in parte cacciata la paura, e come fu detto motteggevole era molto, trovandosi massimamente sul sicuro, veduta questa danza, ancorché odiosa gli fosse, deliberò fra sé medesimo fare una nova piacevolezza, e tolta la sua piva che alla cintura tenea, disse: Per mia fé’ quesla non è festa da entrare lo Papa in Roma e andare senza suoni. E postavi su la bocca, cominciò a sonare una maravigliosa entrata di porto facendo continuamente gran rumore e pista sul solaro che di tavole era. Il prete che ancora il ballo non avea finito, udito il sonare e gran schiamazzo farsi sovra il capo, e dubitando non li parenti de la giovene e del marito fossero qua venuti con gladiis et fustibus per fargli [p. 73 modifica]danno e vergogna, sbigottito e con la maggiore pressa che avesse mai, lasciato il cominciato ed imperfetto ballo, come il più presto seppe, ricordatosi de l'uscio, e quello trovato aperto, si diede in tal maniera in gambe che senza mai voltar il capo indrieto insino a casa sua non si ritenne. Maestro Marco cognosciuto che il suo nuovo avviso era a più lieto fine riuscito che lui estimato non avea,con assai maggior festa fe’ lo scendere, che con paura non aveva fatto el salire: e trovata la giovene quasi trangosciata di soverchio riso, che ancora dal macino levata non s’era, ripigliò la possessione de la già perduta preda: e come che el Papa senza suoni a Roma non aveva compito l'entrare, con piacevoli balli posero il Turco a Costantinopoli.5


MASUCCIO.


Motteggiando alquanto dirò che gli è da credere che la Massimilla restasse con assai maggior piacere de la uscita del Turco da Costantinopoli, che non era stata la gloria de l’entrata del Papa in Roma. Ma perchè lei sola ne potria dar sentenza, lo lascerò istimare per similitudine a due donne monache che appresso di raccontare intendo, le quali avendo e chierici e laici senza suoni ricevuti, ne chiariscono in causa scientiae come a salvamento di loro medesime seppero il partito in pronto pigliare.

Note

  1. Chi sia stato questo Angelo Caracciolo non saprei dirlo, né saprei cercarlo fra tanti di questa nobile famiglia. Masuccio lo chiama compare. Chi sa se per onorare questo suo compare non messe alla sua figliuola il nome di Caracciola!
  2. Amalfi gli pare che venga da Amore.
  3. Cioè osservare la promessa, attendere la promessa.
  4. Per via di diportarsi, come per diportarsi.
  5. Pochi anni prima, nel 1453 il Turco era entrato da vero in Costantinopoli, e questo fatto era assai grande e presente a la mente di tutti.