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i divoratori 165

alto, lento, incurante. Era un inglese; Nancy se n’avvide al primo sguardo. Le rammentava un poco Mr Kingsley.

La figlia di Tom Avory mosse dritto verso il nuovo arrivato.

— «Are you English»? — chiese col cuore che le batteva in gola.

Egli le disse di sì.

— Vorrebbe aiutarmi? Mio padre era inglese, — disse Nancy, colla voce piena di singulti. — Questa gente... questi uomini vogliono che io scriva il mio nome. Devo farlo?

L’inglese sorrise un poco sotto i brevi baffi chiari.

— Desidera di entrare nelle sale da giuoco?

— Sì, — rispose lei.

— Allora scriva il suo nome; — e si avvicinò con lei al banco. — Vedrà — aggiunse sorridendo — che lo faccio anch’io.

E porse all’uomo biondo un cartoncino ricevendone un altro in cambio, su cui scrisse: «Frederick Allen».

Gli impiegati avevano tutti ripreso il loro contegno serio, e pareva che avessero dimenticato l’esistenza di Nancy. Ella firmò il suo cartoncino ed entrò nell’atrio a fianco dell’inglese.

— Cerco mio marito, — gli spiegò ella timidamente; e gli narrò la storia del sistema, del telegramma e dell’Hôtel. — Mi sembra di avere raccontato tante e tante volte questa storia... come la Storia del Lupo!

Sorrise, e la fossetta s’incavò leggiadramente nella sua guancia. Aveva il viso acceso e i morbidi capelli bruni le si attorcigliavano in riccioli sulla fronte.

Mr Allen la guardò con curiosità.

— È strano, signora, — disse, — ma io l’ho già veduta. Non so ricordarmi dove, ma certo l’ho già veduta.

Nancy disse: