Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. VI/Libro IV/VI
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CAPITOLO SESTO.
Si nota ciò, che si vide sino a Milano, e
si descrive quella Città.
La Domenica 2. passai in Gavi, Terra di frontiera del Genovesato; e quindi andai a vedere Serravalle dello Stato di Milano, tre miglia discosto. Il luogo è molto picciolo, e tiene un Castello nella sommità del monte, con pochi soldati, ed artiglieria. La campagna all’intorno e amena, e ben coltivata. Tornai la sera in Gavi.
Il Lunedì 3. presi alquanto di cibo in Novi (Terra murata, con un Castello sul colle) e seguitando poscia il cammino, dopo due miglia entrai nello Stato di Milano, e venni a desinare in Tortona, a fine di 15. miglia. Questa Città, posta in un piano, è cinta di basse mura con fosso, ed ha un Castello sul monte, con buona guarnigione; però le sue case non son punto belle.
Fatte poscia dieci miglia, passai per Voghera, buona Terra, e due volte più grande, che Tortona; ed indi a quattro altre miglia pernottai nella pessima osteria di Purana.
A buon’ora partii il Martedì 4. per una strada assai fangosa, e dopo cinque miglia, passato il Pò in barc; e a fine d’altrettante il fiume Grevalu (anche in battello) mi fermai a desinare in Pavia; passato avendo sopra un ponte il Tesino, che la bagna.
Pavia è una forte Piazza, circondata da un largo fosso d’acqua, e da buone fortificazioni esteriori. Il Castello ha più sembianza di palagio, che di Fortezza: e dentro vi si vede una buona armeria, rinovata dal Signor Maestro di Campo D. Francesco di Cordova. La Città e ben popolata, ricca, et adorna di buoni palagi. Vanta la sua fondazione prima di Milano; e si pregia molto d’aver sostenuto, fra gli altri stretti assedj, quel memorabile, che Francesco primo Rè di Francia le pose nel 1525. E’ anche illustre là sua Università, per avervi insegnato la Giurisprudenza Giasone, Baldo, e’l dottissimo Alciato. Il Convento de’ Certosini è de’ più celebrati d’Italia; nè senza gran ragione, per le ottime dipinture, che vi si veggono. Fatte dieci miglia dopo desinare, passai per Binasco, ed entrai, ancor per tempo, in Milano.
Milano, Città situata in elevazione di 45. gradi, si stima fabbricata da’ Galli l’anno 395. dopo l’edificazion di Roma. Di circuito ha più d’otto miglia, in cui sono da 200. mila abitanti, compresi i borghi. E’ celebre per quattro cose; cioè per la moltitudine del popolo; per la magnificenza del suo Duomo, che giammai non sta senza fabbricatori; per l’i mparegiabile Castello; e per la famosa libraria, chiamata Ambrosiana, donatale dal Cardinal Federigo Borromeo Arcivescovo di Milano, e copiosa di ben 30. mila volumi. Per l’opportunità del sito meritò sin dalla sua fondazione d’esser residenza di Principi, ed Imperadori; avendovi spezialmente abitato Nerva, Trajano, Adriano, Costanzio, Massimiano, Costantino, ed altri. Abbattuta la potenza del Romano Imperio, soggiacque, con tutta la Lombardia, o Gallia Cisalpina alla crudeltà de’ Goti, e Longobardi; quali vinti da Carlo Magno, rimase in potere degl’Imperadori d’Occidente, sino al 1162. che l’Imperador Federigo primo la uguagliò al suolo, e semino di sale. Restituita poscia nell’antico suo splendore, stette, come feudo Imperiale, solto il dominio di più Principi. Finalmente scacciatine gli Sforzeschi da’ Francesi; e questi nell’assedio di Pavia sconfitti da’ Capitani di Carlo V. colla prigionia di Francesco primo; il medesimo Imperadore investì dello Stato Filippo II. Rè di Spagna suo figliuolo, a’ cui successori oggidì felicemente ubbidisce.
La prima cosa, che facessi il Mercordì 5. fu di riverire il Signor D. Francesco Fernandez di Cordova, Gran Croce di Malta, e Maestro di Campo Generale dell’esercito di Milano, ben noto a tutto il Mondo per la somma prudenza, e valore mostrato in quelle ultime guerre. M’accolse egli con molta amorevolezza, ricordevole della mia antica servitù, e nulla degenerando da’ suoi nobilissimi maggiori.
