Il Governo Pontificio o la Quistione Romana/Capitolo 11

Capitolo 11

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CAPITOLO XI


Antonelli.


Egli è nato in un covacciolo. Sonnino ha maggiore celebrità nella storia dei delitti, che l’Arcadia negli annali della virtù. Questo nido d’avoltoi ascondevasi fra le montagne del mezzodi, verso la frontiera del reame di Napoli. Sentieruzzi impraticabili ai gendarmi serpeggiavano fra macchioni e siepaglie. Foreste tramischiate di liane,burroni profondi, grotte tenebrose formavano un paese atto, più che altri mai, al delitto. Le case di Sonnino, vecchie, mal fabbricate, accatastate e quasi inabitabili all’uomo, erano come il deposito del saccheggio ed i magazzini della rapina. La popolazione, altiera e vigorosa, esercitava da più secoli il furto a mano armata, e campava la vita a colpi di fucile. I bimbi appena nati coll’aere della montagna [p. 106 modifica]respiravano lo spregio delle leggi, e suggevano col latte materno la cupidigia dell’altrui. Eglino calzavanli di buon’ora di ciocie di cuoio grezzo, con cui si può correre spediti su per le rocce tagliate a picco. E quando avevano loro insegnato l’arte dell’inseguire e del ritrarsi, di afferrare e non essere afferrato, il valor delle monete, l’aritmetica del ripartimento e i principii del diritto delle genti in uso appo i barbari, la educazione aveva termine. Imparavano poi da sè medesimi a godere i conquistati beni, e a soddisfare le passioni nella vittoria. Nell’anno di grazia 1806, cotesta razza desiosa e brutale, empia e superstiziosa, ignorante e scaltra, donò all’Italia un piccolo montanaro appellato Giacomo Antonelli.

Gli sparvieri non covano colombe; è assioma di storia naturale che non vuol essere dimostrato. Se il giovane Antonelli avesse, nascendo, sortito le naturali virtù di un pastorello d’Arcadia, il suo villaggio avrialo rinnegato. Ma l’influsso di alcuni avvenimenti modificò, se non la natura, almeno la sua condotta. La fanciullezza e la giovanezza di lui sperimentarono due contraddittori moventi. Imperciocchè il brigantaggio diegli le prime lezioni, alle quali la gendarmeria aveva intercalalo le sue. Era in sul quart’anno, e rumori d’alta moralità scossero con violenza le sue orecchie: erano Francesi che fucilavano dei briganti nel distretto di Sonnino. Dopo il ritorno di Pio VII, vide tronco il [p. 107 modifica]capo a parecchi vicini di sua famiglia, che avevanlo trastullato sulle loro ginocchia. Crebbe lo scotto nel pontificato di Leone XII. Stava rizzato il cavalletto co’ nervi di bue, senza interruzione, sulla piazzetta del villaggio. L’Amministrazione demoliva ogni quindici giorni il tugurio d’un bandito, dopo aver trascinata la famiglia in galera, e pagato il premio al suo denunciatore. La porta San-Pietro, che è dappresso alla casa Antonelli, si abbelliva di una ghirlanda di capi recisi, e queste eloquenti reliquie, nelle lor gabbie di ferro, davano orribile vista. Che se lo spettacolo è la scuola della vita, uno spettacolo di tal fatta sarà stato in sommo grado. Giacomino potè a bell'agio riflettere sugli inconvenienti del brigantaggio, prima ancora di averne assaporato la voluttà. E già, intorno a lui, uomini di progresso cercavano industrie men pericolose del furto. Suo padre, che aveva, dicesi, il tallo addosso di un Gasparone e di un Passatore, non si esponeva sulle strade maestre. Dopo aver custodito e governato buoi, divenne intendente, poi ricevitor municipale, e guadagnava piú danaio con minor periglio.

Il giovinetto fu incerto alcun tempo dello stato da scegliere. La vocazione era quella di tutti i compatrioti; vivere scialato, fornito di ogni sorta godimenti, trovarsi ovunque come a casa propria, non dipendere da altri, si dominare le genti e, all’uopo, impaurirle; sopra ogni cosa poi, violare impunemente le [p. 108 modifica]leggi. Per raggiungere scopo cosi sublime, serbando la pancia ai fichi, entrò nel Seminario Romano.

Nei nostri paesi di scetticismo, si entra in seminario con la speranza di essere ordinato prete: Antonelli contava di non esserlo giammai. Ma è a notare che nella capitale della Chiesa cattolica i leviti un poco intelligenti divengono magistrati, prefetti, consiglieri di Stato, ministri. I curati si fanno con pera mezze.

