Una sbornia

../L'ombra della giovinezza IncludiIntestazione 9 dicembre 2018 100% Da definire

L'ombra della giovinezza
[p. 281 modifica]

Una sbornia.


Ora che ho già quarant’anni, mi è venuto voglia di pigliar moglie. È vero che al matrimonio ci ho pensato parecchie volte, ma non credevo mai di decidermi sul serio. Son impiegato alle ferrovie, e capo-stazione da molto tempo. Cominciai la mia carriera in un piccolo paese delle Marche, poi fui mandato in Toscana, poi vicino a Bologna; ed ora sto a Firenze.

Stasera scriverò a quella che fu la mia padrona di casa qui in Toscana e le domanderò se è disposta a sposarmi. Glielo dico dopo sei anni che sono qua; e mai glielo avevo fatto capire. Già io stesso non ci pensavo nè meno!

È una vedova, pensionata dalla ferrovia; e credo che io non le sia antipatico. Lei non è bella: è corpulenta, ha i denti troppo radi e guasti, ha il naso che pare gonfio. Ma la sua [p. 282 modifica] casa era pulitissima; ed è stata con me molto gentile. Dalla sua finestra di cucina si poteva vedere la mia, perchè ambedue rispondevano in un cortile tutto incalcinato e stretto. Qualche gatto c’era sempre a miagolare, guardando in su. Le altre finestre, tutte piccole, avevano davanti una tavola con una fila di testi fioriti, quasi tutti grandi. Noi ci attaccavamo i panni da asciugare. La signora Costanza, così si chiama quella che vorrei sposare, lavava molto; e assai volte ho perso tempo stando alla finestra a veder dondolare le sue calze e le sue camice; le calze tutte rosse e le camice di tela greve, con una trinuccia a punta intorno al collo. Quando ella s’affacciava dalla cucina e mi vedeva, arrossiva.

Ma ora, forse capisco perchè non ho mai pensato a parlarle d’amore. M’è successo così altre volte: mi sono innamorato dopo parecchio tempo, quando non ero più vicino. Ma, questa volta, ci penso davvero; e mi meraviglio d’essere stato zitto. Quando tornavo a casa, la trovavo, se non era già buio, a leggere; ella leggeva sempre lo stesso libro da anni e anni: I tre Moschettieri. Alcune pagine erano gialle [p. 283 modifica] d’unto; ma il libro era stato fasciato con un giornale. Quando mi vedeva, lo posava, e accarezzava il gatto sonnecchiante su le sue ginocchia.

— Buona sera!

— Ben tornato. È stanco?

— Non poco.

— Vuole accendere il lume?

— Grazie: i fiammiferi ce li ho.

Mi frugavo in tasca, cavavo un fiammifero di legno e lo sdrusciavo in terra perchè il muro era stato ripulito quando ci tornai io. In camera trovavo la lucernina. Ah, pensavo sempre alla luce elettrica della stazione! Mi cambiavo la giubba, mi lavavo le mani; e andavo in salotto a mangiare. La signora Costanza, puntuale, m’aspettava a sedere. Il gatto s’era già accovacciato tra le nostre due sedie. E si cominciava. Quando mangiavo alla trattoria per far più presto, pensavo sempre a quel salotto, e la signora Amalia si sentiva così sola che se non fossero state le ciarle sarebbe venuta a vedermi alla stazione prima che finisse il mio orario.

Ma mai c’eravamo detto niente: non credevo [p. 284 modifica] nè meno di esserle amico. Credo che, almeno in principio, ella provasse una certa diffidenza di me e anche disinganno. Io la vedevo molte volte triste, e mi pareva che invecchiasse; ma non pensavo a farle continuare quel tentativo di sorriso malinconico più della miseria o della malattia. Nel mezzo del salotto c’era un tavolino ovale con un ricamo quadrato, di lana, a frange, verde e rosso; e sopra questo una campana di vetro, con un passerotto imbalsamato; le due tendine erano divenute quasi gialle. Per tornare un passo a dietro, bisogna dica che la signora Costanza s’affezionava specialmente alle bestie e aveva ancora un piccione così agevole e buono che tutte le mattine saltava sul suo letto beccandole la bocca; un piccione che non la lasciava mai per tutta la casa. Ella lo alzava e lo accarezzava; esso tremava fra le sue mani, guardava non si sa se lei o la stanza con gli occhi dolcissimi. Aveva anche un gallettino a cui non volevano spuntar le penne; il quale dormiva tra le gambe del gatto; e pigolava sempre quando andavamo a mangiare.

