Il Libro dei Re - Volume I/Il re Dahâk/VI
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VI. Dahâk incatenato nel monte Demâvend.
(Ed. Calc. p. 42-47).
Quando partìa dalla sua terra il fiero
Prence Dahàk, un uom fedele e saggio,
Sì come schiavo nel suo tetto, gli ampi
Tesori avea con molta cura in guardia
1130E il regal seggio e la dimora antica,
E meraviglia era in veder qual fede
Egli serbava all’uom possente. Il nome
N’era Kundrèv, e già ver l’opre ree
Per stoltizia inclinava. Entrò quel giorno
1135Kundrèv a corsa la regal dimora,
E dentro a quelle case un re novello
Scoverse, di vittoria incoronato,
Tranquillamente su l’eccelso trono
Alto seder, qual nobile cipresso
1140Sovra cui dal sereno etra la luna
Fulgida splende. Stavagli da un lato
Shehrnàz leggiadra, e dall’opposta parte
Ernevàz gli sedea, bella qual luna
Nella volta del ciel. Vide che piena
1145Era di genti armigere la vasta
E turrita città, che su le porte
Del novello signor stavan serrati,
Cinti dell’armi, i suoi gagliardi. E tutto
Vide Kundrèv, nè si turbò, nè chiese
1150Qual secreto nascosto ivi si fosse,
Ma si fe’ innanzi con inchini e venne
A piè del gran signor, prestògli omaggio
E il benedisse e incominciò: Signore,
Viver tu possa fin che in ciel si volga
1155Pei mortali stagion! Felice il tuo
Eccelso loco qui, con tal di prence
Maestade e poter, che veramente
Degno tu sei di questo grado illustre
Di regnante e signor. Le sette amene
1160Regïoni del mondo a’ cenni tuoi
Restin devote, e la regal tua fronte
Levisi eretta a superar le nubi
Che dall’alto del ciel mandan la piova.
E d’avanzarsi gli fe’ cenno allora
1165Il nobile signor, tutto il secreto
Gli disvelò dell’esser suo. Gli disse:
Va, ciò ch’è d’uopo a regnator possente,
Degno del trono suo, tu cerca e apporta.
Portami vino, e i musici raccogli
1170In quest’aula regal, colma le tazze
E le mense mi appresta. E chi di musiche
Note è maestro e di me degno, e quanti
Son qui ch’esilarar sanno la mente
E il cor nell’ora del convito, intorno
1175A questo seggio mio tutti raccogli,
Come s’addice all’alta mia fortuna.
Poi che tal cenno ebbe da lui, le cose
Dal novello signor così richieste
Ratto apportò Kundrèv. Splendente un vino
1180Ei procacciò con giovinetti esperti
Dell’arte musical, con prenci illustri
Degni di sì gran re. Bevve, e la gioia
Accolse in cor quel re gagliardo e saggio,
E in quella notte celebrò tal festa
1185Qual s’addicea nel fausto evento. E allora
Che sorse in ciel l’alba novella, uscìa
Dall’ignoto signor correndo a prova
Kundrèv con nuovo ardor, salìa sul dorso
D’un veloce corsier, volgea le redini
1190A cercar di Dahàk nella lontana
Terra la traccia. Ei lo raggiunse, e salse
Nella presenza sua, tutte le udite,
Le viste cose gli narrò, poi disse:
Signor di gente valorosa e altera,
1195Or sì che indizio venne a te sicuro
Del tuo vicino declinar! Con ampio
Esercito d’eroi venner tre prodi
Con fronte eretta alle tue case; estrania
Regïon li mandò. Ma quei che in mezzo
1200È agli altri e per età minor ti sembra,
Che ha di cipresso la statura e volto
Qual di regnanti, è sì minor degli anni,
Già tel dicea, ma più degli altri è fiero,
Più potente d’assai, primo di tutti
1205S’avanza ardimentoso, e una ferrata
Clava stringe in sua man, qual di montagna
Smisurato frammento, e in mezzo all’ampia
Folla risplende, come stella in cielo.
