I divoratori/Libro secondo/III
Questo testo è completo. |
◄ | Libro secondo - II | Libro secondo - IV | ► |
III.
«Montecarlo!» — L’indolente treno della Riviera entrò brontolando e sbuffando sotto la tettoia, e Nancy si affacciò nervosamente, perchè Aldo la vedesse subito. Sulla piattaforma Nancy non vide che un crocchio di donne chiaro-vestite che ridevano forte, e due inglesi taciturni con le mani in tasca, e una coppia di sposi tedeschi. Nessun altro. Aldo non c’era.
Un languido facchino aiutò Nancy a scendere colla piccina, e afferrando la loro valigia le precedette verso l’uscita. Quando Nancy lo raggiunse fuori della stazione, trovò che aveva consegnato la valigia al conduttore dell’omnibus dell’Hôtel de Paris.
— «Non, non», — disse Nancy. — «J’attends mon mari».
— Ah! — disse il facchino al conduttore d’omnibus, — «elle attend son mari».
Poi sghignazzarono entrambi, sputarono, e stettero a guardarla.
— «Donnez-moi ma valise», — disse Nancy.
— «Donnez-lui sa valise», — disse il facchino.
— «Eh!, on va la lui donner», — disse il conduttore, arrampicandosi lentamente sulla scaletta dell’omnibus. Poi tirò giù la valigia. — «Voilà la valise». — E la pose in terra.
Nancy disse al facchino di prenderla. Ma tanto lui come il conduttore si mostrarono assai sorpresi.
— «Quoi»? — disse il conduttore, — «et moi donc? Pas de pourboire»?
Il facchino sorrise, sputò, e disse a Nancy:
— «Faut lui donner son pourboire».
Allora Nancy diede cinquanta centesimi al conduttore, e disse al facchino di portare la valigia all’Hôtel des Colonies. Egli se la caricò sulla spalla e s’avviò prontamente. Salì rapido la scalinata che conduce alla piazza del Casino.
Nancy lo seguì, con Anne-Marie aggrappata alle sue gonne. Appiè della scalinata sedeva una donna con una cesta di aranci, e ne profferse a Nancy. Ma Nancy disse: «non, merci», e proseguì frettolosa. Ma Anne-Marie voleva un’arancia. Era stanca, e aveva fame, e si mise a piangere. Allora Nancy tornò indietro e comprò un’arancia. Poi, presa in braccio la piccina, si affrettò su per i gradini dietro al già lontano facchino.
In cima alla scalinata si fermò, guardandosi dintorno.
Era un chiaro crepuscolo di giugno. Là dove il cielo era più pallido, la luna novella pareva un piccolo taglio nel firmamento, un taglio netto e sottile, traverso cui — come per uno spiraglio — il buon Dio concedeva agli umani d’intravvedere il fulgore del suo Paradiso.
Anne-Marie ricominciò a piangere perchè voleva che la mamma sbucciasse l’arancia; e Nancy, che voleva affrettarsi dietro al facchino, dovette fermarsi. Sollevò la bambina, la baciò, la consolò, la fece sedere sul parapetto della scalinata e, sedendole vicino, pelò l’arancia. Tanto, la sua valigia a quest’ora era probabilmente sparita per sempre. Ma che importava? Nulla pareva di grande importanza purchè Anne-Marie non piangesse più.
Nancy guardò il cielo chiaro, e le palme, e il placido mare grigio-perla. Chi sa dove era l’Hôtel des Colonies? Chi sa perchè Aldo non aveva ricevuto il telegramma? La leggenda delle tragedie che avvengono a Montecarlo le traversò per un istante la mente... Poi Anne-Marie, che non era mai stata seduta su un muro a mangiare arancie, alzò il visetto impiastricciato di sugo e di lagrime, e disse:
— Buono. Buono tutto. Piace tutto questo a Anne-Marie.
Allora tutto piacque anche a Nancy.
Dopo molto vagare trovarono l’Hôtel des Colonies; ed ecco il languido facchino seduto ad aspettarle colla valigia, chiacchierando intanto colla magra ed energica proprietaria.
Nancy si avanzò timidamente. — Abitava qui il signor Della Rocca? — Sì, sì, Monsieur abitava qui. — Sapevano se avesse ricevuto un telegramma? — No, il telegramma era là, nel bureau, non aperto. Monsieur non era ancora rientrato. — E sapevano forse dove si trovasse Monsieur?
— Eh! lo troverà al Casino! — disse la proprietaria.
Nancy la pregò di condurla nella camera del marito; ma trovò che era una piccolissima «mansarde» in cima alla casa. Allora Nancy prese per sè e per la bimba un’altra camera; e Anne-Marie andò a letto, beata di dormire sotto a una zanzariera. E subito si addormentò.
