Il Fiore delle Perle/9. Lo scafo della Concha
Questo testo è stato riletto e controllato. |
◄ | 8. La foce del Talajan | 10. Il tradimento del malese | ► |
Capitolo IX
Lo scafo della «Concha»
Than-Kiù, i suoi tre compagni, ed il sospettoso malese, imbarcatisi nella pesante canoa, che era tanto grande da portare almeno dieci persone, presero subito il largo rimontando celeremente la fiumana, essendo favoriti dall’alta marea, la quale saliva con furia.
Trovandosi la giunca ancorata alla foce del Talajan, vi era ancora un bel tratto d’acqua marina da percorrere, la quale, conservando anche fra le due rive una limpidezza meravigliosa, permetteva di distinguere nettamente il fondo, e quindi di riconoscere senza fatica qualunque oggetto che vi si fosse trovato.
Than-Kiù e Hong, che si erano seduti a poppa, mentre il malese erasi sdraiato sulla prora, non staccavano gli occhi dal fondo del fiume, sperando di scorgere qualche rottame della cannoniera, cosa non improbabile, ora che sapevano che il legno si era arenato in quel luogo.
Sull’arena che formava il letto del Talajan, nessuna traccia però appariva del disgraziato battello a vapore, nè degli uomini che lo montavano. Non scorgevano che dei brutti cefalopodi, muniti di lunghe braccia fornite di ventose, che si aggrovigliavano gli uni con gli altri, polipi assai ricercati dai pescatori chinesi e giapponesi, i quali ne fanno un consumo enorme; qualche coppia di quei graziosi pesci dalla pelle azzurra a riflessi metallici, chiamati pomacentras, e mollemente adagiata fra i gruppi d’alghe, qualche haliotis gigante, splendida conchiglia madreperlacea, scintillante di tutti i colori dell’iride e la cui carne è molto apprezzata dagli indigeni oppure taluna di quelle enormi tridacne larghe un metro, coi bordi rosso-pallidi, e la tinta esterna d’un giallo brillante a riflessi d’oro.
— Tutto sarà andato a finire in mare — diceva Hong a Than-Kiù, la quale non staccava gli occhi dal fondo, come se sperasse di trovare qualche oggetto appartenente a Romero.
— È vero, — rispondeva la giovanetta, crollando tristamente il capo. — Tutto avrà trascinato via il mare.
— Ma che importa?... A noi basterà trovare il carcame della Concha, così avremo una prova sicura che essa è naufragata qui.
— E poi?...
— Studieremo che cosa si dovrà fare.
— Speri che quel malese parli?...
— Quell’uomo la sa molto lunga, ed ormai ho la convinzione che abbia preso parte all’abbordaggio. A suo tempo noi lo faremo cantare, Than-Kiù.
— Non lo lascerai libero?...
— No, fanciulla. Giacchè abbiamo avuto la fortuna di porre le mani su uno degli autori dell’abbordaggio, non lo lasceremo andare così presto.
— Dunque tu credi che sia un pirata?...
— Sono certo di non ingannarmi.
— Non ci tenderà un agguato?...
— Lo spererà forse, come cercherà di far sorprendere la tow-mêng.
— Oh!...
— Sì, Than-Kiù. Io non l’ho mai perduto d’occhio un solo istante e l’ho veduto guardare attentamente l’armamento della giunca. Se egli è furbo, io lo sono di più.
— Ci guiderà dove trovasi il rottame della Concha?...
— E perchè no?... Forse sta nel suo interesse allontanarci dalla tow-mêng, ma al primo sospetto lo accoppo col calcio del fucile. Eh!... —
Il malese, che fino allora era stato silenzioso, in quel momento aveva ripresa la barbara canzone che cantava quando scendeva il fiume, destando l’eco dei boschi. Era una serie di acuti così formidabili da fare invidia ad un tenore, però aspri, strani.
Hong si era alzato colla fronte corrugata.
— Perchè canti, — gli chiese. — Poco fa dicevi che non era prudente percorrere il fiume per tema dei pirati, ed ora urli come un indemoniato, come se tu avessi l’intenzione di far sapere a loro che qualcuno sale queste acque.
— Mi conoscono tutti su queste rive, — rispose il malese.
