Giro del mondo del dottor d. Gio. Francesco Gemelli Careri - Vol. IV/Libro II/IX

Libro II - Cap. IX

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CAPITOLO NONO.


De’ caratteri de’ Cinesi: del loro ingegno, ed

abilità nelle arti liberali; e de’ loro più

principali libri.


Q
Uantunque gli Egizj si vantino di essere stati i primi, che per mezzo di caratteri, e geroglifici, i loro sentimenti avessero alla posterità tramandati; è però certo, che i Cinesi gli hanno avuti [p. 283 modifica]molto tempo prima. Tutte le altre nazioni hanno avuto un modo di scrittura comune, formata da un’alfabeto di circa 24. lettere, le quali benche varie di figure, hanno quasi lo stesso suono; ma i Cinesi si servono di ben cinquantaquattromila quattrocento, e nove lettere, ch’esprimono i loro concetti: e ciò con tanta grazia, vivacità, e forza, che par che non siano caratteri ma voci, e lingue, che parlano; o per dir meglio, figure, e immagini, che vivamente rappresentano ciascheduna cosa.

Queste lettere sono di due spezie: cioè o semplici, o composte di più semplici: e perche ogni una di esse (a differenza delle nostre) è un segno, ed immagine rappresentante qualche spezial cosa Relat. de la Chin. du P. Magallans c. 4. pag. 86., quando è giunta a qualche altra; senza alcun dubbio, non semplici lettere, ma geroglifici denno appellarsi. Tra l’altre maraviglie di tal favella, le parole sono poche, e tutte monosillabe; come Pa, pe, pi, po, pu, pam, pem, pim, pom; pum, e simili; sicchè toltene quelle monosillabe, di cui non si servono, per non poterle a patto alcuno proferire (come Ba, be, bi, bo, bu, Ra, re, ri, ro, ru, Pom, tom, nom, mom, etc.) le loro parole, a volerle ben [p. 284 modifica]considerare in se stesse, non sono più di 320. ma se si considerano co’ loro differenti accenti, bastano a formare una lingua perfettissima. Per ragion di esemplo la sillaba, Po, diversamente pronunciata significa undici cose differenti; potendo esser nome, pronome, sostantivo, adjettivo, adverbio, e participio: come anche quando è verbo, può stare in luogo di dimostrativo, imperativo, soggiuntivo, ed infinito; nel numero del più, e del meno, colle loro persone; in tempo presente, imperfetto, preterito, e futuro. La diversa pronunciazione s’hà dalla diversità dello accento; il quale è, o semplice, o forte, o grave, o acuto, o circonflesso; come anche dall’aspirazione, che eziandio si segna, come tra’ Greci. Si può tutto ciò discernere dalle undici maniere, colle quali la sillaba, Po, può essere considerata:


Quando questa sillaba vien pronunziata coll’accento uguale, ed unito, Pō, [p. 285 modifica]significa vetro; col grave, Pò, significa bollire; coll’acuto Pó, crivellatore di grano, o di riso; il 4. col circonflesso aperto, savio; il 5. col circonflesso fermo, e un punto di sopra, preparare; il 6. col circonflesso caricato, ed aspirato donna vecchia; il 7. coll’accento uguale, ed aspirato, rompere; l’8. con un’accento grave, ed aspirato significa inchinato; il 9. coll’acuto aspirato significa quasi, presso; il 10. col circonflesso aperto, ed aspirato innaffiare; l’11. con un circonflesso fermo, col punto sopra, ed aspirato, schiavo. Da questo esemplo potrassi agevolmente comprendere, come con sì poco novero di monosillabe, può la lingua Cinese essere sempre espressiva, abbondante, ed eloquente; perocchè siccome noi, colla diversa combinazione di lettere, formiamo tante innumerabili parole; così essi, unendo, separando, e’ vari accenti mutando alle loro monosillabe, ponno esplicarsi, con ugual chiarezza, e leggiadria, che qualunque altra più pregiata favella.

