I Nibelunghi (1889)/Avventura Terza

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Anonimo - I Nibelunghi (XIII secolo)
Traduzione dal tedesco di Italo Pizzi (1889)
Avventura Terza
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Avventura Terza

In che modo sifrido andò a Worms


     Raro davver turbavano del core
Gli affanni il giovin sire! Eppure udìa
Sovente raccontar come pur fosse
In Borgogna una vergine leggiadra,
5Bella quant’uom può disïar. Da quella
Egli ebbe poi ben molte gioie e ancora
Molto travaglio! Ma di lei frattanto
La singolar beltà lungi era nota,
Noti gli alteri sentimenti a un tempo,
10Quali in lei ritrovâr molti fra i prodi,
Onde tratti eran molti ospiti illustri
Di Gunthero alla terra. Oh! se ben molti
Fosser visti cercar colei d’amore,

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Kriemhilde a sè medesma in suo pensiero
15Non concedea per ch’ella mai volesse
Alcuno amante. Ancor straniero a lei
Era il garzon, cui fu sommessa un giorno.
     A quell’inclito amor pensava intanto
Di Sigelinde il figlio, e tosto sparvero
20Gli altri amadori innanzi a lui qual vento,
Ch’ei si merlava la leggiadra e bella
Giovinetta, e più tardi al pro’ Sifrido
La nobile Kriemhilde ivane sposa.
     Ma i suoi congiunti e molti degli amici
25Il consigliâr, poi che recar volea
Sopra un fidato amor la sua speranza,
Ch’ei cercasse cotal che più di lui
Esser degna potesse, e il valoroso
Sifrido rispondea: Kriemhilde adunque
30Pigliar mi vo’, della burgundia terra,
Per sovrana beltà, la giovinetta
Avvenente e leggiadra. È a me ben noto
Che imperator non è sì ricco e grande,
Cui, s’egli brami donna aver, costei
35Per amor non convenga, inclita donna.

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     Cotal novella udì Sigmùnd. La disse
La gente sua. Quando il voler del figlio
Così noto gli venne, alto un affanno
Fu pel suo cor, che l’illustre fanciulla
40Quei disïasse dimandar. Sentore
Pur n’ebbe Sigelinde, inclita donna
Del nobil sire, e grande in cor n’avea
Pel viver del suo figlio affanno e cura,
Ch’ella ben conoscea Gunthero e tutte
45Le genti sue. Principio allor fu posto
L’amoroso desio dal cor del prode
A sradicar. Diletto padre mio,
Il pro’ Sifrido favellò, per sempre
Senza l’amor di nobil donna in terra
50Io mi vivrò quand’io, là 've il mio core
Ha grande amor, non volgessi il desire.
Qualunque cosa altri dir possa, nullo
Consiglio fia. — Se ritrarti non vuoi,
Dissegli il prence, al voler tuo con fermo
55Desìo m’acconcerò; meglio ch’io possa,
Aita ti darò fino alla meta,
Ben che molti superbi e riottosi

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Abbia con seco re Gunthero. E s’anche
Niun altro fosse fuor d’Hàgene prode,
60Qual ben potrà per disdegnoso vampo
Opre altere compir, sì ch’io d’assai
Temo nel core, ciò soltanto a noi
Esser potrà cagion d'affanno, allora
Che per noi si volesse la regale
65Fanciulla dimandar. — Che mai potrìa
Toglierci questo? rispondea Sifrido.
Cosa che d’essi per amica via
Non ottenessi, la mia man con forza
Aver potrà. M’affido io sì con essa
70Di vincerne le genti e l’ampia terra.
     E prence Sigemùnd così rispose:
M’è doglia il tuo parlar. Quando sul Reno
Altri vorrà ridir queste parole,
Tu non potresti mai col tuo destriero
75In quella terra entrar. Da lungo tempo
Noti mi son Gunthero e il fratel suo
Gernòt, nè alcun potrìa per vïolenza
La fanciulla acquistar. — Sì di cotesto
Altri mi favellò, prence Sigmundo

