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una sbornia 283


d’unto; ma il libro era stato fasciato con un giornale. Quando mi vedeva, lo posava, e accarezzava il gatto sonnecchiante su le sue ginocchia.

— Buona sera!

— Ben tornato. È stanco?

— Non poco.

— Vuole accendere il lume?

— Grazie: i fiammiferi ce li ho.

Mi frugavo in tasca, cavavo un fiammifero di legno e lo sdrusciavo in terra perchè il muro era stato ripulito quando ci tornai io. In camera trovavo la lucernina. Ah, pensavo sempre alla luce elettrica della stazione! Mi cambiavo la giubba, mi lavavo le mani; e andavo in salotto a mangiare. La signora Costanza, puntuale, m’aspettava a sedere. Il gatto s’era già accovacciato tra le nostre due sedie. E si cominciava. Quando mangiavo alla trattoria per far più presto, pensavo sempre a quel salotto, e la signora Amalia si sentiva così sola che se non fossero state le ciarle sarebbe venuta a vedermi alla stazione prima che finisse il mio orario.

Ma mai c’eravamo detto niente: non credevo