La stessa faciltà, che hanno ad esplicare i lor sentimenti in iscritto, colla diversità degli accenti; truovano anche nel pronunciar diversamente le parole: a simiglianza d’un musico, che colla lunga [p. 286 modifica]esercitazione, facilmente esprime, e conosce ad un tratto la varia modulazione, che sulle note gli è d’uopo fare colla voce. Ma non perciò egli è vero, che i Cinesi parlando cantino, siccome alcuni s’hanno immaginato; nettampoco, che portino appesa al collo una tavoletta, nella quale scrivono quello, che vogliono dire, quando veggono, non essere intesi; e che non ponno parlare all’orecchio, come alcuni si persuadono, stimando, che senza alzar la voce, non ponno esprimersi i tuoni, e gli accenti.

La lingua Cinese (al parer de’ Missionarj) è la più facile di tutte le altre Orientali; imperocchè, se per apprendere una lingua, principalmente fa d’uopo memoria, quella lingua sarà più facile, che avrà minor copia di parole; perche sempre è più agevole ritenerne una picciola quantità, che molte. Or la lingua Cinese è composta di sole 320. monosillabe, quando la Greca, e la Latina hanno un’infinità di parole, di differenti tempi, nomi, e persone; adunque ella dee esser facile. S’aggiunge a ciò, che non v’ha d’uopo altra ricordanza, che degli accenti, che sono come la forma, da cui si distingue la significazion delle parole. Il popolo [p. 287 modifica]Cinese però pronuncia bene il tutto, con somma faciltà, senza sapere che siano tuoni, o accenti; che non sono conosciuti, che da’ letterati.

Non potrà di ciò dubbitarsi, quante volte si voglia por mente, che i Padri Missionarj, che vanno in Cina, coll’applicazione di due anni, predicano, confessano, e compongono in quella lingua, come se fusse loro propria; quantunque vadano in quelle parti gli avanzati in età: onde hanno composti, e stampati moltissimi libri, che sono ammirati, e stimati da’ medesimi Cinesi.

Se coloro, i quali inventano meglio, e più prontamente, hanno l’ingegno più elevato degli altri, denno i Cinesi essere all’altre nazioni anteposti; poiche sono stati i primi inventori dello scrivere, della carta, della stampa, della polvere, della porcellana fina, e d’altre varie cose. Se mancano loro molte scienze, ciò è nato dal non aver avuta comunicazione con altri popoli; ma contuttociò sono consumati nella moral Filosofia, alla quale s’applicano molto; e per la sublimità dell’ingegno, intendono facilmente i libri, composti da’ Missionarj, di sottili, e difficili quistioni matematiche, filosofiche, e teologiche. [p. 288 modifica]

Qual Regno è al Mondo, come la Cina, così copioso di Università? Certamente vi si contano più di dieci mila Licenziati; de’ quali sei, o sette mila s’assemblano ogni tre anni in Pekin, dove appresso severi esami, ne sono ammessi 365. al grado di Dottori. Io credo non vi sia alcuno Stato, in cui si truovino tanti studenti, quanti Baccellieri ha la Cina; numerandosene più di 90. mila: nè che vi abbia alcun paese, dove la conoscenza delle lettere sia così universale, e sì comune; poiche nelle Provincie Meridionali principalmente, non vi è uomo povero, o ricco, cittadino, o villano, che non sappia almeno leggere, e scrivere. In fine non vi ha dubbio, che toltane l’Europa, non vi ha alcuna nazione, che abbia pubblicati tanti libri.

Le Croniche de’ Cinesi sono di pari antichità col diluvio, cominciando soli 200. anni dopo. Sono elleno state continuate, sino al giorno d’oggi, da diversi Autori; donde si potrà giudicare in quanto numero di volumi sian contenute. Hanno molti libri di filosofia naturale, dove si tratta della Natura, della sue propietà, e de’ suoi accidenti: diversi altri di Matematica, e intorno all’arte militare; [p. 289 modifica]ingegnosissimi, e dilettevoli romanzi, e libri di cavalleria simili all’Amadis, Rolando, e D. Quixotte; volumi infiniti d’istorie, ed esempli dell’obbedienza de’ figli inverso i Padri, e della fedeltà de’ vassalli a’ loro Re; dell’agricoltura, di discorsi eloquenti, di Poesie aggradevoli, di Tragedie, di Commedie, e d’infinite altre materie, che lungo fora il raccontare. Il più maraviglioso si è la gran faciltà, che hanno in comporgli; e tale, che vi sono pochi Licenziati, e Dottori, che non pubblichino almeno una, o due opere.

