Pagina:Il Libro dei Re, Vincenzo Bona, 1886, I.djvu/212


— 195 —

Alto levossi in ciel dalla superba
Splendïente città, sì che la chiara
1335Luce del sole intenebrò. Ma intanto,
Pieno d’invidia e pien di rabbia il core,
Giugnea Dahàk cercando all’improvviso
Danno riparo. Dalle accolte schiere
Vols’egli i passi alla regal dimora.
1340E perchè nella via nol conoscesse
Alcun di tanti là raccolti, tutta
Di negro ferro coprì la persona,
E s’avvïò. Salì sovra un terrazzo
Alto e cospicuo, per la man reggendosi
1345Di cubiti sessanta a un bene attorto
Laccio nodoso; là, dall’alto ei vide
Quella che avea nerissime pupille
Shehrnàz leggiadra con Fredùn sedersi
Piena d’incanti in un secreto loco.
1350Avea colei quant’è del dì la luce
Bianche le gote, e negri i bei capelli
Quant’è la notte, e le sue labbra turgide
Eran dischiuse a maledir dell’empio
Dahàk l’opre nefande. Oh! ben conobbe
1355Dahàk allor che quella era divina
Opra veracemente, e che di scampo,
Dall’imminente sua sciagura, chiuso
Era ogni varco. Ma la mente sua
Divampò allor d’un improvviso fuoco
1360E di rabbia e d’invidia, ond’ei dall’alto
Dentro al palagio il laccio suo nodoso
Drittamente scagliò, nè più curando
Il trono suo, la vita sua sì cara,
Scese pel laccio dal terrazzo, un fulgido
1365Pugnale nella man. Sete del sangue
Aveva ei sì delle fanciulle vaghe,
Sì che trasse la spada acuta e forte
Dalla auaina, nè svelò il secreto