Nancy scese al salone. Era buio. La padrona sedeva in giardino con una vecchia signora e un ragazzetto grasso.
— Se volete andare al Casino — disse amabilmente a Nancy — baderò io alla vostra bambina.
Ma Nancy disse:
— Oh! no, grazie.
— «Allez, allez donc», — interpose la vecchia signora; — «vous savez bien, les hommes! Ça pourrait ne pas rentrer».... — Poi soggiunse: — Io sono qui da dodici anni. Questo mio nipotino è nato in questo Hôtel. Potete andare tranquillamente. Il vostro piccolo angelo sarà ben custodito.
Allora Nancy ringraziò e tornò disopra a prendere il cappello. Anne-Marie dormiva e non si mosse.
Nancy uscì con passo esitante dal giardinetto, e volse nella direzione del Casino. Le strade a quell’ora e in quella stagione erano quasi deserte. Nel suo semplice vestito da viaggio nessuno badava a lei. Passando davanti all’Hôtel de Paris vide la gente che pranzava ai tavolini illuminati da lampadette rosse. Sulla piazza, sulle panche in giro alla grande aiuola di fiori, della gente sedeva in crocchi; e dirimpetto, nel Café de Paris, gli tzigani in giubba rossa suonavano «Sous la feuillée».
D’un tratto Nancy si sentì smarrita e spaventata. Perchè era qui? Che cosa faceva, sola, di notte, in questo luogo ignoto? E la piccola, la sua piccola che dormiva in quel gran letto tutta sola in un albergo sconosciuto? Le pareva di fare un sogno folle e incoerente. Spaurita e triste si affrettò.
Un uomo, passando, le disse: «Bonsoir, mademoiselle!» E Nancy si mise a correre, e salì, col cuore che la soffocava, la gradinata del Casino. Fece per andare nell’atrio, illuminato e gaio, ma due uomini in livrea azzurra e scarlatta la fermarono, domandandole qualche cosa ch’ella non comprese. Le fecero segno di entrare a sinistra in una sala aperta dove, dietro a due lunghi banchi, sedevano degli uomini che parevano giudici o avvocati, e avevano l’aria di aspettarla.
Essa si avanzò incerta; poi si fermò davanti a uno di essi; era calvo, con la barba in punta, e la guardava con occhi penetranti.
— «Pardon»... — balbettò Nancy. — Cerco il signor Della Rocca...
— Ah, davvero? — disse l’uomo dalla barba. — Non ho il piacere di conoscerlo.
Un uomo biondo che gli sedeva vicino, sorrise.
— Non saprebbe dirmi dove posso trovarlo? — disse Nancy, sentendosi arrossire al punto che le lagrime le vennero agli occhi.
— Che cos’è questo signore? Cosa fa? — domandò l’uomo biondo.
— È... è venuto qui tre settimane fa... ha un sistema, — balbettò Nancy. — Gli ho telegrafato, ma non ha ricevuto il dispaccio. La padrona dell’Hôtel m’ha detto che lo troverei qui.
Erano entrate alcune altre persone, che la ascoltavano, divertendosi.
— Ah! ah! Dunque questo signore ha un sistema! — disse a voce alta e marcata l’uomo colla barba.
E Nancy vide che faceva un cenno significante a qualcuno rimpetto a lui, ch’essa non vedeva perchè gli volgeva le spalle. Una paura immensa la invase. Cosa aveva fatto? Aveva detto del sistema a questi uomini che erano probabilmente i proprietari del Casino!
Comprese che facendo ciò ella aveva rovinato per sempre le fortune di Aldo. Ma nulla le importava ormai... Nulla, eccetto di ritrovarlo, e di non esser più in giro così sola per il mondo.
— A quale Hôtel state, signorina? — domandò l’uomo biondo.
— All’Hôtel des Colonies, — disse Nancy, con voce tremante.
— E vi chiamate?
— Giovanna Desiderata Felicita Della Rocca.
Tutta la fila d’uomini sorrise, mentre quello che le parlava scriveva i nomi su un pezzo di cartone, e poi consultava un grande registro.
— La vostra professione?
Nancy arrossì.
— Scrivo delle poesie... — balbettò.
Nancy da bambina aveva letto con grande interesse le avventure di «Alice nel paese dei Sogni». Ora ella si diceva: «Io so che dormo. Io so che sogno. Non è possibile ch’io sia sveglia, e stia raccontando a questi uomini che scrivo delle poesie».
L’uomo colla barba si pizzicò il naso e si arricciò i baffi per non ridere. E Nancy, guardando quella fila d’uomini, vide che tutti ridevano, a testa bassa, chini sulle loro carte, ridevano — ils pouffaient! — e non volevano farsi scorgere.