Fanno gran mostra del loro ingegno anche nella Medicina, intorno la quale han composto eccellenti Trattati. E’ vero, che pretendono di saper molto di polso, per conoscere, e distinguere le infermità, ed applicarvi i dovuti rimedj; però non posso persuadermi tanto, quanto l’amplifica il P. Daniello Bartoli Nell’Historia della Cina par. 3. pag. 62. e 63., il quale narra, che i Medici Cinesi non chieggono mai all’infermo dell’essere suo presente, nè del succedutogli da che è stato sovrapreso dal male; che ciò sarebbe un confessarsi alla scoverta ignorante: ma sedutisigli accanto, gli osservano attentissimamente circa mezza ora [p. 290 modifica]il polso; e dalla diversità degl’irregolari suoi movimenti, che sottilissimamente discernono, comprendono, e narrano quanto fin’allora, giorno per giorno, è all’infermo avvenuto, e pronosticano dell’avvenire: in che avanzano (al dire del Padre) di gran lunga i nostri medici Europei. Bel medicare in vero, non già per arte umana, ma profetico, anzi divino. Alla fine nella nostra Europa vi sono scuole, in cui Medicina s’insegna; ma in Cina non ve n’ha alcuna: e se il figlio, avendola apparata dal Padre, non vi truova a far bene i fatti suoi, la lascia, e prende altro mestiere più lucroso; perche i Cinesi sono in tutto abili. Quel che posso con verità dire si è, che questi migliori medici de’ nostri sfuggono, a più potere di medicare i Mandarini, e Signori; perche morendone alcuno sotto la lor cura, i parenti gli fanno morire a bastonate; e per la sperienza, che hanno del loro sapere, proccurano di farsi curare più tosto da un chirurgo Europeo, che da qualunque di essi. Vidi per pruova di ciò, mentre era in Canton, passare al servigio dell’Imperadore medesimo un chirurgo di Macao, che l’avea altre volte servito, e con sua licenza era [p. 291 modifica]andato a veder sua moglie; e se fussero i Cinesi tanto gran Profeti, ed Esculapj, non credo, che lo stesso Imperadore anderebbe in busca d’Europei. Soggiugne il Padre Bartoli al luogo cit., che essi curano spezialmente coll’inedia; tenendo l’infermo sette, quattordici, e per sino a venti giorni, senza dargli una bricciola di che che sia per cibo, ma acqua, quanto ne vuole; e due, e tre, e quattro volte sugo di pere. Io credo, che se il Padre Bartoli fusse soggiacciuto sei dì a tal sorte d’inedia, non avrebbe forse dato in luce tante virtuose fatiche. E poi i Cinesi son di carne, come noi altri, e d’altrettanta dilicata complessione. Egli dee anche sapersi, che i medici Cinesi fanno insieme il mestiere di Speziale; e dovunque vanno, fanno portarsi dietro la spezieria dal servidore. Se non sono chiamati la seconda volta, più non tornano; perche senza potersene eglino offendere, è libero all’infermo, d’avvalersi di qualunque altro. Si paga a’ medesimi la medicina, non la visita; e perciò a fine di soddisfare la loro avara natura, non lasciano mai di purgare, eziandio fuor di bisogno, adoprando pietre, semi, radici, erbe, frondi, corteccie, ed altri semplici, di cui [p. 292 modifica]acquistano la conoscenza da’ libri, che ne contengono le immagini, e ne divisano la virtù. Sieguono in ciò gli aforismi d’un loro antico Imperadore, che fu insieme erbolajo, e medico eccellente, per nome Jenti. Il trar sangue nelle febbri ardentissime, appena vi è chi l’usi. Tal’e il curar per arte de’ Medici savj della Cina; ma i pazzi in maggior numero vi si contano, e son mille volte più in pregio. Costoro vantano d’avere un mirabil segreto, di far ringiovenire in vecchiezza, e di qualunque età: altri, da rendergli immortali; e vanno vendendo l’antidoto contro la morte. Non cadono solo in quella rete i semplici, e rozzi, ma i più letterati, e savj; che riponendo tutta la felicità in questo Mondo, proccurano, con immensa spesa, quel prezioso licore, con cui sperano di rendersi immortali; e benche burlati più volte, non lasciano di ritornare al vomito, tanto che per non morire, s’uccidono nel più bello del vivere.