Antonelli primeggiò cosi fra suoi, che, merceddio, schivò il sacramento dell’Ordine. Ei non ha mai detto la messa, nè udito le confessioni altrui; nė vorrei giurare che siasi ei stesso mai confessato. Entrò in favore di Gregorio XVI, cosa di maggiore importanza che tutte le virtù cristiane. Fu prelato, magistrato, prefetto, secretario generale dell’interno e ministro della finanza. Chi dirà che non avesse scelto il diritto calle? Un ministro di finanza, per poco che conosca il mestier suo, ammassa più scudi in sei mesi, che tutti i briganti di Sonnino in vent’anni.

Sotto Gregorio XVI, era stato retrivo per gratificarsi il monarca. All’esaltamento di Pio IX, si fe’ bello, per la ragione stessa, d’idee liberali. Un cappello rosso ed un portafoglio furono il guiderdone delle nuove sue convinzioni, e provarono agli abitanti di Sonnino che il liberalismo era ben più vantaggioso del brigandaggio. Che bella lezione pei montagnuoli! Uno dei loro scarrozzava fino innanzi alle caserme, e i soldati gli [p. 109 modifica]presentavano le armi invece di tirargli contro colpi di fucile!

Signoreggiò il novello Papa come aveva l’antico; ed allora si vide che la miglior maniera di prender la gente non era l’arrestarla sulle vie maestre. Pio IX, che non avea secreti per lui, gli confidò il disegno di risecar gli abusi, senza nascondergli la tema di non felice riuscita; ed egli secondava il Padre-santo fin nelle sue irrisoluzioni. Qual presidente della consulta di Stato, proponeva le riforme; come ministro, prorogavale. Nessuno più operoso di lui nel preparare la Costituzione del 1848; niuno più destro nel violarla. Inviò Durando a combattere gli Austriaci, e da che venne alle mani, disapprovollo.

Si ritirò dal ministero appena preannasò pericoli; ma confortava il Papa nella opposizion celata che questi faceva ai ministri. L’assassinio di Rossi gli diè seriamente a pensare, nè potendo tranghiottire la resta, pose in sicurtà il Papa e sè stesso, e andó a Gaeta secretario di Stato in partibus.

Dall’esilio di Gaeta ha origine la sua trapolenza sull’animo del Padre-santo, la sua riabilitazione nell’estimazione degli Austriaci, e l’intera unità di sua condotta. Niuna contraddizione di quivi nella vita politica. Coloro che appuntavanlo di incertezza tra il bene della nazione e l’interesse suo persopale, sono costretti a tacere. Ei vuol istaurato il potere assoluto dei Papi per disporne [p. 110 modifica]a suo tatento. Impedisce ogni ravvicinamento di Pio IX co’ suoi soggetti, ed invoca i cannoni della ortodossia alla conquista di Roma. Bistratta i Francesi che fannosi sgozzar per lui; chiude le orecchie agli avvisi liberali di Napoleone III; prolunga a bella posta l’esilio del suo Signore, e compie le promesse del Motu-proprio, pensando al modo di eluderle. Alfine ritorna in Roma e, durante dieci anni, regna sopra timido vegliardo, e sopra popolo in catene, opponendo ai consigli della diplomazia e a tutte le volontà d’Europa non altro che forza di inerzia; aggruppato al potere, incurioso del futuro, abusando del presente e aumentando ogni giorno la sua fortuna... alla foggia di Sonnino.

Nel 1859 ha cinquantatré anni: s’è però conservato giovane, il corpo snello e robusto e la sanità montanina. La larghezza della fronte ed il luccicar degli occhi, il naso a becco d’aquila e tutta la sua figura ispira una cotal sorpresa. Vi è quasi un lampo d’intelligenza sul viso bruno e moresco anzi che no. Ma le pesanti mandibole, i lunghi denti, le grandi labbra esprimono i più volgari appetiti. Scorgesi di tratto un ministro innestato su di un selvaggio. Allorachè assiste il Papa nelle cerimonie della Settimana santa, è vero tipo di orgoglio e d’impertinenza. Volgesi di tratto in tratto verso la tribuna diplomatica, e sogguarda, senza riso, cotesti poveri ambasciatori ch’ei berteggia da mane a sera: voi ammirate il comico che affronta [p. 111 modifica]impavido gli spettatori. Ma, quando in un salotto stringesi a colloquio con donna avvenente, quando le cicaleggia dappresso palpeggiandole le spalle e ficcando lo sguardo nelle tumidezze del busto, allora riconoscete l’uomo dei boschi, e compiangete il padre od il marito che ha mestieri dell’intercessione della figlia o della moglie....!