— E... non faceva altro? Niente altro che scrivere poesie?
— No, niente altro, — disse Nancy. Poi, siccome le parve che l’uomo colla barba le fissasse nel viso due occhi acuti, indaganti, terribili, aggiunse spaurita: — Veramente... sì; ho cominciato anche un libro... in prosa. Ma non è finito.
L’uomo biondo le stese a un tratto un cartoncino azzurro e le disse:
— Firmate!
— Ma perchè? — disse Nancy, prossima a piangere.
L’uomo fece con le spalle un gesto d’indifferenza. Pareva dire: «Ah, non volete firmare? Tralasciate!»
E tutti gli altri sorrisero di nuovo e abbassarono le teste fingendo di scrivere.
Nancy si guardò attorno con un’espressione di coniglio inseguito. Un uomo entrava con le mani in tasca, alto, lento, incurante. Era un inglese; Nancy se n’avvide al primo sguardo. Le rammentava un poco Mr Kingsley.
La figlia di Tom Avory mosse dritto verso il nuovo arrivato.
— «Are you English»? — chiese col cuore che le batteva in gola.
Egli le disse di sì.
— Vorrebbe aiutarmi? Mio padre era inglese, — disse Nancy, colla voce piena di singulti. — Questa gente... questi uomini vogliono che io scriva il mio nome. Devo farlo?
L’inglese sorrise un poco sotto i brevi baffi chiari.
— Desidera di entrare nelle sale da giuoco?
— Sì, — rispose lei.
— Allora scriva il suo nome; — e si avvicinò con lei al banco. — Vedrà — aggiunse sorridendo — che lo faccio anch’io.
E porse all’uomo biondo un cartoncino ricevendone un altro in cambio, su cui scrisse: «Frederick Allen».
Gli impiegati avevano tutti ripreso il loro contegno serio, e pareva che avessero dimenticato l’esistenza di Nancy. Ella firmò il suo cartoncino ed entrò nell’atrio a fianco dell’inglese.
— Cerco mio marito, — gli spiegò ella timidamente; e gli narrò la storia del sistema, del telegramma e dell’Hôtel. — Mi sembra di avere raccontato tante e tante volte questa storia... come la Storia del Lupo!
Sorrise, e la fossetta s’incavò leggiadramente nella sua guancia. Aveva il viso acceso e i morbidi capelli bruni le si attorcigliavano in riccioli sulla fronte.
Mr Allen la guardò con curiosità.
— È strano, signora, — disse, — ma io l’ho già veduta. Non so ricordarmi dove, ma certo l’ho già veduta.
Nancy disse:
— Non credo. Non credo davvero.
— Oh! ma io ne sono certo, — disse Mr Allen. — Ricordo benissimo il suo sorriso.
Ma il sorriso che egli ricordava era quello di Valeria, quando nella lontana Hertfordshire, su un ponticello bianco nel sole, ella gli aveva preso dalle mani un cappello da giardino sgocciolante d’acqua...
Attraversarono insieme le sale; e il persistente tintinnìo dei denari, e i profumi acri e sottili, sbalordivano Nancy, e le facevano girare il capo. Aldo non si vedeva. Passarono da tavola a tavola guardando i giocatori, interrogando i visi estranei. Aldo non c’era. Entrarono nella sala del «trente et quarante», crepuscolare e silenziosa; poi passarono nel buffet. Finalmente tornarono fuori nell’atrio. Nancy alzò verso il suo compagno gli occhi chiari in cui fluttuavano le lagrime.
— Non so cosa pensare! Dove può essere andato? Mio Dio, credete... credete?...
Nei suoi grandi occhi impauriti passò la visione di Aldo esanime sotto una palma nel giardino, spenti i divini occhi, i morbidi capelli aggruppati nel sangue...
— Io credo che lo troveremo sano e salvo, — disse l’inglese. — Andiamo a vedere al Cafè de Paris.
Lasciarono l’atrio, e scesero per i gradini sulla piazza del Casino.
I tzigani lanciavano nel profumato crepuscolo la dolcezza triviale della «Valse Bleue».
Nancy sussultò: ecco Aldo! Ma sì! Certo, era lui! Usciva dal Cafè de Paris, con una donna grassa, vestita di bianco. Sì, era Aldo. Nancy mosse rapida un passo verso di lui, poi si fermò. L’inglese si fermò anche lui, tacendo e volgendo per discrezione lo sguardo verso gli alberi del giardino.
Aldo e la donna camminando lentamente erano passati a sinistra, ed ora si erano seduti su una panca in faccia al Crédit Lyonnais.
— Vuole aspettare un momento? — disse Nancy all’inglese.