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80Soggiunse ancora. Ma se tu con prodi
In quella terra cavalcar presumi,
Se alleati abbiam noi, questi ben tosto
Qui ne verranno. — In mio pensier tal cosa
Già non è, rispondea Sifrido allora,
85Che per far guerra seguanmi sul Reno
(Ciò mi saria dolor) li miei gagliardi,
Per ch’io la donna illustre al voler mio
Costringa e pieghi. La mia destra sola
Conquistarla dovrà. Ma dodicesmo
90Fra’ miei compagni scenderò alla terra
Là di Gunthero, e tu mi porgi aita,
Diletto padre Sigemundo. — Allora
Vesti grigie e dipinte a’ suoi guerrieri
Fûr date in copia. Ma cotal novella
95Anche la madre Sigelinde apprese.
Incominciò pel figlio suo diletto
A dolersi, chè perderlo temea
Di Gunthèr per la gente. Oh! la regina
Inclita e illustre cominciò un gran pianto!
     100Prence Sifrido là ’ve ancor potea
Vederla, andava, e a quella madre sua

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Dolce a parlar si fea: Deh! non piangete,
Donna, sul mio voler, ch’io già presumo,
Senza cura o pensier, starmi dinanzi
105Ad ogn’altro campion. Sol m’aitate
Nel mio vïaggio alla burgundia terra,
Per ch’io co’ prodi miei vesti cotali
Aggia con me, quali recar soltanto
Possono con onor campioni alteri.
110Di tanto a voi dirò con molta fede
Grazie veraci. — Poi che tu ritrarti
Da ciò non vuoi, regina Sigelinde
Così rispose, aita in tuo vïaggio,
Unico figlio mio, con le migliori
115Vesti che cavalieri unqua recaro,
A te darò, darò a’ compagni tuoi.
Copia che basti, voi recar potrete.
     Inchinavasi innanzi alla regina
Sifrido allora giovinetto. Ei disse:
     120Più che dodici eroi nel mio vïaggio
Aver meco non vo’; per questi soli
S’approntino le vesti. Io volentieri
Bramo veder ciò che a Kriemhilde accade.

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     Allor, vaghe fanciulle e notte giorno
125Stettero assise, nè fu lor concesso
Alcun riposo, fin che di Sifrido
Fûr le vesti apprestate. Ei già non volle
Contro al viaggio suo consiglio alcuno.
Ma la tunica sua di cavaliero
130Il padre ornar gli fe’, poi che volea
Di Sigemundo abbandonar la terra,
E i molti si apprestâr fulgidi arnesi
Pur anco e forti gli elmi e le lor targhe
Ampie e leggiadre. Ed ecco! che vicino
135Era il vïaggio alla burgundia terra,
E incominciarno allor uomini e donne
A ripensar se ancora al suol natìo
Sarian tornati i valorosi. Intanto
Sovra i giumenti indissero gli eroi
140D’ammontar vesti ed armi. Eran leggiadri
Lor palafreni, e in fulgid’or le ricche
Lor bardature. Nè timor fu mai
Che altri vivesse allor più fiero e ardito
Di Sifrido e de’ suoi. Chiedeva intanto
145Vènia al vïaggio appo i Burgundi il prode.

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     Vènia gli concedean con molto affanno
Il prence e la sua donna, ed ei con molto
Amor li consolò. Pel mio desire
Pianger, dicea, voi non dovete. Sciolti
150Per la persona mia sempre da cura
Esser possiate voi! — Ma ciò fu doglia
A molti prodi e lagrimâr pur anco
Molte fanciulle, e cred’io sì che il core
Del ver lor favellò, perchè poi molti,
155Del giovinetto amici, in terra estrana
Giacquero estinti. Lagrimavan quelli
A ragione così, duol veritiero
Così a tutti incogliea. Nella mattina
Che settima spuntò, già su la sponda
160Arenosa di Worms i valorosi
Cavalcavano insieme. Ogni lor vesta
Era di fulgid’or, le bardature
Con molt’arte composte, e i palafreni
De’ compagni a Sifrido inclito e prode
165Camminavano placidi. Lor targhe
Ampie e lucenti erano nuove e gli elmi
Leggiadri assai, quando alla corte andava

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Sifrido ardimentoso in quella terra
Di re Gunthero. Oh no! vesti più ricche
170Mai non fûr viste indosso a valorosi!
Ma discendean le punte di lor spade
Fino agli sproni, e cuspidate lancie
Recavano gli eletti cavalieri,
E Sifrido una spada ampia recava
175Di ben due spanne, qual con la sua lama
In terribile guisa alto fendea.
Le redini dorate elli reggeano
Con la destra, e di seta i pettorali
Eran de’ palafreni. In questa foggia
180Ei vennero alla terra, e intorno intorno,
Da tutte parti, incominciò la gente
A rimirarli a bocca aperta. Allora
Molti ai venienti eroi corsero incontro
Uomini di Gunthero. I prodi illustri,
185Cavalieri e garzoni, ai prenci incontro
Così venian (dritto sovrano è questo)
E ne la terra del lor sire i nobili
Suoi ospiti accogliean, togliean di mano
I palafreni con loro ampi scudi.

