mente cenato e fatta ogni altra nuzial cerimonia, non altrimenti che se dal proprio padre gli fosse per matrimoniale legge stata concessa, senza timore vergogna in letto si entrano. E benché io conosca avere impropriamente parlato, attento che nella precedente novella dissi che di quelle monache il coltivato terreno di belli monachini produceva, nondimeno costando a me di ciò il contrario, non tacerò quello che intorno a tal fatto con maggiore acerbità e abbominazione considerar si dee. Dico che per non ingravidare, di infinite arti usano, che di narrarle la onestà me lo vieta: ma che diremo quando scappa loro l’asino dal capestro, e lor prolifico seme generali naturai suo feto? che per non far venire il parto a compimento, di infinite e varie medicine usano, e tante altre detestande e velenose bevande e di sotto e di sopra oprano, che, di continuo martellando, prima che l’innocente anima di loro figliuoli abbia il materno latte gustato, o veduta la eterna luce del cielo, o almeno l’acqua del santo battesimo ricevuta, la uccidono e violentemente a le parti infernali la rilegano. E se alcuno dirà questo esser bugia, miri tra le fetide cloache di monache, e quivi vedrà di loro commessi omicidii testimonianza aperta, e vi troverà un cimiterio di tenerissime ossa de la già fatta uccisione, non minore di quella che per Erode in l’Innocenti ebrei fu operata. Nè so che altro intorno a ciò dire mi sappi se non che la pazienza di Dio troppo sostiene; ed io non potendo o non sapendo tal proposta materia a compimento scrivere, a la seguente novella per lo più breve modo potrò di pervenire intendo; de la quale non è lungo tempo che io donai avviso