Il Fiore delle Perle/8. La foce del Talajan
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Capitolo VIII
La foce del Talajan
Il 12 maggio la giunca, dopo aver attraversato lo stretto di Basilan e di aver rilevato il faro di Zamboanga, attraversata la baia d’Illana, avvistava le coste occidentali di Mindanao, fra i capi Tanalisah e Tapian.
Quest’isola è una delle più grandi del vasto Arcipelago Filippino, anzi la seconda dopo Luzon, avendo una superficie di ben tremila ed ottocento leghe quadrate, con una popolazione approssimativa di un milione e mezzo d’abitanti dei quali tre quarti selvaggi o poco meno e affatto indipendenti, non avendo mai riconosciuta la sovranità spagnuola.
Quantunque da secoli gli spagnuoli abbiano occupato alcuni punti, istituendo tre alcadie, una chiamata di Caraga con Dapitao, la seconda di Missamis colla cittadella fortificata di Davao e la terza di Zamboanga quasi di fronte a Basilan, residenza d’un governatore nominato dalla Spagna ma soggetto agli ordini del capitano generale delle Filippine, Mindanao è anche oggidì non interamente esplorata, non bene conosciuta, nè tutta conquistata.
Gran parte di quella vasta terra si trova ancora sotto la dominazione di sultani che più o meno palesemente esercitano ed incoraggiano la pirateria. Ve n’è anzi qualcuno nelle parti meridionali, tanto potente da dare del filo da torcere agli spagnuoli se avessero il desiderio di spingere più oltre le loro conquiste, potendo mettere in campo parecchie diecine di migliaia di valorosi combattenti, mentre le regioni settentrionali sono in gran parte degli Illani, popolazioni indipendenti, rette da una moltitudine di piccoli capi stretti fra di loro in lega.
Nell’interno vi sono invece popoli assolutamente barbari, specie di negri somiglianti agli igoroti ed ai negriti delle Filippine, viventi quasi sempre in guerra fra di loro e tribù sanguinarie che pare non abbiano altra passione che di fare raccolta di crani umani, uccidendo qualunque persona che ha la disgrazia di cadere fra le loro mani.
Se gli abitanti sono feroci ed inospitali, specialmente quelli che non si trovano a contatto col mare, l’isola invece è una delle più splendide della Malesia, ricca di comodi porti che possono offrire un rifugio alle più grosse navi; di fiumi di corso anche ragguardevole come il Rio Grande, il Butuan, l’Alugan ed il Davao; di laghi vastissimi fra i quali meritano menzione il Maguindanao, il Linguasan ed il Butuan e di alte catene di montagne, fra le quali le più notevoli sono quelle di Apo che formano l’ossatura centrale dell’isola, di Dicalungan, di Rangayano e di Sugut.
Poche isole hanno boscaglie così immense, quasi vergini, come quella di Mindanao, ricche di tutte le piante che crescono nella Malesia ed abitate da grande copia di selvaggina. Si può dire che ben poco costa il vivere ai suoi abitatori, poichè i preziosi alberi del sagù, che crescono senza coltura, forniscono loro il pane per tutto l’anno con pochissima fatica, i boschi selvaggina d’ogni specie ed i fiumi pesci in enormi quantità.
Ma, come dicemmo, la vita è tutt’altro che comoda per quegli abitanti, specialmente per le tribù dell’interno, in causa delle atroci guerre che si fanno, guerre d’esterminio che durano da secoli e che mantengono il numero della popolazione quasi stazionario.
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La tow-mêng, avvistata la costa, aveva calate parte delle sue grandi vele di giunco per procedere più lentamente, sapendo Tseng-Kai che numerosi sono i banchi di sabbia e gli scogli di natura corallina che si estendono dinanzi a quelle spiagge.
Avendo riconosciuta, verso il sud, la punta Tapian, il vecchio chinese mise la prora verso il nord per poter giungere nei pressi del Rio Talajan, alla cui foce, secondo le informazioni del colonnello spagnuolo, la cannoniera erasi arenata.
Hong e Than-Kiù volevano, innanzi a tutto, visitare il luogo ove i pirati avevano assalito la piccola nave a vapore, per avere la certezza di non prendere un’altra via, prima d’inoltrarsi nell’interno. Speravano inoltre d’incontrare qualche pescatore costiero o qualche abitante che potesse fornire loro qualche indicazione sui pirati che avevano preso parte all’abbordaggio.