Alto sul suo destrier, la tua regale
1210Dimora entrò con impeto selvaggio,
E dietro gli tenean que’ due guerrieri
Per quella stessa via. Venne, e si assise
Sul regal trono e tutti via disperse
Gl’incanti tuoi, le tue magie. Poi, quanti
1215Eran guerrieri nel palagio e Devi,
Tutti ei dall’alto del corsier co’ fieri
Colpi conquise e tempestò sul capo,
E le cervella orrendamente e il sangue
Sul suol ne mescolò. — Dahàk rispose:
1220Esser potrìa che l’ospite sia lieto,
E ciò bene sarà! — Ospite strano,
Lo schiavo soggiungea, che reca in pugno
Clava cotal che a sommo ha di giovenca
L’eretto capo, se a te vien, ten guarda.
1225Oltrepassò costui d’ospite amico
Le leggi tutte. Guàrdati da lui,
Ch’ei si sedette ardimentoso al loco
Del tuo dolce riposo e il nome tuo
Cancellò dal tuo serto e dal regale
1230Cinto che avevi un dì. Trasse a sua fede
Contrario il volgo. Se in tal uom costume
D’ospite vedi tu, fanne la prova.
E Dahàk rispondea: No, non crucciarti;
Ospite ardito e tracotante è segno
1235Di propizia fortuna. — Ecco, soggiunse
Kundrèv allor, ciò che a me dir volevi,
Udii da te. La mia risposta or senti.
Se l’ignoto campione ospite tuo
È veramente, dentro a’ ginecei
1240Quali son mai l’opere sue, chè intanto
Ei già si posa e consigliasi ancora
Con le sorelle di Gemshìd! Si prende
La rosea guancia di Shehrnàz da questa
Mano, e dall’altra il porporino labbro
1245D’Ernevàz giovinetta. E allor che oscura
La notte regnerà per l’ampio cielo,
Peggio ancora ei farà, chè un bel guanciale
Gli sosterrà di negro muschio il capo,
E son nere qual muschio ancora intatto
1250Le belle chiome delle due fanciulle,
Già sì dolci al tuo cor, leggiadre e care.
Sì come lupo si adirò quel prence
E la morte augurossi a tal racconto
Del servo suo. Poi con sonanti grida,
1255Alto imprecando, scatenò sua rabbia
Contro quest’uom sì misero e tapino
E semplice di cuor. D’oggi in avanti,
Gridò, mai più di case mie custode
Non sarai tu. — Rispose allora il servo:
1260Deh! ch’io penso, o signor, che di tua sorte
Frutto alcun non avrai d’oggi in avanti!
Come adunque affidar l’alta custodia
Potresti a me di tua città superba,
Tu, che privo se’ omai del trono antico
1265Di tua grandezza? E gli alti uffici in quella
Tua casa come mai daresti al tuo
Servo sì come un dì? Dal loco eccelso
Della tua gloria via t’han discacciato,
Come pel che si trova entro la pasta
1270E via si gitta. Cerca tu riparo,
Cercalo tu che se’ principe e sire.
Venne il nemico tuo, venne e si assise
Alto sul trono. Ei stringe una possente
Clava nel pugno, che di ferro ha in cima
1275Di giovenca la testa. Ogni tuo incanto
Via si portò, disperse ogni magìa,
Le belle tue si tolse e il loco tuo
Col piè calcò... Perchè, dunque, tu stesso
A te stesso non pensi? Io già non credo
1280Che simil cosa si avverasse mai.
Fe’ senno allor per tal risposta e ratto
Volle partir prence Dahàk. La sella
Fe’ porre al suo destrier che penetrante
Avea la vista, come vento al corso,
1285E venne e s’affrettò con infinito
Esercito di Devi e di gagliardi
A lui devoti, e dirizzando il passo
Agli abitati dai deserti lochi,
Aspra vendetta meditò nel core.