— Ma noi no. Chiudi il becco e lascia urlare le scimmie. —
Il malese alzò le spalle, non riprese più la canzone e tornò a sdraiarsi a prora. Hong che lo osservava sempre, lo vide intento a guardare le due rive con grande attenzione.
— O m’inganno od in breve vedremo qualche cosa, — mormorò l’astuto chinese.
La canoa, sempre favorita dall’alta marea, continuava intanto a salire celeremente il fiume, il quale conservava sempre una larghezza ragguardevole.
Le due rive erano coperte di folti boschi formati di palme d’ogni specie, che intrecciavano confusamente le loro gigantesche foglie piumate, di altissimi durion carichi di squisite frutte, armate di spine formidabili; di colossali teck che torreggiavano sopra tutti, di ebani, di cedri e di splendidi bado, alberi pregiatissimi perchè dal nocciuolo delle loro frutta si estrae quel grasso pregiatissimo, conosciuto in commercio col nome d’olio di Macassar.
Coppie di uccelli bellissimi volteggiavano fra i rami o attraversavano rapidamente il fiume, mostrando ai raggi del sole le loro brillanti penne a svariati colori. Erano fagiani, aironi bianchi o neri; cacatoe cremisine, lori dalle penne d’un rosso fuoco e pappagalli verdi o giallognoli, i quali chiacchieravano allegramente, senza punto preoccuparsi della canoa, nè degli uomini che la montavano.
Hong ed i suoi compagni navigavano da un’ora, senza nulla aver incontrato, quando il malese, che da qualche istante si era alzato, disse improvvisamente:
— Ci siamo.
— Al rottame? — chiesero Hong e Than-Kiù, con ansietà.
— Sì, vedo laggiù un pezzo d’albero della cannoniera, che le acque hanno trasportato fin qui, — rispose il malese. Lo scafo non è lontano.
— Dov’è quest’albero?
— In mezzo al fiume, un piede sott’acqua.
— Vogliamo vederlo, — dissero Hong e Than-Kiù.
— Un colpo di remo ancora, — comandò il malese.
Il canotto venne spinto nella direzione indicata. Hong e Than-Kiù si curvarono con viva ansietà sull’acqua, la quale conservava sempre la sua trasparenza.
Un doppio grido sfuggì ad entrambi.
Dal fondo del fiume sorgeva, quasi fino a fior d’acqua, un troncone d’albero munito ancora di due boscelli e d’alcune funi, le quali si erano imbrogliate attorno ad una roccia subacquea.
Non si poteva ingannarsi: era un pezzo d’albero appartenente a qualche nave, e questo era l’importante, un albero che non si poteva confondere con quelli che portano i velieri malesi, chinesi, o macassaresi, avendo intorno dei larghi cerchi di metallo.
Than-Kiù era diventata pallida, ed i suoi occhi si erano ardentemente fissati su quel triste avanzo, come se avesse voluto strappargli un qualche indizio che le indicasse a quale nave aveva appartenuto.
— Hong, — mormorò ella con voce tremante, — che sia proprio della Concha?...
— Vediamo, — rispose il chinese. — Tenete fermo il canotto voialtri e mantenetelo in equilibrio. —
Si sporse innanzi, tuffò le robuste braccia in acqua, afferrò una fune che ondeggiava sulla corrente, e radunando le proprie forze, operò una violenta trazione.
Il troncone, strappato dal fondo da quel colpo irresistibile, balzò a galla uscendo più di mezzo e poi ricadde in acqua, sollevando uno spruzzo di candida spuma.
— Per Fo e Confucio!... — esclamò il chinese. — Guarda, Than-Kiù!... —
Aveva riafferrato rapidamente l’albero prima che la corrente lo trascinasse via e mostrava alla giovanetta il largo anello di metallo, su cui si vedeva inciso un nome.
— Concha!... — aveva gridato Than-Kiù, curvandosi innanzi. — La Concha!... Hong, Pram-Li, Sheu-Kin!... L’albero della Concha!...
— Sì, — disse il capo delle società segrete. — Ecco una fortuna che io non credevo ci toccasse così presto. Questo è un pezzo d’albero della cannoniera spagnuola, spaccato forse da una palla di cannone; il malese non ha mentito.
— La cannoniera di Romero!... — esclamò Than-Kiù, con voce tremula. — Grande Budda!... Egli è venuto qui, su questo fiume, dove mi trovo anch’io...