— Troveremo qualcuno che ci darà qualche notizia — disse Tseng-Kai a Than-Kiù che lo interrogava. — I villaggi sono piuttosto radi su queste spiagge, ma trovandosi il Talajan a non molta distanza da Cottabado che è una città situata sul Rio Grande, i pescatori non mancheranno.
Apriamo però bene gli occhi, poichè il Sultano di Selangan si mostra piuttosto tenero coi pirati e si dice anzi che di nascosto li incoraggi. Se in questi paraggi hanno osato assalire una cannoniera spagnuola, non si farebbero scrupolo di dare addosso ad una povera giunca. Fortunatamente sulle casse degli insorti ho prelevato quattro dozzine di granate, e queste scalderanno per bene i dorsi di quei pericolosi squali di terra.
— Chissà che il sultano non li protegga ora apertamente e che abbia messo uno zampino nell’abbordaggio della cannoniera, — disse Hong. — Sa che gli spagnuoli hanno troppo da fare a Manilla, per occuparsi ora dei pirati.
— È probabile, — rispose il vecchio chinese, — e questo sospetto mi viene confermato dall’assoluta assenza di velieri in queste acque.
— Brutto sintomo.
— Il cannone è però carico ed ho fatto portare i fucili in coperta.
— Siamo vicini ai paraggi ove la cannoniera fu assalita? — chiese Than-Kiù, con emozione.
— Non siamo lontani più di due o tre ore, — rispose Tseng-Kai.
— Passeremo dinanzi a qualche villaggio?...
— Sì, a quello di Tambang, ma perchè questa domanda?
— Pensavo che quegli abitanti potrebbero darci qualche notizia.
— E desteremo dei sospetti, — disse il vecchio chinese, crollando il capo. — Credi a me, Than-Kiù, teniamo segreto più che possiamo lo scopo del nostro viaggio o appena tu sarai sbarcata troverai tanti ostacoli da dover tornartene presto, se non ti capita di peggio. No, non spargiamo la notizia di ciò che cerchiamo. Lascia che troviamo il luogo ove la cannoniera si è arenata, poi vedremo sul da farsi. Ohe!... Issate tutte le vele e un uomo a prora con lo scandaglio. —
La tow-mêng, che aveva calate poco prima mezze vele, appena i marinai le ebbero rialzate riprese la corsa fiancheggiando la costa che si stendeva a due miglia di distanza.
La spiaggia appariva deserta e coperta da boscaglie, i cui margini venivano a bagnare le radici in mare. Non si vedevano che grandi bande di uccelli costieri, di rondini salangane che costruiscono quei preziosi nidi così avidamente ricercati dai ghiottoni del Celeste Impero e dai ricchi malesi, di rondoni marini, di uccelli del tropico, di grossi albatros e di pesanti pelargopsis dal becco rosso come il corallo e di dimensioni straordinarie in paragone al corpo dei volatili.
Hong e Tseng-Kai aguzzavano gli sguardi sperando di scoprire qualche battello da pesca o qualche attruppamento di capanne, ma senza alcun risultato. Quelle spiagge, altre volte popolate e frequentate dai prahos malesi, dai padevakan macassaresi e dalle giunche chinesi, erano diventate assolutamente deserte. Perfino gli abitanti pareva che fossero fuggiti nell’interno.
Alle dieci del mattino la tow-mêng, che procedeva con una velocità di tre nodi all’ora, passava dinanzi al Tenuan, un piccolo fiume che sbocca fra banchi di sabbia e più tardi dinanzi al Matabar presso la cui foce doveva trovarsi un piccolo villaggio, però nè Tseng-Kai nè i suoi uomini riuscirono a vedere una sola abitazione in piedi. Pareva che tutto fosse stato distrutto, e non si poteva sapere se dai suoi abitanti o dai pirati che avevano assalito la cannoniera.
A mezzodì, oltrepassate le profonde insenature che forma la costa, specie di canali rassomiglianti un po’ ai fiords della Norvegia, la tow-mêng gettava l’ancora alla foce del Talajan.
Questo fiume è uno dei più considerevoli di Mindanao, poichè ha le sue sorgenti nelle regioni meridionali, presso i monti Dicalungan, con vaste diramazioni che lo uniscono al Brazo Norte del Rio Grande, servendo d’unione al Sur ed al lago di Butuan per mezzo del Bacat.
La foce del fiume era pittoresca. Le due rive, assai basse, erano ingombre di splendidi alberi dalle foglie gigantesche, le quali proiettavano una cupa ombra sulle acque limpide della riviera.