Abita al Vaticano superiormente al Papa: per lo che i Romani, giuocando di parole, domandano chi sia più alto, il Papa o Antonelli.

Odianlo del pari tutte le classi sociali. Concini stesso non fu di vantaggio avuto in dispetto. Gli è il solo uomo, intorno al quale sono tutti all’udisono.

Un principe romano mi comunicò lo stato delle entrate della nobiltà romana. Nel porgermi la notarella, mi disse: «Osserverete due famiglie la cui ricchezza è indicata da puntini: gli è l’infinito. Una è la famiglia Torlonia, l’altra è la famiglia Antonelli. Ambedue sono salite a grande fortuna in pochi anni, quella mercè imprese mercantili, questa mercè il potere.»

I cardinali Altieri ed Antonelli discutevano una questione dinanzi al Santo-Padre. Questi propendeva pel suo ministro. Il nobile Altieri sclamò: «Poichè Vostra Santità pone maggior fiducia in un ciociaro (uomo che ha portato ciocie) che in un principe romano, non mi resta che ritirarmi.»

Gli stessi panegiristi lasciano intravvedere [p. 112 modifica]il malcontento contro il segretario di Stato. L’ultima volta che il Papa rientro con solennità nella capitale (parmi dopo la gita a Bologna), la Porta del Popolo ed il Corso erano, secondo usanza, parati a festa, e le antiche statue de’ Santi Piero e Paolo coperte dei drappi sospesi. Sul canto del muro il popolo trovò scritto il seguente dialogo:

Piero a Paolo. «Dimmi, collega, e parmi che ne volgano le schiene.

Paolo. — Che vuo’tu! Noi siam nulla: tutto, nel mondo, può Giacomo.»

So bene che l’odio non prova nulla, anche l’odio degli Apostoli. La nazione francese, che mena vampo di giustizia, insulto le esequie di Luigi XIV, ebbe in uggia Arrigo IV per le sue economie, Napoleone per le vittorie. Non debbesi giudicare un uomo di Stato dopo le disposizioni de’ nemịci suoi. Sole ragioni pro e contro hanno a essere le sue geste pubbliche; soli testimoni la grandezza e la prosperità del paese che ei governa. Ma gli è temere, che tale inchiesta non riesca molesta all’Antonelli. La nazione gli dà carico di tutti i mali che ha da dieci anni sofferto. La miseria ed ignoranza universale, lo scadere di tutte le arti, la violazione di tutti i diritti, l’oppressione di tutte franchigie, il flagello permanente dell’occupazione straniera ricadono sul suo capo, avvegnadiochè ci sia solo responsabile d’ogni cosa. Ha egli almanco ben servito alla parte retriva? Ho miei dubbii. Quali fazioni ha [p. 113 modifica]soffocato nell’interno? Quai richiami fatti al di fuori? L’Europa lamentasi ad una voce, e tutti i giorni questa voce di lamento cresce di un tono. Egli non ha ravvicinato al Padre-santo nè un partito, nè una potenza. In dieci anni di dittatura non ha guadagnato ne la stima d’uno straniero, ne la fiducia d’un romano; solo ha guadagnato tempo e nulla più. La pretesa sua destrezza è malizia, e la sua acutezza è furberia da campagnuolo; nè ha la potenza degli imprendimenti arditi che sono fondamento per la oppressione dei popoli. Niun sa condurre meglio di lui il can per l’aia, e stancare i diplomatici; ma con accorgimenti di tal fatta si giunge, tutto al più, a puntellare sull’arena una barcollante tirannide. Dei tristi politici egli ha solo le vanterie derise, non il fine ingegno.

Vero è che, in fin dei conti, ingegno non serve per arrivare al suo scopo. Poichè, che vuol egli? Con quale intendimento discese dalle montagne di Sonnino? Per diventare benefattore della nazione? Salvatore del Papato o Don Chisciotte della Chiesa? Fisime belle e buone! Provvedere prima a sè, poi alla famiglia: eccovi il segreto del suo cuore.

Per la famiglia, pazienza! I suoi quattro fratelli, Filippo, Luigi, Gregorio ed Angelo, han usato le ciocie da giovanetti; ora recano tutti parimente la corona di conte; ed uno è governator della Banca, faccenda pingue, come vedete; e, dopo la condanna del Campana, gli è stato affidato il Monte di Pietà. [p. 114 modifica]Un secondo è conservatore di Roma, sotto un Senatore scelto a bella posta a cagion di sua nullità; ciò val dire, aggiunto d’un Comune in cui il sindaco non conta un frullo. Un terzo fa mestiere alla scoperta di endicajuolo, ed ha grande autorità per impedire o permettere l’esportazione, secondo che i suoi magazzini sono pieni o vuoti. Il più giovane e commesso-viaggiatore, diplomatico, messaggiero della famiglia, vero Angelus Domini. Il conte Dandini, solamente cugino, regna ne’ dominii della polizia. E questa brigatella maneggia, mula, aumenta ricchezze invisibili, che non possono essere nè staggite, nè calcolate. E bazza a cui tocca.