— E dove è venuta anche la donna bianca, — disse Hong con voce sorda. — Non dimenticarlo, Than-Kiù.
— Taci, — rispose il povero Fiore delle perle, con accento di preghiera. — Taci, Hong!...
— E sia!... Lasciamo andare questo inutile rottame e cerchiamo lo scafo della cannoniera. —
Lasciò andare l’albero e fece cenno a Pram-Li ed a Sheu-Kin di riprendere i remi. Than-Kiù pareva che non si fosse accorta che il canotto aveva ripresa la marcia.
Ritta a poppa, col capo chino sul petto, le braccia strette sul cuore, seguiva cogli occhi umidi quell’avanzo della Concha, che andava alla deriva, ora inabissandosi ed ora tornando bruscamente a galla.
Quando sparve alla svolta del fiume, il Fiore delle perle si lasciò cadere lentamente sulla panchina, stringendosi il capo fra le mani e Hong, che la osservava con attenzione, la udì sospirare a lungo.
— La sua passione per quell’uomo non guarirà più mai, — mormorò il chinese. — Povera fanciulla!... —
Un muggito strano che pareva emesso da qualche istrumento, forse da una conca marina e che era echeggiato in mezzo agli alberi della riva sinistra, lo strappò dalle sue riflessioni.
— Cos’è? — chiese, guardando il malese che si era bruscamente alzato.
— Non lo so, — rispose questi, con un certo imbarazzo che non sfuggì a Hong.
— Un segnale forse?...
— Credo che sia stata qualche scimmia.
— Pram-Li, hai udito delle scimmie mandare di queste grida?
— Mai, Hong — rispose il rematore.
— Allora è un segnale.
— Lo temo.
— Ci dirai almeno fatto da chi, — disse Hong, guardando il padrone della canoa.
— Non lo so, — rispose questi, — ma vi ho già detto che vi sono dei pirati o che vi erano su questo fiume.
— Ecco un avvertimento prezioso, — disse il chinese, armando il fucile. — Than-Kiù, fanciulla mia, apri gli occhi anche tu.
— Sono pronta a battermi, — rispose la fanciulla, scuotendosi e raccogliendo un altro fucile.
Il malese intanto guardava con estrema attenzione la riva, come se temesse di veder apparire qualcuno e tendeva gli orecchi. Dopo quel grido più nulla si era udito.
Anche Hong guardava verso il luogo ove era echeggiato quel segnale, e nulla scorgeva di sospetto, anzi pareva che nessun essere umano si trovasse colà, poichè sulla riva se ne stavano pacificamente allineate dieci o dodici scimmie vavau, quadrumani che hanno la faccia azzurro cupa, il pelame lungo e oscuro, e che sono dotati d’un’agilità prodigiosa, spiccando dei salti di dodici e perfino di quindici piedi.
Erano tutte occupate a dissetarsi, immergendo le mani nell’acqua e succhiando poi le stille che cadevano dalle dita.
— Se quelle scimmie sono tranquille, non abbiamo da temere, — disse Hong.
— Lo scafo della cannoniera!... — esclamò in quell’istante il malese.
Than-Kiù e Hong erano balzati in piedi, spinti dalla più viva curiosità.
Avendo la canoa oltrepassata una curva del fiume, tre o quattrocento passi più innanzi era comparsa una massa nera che giaceva semi-rovesciata presso la riva sinistra, sull’orlo d’un grande banco di sabbia che era ancora in gran parte scoperto.
— La Concha!... — esclamò Than-Kiù, impallidendo.
Poi la povera fanciulla, vinta dall’emozione, si era piegata da un lato, appoggiandosi a Hong. Pareva che d’un sol colpo avesse perduta la sua straordinaria energia e che la sua forte fibra si fosse bruscamente spezzata.
— Tu, Than-Kiù, la valorosa!... — disse Hong, con dolce rimprovero.
— È la cannoniera che me l’ha rapito, — mormorò la giovanetta, con un sordo gemito. — Mi ricorda la notte fatale che ha infranto il mio cuore, che ha distrutto il più bel sogno della mia vita e che ho perduto Hang-Tu.
— È vero, — rispose Hong, con voce triste. — Vieni, Than-Kiù, andiamo a vedere se troviamo qualche traccia di Romero. —