1290N’ebbe novella di Fredùn guerriero
De’ gagliardi lo stuol. Tutti gittàrsi
Per l’inaccessa via, scesero in fretta
Da’ lor cavalli bellicosi, e orrendo
Contrasto cominciàr d’armi e di forza
1295In quel loco sì angusto. Era sull’alto
D’ogni tetto un guerrier, sovra ogni soglia
Stavane un altro, tutti dell’antica
Città, con l’armi, e quanti avean guerriera
Fermezza in cor, mostràrsi al giovinetto
1300Prence devoti, ei che dolente il core
Avean per l’arti di Dahàk. Dall’alto
Delle mura cadean pietre, mattoni
Giù dai tetti scendean, spade e volanti
Frecce d’un legno ben compatto e greve,
1305Giù nella via, qual gelida gragnuola
Che da nuvole fosche agglomerate
Scende talor, nè loco ove riparo
Fosse da’ colpi, allor non era. E quanti
Erano prodi giovinetti in quella
1310Città famosa, quanti eran provetti
Guerrieri esperti di battaglie e d’armi,
Corser festosi a crescere le file
Di Fredùn battagliero, ogni magìa
Di Dahàk ripudiando. E già per tante
1315Grida di eroi la montagna echeggiava,
Piegava il suol de’ cavalli accorrenti
Sotto le zampe risonanti ed alto
Si agglomerava un nugolo di polve
Di quella schiera, e schiantavan le selci
1320Della montagna di tante aste all’urto.
Allor da un tempio al vivo Fuoco eretto
Venne tal grido: Se di re sul trono
Sarà posta a seder selvaggia fiera,
Giovani e vecchi obbedirem noi tutti
1325Al suo comando, nè il comando suo
Trasgredirem giammai. Ma non vogliamo
Dahàk sul trono, l’empio re che nutre
Sovra gli omeri suoi due serpi attorti.
Così guerrieri e cittadini insieme,
1330In un sol gruppo qual montana cima,
D’un moto si gittâr dentro la pugna
Rabbiosamente, e sùbito la polve
Alto levossi in ciel dalla superba
Splendïente città, sì che la chiara
1335Luce del sole intenebrò. Ma intanto,
Pieno d’invidia e pien di rabbia il core,
Giugnea Dahàk cercando all’improvviso
Danno riparo. Dalle accolte schiere
Vols’egli i passi alla regal dimora.
1340E perchè nella via nol conoscesse
Alcun di tanti là raccolti, tutta
Di negro ferro coprì la persona,
E s’avvïò. Salì sovra un terrazzo
Alto e cospicuo, per la man reggendosi
1345Di cubiti sessanta a un bene attorto
Laccio nodoso; là, dall’alto ei vide
Quella che avea nerissime pupille
Shehrnàz leggiadra con Fredùn sedersi
Piena d’incanti in un secreto loco.
1350Avea colei quant’è del dì la luce
Bianche le gote, e negri i bei capelli
Quant’è la notte, e le sue labbra turgide
Eran dischiuse a maledir dell’empio
Dahàk l’opre nefande. Oh! ben conobbe
1355Dahàk allor che quella era divina
Opra veracemente, e che di scampo,
Dall’imminente sua sciagura, chiuso
Era ogni varco. Ma la mente sua
Divampò allor d’un improvviso fuoco
1360E di rabbia e d’invidia, ond’ei dall’alto
Dentro al palagio il laccio suo nodoso
Drittamente scagliò, nè più curando
Il trono suo, la vita sua sì cara,
Scese pel laccio dal terrazzo, un fulgido
1365Pugnale nella man. Sete del sangue
Aveva ei sì delle fanciulle vaghe,
Sì che trasse la spada acuta e forte
Dalla auaina, nè svelò il secreto
Dell’esser suo, nè pronunciò suo nome.
1370Ma posato egli avea sul suolo appena
Il concitato piè, giù dal terrazzo
Disceso allor, che sopra qual procella
Fredùn ratto gli fu. Stese la mano
Alla clava dal capo di giovenca,
1375E in fronte lo colpì, l’elmo gl’infranse.
