Giovani/Una recita cinematografica
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Una recita cinematografica.
Il portiere Calepodio fa anche il ciabattino. Non ci ha nè meno uno stambugio, dove ficcarsi; ma si mette a sedere dentro la porta; e, quando esce o entra qualcuno, deve sempre, se è in tempo, tirare in dietro le ginocchia perchè l’ingresso è troppo stretto, e non potrebbe passare nessuno. C’è una signora grassa che, quando lo vede lì, si ferma sempre a un passo di distanza perchè si scansi più del solito. A lei, naturalmente, dà noia; e lo guarda indignata e crucciata. Il ciabattino se ne accorge e le chiede, senza aversene a male, pronto magari ad alzarsi:
— Non passa, signora Pia?
Ella non gli risponde nè meno; tenta di spianare il viso, ma si volta dall’altra parte e basta; e la collera le dura fin quando è giunta in casa ansando; e, allora, per un niente, fa una sfuriata alla donna di servizio o alla figlia.
Il ciabattino arrossisce e abbassa la testa. Egli, perciò, è amico di tutte le magre della casa; ed è quasi sicuro che lo risalutano. Gli uomini sono, per lo più, quasi tutti gentili; e passano un poco di fianco perchè non ci sia bisogno che egli si scansi. Ma anch’essi lo tollerano più per abitudine che per altro. Ce l’hanno sempre trovato, in quell’andito buio e sudicio; distribuisce bene la posta; e hanno il comodo di mandare giù la donna di servizio con una scarpa in mano perchè egli la ricucia senza fare attendere. Se mangia, mette la scodella in terra con il cucchiaio dentro; e, sorridendo della fretta, piglia la lesina e gli spaghi in mano. La serva, per ordine del padrone, è lì ritta che non toglie gli occhi da lui e dalla scarpa. Egli tenta di scherzare e le dice, sapendo che non è possibile:
— Si metta a sedere.
La serva, un poco sgarbata, ma contenta di stare giù senza fare nulla, s’aggiusta i capelli, guarda se la sottana non scende troppo da una parte e gli risponde:
— Tiri via, Calepodio! Ho ancora da rimettere a sesto la cucina.
Il ciabattino sorride anche di più e obbedisce. Ha un berrettone con la tesa di cuoio lucido e un bordo bianco; e la sua testa sembra un quadrato birignoccoluto. Egli, dinanzi alle donne, sta volentieri a testa bassa; perchè sa che è brutto e ne ha paura. Da ragazzo, è stato il divertimento dei compagni. Magro e pallido, con le guancie sparse di ceci rossicci, i baffi biondastri, quasi trasparenti; con gli occhiali così grossi che gli lasciano il segno nella carne; le pupille grigie e sporgenti come quelle dei granchi; un collo che pare deformato a posta. Quel sorriso d’idiota, sebbene buono e timido, toglie a tutti l’istinto di parlargli; tutti pensano che si possa fare a meno di parlargli; però, quando qualcuno, chiunque sia, ha dentro di sè una cosa che non confiderebbe agli altri, allora senza volere, se si trova alla porta, cerca il pretesto di dire una parola a Calepodio; che non capisce, ma picchia più forte su le suola delle scarpe. Perfino la signora Pia, quella grassa, quando aveva trovato la donna di servizio a rubare nella dispensa, ebbe questo bisogno; ma si tenne, e la stizza mancò poco che non le facesse venire un colpo. Ella pensò sopra a questa debolezza, che aveva avuta; e siccome le pareva quasi un’onta, odiò Calepodio. Fino ad ora sapeva soltanto che egli dormiva in una stanzucola senza finestra e che perciò era costretto a lavorare in mezzo all’andito. Ella aveva sempre arricciato il naso a vederlo sudicio come le pareti e come l’impiantito; con un grembiule lacero e nero; con quegli occhiali che gli facevano gli occhi più piccoli di due capi di spillo; che parevano anch’essi sudici e loschi.