Andai dopo desinare a vedere il Castello. Si entra al medesimo per due ponti, e passate tre porte, in una piazza d’armi molto spaziosa. Da questa entrandosi per un’altra porta (in mezzo alle due case forti de’ Duchi di Milano) si truova un cortile, dove è la Cappella, e l’abitazione del Castellano: cioè la casa forte a destra entrando, che ha le finestre sulla piazza d’armi; perche quella a sinistra è occupata dalle munizioni, armeria, ed ospedale, ed ha le finestre verso le mura. Mi dissero essere state fatte, a bello studio, queste due case in tal sito, acciò non si scontrassero, nè meno con gli sguardi, i due Duchi, che allora non erano troppo amici. Or querto Castello tiene sei baloardi (con dodici pezzi d’artiglieria per ciascheduno) e sei mezze lune; con un largo, e profondo fosso d’acqua. Nell’entrare si veggono due alte Torri, con muraglie di mattoni, larghe sino a 30. palmi, e vestite di pietra viva a punta di diamante. Sopra di esse, e sopra le mura delle cortine, che hanno l’istessa sodezza, sono grossissimi pezzi d’artiglieria. Questo Castello comunemente viene stimato il migliore, e più grande, e sicuro di tutte le Fortezze d’Europa; e la sua armeria, benche oggidì non tenga tante armi, almeno sta in opinione di potere armare tutta Italia. Dicono, che fusse fabbricato da Galeazzo Visconte, secondo Duca di tal nome, e poi ridotto in miglior forma da Carlo V. Imperadore. Egli è posto nella parte Occidentale di Milano, e la sua giurisdizione si stende per mezzo miglio all’intorno le contrade della Città; nelle quali non può entrare altro Tribunale, a prendere i delinquenti, senza licenza del Castellano.
La sera sentii una pessima Commedia nel Teatro; ch’è dentro il Palagio del Governadore, con cento palchetti, distribuiti in quattro ordini.
Il Giovedi 6. andai a visitare il Maestro di Campo Sig. D. Ferdinando Valdes, Castellano dei suddetto Castello. Egli mi venne all’incontro, con molta cortesia; e introducendomi nella sua galleria, con termini molto obbliganti, espresse il gusto, che sentiva di vedermi, e conoscermi; e’l dispiacere di non avermi conosciuto in Napoli, mentre era Maestro di Campo Generale. Mi menò quindi seco in carrozza, a vedere in Palagio le cerimonie del Compleaños del Re nostro Signore, e i mobili del Signor Principe di Vaudemont Governadore. Passata la sala, e la prima anticamera, entrammo in un’altra, apparata di damasco, guernito di francie d’oro; e tutta adorna di specchi, con cornici d’argento, ed altre cose di cristallo. La seguente camera era coperta di velluto cremesino, coll’estremità adorne di rilievo d’oro; e vi era un letto d’apparenza, a guisa di padiglione, arricchito d’ogni intorno di rilevato ricamo d’oro, e nella sommità abbellito da alcune aquile, assai ben lavorate. In somma non potea essere nè più prezioso, nè più pomposo, anche se vi si fussero intessute gemme. Per la medesima camera erano più tavole, coperte d’argento, e specchi, con cornici dell’istesso metallo. Venuta l’ora della cerimonia, ordinò il Maestro di Campo a un suo Gentiluomo, che mi conducesse in carrozza nella Collegiata Reale della Scala; perche egli vi dovea venire insieme col Signor Governadore. Essendo io adunque in Chiesa, vidi venire il Principe in una carrozza a otto cavalli, e con lui il Signor Maestro di Campo generale D. Francesco de Cordua, e’l suddetto Sig. Castellano a sinistra. Seguivano altre due carrozze ad otto, ed una a sei per la Corte. Uscì il Preposito, co’ Canonici, a riceverlo alla porta, coll’acqua benedetta; e poi l’accompagnarono sino all’altar maggiore, andando egli in una sedia scoperta, per esser podagroso. Vi furono tutti i Ministri Togati; e gli Officiali militari, non meno che i Cortigiani del Signor Principe, superbamente vestiti. I lacchè eziandio, e la guardia degli Svizzeri, portavano abiti nuovi; quai di velluto, e quai di panno verde, guernito d’oro. S’assise il Sig. Governadore, alla maniera del Principi assoluti, dal corno del Vangelo, in una sedia, posta entro una cortina di damasco nel Presbiterio. Dirimpetto sedeva il Preposto (che celebrava pontificalmente) tre gradi elevato dal suolo. In dieci altre sedie di velluto, con origlieri dell’istesso, e inginocchiatoj coperti di panno, sedea in primo luogo il Signor Maestro di Campo Cordua; e quindi, per ordine, il Sig. D. Ferdinando Valdes, il Sig. Marchese di Burgomayne Generale d’uomini d’arme, e Grande di Spagna; il Gran Cancelliere, ed altri Togati, e Soldati. Si diede al Governadore l’incenso, e a baciare il Vangelo, e la Pace; a gli altri solamente la Pace, ed incenso. In fine cantatosi il Te Deum, si fece una salva Reale.