Quanto al secretario di Stato, uomini e donne che conosconlo intimamente fan fede che dolce è sua vita. Se non fosse la noia di armeggiare co’ diplomatici, e dare udienza tutte le mattine, ei sarebbe il felicissimo dei montagnuoli. Semplici i suoi appetiti; un abito di seta scarlatta, un potere sconfinato, una ricchezza favolosa, una riputazione europea e tutte le voluttà in uso appo gli uomini che di libito fan licito; questo pochetto gli basta ed avanza. E per arrota, una maravigliosa collezione di minerali ordinata a puntino, che serba, e tutti i giorni accresce, con foja di dilettante e tenerezza di padre.

Vi ho detto che aveva sempre schivato il Sacramento dell’Ordine, essendo solo cardinal-diacono. Le anime buone, che vogliono ad ogni costo, che tutto in Roma sia oro [p. 115 modifica]puro, magnificano i vantaggi ch’egli ritrae da non essere prete. Lo si appunta di ricchezze sfondolate? Elle ( le anime buone ) vi rispondono: «Ma non è prete.» Che ha troppo approdato dalle letture del Macchiavelli: «Ma non è prete. » Se si citano le sue buone avventure: «Ma non è prete. » Io non sapevo che ai diaconi tutto fosse lecito impunemente. A questa stregua, or che cosa non sarà consentito a noi che non abbiamo neppur la prima tonsura?

Questo felice mortale ha una sola debolezza, ma è natural debolezza: paventa la morte. Una persona grande e bella, ch’egli ha onorato delle sue eminentissime tenerezze, mi ha detto queste medesime parole: « Lorchè arrivavo al convegno, furiosamente mi si stringeva alla persona, e palpeggiava le mie tasche. Assicuratosi che io non recavo terzetta o pugnale, ricordava che eravamo amici.... e soli! »

Un uomo, un uomo solo ha osato minacciare si preziosa vita; ed era un miserabile idiota. Sospinto da società segrete, s’appiattò nelle scale del Vaticano, e attese il cardinale al suo passaggio. Giunto l’istante tirò, a grande stento, dalla tasca un’arma; il cardinale, vedutala, dà un guizzo indietro, come un camozzo delle Alpi; e l’assassino in sul punto preso, legato, giudicato; e, poco di poi, mozzatagli la testa. Il clemente cardinale, a vero dire, erasi gettato officialmente a’ piè del Papa per implorar grazia che [p. 116 modifica]sapeva di non ottenere. Ora sborsa alla vedova una pensione: ammirate talento di volpe!

Intanto, dacché ha veduto balenar su gli occhi un’arma, ei non esce senza molte precauzioni. I suoi cavalli sono addestrati a galoppare furiosamente per le vie; pensi il popolo a guardarsi.

La paura della morte, la passione dell’oro, il sentimento di famiglia, lo spregio per gli uomini, l’indifferenza pel bene dei popoli e varii tratti di accidental simiglianza han fatto paragonare Antonelli a Mazarino. Son dessi nati nelle stesse montagne, o presso a poco. Questi penetrò furtivamente nel cuor d’una donna; quegli s’impossessò delle facoltà di un vegliardo. Ambidue governarono scemi di scrupoli, e meritarono l’odio de contemporanei: ambidue parlarono francese assai comicamente, ma senza ignorare alcuna delle finezze del linguaggio.

Eppure sarebbe ingiusto collocarli nella medesima riga. L’egoista Mazarino detto all’Europa i trattati di Vesfalia e la pace de’ Pirenei; fondò, mercè la diplomazia, la grandezza di Luigi XIV: ed amministrò le bisogne della francese monarchia, senza punto negligere le sue. Antonelli è cresciuto in fortuna a danno della nazione, del Papa e della Chiesa. Potriasi paragonare Mazarino ad un abile sarto, ma briccone, il quale veste con aggiustatezza gli avventori suoi, dopo avere però destramente furacchiato, a suo pro, qualche braccio di drappo: Antonelli a quel [p. 117 modifica]cialtrone ebreo, che demoliva il Coliseo per rubare il ferro delle impiombature.