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respiravano lo spregio delle leggi, e suggevano col latte materno la cupidigia dell’altrui. Eglino calzavanli di buon’ora di ciocie di cuoio grezzo, con cui si può correre spediti su per le rocce tagliate a picco. E quando avevano loro insegnato l’arte dell’inseguire e del ritrarsi, di afferrare e non essere afferrato, il valor delle monete, l’aritmetica del ripartimento e i principii del diritto delle genti in uso appo i barbari, la educazione aveva termine. Imparavano poi da sè medesimi a godere i conquistati beni, e a soddisfare le passioni nella vittoria. Nell’anno di grazia 1806, cotesta razza desiosa e brutale, empia e superstiziosa, ignorante e scaltra, donò all’Italia un piccolo montanaro appellato Giacomo Antonelli.
Gli sparvieri non covano colombe; è assioma di storia naturale che non vuol essere dimostrato. Se il giovane Antonelli avesse, nascendo, sortito le naturali virtù di un pastorello d’Arcadia, il suo villaggio avrialo rinnegato. Ma l’influsso di alcuni avvenimenti modificò, se non la natura, almeno la sua condotta. La fanciullezza e la giovanezza di lui sperimentarono due contraddittori moventi. Imperciocchè il brigantaggio diegli le prime lezioni, alle quali la gendarmeria aveva intercalalo le sue. Era in sul quart’anno, e rumori d’alta moralità scossero con violenza le sue orecchie: erano Francesi che fucilavano dei briganti nel distretto di Sonnino. Dopo il ritorno di Pio VII, vide tronco il