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     190Di là essi volean fino a le stalle
Addur lor palafreni, allor che ratto
Sifrido ardito favellò: I destrieri
Di me, de’ miei compagni, in questo loco
Lasciateci restar. Di qui ben tosto
195Andremo noi, che abbiam leale e giusto
Intendimento. Ma colui fra voi
Che sa le cose, non mi taccia ov’io
Possa il prence trovar (ciò mi si dica),
Gunthèr possente del burgundio regno.
     200Tale gli disse allor, cui fu ben noto
Il vero: Se trovar bramate il sire,
Ciò ben farsi potrà. Co’ suoi gagliardi
In quell’ampie sue sale or io l’ho visto,
E andar là voi potrete. Ivi appo lui
205Molti voi troverete incliti prodi.
     Ma le novelle furon dette intanto
Al burgundio signor, molti aitanti
Cavalieri venir che bianchi arnesi
E vesti si recavano sfarzose.
210Niun però ne la terra di Borgogna
Li conoscea. Di questo al prence incolse

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Alto stupor, donde venisser mai
I nobili guerrieri in sì sfarzose
Vesti dipinte, con sì forti scudi
215E nuovi ed ampi. Ma perchè nessuno
Ciò ridir gli potea, n’avea rancura
Prence Gunthero. Al suo signor rispose
Ortwìn da Metze, nobile e gagliardo:
     Se noti a voi non son, fate che venga
220Hàgen mio zio qui avanti e ch’ei li vegga.
I regni a lui son noti e le straniere
Terre pur anco. Se cotesti prodi
Son noti a lui, ce ne dirà novelle.
     Fe’ cenno il re che lui con le sue genti
225Fossegli addotto, e ratto egli fu visto
Ire alla corte fra’ suoi molti eroi
Con fiero incesso. Che volea da lui
Il suo prence e signore, Hàgen chiedea.
     Sono in mie case ignoti cavalieri,
230Disse, che niuno qui conosce. Quando
Visti gli abbiate voi, con leal core,
Hàgen, il vero mi direte. — Questo
Io ben farò. — Ciò disse. A una finestra

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Hàgen andava e gli occhi suoi su gli ospiti
235Lasciava spazïar. Molto gli piacquero
E le vesti e i compagni; e molto invero
Di Borgogna nel suol parvergli strani.
     Ei disse poi: Qualunque sia la terra
Donde vennero al Reno esti gagliardi,
240O son principi ei stessi ovver di prenci
Son messaggieri. I lor destrier son belli,
Buone d’assai le vesti lor. Ma d’alti
Sensi e gran core ei son, donde che vengano.
     Hàgen ancor disse cotesto: Cosa
245Io dir vorrei quantunque il pro’ Sifrido
Io mai visto non abbia; e forse ancora,
Come ciò sta, creder vorrei che quello
Appunto ei sia che maestoso incede.
Novelle ei reca in questa terra. Un giorno
250I Nibelunghi ardimentosi uccise
La man di questo eroe, d’un re potente
Figli, Schilbungo e Nibelungo. Grandi
Meraviglie operò con sua gran forza
Sifrido allora. Poi che senza scorta
255Soletto cavalcò l’eroe gagliardo,

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Dinanzi a un monte, e ciò ben mi fu detto,
Appo il tesor di Nibelungo molti
Uomini egregi ei ritrovò. Cotesti
Gli erano ignoti, ma ben tosto ei n’ebbe
260Esperïenza. Fuor da un cavo monte
Di Nibelungo fu portato un giorno
L’ampio tesoro. Or voi di meraviglie
Udrete favellar, come spartirlo
Voleano allora i Nibelunghi. Questo
265Sifrido eroe vedea, sì che a stupirne
Quel prode incominciò. Tanto si fece
Vicino, ch’ei vedea gli ignoti eroi
E gli eroi vedean lui. Ma di cotesti
Uno dicea: Di Niderlànd il prode,
270Sifrido valoroso, ecco sen viene!
     Là presso ai Nibelunghi oh! molti e nuovi
Casi il prode incontrò! — Liete accoglienze
Schilbungo e Nibelung feano a quel prode,
Ei fean preghiera per concorde brama
275Al giovin prence illustre ond’ei, leggiadro,
Il tesoro spartisse, e ciò con molta
Voglia e studio chiedean, sì che già il sire