Isole ed isolotti somiglianti a grandi mazzi di verzura, sorgevano qua e là, ricettacolo sicuro di miriadi d’uccelli costieri, i quali vi svolazzavano intorno mandando gioconde strida.
Non un villaggio, anzi nemmeno una capanna si vedeva sorgere fra il verde cupo di quella esuberante vegetazione. Solamente alcune barche abbandonate sui banchi di sabbia, mezze sommerse, indicavano che un tempo degli abitanti avevano colà soggiornato.
Hong, Tseng-Kai e Than-Kiù, dopo aver gettato uno sguardo sospettoso sotto quei boschi che potevano servire di rifugio ai predoni che avevano assalito la cannoniera, erano saliti sull’albero maestro per dominare meglio le due rive e parte del corso superiore del fiume, prima di arrischiarsi a tentare una esplorazione, non essendo per nulla rassicurati dalla calma che regnava in quel luogo.
— Vedremo, — disse Hong, che si era accomodato sulle crocette. — Se è qui che la cannoniera è stata assalita, qualche rottame si dovrebbe trovare. Cosa ne dici, Tseng-Kai?...
— Sono del tuo parere, — rispose il vecchio chinese. — Lo scafo non se l’avranno di certo portato via i pirati, non avendo per essi alcun valore.
— Eppure non vedo nulla, — disse Than-Kiù, che girava gli sguardi in tutte le direzioni. — Che sia stata assalita in altro luogo?... E non un abitante da interrogare!...
— Volete un consiglio? — disse Tseng-Kai, che da qualche istante era diventato pensieroso. — Tentiamo una esplorazione sul fiume col canotto. Le acque sono profonde e la cannoniera, per salvarsi dalla furia del mare, può essersi spinta più oltre la foce.
— Credo che il tuo consiglio sia il migliore, — disse Hong. — Partiremo io, Than-Kiù, Pram-Li ed il giovane Sheu-Kin; tu rimarrai coi tuoi uomini, a guardia della tow-mêng.
— Hai ragione; non oso abbandonarla. Se non troverete nulla, andremo a Cottabado; è impossibile che colà non si sappia qualche cosa.
— Concedetemi dieci minuti di tempo, — disse Than-Kiù. — Quando il canotto sarà in acqua, sarò pronta anch’io. —
Mentre s’affrettava a scendere nella cabina di poppa, messa galantemente a sua disposizione dal vecchio chinese, i marinai calavano in acqua la piccola imbarcazione, dopo però averla provvista d’armi, di munizioni e di viveri, non essendo prudente avventurarsi inermi su quel corso d’acqua dopo l’abbordaggio della cannoniera e la misteriosa scomparsa degli abitanti.
Hong stava per scendere onde raggiungere Pram-Li e Sheu-Kin, che avevano già afferrati i remi, quando vide uscire dalla cabina di poppa un giovane marinaio, o piuttosto un mozzo dalle forme eleganti e che prima non aveva mai veduto.
Stava per volgersi verso Tseng-Kai, il quale pareva non meno stupito di lui, quando un grido gli sfuggì:
— Per Fo e Confucio!... — esclamò. — Quale trasformazione!... Ecco il più bel mozzo di tutta la marina chinese e che lo stesso imperatore sarebbe orgoglioso di avere!... —
Quel bellissimo e giovane marinaio era Than-Kiù. La giovanetta, comprendendo che la sua presenza in abiti femminili in quei luoghi avrebbe potuto destare dei sospetti, aveva indossato un costume marinaresco che le lasciava, d’altronde, maggior libertà. Aveva indossato una casacca di seta azzurra che le si adattava comodamente al corpo, un paio di pantaloni d’egual colore che le scendevano fino alle scarpe, sorretti da una larga fascia di seta rossa e nascosti i copiosi capelli sotto un ampio cappello di fibre di rotang, adorno d’un semplice nastro.
— Riconosci ancora in me una donna? — chiese ella, sorridendo.
— No, ma sei un mozzo così bello, che se fossi un capitano di nave ti rapirei subito, — rispose Hong. — Hai avuto una splendida idea, fanciulla mia.
— Allora partiamo. —
Stavano per lasciare la giunca, quando Tseng-Kai, che da qualche istante pareva che ascoltasse con profondo raccoglimento, li arrestò con un gesto della mano.
— Cosa vuoi? — chiese Hong, sorpreso.
— Ascolta, — rispose il vecchio chinese.