Quando, la mattina dopo, escì di casa, per andare a farsi tingere i capelli a una Maison de beauté, finse di soffermarsi per cercare qualche cosa dentro la borsetta di seta verde. Già Calepodio s’era preparato a farle posto, e aspettava che passasse; con i piedi tirati su senza guardarla, e attento con gli orecchi. Allora ella gli disse:
— Calepodio, vuol domandare alla mia donna di servizio se ho lasciato sopra la toilette il mio braccialetto con il topazio?
Egli, al solito, sorrise; e si alzò da sedere. La signora Pia vide che era come imbarazzato e ne provò piacere. Allora, aggiunse:
— Le scale mi fanno venire l’asma!
La signora Pia non solo era grassa, ma aveva un aspetto tanto delicato che le sue esigenze parevano giustificatissime. Egli smise di sorridere, alzò gli occhi soltanto fino alle spalle di lei e rispose:
— Vado subito, signora! Ha detto un braccialetto d’oro....
— Con il topazio. Aspetti: guardo meglio se è qui dentro: così le risparmio di salire.
— Non importa, signora. Vado volentieri.
E andò. La signora Pia, allora, richiuse la borsetta; dove c’era il braccialetto. Sentì suonare il campanello e fare la domanda alla donna di servizio; che, dopo cinque minuti, sporgendosi dalle scale, disse da sè:
— Non l’ho trovato. Credo ch’ella l’abbia preso.
Calepodio riscese; e, senza dir niente, aspettava che la sua inquilina se ne andasse. Ma ella gli disse:
— Grazie. Almeno che non l’abbia perso giù per le scale!
Egli, come se cercasse di sfuggirla, non si moveva da dove era rimasto, ancora con una mano su la ringhiera delle scale. E la signora non potè dirgli altro.
Ma, quando scese giù la donna di servizio, egli le domandò:
— Che ha di nuovo la vostra padrona? Prima non mi rivolgeva mai la parola e oggi mi ha parlato.
— Lei parla quando le fa piacere.
— Ne ho avuto la prova!
Ma anche la donna, vedendogli quel sorriso, andò subito via.
Egli, intanto, non può più dimenticare che la signora Pia gli ha parlato; e se ne compiace come se gli fosse capitata una fortuna. Ma quando ella passa, egli perde la testa; e, per alzarsi in piedi, inciampa nella sedia o nelle scarpe sparse in terra vicino al muro. Non è simpatia, ma un sentimento che lo sconcerta a fondo.
Una mattina, ella gli dice:
— Vive solo, signor Calepodio? Non ha nè meno un parente?
Egli si arrischia a guardarla, riabbassa subito la testa e si mette a lavorare. Poi risponde:
— Perchè me lo domanda?
— Credevo che avesse moglie.
— Non ci mancherebbe altro!
— E perchè?
— Non la prendo moglie, io!
— Ci sono tante brave donne! Ci vuol poco a trovarla!
— Ma io non la voglio.