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Cotesto promettea. Sì come noi
Udimmo a raccontar, tante egli vide
280Lucenti gemme, che ben cento plaustri
Smuover non le potrìan; ma il fulgid’oro
Del suol de’ Nibelunghi in maggior copia
V’era pur anco, e tutto ciò dovea
Spartir la man del pro’ Sifrido. Allora
285In premio gli donâr di Nibelungo
L’inclita spada. Eppur, da tal servigio,
Qual Sifrido prestò, buon cavaliero,
Male d’assai lor venne poi. Al fine
Condur l’impresa ei non potè, ch’egli erano
290D’alma riottosa. Dodici gagliardi
Eglino avean de’ loro amici, ed erano
Forti giganti inver. — Ma che potea
Giovar cotesto? — In suo disdegno, tutti
Di Sifrido la destra li colpìa,
295Ed ei ben settecento eroi gagliardi
Vinse, ch’eran del suol dei Nibelunghi,
Con quella che Balmùng era appellata,
Spada possente. Ond’è che per timore
Alto che avean del ferro e dell’eroe,

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300Molti giovani prenci a lui sommisero
La lor terra natìa co’ suoi castelli.
     Ambo atterrati i due potenti regi,
Morti così, grave distretta a lui
D’Alberico venìa. Sul loco istesso
305Disïava costui de’ regi suoi
Pigliar vendetta, fin che da Sifrido
Colpo fatal toccò. Già non potea
Resistere a quel prode il forte nano;
Come feri leoni, ambo salìano
310Di corsa al monte, ove la sua Tarnkappe1
Tolse al nano Sifrido. Ei, l’uom tremendo,
Fu del tesoro allor prence e signore.
     Ma quei che di pugnar con seco ardirono,
315Tutti giacquero uccisi. Egli il tesoro
Fe’ ratto addurre e carreggiar sul loco
La 've il tenean di Nibelùng le genti,
E n’ebbe ufficio di custode il forte
Alberico animoso. Un giuramento

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320Forza fu ch’ei giurasse, onde qual servo
Servisse al prode. E in ogni cosa invero
Ei fu giusto e leal. — Questo ancor disse
Hàgene di Tronega: Ei fe’ cotesto,
E niun altro guerrier si acquistò mai
325Maggior possanza. Ed altre cose molte
Io so di lui che mi son note. Un drago
La mano uccise dell’eroe. Nel sangue
Ei si bagnò, sì che qual duro corno
La cute gli si fea; perciò niun’arma
330Incidere la può, tanto ella appare
E densa e spessa. Or noi cotanto sire
Accoglier qui dobbiam per quella guisa
Che fia migliore, onde per noi corruccio
Non si merti del giovane guerriero.
335N’è avvenente il bel corpo, e ognun l’ha caro
Veracemente, ch’egli oprò ben molte
Col valor suo meravigliose cose.
     Il re possente favellò: Tu al vero
Ti apponi. Vedi tu come superba-
340mente ei si tien quale in atto di pugna,
Ei, possente guerrier, con tutti i suoi

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Prodi seguaci. Or dobbiam noi discendere
Fino all’incontro dell’eroe. — Rispose
Hàgene allor: Ciò ben potete voi
345Con vostro onore. Egli è di stirpe illustre,
Figlio di re possente. E in atto ei tiensi
(Parmi, e Cristo lo sa!) qual di chi giunse
Qui cavalcando per non lieve cosa.
     Disse il re della terra: Il benvenuto
350Egli ci sia. Gli è nobile e gagliardo,
Ed io già il seppi. Giovigli pertanto
Alla terra burgundia esser venuto.
     Così ne andava principe Gunthero
Là 've rinvenne il pro’ Sifrido. Allora
355Il regal sire e i prodi suoi di tale
Foggia accogliean quell’ospite novello,
Che in loro atti cortesi alcun non fue
Mancamento o difetto. Il giovinetto
Avvenente e gentil chinava il capo,
360Da che fatto gli avean gli ospiti suoi
Sì bel saluto. Meraviglia, disse
Il prence allor, di ciò mi tocca, o nobile
Sifrido, perchè mai giunto qui siate