Venne Seròsh, angiol di Dio beato,
Correndo presso a lui. Non giunse ancora
L’ora estrema per lui!, disse. Rattieni,
Fredùn, i colpi tuoi. Ma fortemente
1380Qui, qui l’avvinci così pesto e sfatto,
E il traggi dietro a te fin che sarai
A due monti vicin. Meglio ti fia
Se catene egli avrà della montagna
Ne’ recessi deserti, ove nessuno
1385Venga de’ fidi suoi, niun de’ congiunti.
Udì l’eroe, nè s’indugiò; ma tosto,
Col cuoio d’un leon, possente un laccio
Formossi, e con quel laccio ambe le mani
E i fianchi strinse all’arabo signore,
1390Sì che quei nodi non avrìa disciolti
Un elefante in suo furor. Si assise
Fredùn allor su l’aureo trono, e quella
Empia legge abiurando, al vinto prence
Sì cara un dì, fe’ su le regie porte
1395Questo editto bandir: Quanti di voi
Hanno vigil la mente e il senno intègro,
Depongan l’armi. Non per questa via
Cercasi un uom guerrier fama soltanto
O disonor qui in terra. E non è bello
1400Ch’uom d’armi e battaglier faccia sue prove
Di guerresco valor con quei che tragge
Vita dall’arte sua. Del pio colono,
Dell’uom di guerra ch’è di clava armato,
Son l’opre manifeste e definite,
1405Quali d’ognun convenïenti. E allora
Che questi di colui l’opra desia
E vuol colui l’opra di questo, in terra,
Da confine a confin, gran turbamento
S’ingenera e grandeggia... Or qui si giace
1410Stretto in catene l’empio re che tanto
Infondeva terror con l’opre sue
Della gente nel cor, sì che tornate
Lieti e felici de’ fiorenti campi
All’opre industri, con letizia e amore
1415Lunga traendo la mortal carriera.
Tutti della città corsero i prenci
E quanti avean di fulgid’or ricchezza
E tesori cospicui, e al giovinetto
Sire i doni recàr con molta gioia,
1420Splendidi e belli, al suo comando in core
Riverenti e devoti. E a sè li accolse
Fredùn allor con accoglienze oneste,
E grado e potestà con molto senno
Conferì lor con nobili consigli,
1425Benedicendo. E poi, Dio ricordando
Dell’ampia terra creator, Quest’alto
Seggio, ei disse, è il mio loco. In ciel risplende
Di vostra sorte la fulgida stella
Con lieto augurio, chè Dio santo noi
1430Dal mezzo suscitò della sua gente,
Dalle valli d’Albùrz, perchè venisse
Franchigia a voi dall’orrido serpente
Per quella che dal ciel tutto m’investe
Maestà di regnante. E poi che tale
1435Fu pietate di Dio dator di grazia,
Con letizia di cuor la luminosa
Sua via correr dobbiam. Dell’ampia terra,
Da confine a confin, son io signore,
E licito non m’è lungo restarmi
1440In un sol loco. Dove ciò non fosse,
Io stare’ qui con voi, con voi di lunghi
Giorni passar vedrei l’ore gioconde.
Dinanzi a lui baciarono la terra
I prenci allora, e si levò infinito
1445Strepito al ciel di timpani sonori
Dalle soglie del re. Là tenean volti
Al palagio regal gli sguardi eretti
I cittadini, lamentando il breve
Soggiornar di Fredùn nella lor terra,
1450Fin ch’ei fuori adducea, dentro a que’ lacci
Che meritò, l’uom de’ serpenti. Allora
Da quell’erma città, senza che parte
Vi toccasser di preda o di rapina,
Le squadre uscìan, recando in su la schiena
1455D’un cammel, turpemente incatenato,
Montato al dorso in vergognosa foggia,
L’empio Dahàk. Così fino alle mura
Di Shirkhàn popolosa il tumultuante
Drappello s’avanzò. — Ma tu, l’antico
1460Racconto quando udrai, pensa di quanta
Longeva età sia carco il mondo! Assai
Giorni son corsi da quel tempo antico
Su que’ monti deserti e su quel piano,
E molti ancor ne scorreranno! — Intanto
1465Il giovinetto eroe, vigil fortuna
Cui dall’alto guidava, a quelle mura
Sospingea di Shirkhàn dentro a’ suoi ceppi
Dahàk avvinto, e s’internò fra i monti
Là ’ve battergli al suol volea la testa
1470Da un sol colpo recisa. In quell’istante
Seròsh apparve. L’angelo beato
Con dolce atto e cortese al giovin prence
Secreto un motto susurrò agli orecchi,
Così dicendo: L’infelice avvinto
1475Traggi correndo alle deserte valli
Del Demavènd così, senza che alcuno
De’ tuoi ti segua. Non avrai con teco
Se non quanti evitar tu non potrai.