Hanno i Cinesi, fra gli altri, cinque libri, che chiamano Ukim, o cinque scritture, tenute da essi in pregio, come da noi la sacra Bibbia. Il primo si dice Xun-xim, cioè Cronica di cinque Re [p. 293 modifica]antichi; i tre ultimi de’ quali furono Capi di tre famiglie differenti, che regnarono due mila anni; altrettanto quasi che le 19. famiglie seguenti, compresavi quella de’ Tartari, che di presente regna. Il primo di questi Imperadori si chiamava Yâo, che secondo le loro Croniche, cominciò a regnare, sono già quattro mila, e cinquantasette anni, o circa 500. anni dopo il diluvio, secondo il calcolo de’ settanta Interpreti. Questo Principe Legislatore de’ Cinesi, vedendo, che il suo figliuolo non avea le qualità necessarie, per ben governare (perche siccome dicono i Cinesi, si faceva allora più stima della virtù, che di tutto il resto) scelse per suo compagno un vassallo, per nome Xùn; che poi morendo dichiarò Imperadore, lasciandogli due sue figlie per mogli.

Il secondo Imperadore, Xun, vien lodato in sì fatto libro per la sua virtù, e sopra tutto per l’obbedienza in verso il Padre, ed amore, che portò al fratello.

Il terzo Imperadore Yù avendo servito utilmente l’Imperadore Xun, fu dal medesimo, morendo, dichiarato successore, nulla curando del proprio figlio, che non avea il talento necessario, per ben [p. 294 modifica]governare. S’applicò egli, durante la vita del suo predecessore, a divertire le acque del diluvio, che coprivano allora una parte delie campagne della Cina; e che i Cinesi chiamavano Xûm Xùi, cioè gran diluvio d’acque. Gl’Imperadori, che succedettero a costui, signoreggiarono per dritto di successione, e non di elezione, sino all’Imperadore Kie, uomo crudele, ultimo di quella prima famiglia Reale.

Il quarto Imperadore si chiama Chim-tam, ceppo della seconda famiglia. Egli prese l’armi contro l’Imperadore Kie, ed occupò l’Imperio. In tempo di lui vi fu una siccità di sette anni, non cadendo mai nè pioggia, nè neve, come se i Cieli fussero stati di bronzo: le fontane, e i fiumi, quasi tutti seccarono; la terra divenne sterile, e per conseguente sopravvenne poi la fame, e la peste. In questa estrema miseria l’Imperadore, lasciato il suo palagio, ed abiti Reali, si coperse di pelli; e sopra una collina, detta Samlim, andò a prostarsi a terra, facendo questa preghiera al Cielo: Signore, se il vostro popolo vi ha offeso, non lo gastigate; perche vi ha offeso, senza sapere quello che faceva: gastigate me più [p. 295 modifica]tosto, che mi presento quì, come una vittima, per soffrire tutto ciò, che piacerà alla vostra divina giustizia. Appena ebbe egli finite queste parole, che di subito il Cielo si coprì di nuvole; che versarono tanta pioggia, che bastò ad innaffiare tutte le terre dell’Imperio, e far produrre in brieve le solite frutta. I Padri Missionarj si servono di questo esemplo, per persuadere i Cinesi sul misterio dell’Incarnazione. I discendenti di questo Imperadore Chim-tam regnarono più di 600. anni; sino al Re Cheú, che fu crudele, come Kie. Quando i Cinesi dicono, che un’uomo è un Kie, o un Cheú, è come si dicesse fra di noi un Nerone, o un Domiziano.