Il capo del Giglio d’acqua e Than-Kiù, tesero gli orecchi, e non udirono altro che le grida formidabili d’una banda di siamang, orribili scimmie assai comuni in tutte le isole malesi e che essendo fornite d’un gozzo enorme che gonfiano a volontà, fanno un baccano assordante.
Ascoltando però con maggior attenzione, parve loro di distinguere anche una voce umana, la quale echeggiava verso l’alto corso del fiume. Pareva che un uomo scendesse la corrente, cantando a piena gola una barbara canzone.
— Qualche pescatore? — chiese Hong a Tseng-Kai.
— Lo sapremo presto, — rispose il chinese.
— Un simile incontro può essere una fortuna, — disse Than-Kiù.
— Od un pericolo, — rispose il vecchio chinese.
La voce umana si avvicinava. Era una voce robusta che talora vinceva perfino le grida assordanti delle siamang, e che dinotava come il suo possessore avesse dei polmoni di ferro.
Tseng-Kai che ascoltava sempre, riuscì a capire alcune parole del cantore.
— È un malese, — disse.
In quell’istante alla svolta del fiume comparve una barca scavata nel tronco d’un albero, montata da un uomo quasi nudo, poichè non aveva che un semplice pezzo di calicot stretto alle anche, ed un fazzoletto annodato attorno al capo.
Era un individuo di statura piuttosto bassa e tarchiata, colla pelle assai abbronzata, che aveva delle sfumature rossastre, con braccia e gambe muscolose. I suoi lineamenti, tutt’altro che belli con quel naso appiattito, quella bocca assai larga, quegli zigomi assai sporgenti, e quegli occhi piccoli che avevano un non so che di tetro, bastavano, anche a prima vista, per riconoscere in lui un malese.
Trovandosi bruscamente dinanzi alla giunca, alzò i remi che teneva in mano e guardò sospettosamente gli uomini che la montavano, poi fece un rapido gesto, come se volesse afferrare una di quelle pesanti lame, ben affilate, chiamate bolos, che teneva sul bordo della barca, ma non la toccò, comprendendo forse che non gli sarebbe stata di grande giovamento contro una giunca bene equipaggiata.
Tseng-Kai che era salito sul castello di prora, fece cenno a Pram-Li ed a Sheu-Kin, che si trovavano nel canotto, di armare i loro fucili, poi indirizzandosi al malese che aveva ripresi i remi, gridò:
— Ohe!... Dove vai?... Se vuoi salire a bordo, posso offrirti un buon bicchiere di sam-sciù e del tabacco. —
Il malese non rispose. Guardò le due rive del fiume come se temesse di venire spiato, si curvò innanzi per ascoltare i rumori della foresta, poi rialzandosi con un gesto deciso, riprese i remi, e spinse la barca verso la tow-mêng.
Quando vi giunse sotto, legò la canoa alla scialuppa, afferrò la gomena che era stata gettata dall’equipaggio, e salì a bordo con quella sorprendente agilità che è un dono speciale di quella razza di valenti marinai.
— Eccomi, — diss’egli, dopo d’aver guardato rapidamente la giunca e gli uomini che la montavano. — Dammi il bicchiere di sam-sciù ed il tabacco che mi hai promesso.
— Io ti darò non un bicchiere, bensì una bottiglia e tanto tabacco da fumare una settimana ed anche un kriss se lo vorrai, però ad una condizione, — disse Tseng-Kai.
— Parla, — rispose il malese, i cui sguardi irrequieti si fissavano ora sugli uomini che lo circondavano, ed ora sulla giunca.
— Abiti questo fiume da molto tempo?...
— Da molti anni.
— Vi è qualche villaggio nei dintorni?...
— Sì, uno, molto lontano, poichè si trova alla confluenza del Sur col Talajan.
— Vieni di là?...
— No, la mia capanna si trova in questi boschi.
— Sei forse un pescatore?...
— Sì, — rispose il malese dopo qualche esitazione.
— Allora tu puoi sapere quanto accade su questo fiume che sei costretto a percorrere così di sovente.
— Certo.
— Anche ciò che è successo uno o due mesi or sono.
— Sì, sì.
— Hai veduto tu una cannoniera montata da uomini bianchi entrare in questo fiume?... —
Il malese udendo quelle parole trasalì, mentre i suoi occhi si fissavano in quelli del vecchio chinese, come se avesse voluto indovinare lo scopo di quella domanda, poi chiese, con qualche apprensione:
— Venite a vendicarli?...