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A questa terra; o che cercar vogliate
365Sul Reno, a Worms. — E l’ospite a quel sire
Così parlò: Mai non sarà che questo
A voi si taccia. A me, del padre mio
Là nella terra, venne dato annunzio
Che son qui presso a voi (questo già intesi
370Con gran desìo) gli eroi più valorosi
(Questo già seppi), quali un re da presso
Aver si può. Per ciò men venni. Ancora
Odo narrar che siete voi medesmo
Di tal valor, che niuno un re giammai
375Vide cotale. Parlano di tanto
Le genti in tutta questa terra; ed io
Non vo’ partir se ciò non mi è ben noto.
Un cavaliero anche son io, corona
Un giorno porterò. Con ferma voglia
380Questo bramo toccar che altri dicendo
Di me poi vada ch’io posseggo a dritto
Popoli e terre. In questo e l’onor mio
E il capo mio pegno saranno. Intanto,
Che siate voi, così come fu detto,
385Prodi e gagliardi, non mi curo, sia

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Che ciò caro vi torni o vi dispiaccia.
Io vo’ rapirvi ciò che avete in terre
Ed in castella, fin che poi sommessi
Tutti mi siate. — Meraviglia s’ebbe
390Il prence (e i prodi suoi l’avean pur’anco)
All’annunzio che intese, onde Sifrido
Di toglier la sua terra avea disìo.
I prodi che l’udian, n’ebber disdegno.
     Mertar come potei, disse a quel prode
395Gunthero allor, che quanto il padre mio
Lunga età possedea con molto onore,
Per vïolenza di chiunque perdere
Per noi si debba? Male inver faremmo
Apparir noi che pur da noi si cura
400Di cavalieri dignità! — Partirmi
Io già non vo’, Sifrido ardimentoso
Gli rispondea. Che se pel valor tuo
Pace non ha questa tua terra, tutta
Conquistarla vogl’io. Se tu l’acquisti
405Con tua forza e valore, anche il retaggio
Ch’è pur di me, ti fia soggetto. Giacciano
Eguali in mezzo il mio retaggio e il tuo,

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E a quel di noi che l’altro vinca, tutto
Sommesso resti, e la terra e le genti.
     410Ed Hàgene e Gernòt gli rispondeano
All’istante. Davver! che alcun disegno
Non abbiam noi, disse Gernòt, estrane
Terre di conquistar, perchè per esse
Giaccia trafitto da la man d’un forte
415Alcun de’ nostri. Opima terra abbiamo;
Quei che per dritto a noi son ligi, mai
Non avriano appo alcun sorte migliore.
     Con anima crucciosa ecco! là stavano
Gli amici suoi; v’era pur anche Ortwino
420Da Metze. Egli dicea: Cotesto patto
Grave doglia è per me. Disdisse a voi
Senza ragion Sifrido oltracotante
L’amistà. Che se voi forza ed ardire
Già non avete co’ fratelli vostri,
425Anche s’ei qui trarrà d’un re sovrano
Tutta una gente in guerra, io sì m’affido
Tanto con l’armi d’ottener, che questa
Fiera alterezza sua debba il superbo,
A dritto, abbandonar. — Forte crucciossi

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430L’eroe di Niderlànd. La mano tua,
Gridò, con meco misurar non puossi.
Re potente son io, l’uomo tu sei
Servo d’un re; non dodici de’ tuoi
Potriam giammai starmi di contro in guerra.
     435Alle spade! gridò con fiera voglia
Ortwin da Metze, ed era sì quel prode
Figlio alla suora d’Hàgen di Tronega.
Ma perchè lungamente Hàgen tacea,
Cotesto al sire fu dolor. Là in mezzo
440Gernòt allora, il nobil cavaliero
Di gran valor, si pose. Il vostro sdegno,
A Ortwin ei disse, deh! lasciate! Cosa
Prence Sifrido a noi non fea da tanto;
E sì possiam per guise oneste e amiche
445La lite definir (tale il mio avviso)
E amico averlo ancor. Di maggior lode
Ci fia cagion cotesto. — Hàgen valente
Parlava allor così: Grave corruccio
Egli è per noi, per questi tuoi guerrieri,
450Che cavalcando fino al Reno ei giunga
Per contrastar. Lasciar dovrìa tal voglia,