Il quinto Imperadore si chiamava Vù vâm, che investì, e disfece Cheú in battaglia, e si fece Signore dell’Imperio. Egli avendo un fratello prudente, e virtuoso fecelo Re del Reame di Lú (di presente compreso nella Provincia di Xan tùm) e venendo a morte, lo lasciò Governadore dell’Imperio, durante la minorità di suo figlio. A lui attribuiscono i Cinesi la prima invenzione, ed uso (ha più di 2700. anni) della calamita, o della bussola; che poi partecipò [p. 296 modifica]l’Imperador suo nipote a gli Ambasciadori di Concincinna, che portarono il tributo; acciò coll’ajuto della medesima, potessero ritornare al loro paese, per lo più dritto cammino, senza esporsi a gire errando, come aveano fatto venendo. L’istoria di questi cinque Re, da’ Cinesi stimati santi (principalmente i quattro primi) e de’ loro discendenti è la materia del primo libro; che ha altrettanta autorità appresso quelli Infedeli, quanto i libri de’ Re fra noi Cristiani. Il suo stile è antico, ma limato, ed elegante. Il vizio ivi è biasimato, e le virtù lodate; e l’azioni de’ Re, e de’ lor vassalli sono sinceramente riferite.

Il secondo libro si chiama Li ki, cioè libro de’ Riti; e contiene la più parte delle leggi, costumi, e cerimonie dell’Imperio. L’Autore principale è il medesimo fratello dell’Imperadore Vuvàm, appellato Chéu cùm: contiene anche l’opere di diversi altri Autori, discepoli dì Confusio, e d’altri Interpreti moderni.

Il terzo libro si chiama Xi Kím, cioè libro di versi, di romanzi, e di poesie. Queste sono divise in cinque spezie: l’una per cantarsi in onore degli uomini [p. 297 modifica]illustri, con una spezie di versi, che si dicono nell’esequie, sacrificj, e cerimonie, che i Cinesi fanno in memoria de’ loro maggiori. La seconda de’ Romanzi, che si recitavano avanti gl’Imperadori, e suoi Ministri: inventati per descrivere i costumi del popolo; il modo, col quale era governato; e tutti gli affari dell’Imperio: della medesima maniera, che nelle commedie de’ Greci si riprendeano i difetti de’ particolari, e della Repubblica. La terza era detta, per similitudine, perche tutto quello, che conteneva, era esplicato per via di comparazioni, e similitudini. La quarta spezie era detta elevata, perche dava, con più sublime stile, diverse notizie, per allettare l’ingegno, e conciliare attenzione alle seguenti cose. La quinta vien detta, Poesie rigettate; perche Confusio avendo riveduto il libro, rigettò alcune di esse poesie, che non gli parvero buone.

Il quarto libro fu composto da Confusio, e contiene l’Istoria del Regno di Lù sua patria: onde i Cinesi lo stimano grandemente. Egli lasciò scritta questa istoria, di 200. anni, in forma di annali; dove espone, come in uno specchio, le azioni de’ Principi virtuosi, e cattivi, [p. 298 modifica]giusta l’ordine de’ tempi, e delle stagioni, in cui sono accadute; e perciò intitololla Chun cieu, cioè Primavera, ed Autunno.

Il quinto libro si chiama Ye Kim, ed è stimato il più antico di tutti; perche i Cinesi dicono, che ne fu Autore Fo hì, lor primo Re. Veramente il libro merita d’esser letto, e stimato, a causa delle belle sentenze, e precetti morali, che contiene; e i Cinesi lo venerano sommamente, stimandolo il più dotto, il più profondo, e il più misterioso, che sia al Mondo; laonde credono impossibile, poterlo bene intendere, e sconvenevole, che gli stranieri lo veggano, o tocchino.