Tornai coll’istessa carrozza in Palagio; ed entrando per la porta principale, (essendo l’altra volta entrato per quella del Teatro) vidi altri appartamenti, riccamente apparati d’arazzi, e di damasco. Il Signor Principe Governadore, fermatosi nell’ultima stanza, diede, con molta affabilità, congedo a tutti; lontano da quella gravità inflessibile, ch’altrove si sperimenta. Posti in carrozza, col Sig. Don Ferdinando, tornammo in Castello, e ne’ suoi appartamenti; corrispondenti in vero alla sua gran nascita, per gli preziosi arazzi, argento ben lavorato, ricchissimi armarj, e dipinture de’ migliori Maestri de’ secoli passati. Mi condusse egli in una camera (dopo la galleria) dove anticamente stava l’orologgio, e che avea le finestre sulla piazza d’armi. Ella era molto luminosa, e bene apparata di damasco, e di preziose supellettili. Quivi stava imbandita la mensa, intorno la quale essendo assise nove persone (per non contarvisi una Dama) vennero copiose, ed esquisite vivande. Finito il desinare, impose egli a D. Francesco Ramirez, Commessario Generale della cavalleria, e Cavaliere d’amabili costumi, che mi conducesse in Palagio, a vedere la festa, poichè egli non vi potea venire. Giunti nell’anticamera, aspettammo lunga pezza, con una moltitudine di Ministri d’Astrea, e di Marte; e poi che furono venute le Dame, vedemmo uscir fuori il Signor Principe, tirato in una sedia a modo di carriola, e fermatosi nell’anticamera, dire: Entriamo Signori: cortesia giammai osservata da me in altri, ch’occupano simil posto. Entrammo adunque con lui in una camera, apparata di damaschi; nella quale erano le Dame sedute in fila, e a capo di esse la Signora Principessa Governadrice, in una sedia differente. Passò il Signor Principe più avanti, nella stanza del letto, sopra mentovata; ed ivi si trattenne in familiari discorsi con altre Dame, alle quali, siccome a noi, erano recati di quando in quando rinfreschi. Di là ad un’ora passammo tutti ne’ palchetti del Teatro; e quivi udimmo una sinfonia di 50. strumenti, disposti, e nell’orchestra, e sulla scena, in forma di mezzo circolo; e poi una serenata a quattro voci, intitolata; La confidenza della pietà: la quale non solo non corrispose alia perfezione degli strumenti; ma ne facea a tutti desiderar, che finisse tosto. Si diede intanto incredibil copia di varie sorti di rinfreschi, e cose dolci. Tornai a casa a 5. ore di notte, portato dall’istesso Commessario Generale.
Il Venerdì 7. mi convitò a desinar seco il Signor Maestro di Campo D. Francesco Fernandez de Cordova, e trattommi splendidamente; però il miglior piatto fu quello della sua amorevolezza, ed affabilità. Mi trattenni la notte in Castello, coll’ordinaria conversazione di più Cavalieri; a’ quali generosamente il Signor D. Ferdinando suol dare acque concie, cioccolate, e cose dolci.
Avendo fatta conoscenza, sin dal 1687. in Ungheria, col General di battaglia D. Francesco Culminero, y Gattinar, oggidì Governadore di Valenza del Pò, andai il Sabato 8. a visitarlo, ed egli ebbe gran piacere di vedermi dopo tanti anni. Questo Cavaliere in tutte le battaglie d’Ungheria (mentre io serviva da volontario) avea dato bastante saggio del suo valore; onde non dee recar maraviglia, che l’anno passato difendesse così bene Valenza, attaccata dall’esercito Francese.