Poi mosse rapida verso la panca; mentre Mr Allen, impassibile, rimaneva a guardare gli alberi.
Sì, era Aldo: Nancy lo udì ridere. Ma chi poteva essere quella donna grassa? Nancy corse avanti, poi, a pochi passi da loro, si fermò.
Aldo voltandosi la vide. Rimase un istante immobile per la sorpresa. Poi si chinò rapido a dir qualche cosa alla sua vicina. Questa annuì, e Aldo si alzò e venne rapidamente a Nancy.
— Cosa c’è? — disse, — cosa fai qui?
— Oh! Aldo! — esclamò Nancy, e le lagrime di sollievo le piovvero sul viso; — finalmente! finalmente! ti ho cercato tanto!
— Ma cosa c’è? cosa è accaduto? — ripetè Aldo a voce bassa e concitata. — Non è... non è che Anne-Marie stia male? Rispondi!
— No, no, caro, — rispose Nancy, asciugandosi gli occhi. — No! sta bene, non aver paura. È all’albergo, che dorme come un cherubino. Vieni, vieni! voglio che tu ringrazii un signore inglese che...
Stava per infilare il braccio in quello di suo marito, ma questi si ritrasse bruscamente.
— No, no, lascia! — disse. — Torna subito all’albergo. Io verrò fra cinque minuti. Vai! vai! Non vuoi mica guastar tutto, eh?
— Guastar cosa? — disse Nancy, attonita.
— Ma tutto, — disse lui. — Le nostre fortune, il nostro avvenire, tutto!
— Ma come? in che modo? Cosa vuoi dire? — e Nancy volse lo sguardo alla larga figura bianca rimasta a sedere sulla panca. Questa si era voltata e stava guardando Nancy traverso un occhialetto a lungo manico. — Chi è quella donna?
— Oh! non importa, — disse Aldo. — Quella è «all right». Adesso non ho il tempo di darti spiegazioni. Va a casa, fa come dico io... Se no, — soggiunse, indovinando la sdegnosa protesta sul labbro di Nancy, — se no, peggio per te e per la piccina. Ricorda quello che ti dico: peggio per te e per la piccina!
Con ciò fece una scappellata a Nancy, e la lasciò. Tornò alla panca dove la donna grassa lo aspettava.
Nancy, paralizzata dallo stupore, lo vide sedersi al suo fianco ed espandersi in gesti esplicativi, mentre la donna, ancora voltata, seguitava a fissare Nancy traverso l’occhialetto.
Nancy si volse, e tornò indietro, lentamente, come un automa. L’inglese era ancora dove lo aveva lasciato, presso la gradinata del Casino, cogli occhi fissi sul giardino. Aveva accesa una sigaretta. Quando Nancy gli fu vicina egli si volse e gettò via la sigaretta.
— Torna nelle sale? — domandò.
— No, — disse Nancy.
— Devo accompagnarla al suo albergo?
— No, — ripetè lei; e restò lì, vergognosa e umiliata.
— Allora, — disse l’inglese assumendo un fare spigliato e gaio, — allora, buona notte. — E le stese la mano. Strinse forte la piccola mano diaccia, poi si arrischiò a dirle una parola di consolazione. — Pensate che tra cent’anni sarà tutt’uno, — disse; poi si volse rapidamente e rientrò nel Casino.
Ma non vi rimase. Tornò fuori un momento dopo, e seguì da lontano la piccola figura sconsolata, che, nel suo abito da viaggio grigio, percorreva lentamente la via deserta.
Soltanto quando l’ebbe veduta al sicuro, nel giardino dell’albergo, tornò indietro.
— Povera creaturina! — disse tra sè. — Chi sa, chi sa dove l’ho già veduta?
Aldo comparve nell’Hôtel mezz’ora dopo, ed entrò nella camera di Nancy armato di spiegazioni diplomatiche e persuasive. Ma Nancy era in ginocchio vicino al letto di Anne-Marie, colla faccia nascosta nella zanzariera, e non si mosse al suo arrivo.
— Ma via, Nancy, che cos’hai?
— Ti prego di non svegliare la piccola! — disse lei a bassa voce.
— Ma ti voglio dire...
— Zitto! — disse Nancy con un dito sul labbro e gli occhi fissi sulla figuretta dormente di Anne-Marie.
— Vieni in camera mia; devo parlarti, — disse Aldo.
— No, — disse Nancy.
— ... Ma devo pur spiegarti...
— Zitto! — ripetè Nancy.
Poi sedette accanto al letto della sua bambina, e nascose di nuovo il capo nella zanzariera.
Aldo stette per qualche tempo a guardarla; poi girellò per la camera. La chiamò per nome due o tre volte, ma ella non si mosse. Allora Aldo se ne andò al suo abbaino, profondamente offeso.