Hanno anche un’altro libro d’una uguale autorità, che i precedenti: lo chiamano Sú xu, cioè, i quattro libri per eccellenza. Questi sono come un’estratto, midolla, e quint’essenza de’ cinque primi. I Mandarini ne traggono le sentenze, che servono di tema a’ letterati, che si esaminano, per venire a’ gradi di Baccelliere, di Licenziato, e di Dottore. E’ diviso in quattro parti; la prima tratta di legge, e della dottrina degli Uomini illustri per scienza, e virtù. La seconda della mediocrità dorata. La terza [p. 299 modifica]contiene un gran numero di sentenze morali, bene espresse, sode, e profittevoli a tutti i membri dello stato (quali tre parti sono l’opere di Confusio, primo Dottore della Cina, pubblicate da’ suoi discepoli): la quarta parte, ch’in grandezza, può compararsi alle tre altre, è stata fatta dal Filosofo Mem çu, che nacque cento anni dopo Confusio; ed è stimato da’ Cinesi, come un Dottore del secondo ordine. Questa è una opera molto eloquente, ed ingegnosa, piena di sentenze gravi, e morali. Tutti i Missionarj di Cina studiano le lettere, e la lingua in questo volume; dal quale, e da’ cinque suddetti sono derivati, come da lor sorgiva, tanti libri, e commentarj di diversi Autori antichi, e moderni, che il numero n’è quasi giunto all’infinito: ed è un grande argomento dell’ingegno, studio, ed eloquenza della Nazion Cinese, che dall’infimo grado, si eleva alle più alte dignità dell’Imperio, a forza d’ingegno, e di sapere; provato con strettissimi, e replicati esami, con tanta severità ordinati, che non rimane luogo a’ favori, sicchè l’amor dì niuno possa sollevare un’indegno, e l’odio ributtare ad opprimere un meritevole. [p. 300 modifica]

Non è meno ammirabile, e sublime l’ingegno de’ Cinesi intorno alle scienze, che all’arti meccaniche; tanto più, che deono a se stessi quel che ne sanno, poiche come se fussero in un Mondo apparte, si son sempre tenuti divisi, e lontani da ogni altra nazione. Cio è, perche non è loro conceduto, per leggi antichissime, di avere alcuna comunicazione, nè d’uscirne a peregrinare per istrani paesi, come nè anche agli stranieri d’entrar liberamente nel loro; e perciò, non ha dubbio, mancano di molte utili cognizioni, che dallo scambievole conversare una gente coll’altra si traggono: ma non può negarsi, che maggior gloria sia, il dovere solamente a se stessi l’invenzione di poco men, che tutte le belle arti, che sono appresso qualunque altra più culta nazione. Scorgesi bene quanto i Cinesi sono perspicaci, e in valor d’ingegno superiori agli Europei, dall’essere stati questi loro discepoli (come vogliono gravi Autori) intorno la Stampa, la Carta, la Bussola da navigare, l’Artiglieria, e la polvere per adoperarla.

Per ritornare alle loro arti meccaniche, lavorano essi, con molta maestria, particolarmente di rilievo, e d’incavo [p. 301 modifica]sopra gemme, e cristalli, e in altre manifatture d’impareggiabile sottigliezza. Lavorano anche oriuoli a ruota, compresone l’artificio dalla veduta de’ nostri; ed occhiali ottimamente puliti, per ogni grado di vista. Quanto alla materia per fargli, antica era fra di essi l’invenzione di trarre il vetro dal riso; avvegnache non così purgato come il nostro, e più frangibile. E’ ben vero, che non essendo convenevole a un lavoro prezioso un prezzo vile; tutta l’industria de’ Cinesi è di dare a’ lavori una bella apparenza; per essere i compratori molto parchi nello spendere: ma se corrispondesse alla fatica il premio, farebbono maraviglie. Nel purgare, e condurre a un’eccellente bianchezza le cere, non v’ha chi gli uguagli: così intorno alle comuni d’Api, come ad altre loro proprie, cioè quella, che vien raccolta da alcuni vermi su per gli alberi; e un’altra, la quale distilla da’ tronchi, o si spreme dal frutto di certe piante; ma quella non giunge alla finezza dell’altre, Sino a’ Beccaj mostrano la lor’abilità, perche a’ porci, che uccidono, destramente per le vene de’ piedi, fanno entrare, per tutto il corpo molta acqua, acciò la carne pesi più. [p. 302 modifica]