— Per Fo e Confucio!... — esclamò Hong, che conoscendo pure il malese, non aveva perduto una sillaba di quell’interrogatorio. — Pare che il nostro uomo sappia molte cose a proposito della Concha. Sii prudente, Tseng-Kai.
— Non temere, — rispose il vecchio marinaio.
Quindi guardando il malese che lo fissava sempre, disse:
— Non siamo venuti a vendicare nessuno, anzi non abbiamo alcun interesse ad occuparci degli spagnuoli che la montavano. Gli uomini bianchi non sono nostri amici, e tu, che sei malese, non dovresti ignorarlo.
— Cosa vuoi sapere adunque?...
— Semplicemente dove si è arenata la cannoniera.
— Ma perchè?...
— Per soddisfare il desiderio d’una persona, che pare abbia interesse a sapere se si è perduta qui o sulle coste meridionali dell’isola.
— Per poi vendicare gli uomini che la montavano?... — insistette il malese, il cui viso si rannuvolò.
— Questo squalo d’acqua dolce non ha la coscienza tranquilla, — disse Hong a Than-Kiù. — Deve aver preso parte all’abbordaggio.
— Guai a lui, — rispose la giovanetta, mentre un cupo lampo le brillava negli occhi.
Tseng-Kai aveva ripreso intanto l’interrogatorio.
— Ti ho detto che nessun pensa a vendicare quegli uomini bianchi, anzi la persona che m’ha qui mandato, sembra che avesse da guadagnare qualche grossa eredità per la scomparsa d’uno di quegli uomini.
— Ti comprendo, — rispose il malese, sforzandosi a sorridere.
Poi, dopo qualche istante di silenzio, riprese:
— Se t’indicassi dove si è arenata, tu mi dai un kriss, del sam-sciù e del tabacco, è vero?
— Sì.
— Ebbene: è su questo fiume che si è naufragata.
— E dove?...
— Lassù, — rispose il malese, indicando l’alto corso. — Il mare era terribile il giorno in cui la nave fumante comparve su queste coste e sconvolgeva anche la foce del Talajan, sicchè gli uomini bianchi, per salvarsi, risalirono per buon tratto la corrente.
— E si arenarono?...
— Su di un grande banco di sabbia.
— E poi?... —
Il malese invece di rispondere, tornò a guardarlo con due occhi che parevano due punte di spillo.
— Poi, — disse, tornando a esitare, — sono stati assaliti dai pirati.
— Da quali?...
— Non lo so, non ero presente al combattimento. Quando io, al mattino, scesi il fiume per andare a pescare alla costa, tutto era finito e sul banco non rimaneva che lo scafo semi-sventrato della cannoniera. —
Il vecchio chinese stava per continuare l’interrogatorio, quando Hong gli fece un cenno per arrestarlo, dicendogli poi in chinese:
— A più tardi il resto; lascia fare a me. —
Diede ordine ad un marinaio di portare al malese una bottiglia di sam-sciù, forte liquore usato dai chinesi ed ottenuto colla fermentazione del riso, alcuni pacchi di tabacco ed un kriss, quindi disse:
— Ora ci condurrai a vedere lo scafo della cannoniera, è vero, brav’uomo?...
— Sì, se lo vorrete, — rispose il malese. — Vi avverto però che il fiume è sovente percorso dai pirati, e quindi vi consiglio di seguirmi in molti.
— Basteranno quattro di noi.
— Avete tante persone a bordo.
— Non possono abbandonare la giunca. —
Il malese parve contrariato da quella risposta.
— Imbarchiamo almeno il cannone, — disse.
— Deve rimanere a difesa della tow-mêng.
— Sia, ma se ci assalgono penserete voi a difendermi.
— Non temere, — rispose Hong, con un sorriso ironico. — Siamo quattro buoni compagni bene armati e la tua barca è solida. —
Attese che il malese calasse nella canoa, nella quale avevano già preso posto Pram-Li e Sheu-Kin, e avvicinatosi a Tseng-Kai, disse:
— Sta in guardia, vecchio mio, e apri bene gli occhi. Quel malese aveva troppo interesse a privare la giunca dei suoi uomini e del cannone, per non sospettare di lui.
— Se i pirati mi assaliranno, mi troveranno pronto a riceverli, — rispose il marinaio. — Andate e tornate presto.
— Non temere, — disse Than-Kiù. — Abbiamo dei fucili a retrocarica e quattrocento colpi, e tu sai che siamo persone da consumarle tutte con buon successo. —