Passai poi a vedere l’ospedal maggiore, fondato da Duchi di Milano, che può dirsi uno de’ migliori d’Italia. Si truova al di fuori un superbo frontispizio; e dentro un gran cortile quadrato, con doppio ordine di colonne, che sostengono, cosi le superiori, come le inferiori volte; e sopra, e sotto sono molti corridoj per gl’Infermi, che allora erano sino ad 800. assai ben serviti; per tacer d’infiniti magazzini, e stanze per abitazione di coloro, che servono gli ammalati. Mi dissero che la rendita di questo spedale montai a 150. m. Filippi. Mezzo miglio lontano dalla Città, e propriamente fuori la porta Romana, si fabbricava un cimiterio, per sepeliire que’, che morivano nell’ospedale; e sino a quei giorno vi si erano spesi 200. mila Filippi, cosi grande è l’opera. Andai la sera dal Signor Castellano, a passare il tempo in compagnia d’una nobile adunanza di Cavalieri.
La Domenica 9. fui a vedere il Lazaretto, per gli appestati; ch’è anche una gran fabbrica in quadro, lunga due buoni tiri di moschetto, con 300. e più camere all’intorno. Vi è un giardino nel mezzo, che s’affitta due mila Filippi l’anno.
Il Lunedi 10. il Signor Principe Governadore andò in Castello all’improviso; e si mise a desinare col Signor Castellano, in compagnia del Signor Mastro di Campo Cordova; onde, con tutto che mi avesse convitato dalla sera antecedente il Signor Castellano, lasciai d’andarvi.
Dopo Vespro venne a prendermi in carrozza Pietro Paolo Carvaggio, Lettor di Matematica, per farmi vedere la Città. Dopo aver alquanto passeggiato, fummo nella piazza de’ mercanti, e nelle scuole palatine, che dicono essere state fondate dalle Regine Longobarde; e quivi fecemi vedere la Cattedra, ove lesse Santo Agostino. Entrammo poi ivi dirimpetto nel Collegio de’ nobili Dottori Milanesi; ch’è una buonissima fabbrica, fondata da un Pontefice della famiglia Medici. Non sono ricevuti nel suddetto Colleggio, che nobili; a’ quali si commettono in prima istanza le cause civili da’ Ministri superiori.
Il Martedi 11. dopo aver tenuto consiglio secreto il Signor Governadore, col Maestro di Campo Generale, ed altri Ministri, ed officiali; passò ad assistere alla Messa, e Sermone nel Duomo; dove venne anche il Cardinal Arcivescovo, per essere l’ultimo dì della Novena di S. Carlo. Sedea dentro una cortina nel presbiterio, nel corno della pistola; e la Signora Principessa sopra un palchetto. I Ministri non aveano sedie, come nella Cappella Reale, ma banchi coperti di damasco, con origlieri per inginocchiarsi. La predica, e musica fu ottima. Questa Chiesa per la sua ampiezza (essendo lunga ducento gombiti, e 130. larga) nobiltà di marmi, eccellenza di statue, e sontuosità d’altri ornamenti, vien riputata l’ottavo miracolo del Mondo; benche ella non sia ancor compiuta, da tanti anni, nè vi sia speranza di terminarsi cosi tosto; con tutta la gran rendita, lanciata da un tale per la sua fabbrica. Ella è a cinque navi, formate da pilastri ben lavorati di marmo, che sostengono l’altissime volte, e che uniti a quelli dell’altar maggiore sono in tutto settanta. Tutto l’edificio dentro, e fuori, e sino al tetto è adorno di bellissime statue di mezzo busto, ed altre artificiose scolture di marmo: or pensate quai siano gli altari, e cappelle, particolarmente l’altar maggiore, dove è una ricca custodia d’argento. Generalmente le Chiese di Milano sono ben servite, non ostante la loro moltitudine; poiche mi dissero, esservi undici Chiese collegiate, settant’uno Parrocchie, e settanta quattro Conventi di Monaci, Frati, e Suore; oltre gli ospedali.
Verso la sera, sceso nell’inferiore Chiesa del Duomo, venerai il Corpo di S. Carlo, ch’era riposto in una cassa di cristallo, con cornice d’argento, e coperta d’un altra di bronzo dorato, ed argento: dentro era ornata riccamente d’oro. Di lì me n’andai alla solita conversazione del Castello, per licenziarmi dal Sig. Castellano, e dagli altri Cavalieri amici.