Tessono eccellentemente drappi di carta, di seta e d’oro, schietti, e lavorati, come ermisini, taffetà, rasi, e velluti: e ne’ figurati ad animali, uccelli, e fiori, e qualunque altra cosa vogliono, tanta e sì ben compartita e la varietà de’ propri colori, che sembra ricamo quel, ch’è semplice tessitura. Il male è solamente, che non hanno disegno, e le figure, che fanno, sono tutte storpie. Non sanno dipingere ad olio, ma solo con una certa lor vernice nè sanno ombreggiar regolato, perche non usano di prender un lume determinato, e secondo quello compartire i chiari, e gli scuri, dove si debbono; tanto meno sanno e sfumare, ed unire i colori. Adoprano però a maraviglia lo scalpello, eziandio sopra pietre durissime, e ne traggono eccellenti lavori traforati, e fiori in aria, e catene tutte d’un pezzo di marmo, con le anella mobili, fatte a forza di una incredibile pazienza, e altre Umili bizzarrie. Intendono anche bene il lavorar di getto, sino a fare statue gigantesche, delle quali adornano massimamente i lor Templi; ma se sono belle per l’oro, di che abbondantemente le smaltano, sono bruttissime per lo disegno. Se ne truovano 12. nella [p. 303 modifica]Provincie d’Honan, che stanno ancor dritte sulle loro basi, da ben mille e ottocento anni. Del ferro si vagliono a fonderlo, e a condurlo utilmente in assai più lavori, che noi: e avvegnaché le artiglierie, che ne fanno, siano assai mal tirate, e rozze, non per tanto sono degni di molta lode, come inventori; e per conseguente della polvere. Di questa fra di loro si compongono eccellenti macchine, e giuochi di fuoco; e tanta in ciò ne consumano, ch’il Padre Matteo Riccio, giudicò aver potuto ballare a tre anni di guerra fra di noi, quel che, in una delle due maggiori Città, ne vide gittato in diverse maniere di giuochi, celebrandosi le feste dell’anno nuovo: le quali come che si celebrano da per tutto, con pari solennità, ed allegrezza; bisogna confessare, che quello ch’egli vide, non fu ch’una menoma parte di quel moltissimo, che nel rimanente del Regno si consumò.

Quanto poi all’Architettura Cinese, ella è regolata, ed ha un certo stile, e maniera, come si scorge negli antichissimi libri, che ve ne sono di eccellenti Maestri, e molto più nell’opere, che si veggono, di tal sontuosità, e bellezza, che ben ponno più che gareggiare colle [p. 304 modifica]tanto famose dell’antica magnificenza Romana; oltreche il numero, da per tutto, è incomparabilmente maggiore. E quanto a’ Ponti a volta, sopra fiumi Reali, o posti a traverso di lunghi seni di Mare, sono per la materia, e per lo lavoro stupendi.

Una delle grandi opere de’ Cinesi sono le Torri: o che siano le dedicate all’eternità del nome d’alcuni uomini, da essi annoverati fra gli Eroi, per l’eccellenza in lettere, o in arme: o le aggiunte per maggiormente abbellire le Città, i Palagi Reali, i ponti, ed altri pubblici edifici: o le consagrate in onore di qualche Idolo, come le due tanto rinomate, che sono allato al Tempio dell’Idolo Fè. Elleno certamente sono maravigliose, per la finezza de’ marmi, di cui son fabbricate; per l’ugualmente bella, e maestosa apparenza, che loro ha dato l’arte; e per l’incredibile altezza, levandosi in alto ciascuna di esse cento ventisei pertiche. Incomparabilmente però ammirabili sono quelle, che si fondano dalle Città; indotte a ciò da una cotal vana credenza, che elleno abbiano a preservarle da ogni sciagura, e renderle quanto più far si possa beate; purche siano poste in luogo, [p. 305 modifica]e cominciate a fabbricare in punto ben augurato; secondo le sorti, che sopra di ciò gittano gl’Indovini, professori di tale arte.