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Chè di tanto un’offesa i regi miei
Fatta non gli hanno. — Rispondea Sifrido,
L’uom gagliardo, così: Quando vi crucci,
455Hàgen signor, ciò ch’io vi dissi, lascio
Che scelgasi da voi se le mie mani
Esser denno valenti in fra i Burgundi.
     Questo sol io torrò, Gernòt rispose. —
Indi a tutti i suoi prodi ci fea precetto
460Di nulla dir con tracotanza e ardire,
Ciò che duol grave gli sarìa. Ma intanto
Alla vergine illustre il suo pensiero
Sifrido rivolgea. Perchè dovremmo,
Gernòt soggiunse, contrastar con voi?
465Se morti giacer denno in fra la pugna
Alcuni prodi, poco onor ne avremmo,
Voi scarso frutto. — Gli rispose il figlio
Di prence Sigemund, Sifrido, allora:
     Hàgene e Ortwino e perchè mai cotanto
470Fanno indugio e non scendono in battaglia
Coi tanti amici quanti egli hanno seco
Qui fra i Burgundi? — Ma tacer doveano;
Tal di Gernòt era il consiglio. Voi,

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Disse d’Ute il figliuol, coi vostri amici
475Che qui venner con voi, tutti ci siete
I benvenuti. E vi farò servigio,
Io co’ parenti miei. — Mescere allora
Si fè agli ospiti il vin di re Gunthero.
     Ogni cosa che abbiam, l’ospite disse
480Di quella terra, se da voi richiesta
È con onor, vi fia sommessa; vosco
Dividansi di noi beni e persone
In giusta guisa. — E principe Sifrido
Si fè alcun poco di più lieto core.
     485Fu indetto allor che altri prendesse cura
D’ogni suo arnese, e alloggi si cercaro,
Quali più acconci l’uom trovò, pei servi
Di Sifrido, e per lui furo apprestate
Elette stanze. Da quel giorno in poi
490Volentieri fu visto in fra i Burgundi
L’ospite illustre. Grande onor gli fecero
Per molti giorni poi, ben mille volte
Più che dirvi poss’io. Ciò si mertava
L’inclito valor suo. Creder dovete
495Che niun fu visto là che odio gli avesse.

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     I re co’ lor compagni a’ lor sollazzi
Davan pensiero, e Sifrido pur sempre
Era il migliore in tutto che da quelli
S’incominciava. Niun potea seguirlo
500(Tanto grande sua forza!) allor che pietra
Lanciavasi per essi o acuto dardo
Via si scagliava; e allor che innanzi a donne
A’ lor sollazzi con nobil costume
Attendean lietamente i cavalieri,
505L’eroe di Niderlànd volenterosa
Stava la gente a riguardar. Ma il prode
A un alto affetto già rivolto il core
Avea. De la persona era pur sempre
Ad ogni cosa che altri incominciava,
510Pronto Sifrido. Nel cor suo recava
Un’amorosa vergine, e costei,
Che visto ancora ei non avea, nel petto
Recavalo pur anco. Ella in secreto
Dolci parole avea per lui. Ma quando
515Là ne la corte a’ lor giochi venièno
I giovani, famigli e cavalieri,
Ciò sovente Kriemhilde, inclita donna,

[p. 41 modifica]

Per la finestra riguardava. Allora
Altro sollazzo non chiedea. Saputo
520S’egli avesse però che il contemplava
Quella che in core avea, gaudio bastante
Avuto sempre egli ne avrìa. Se lei
Veduto avesser gli occhi suoi, ben questo
Io vo’ saper che miglior cosa mai
525Toccar non gli potea su questa terra.
     Quando, presso agli eroi, nell’ampia corte
Ei si tenea, come pur fan le genti
Per lor sollazzi, in tale atto d’amore
Stava il figliuol di Sigelind, che a lui
530Molte fanciulle eran devote ornai
Per affetto del cor. Ma quei pensava
Molte fiate ancor: Come potrìa
Tanto avvenir che con questi occhi miei
Vegga l’inclita vergine ch’io tanto
535Amo del cor da tanto tempo? Ancora
Ella m’è ignota, e rimaner qui deggio
Dolente e tristo! — Quando per la terra
Andavan cavalcando i re possenti,
Tutti ad un punto i cavalieri ancora

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540Dovean partir, con essi anche Sifrido.
Questo era duol per le fanciulle, ed ei
Molto affanno recavasi nel core
Per l’amor suo. Così (gli è questo il vero)
Appo que’ prenci un anno ei si tenea
545Là, nella terra di Gunthèr, nè mai
In alcun tempo l’amorosa donna
Veder potè, colei, donde più tardi
Molto amor, molto affanno incolse a lui.




Note

  1. Corazza del nano Alberico che rendeva invisibile chi la portava.