Quanti nell’ora della tua distretta
1480Amici ti saranno. — Obbedïente
Fredùn allor, come corrier veloce,
Trasse Dahàk e ne le valli alpestri
Del Demavènd il fe’ carco di ceppi,
In orribile guisa. E allor che aggiunta
1485Una catena fu sull’altra, male
Non restò del destin ch’ei non avesse,
E nome di Dahàk nome divenne
Sterile e vano come polve. Il mondo
Libero uscì dall’opre sue sì triste,
1490Chè diviso restò l’empio da tutti
I suoi cognati e dagli amici suoi,
Là, su quel monte entro a que’ ceppi. Un loco
Fredùn cercò nell’orrida montagna
Profondo, angusto, e una caverna oscura
1495Scovrì che fondo non avea. Di ferro
Chiovi ei recò gravi e pungenti, e in quelle
Membra li conficcò là ’ve non era
O midollo o cerèbro. Indi le mani
Legò a Dahàk su la ronchiosa rupe,
1500Perchè là si restasse in lungo affanno.
Così sospeso all’orrido macigno
Fu l’antico signor; fino alla terra
Le lagrime scendean che uscìan dal core.
Vieni, perchè da noi le vie del mondo
1505Non si corrano in triste opre e malvage,
Perchè si rechi a bene oprar la mano!
Che se in terra del mal lunga non resta
Nè del bene la traccia, è miglior cosa
Che memoria di noi rimanga eterna,
1510E sia di lode quel ricordo. Eccelsi
Palagi e illustri e splendidi tesori,
Auro ed argento, non dàn frutto. Sola
Di te qui resterà memore e viva
Una parola. Quel ricordo e quella
1515Parola non stimar cosa leggiera!
Angiol di Dio non era in terra il saggio
Fredùn regnante, nè di muschio o d’ambra
L’avea composto il ciel; ma tal fortuna,
Ben che mortal, per sua giustizia e grazia
1520Ebbesi in terra. Ond’è che se tu adopri
Grazia e giustizia, altro Fredùn sarai.
Fredùn possente opra compiea divina
Liberando la terra; e fu di tante
Imprese sue questa la prima, in ceppi
1525Ch’egli solo gittò l’uom tristo e reo,
Dahàk malvagio. Vendicò del padre
L’anima santa e su la retta via
Pose la gente ancor. Seconda impresa
Fu questa; e allor che d’ogni mala stirpe
1530Purificò l’irania terra e tolse
A ogni più tristo illecita possanza,
La terza egli compì. — Ma tu, natura,
Quanto se’ infida e instabile e crudele!
Nutrì tu stessa e ciò che nutrì, uccidi!
1535Di re Fredùn che tolse il regno illustre
All’antico Dahàk, vedi la sorte
Fallace e trista! Cinquecento ei visse
Anni e regnò. Partissi alfine, e solo
Di lui rimase l’inclito suo seggio.
1540Partì quel grande, e l’ampio regno ad altri
Abbandonò, con sè recando solo
Un flebile sospiro. E noi siam tali,
Grandi e piccoli, tutti, o sia che duce
Esser tu voglia di vaganti greggi,
1545O sia che un di quel gregge esser tu voglia.