Gli strumentl della Musica Cinese, così nella forma, come nel modo di toccargli, sono in tutto differenti da’ nostri. E per non dire degli altri di pietra, di rame, e di pelli tese diversamente; ne hanno da una sola corda, da tre, e da sette, che sono le loro Cetere, e Viuole; e di più un certo antichissimo, che s’assomiglia in parte alla nostra Arpa: ma le loro corde non sono minugie, nè fil di metallo, ma seta cruda ritorta. In quei da fiato men nobili, pure può dirsi, che riescano eccellenti; se eccellenza può darsi in una musica, che non ha variazione di tuoni, ne ha contezza del contrapunto, e de’ modi; nè pur sa il nome de’ passaggi, delle fughe, delle ricercate, e dell’altre artificiose varietà, e bellezze del canto figurato. Quindi è, che talora s’udiranno cento Musici sostener continuamente la medesima voce, e non partirsi dalla medesima nota. Si contano anche tra’ loro istrumenti certi piattelli di metallo dilicato (appesi al numero di nove a un lavoro di legno) che poi toccano con [p. 306 modifica]un martellino leggiadramente.

L’arte marinaresca è uno de’ più ragguardevoli pregi della nazion Cinese. Ella inventò l’aguglia di calamita (che nella Cina, tra le miniere di ferro, nasce la più fina dei Mondo) e mediante l’uso di essa, conquistarono i suoi Re lontane Isole di quell’Arcipelago; siccome si vede oggidì dalle memorie, che tuttavia quivi durano del dominio Cinese.

Scrivono, come gli Ebrei, da sinistra a destra; e le linee non vanno per traverso, ma dalla sommità del foglio in giù. La loro carta è sottilissima, e nondimeno vi scrivono in pugno, in un particolar modo, a noi molto disacconcio; ma ad essi, che vi sono addestrati, a maraviglia facile. L’inchiostro, che adoperano, non è già liquido, ma fumo d’olio, impastato con acqua di gomma, che seccano in forma di panellini lunghi un dito. Volendo scrivere, lo fregano su d’una pietra dura (che è il loro calamajo) con poche gocciole d’acqua, più o meno, secondo il bisogno; e poi se ne servono, con un sottil pennello.

Non stampano come noi altri; ma in legno o pietra, nel modo, che siegue; Scritta la composizione in eccellente [p. 307 modifica]carattere (di cui grandemente si pregiano) s’incolla la carta, ch’è sottilissima, e trasparente, su d’una tavola di pero, o di melo, piana, e liscia quanto mai far si possa, però colia scrittura inverso la tavola, acciò imprimendosi, vengano poi le lettere per dritto. Indi con un coltellino, o scalpello s’intagliano i caratteri, in modo che le loro linee restino elevate, e’l legno d’intorno più basso; nella stessa maniera, che fra di noi s’intagliano le figure in legno, per istamparle. Nè in ciò fare abbisogna gran fatica, e gran tempo; anzi se ne giunge a capo assai più tosto, che con gli Stampatori nostri, tra’l comporre, e’l correggere. Il prezzo dell’intaglio è cosi vile, che con poco danajo si stampano volumi. Compiuta la stampa, le forme ritornano all’Aurore del libro, perche le tavole son sue, ed egli ha pagato l’Intagliatore.

E’ in qualche uso ancora lo stampare in pietra, però tutto all’opposito dell’altro: imperocchè la figura de’ caratteri si scava, e’l piano della pietra riman superiore; e perciò data la tinta sulla pietra, quando si preme in torchio, il campo della carta vien nero, e i caratteri bianchi; bisogna però, che questi siano [p. 308 modifica]grandicelli, altrimente verrebbon confusi. In tal guisa viene ad essere lo stampar de’ Cinesi ben dissimile, e peggiore del nostro; perche le lor lettere, figurate con tanti, e sì diversi tratti, gruppi, ed avvolgimenti di linee, non ponno esprimersi in così minuta forma, come fra di noi; che ne abbiamo cotanto picciole, ch’ogni più grande opera può racchiudersi in picciol volume. Quanto poi alla carta, essi ne vincono nell’ampiezza de’ fogli, avendone io veduti grandi come lenzuoli, e da per tutto di uguale sottigliezza; ma non ci pareggiano nel candore: oltrechè sono ordinariamente d’una materia così fievole, e d’un lavoro tanto dilicato, che non si stampano da amendue le faccie, per lo trasparir, che farebbono i caratteri. Se ne fanno altri di seta; altri di bambagia macerata, e ridotta in pasta; del midollo di certe loro grandi canne, e d’altri alberi ancora; ma sono cosa poco durevole.