Talvolta, fumavo il mio mezzo sigaro senza [p. 285 modifica] alzarmi da sedere, leggendo il giornale. La signora Costanza mi domandava sparecchiando:

— È vero che una ragazza è stata uccisa con quindici coltellate? È vero che ricomincia la guerra?

Ma se il piccione le saltava su le spalle, allora si metteva a parlare con lui. Io ne provavo un effetto curioso, ma indefinibile; ed ero così abituato a queste cose che quando non avvenivano avevo sempre brutti presentimenti, quantunque non sia superstizioso.

È una cosa ridicola: sono andato a ritrovare le lettere e le cartoline illustrate che ho ricevute da lei. Le sue lettere me la ricordano in un modo perfetto, senza leggerle. Di ciascuna ricordo confusamente quel che c’è scritto, ed ora mi suscita un sentimento che rassomiglia al benessere. Sì: ecco lei, il suo bicchiere di vetro verde, a calice, il fiasco del vino, le bucce di mela; e quel suo masticare lento che ella prepose a me come un esempio, perchè digerivo male.

Ma ora sono certo ch’ella mi ha amato sempre! Ma è evidente! Perchè non mi ha mandato mai via? Perchè mi disse che non avrebbe preso [p. 286 modifica] a retta nessun altro? Ma, no, d’altra parte mi sembra impossibile; non può esser vero. Che ne penseranno al paese? Ci saranno sempre i colleghi che lasciai? Ma, no, ormai è troppo tardi; sarebbe inutile ch’io le scrivessi.

Eppure i cinque anni passati con lei sono indimenticabili; e andrò qualche volta a rivederla. E se fosse morta, e se fosse malata? Quanta polvere, allora, su la campana di vetro, con quel passerotto mezzo sfondato dall’impagliatura, con le zampette sopra uno stecco a forcella, col piedistallo rotondo e nero. E il piccione morirebbe di fame? E il gallo scenderebbe nel cortile? Anche prima, quel salotto mi dava una sensazione di tristezza che durava lungo tempo: aveva qualche cosa di funebre e anche di sinistro, e dalle tende la luce diveniva dolorosa. Io aprivo subito le finestre perchè entrasse l’aria; ma il salotto rimaneva nondimeno sempre lo stesso. Non ci sono mai stato senza inquietudine, pur sentendo nelle altre stanze la signora Costanza. Ma qualche volta ne provavo un buon senso di pace; e mi veniva voglia di addormentarmici.

Eppure, quando pagavo la mia mesata, [p. 287 modifica] andavamo in quel salotto; ed a pagare così puntualmente ci ho sempre provato un orgoglio che è forte come un piacere. Dopo fischiettavo ed ero allegro.

Ma perchè la signora Costanza vi andava a piangere qualche volta? Oh, le pagine dei Tre Moschettieri inumidite dalle lacrime! Sembrava che si commovesse anche il viso di d’Artagnan: faceva proprio quell’illusione. Ed io che non le ho mai chiesto perchè fosse così piena di dolore! Mi contentavo della spiegazione che tutti me ne avevano data a gara: non s’era più consolata del suo povero marito.

Quelle lacrime invece mi facevano pensare che anch’io invecchiavo a fretta e che presto sarei morto. Allora provavo su per le braccia lo stesso effetto che fanno le scintille dell’apparecchio telegrafico quando è temporale. Non c’era che il mio berretto rosso, quantunque untuoso, con tre righe d’oro, i miei attestati di buon servizio; oh, tutte queste cose non si dimenticavano di me! Aprivo il cassettone e guardavo questi fogli, poi prendevo le fotografie del mio fratello e della mia sorella: allora mi pareva ch’essi vivessero tanto, con una intensità [p. 288 modifica] che mi faceva invidia, quasi odio; e che a me non fosse stato mai possibile: io non ero che un sopraddipiù accanto a loro. Ma li amavo, li amavo, fino a sentir il mio cuore battere più forte. E mi veniva da piangere. Ma pensando che, di là, la signora Costanza aveva fatto lo stesso per un morto, pensavo che io non dovessi piangere per non portarmi qualche sventura. Io stesso pensavo di essere la disgrazia della signora Costanza. Ma a sorridere non mi riesciva; e restavo con uno sconforto indeterminato e confuso; e, allora, mi veniva voglia di tornare subito in servizio. Pigliavo il cappello e uscivo. Il paese, Poggibonsi, la sera era molto rumoroso: i caffè si empivano. Il fiumiciattolo che passava sotto il ponte presso la stazione scrosciava tra i sassi. Le ragazze a braccetto mi sfioravano con i gomiti; i ragazzi m’urtavano. Qualcuno, da una bottega, mi chiamava a bere. Io rispondevo sorridendo e, secondo il caso, togliendomi il cappello e provando un piccolo brivido quando era qualche signore. A metà della strada, vedevo la finestra della cucina dove certo era la signora Costanza; e allora tornavo a dietro. Ma pensando a lei, [p. 289 modifica] qualche volta burlandomene; perchè il suo viso; magro e angoloso doventava goffo e si gonfiava. Oh no, por tornare in servizio sarei stato troppo stanco; mi girava la testa! E come avrei potuto fare se c’era il mio compagno di turno? Avevo lasciato tutto bene all’ordine, non era avvenuto niente; e l’ispettore mi aveva dato la mano, sentendogli ebbro sotto gli sguardi dei miei subalterni ch’io guardavo accigliato nervosamente, quasi che la pelle intorno agli occhi si fosse contratta da sè.

Allora, passeggiavo, per quelle strade più solitarie, dove si sentivano conversare soltanto le donne e strillare qualche ragazzo in fasce. Un organetto a mantice suonava sempre dentro un’osteria, il cui lumicino rosso aspettava gli avventori. Passando dinanzi, si sentivano le bestemmie mescolarsi, quasi fondersi, con quel suono allegro e stridulo che pareva la risata di un becero. Uscivo un poco fuori del paese, incontrando i contadini che tornavano con i bovi. Qualche donna a una finestra, qualche uomo silenzioso a fumar su l’uscio di casa. I campi, molto più alti della strada costruita [p. 290 modifica] tra due muri laterali, si coprivano dì ombre; i cani abbaiavano, i rumori della gente si attenuavano. Tornavo in dietro. Salivo in casa mia e speravo che la signora Costanza fosse andata a letto; ma invece era là, accanto a quel salotto, a leggere il libro dei sogni; mentre i Tre Moschettieri erano chiusi nel mezzo della tavola, con un ferro da calza dentro per segnale delle pagine lette.

Io passavo oltre, fingendo che non l’avessi voluta disturbare; ella alzava la testa come per invitarmi a sedere, ma non osava. Io ci provavo un piacere crudele a vederle far quell’atto; e allora, anche se prima avessi avuto voglia di conversare, non mi sarei fermato più, soddisfatto di comportarmi e di trattarla così! Prima di addormentarmi, immaginavo che mi desse noia leggendo; e sì che non bisbigliava nè meno! Ma non importa; era un pretesto perchè io soffocassi ogni sentimento di amicizia; la quale ormai era innegabile. Tra me e lei era nato qualche cosa, quantunque fosse sempre quella del primo giorno.

Qualche volta mi veniva voglia di schernirla perchè teneva tutte quelle bestie in casa; e [p. 291 modifica] supponevo che anche a me volesse bene come a loro. Allora, la guardavo con collera.

— Che ha stamani, signor Vincenzo?

Io capivo di sbagliare, ero più contento e le sorridevo.

Ma, infine, insomma, perchè m’è venuta la decisione di sposarla? E che penserà di me?

Ora tutto ciò ch’io le dicevo crederà che fosse il principio del mio amore; e ciò mi dispiace. Scommetto che si ricorda benissimo di me, e che crede ch’io voglia burlare. Come faccio a farglielo credere subito? No, non posso incaricare nessuno; e, allora, andrò da me. È meglio che scrivere: scommetto che l’impiegato postale aprirebbe la lettera. Una lettera alla signora Costanza! Ma noi saremo felici; ne son certo. Dio mio, perchè non ci ho pensato prima? E il piccione, che ormai sarà vecchio? E il gatto? Tutto qui in questa casa; in casa mia. Se avremo qualche figlio, ci vorremo! bene anche di più. Mi farò un ritratto anche io e lo manderò ai miei fratelli. Oh, quanto l’amerò! Tutto l’amore che non ho mai avuto. Come sarò commosso quando le dirò: Signora Costanza, vuole essere la mia sposa? E lei mi [p. 292 modifica] risponderà... come mi risponderà? Non me lo so immaginare. Ma saremo tanto contenti tutti e due! Sì, sarò commosso dicendole: io non potevo star senza tornare in questa casa! E lei si metterà a piangere. La farò piangere io.


Costanza era morta, ma i suoi parenti hanno lasciato intatto quel salotto. Il piccione era zoppo: l’ho visto.

Prima di risalire in treno, i miei compagni mi hanno portato a bevere: e poi che io mi vergognavo di dire perchè ero tornato, anzi avevo dato ad intendere ch’ero tornato soltanto per rivedere loro, m’hanno fatto prendere, per festeggiarmi, una sbornia immensa, una sbornia che è doventata proverbiale. Non so come ho fatto: è la prima e il vino m’andava giù a litri.