Allora la signora Pia lo saluta, e sale in casa. C’è restato il suo profumo, ed egli alza gli occhi per vedere se ella è sempre lì. Poi si dice, ridendo da solo: «Ci vuole sfacciataggine a farmi certe domande!». Egli non ricorda niente di quando era ragazzo; non ricorda nè meno come è fatto Frascati, dove è nato. È rimasto solo da tanto tempo ed è tanto tempo che fa il portiere e il ciabattino in quella vecchia casa di Via dei Greci; da dove non esce mai altro che per bevere un quarto all’osteria che è lì a due passi. Per colazione, compra le frutta ai carretti; il fornaio è vicino; e all’osteria cucinano bene il baccalà e la cicoria. Degli altri uomini egli conosce soltanto le scarpe, quando son rotte. È buono e di una timidezza che sembra una malattia. Egli conosce tutti i suoi inquilini, ma gli è addirittura indifferente quel che facciano. Quando ce n’è uno nuovo, i primi giorni per lui è un supplizio; perchè deve rispondere a tutte le domande che gli rivolgono. Quando un altro va via, egli è impaziente che lo sgombero sia finito; per evitare che gli diano qualche commissione. E non si potrebbe dire quel che prova di spiacevole quando gli lasciano il nuovo indirizzo o quando qualche persona gli chiede uno schiarimento. Non può ascoltare a lungo; sovente inquieto, impallidisce come se gli venisse male; e, alla fine, smette di rispondere. Non è orgoglio, ma umiltà. Lo dovrebbero sapere gli altri! Pare, invece, che nessuno lo sappia; ed egli, dentro di sè, ne soffre e fa di tutto per evitare queste occasioni insopportabili, quasi crudeli. Per lui, gli uomini sono le loro scarpe: non gl’importa d’altro. Ma se anche non gli portassero le scarpe, gli dispiacerebbe solo perchè non avrebbe più modo di mangiare. Preferisce prendere due soldi di meno piuttosto che seguitare a discorrere. E prende i soldi, senza guardare in faccia; ritornando tranquillo quando lo lasciamo stare. E pure, contro il suo desiderio, egli potrebbe raccontare la vita d’ogni famiglia che abita in quella casa. S’arrabbia e si rivolta se una donna di servizio tenta di sapere qualche cosa.
— Non so niente io! Se ne vada!
E le guarda le scarpe, per vedere se le sue toppe reggono ancora. Per lui le scarpe non sono soltanto cuoio tagliato e cucito insieme: egli, dalla forma che prendono, quando è un pezzo che sono portate capisce bene come è fatto il piede. E il piede è tutto. Quando, perciò, conosce il piede di una persona, allora si sente suo amico; altrimenti, no. Ecco anche perchè egli non può essere amico della signora Pia, che non gli ha mai fatto risolare nè meno una ciabatta. Egli ne ha una curiosità, che non può vincere; e non riesce a rassegnarsi. Vuol perfino bene ai suoi clienti; perchè ha cominciato a voler bene ai loro piedi. Calepodio vive pensando ai loro piedi; e gli uomini, in fatti, senza nessuna eccezione, non si sono curati di fargli conoscere altro di loro stessi. La mano, per esempio, non gliel’ha data mai nessuno. Ed egli non la guarda nè meno. E nessuno gli ha mai domandato chi è e quanti anni abbia. Vanno da lui soltanto quando ne hanno bisogno per le scarpe. Egli non s’intende d’altro. E siccome la signora Pia seguita a fingere d’essergli gentile, facendogli però sentire nella voce la voglia che ha di gabbarlo, egli un giorno pensa: «È innamorata di me. Bisogna che io mi nasconda quando passa. Non voglio che una donna s’innamori di me». E si convince che sia vero.
Allora, comincia per lui una vita nuova; che gli ripugna e lo impaccia. Qualche volta, smette di lavorare e va su la porta; perchè non può nè meno pensare che la signora Pia stia nella stessa casa come lui. Ma nè meno la domenica, per quanto non lavori, va a spasso: sta nella sua camera, a spazzarla e a spolverarla. La Via dei Greci è deserta lo stesso; ma Calepodio vede un pezzetto del Corso, tutto pieno di gente con le carrozze nel mezzo. Però, la domenica, fuma; e legge qualche giornale. Si diverte perfino a sentire il vocio dell’osteria vicina, che gli piace tanto, che ci passa ore intere senza annoiarsi mai. Però, quando si fa sera, il buio lo rattrista come se egli doventasse cieco. Le persiane che si chiudono, i lumi che si accendono gli mettono un’ansia insopportabile; che gli cessa soltanto quando rientra nella sua camera; dove il padrone di casa gli tiene una lampadina, che pare un nodo rosso che non si può più accendere. Fuori, almeno, se alza gli occhi, vede un’altra strada di stelle su nel cielo, dove forse camminerebbe meglio che in Via dei Greci. Una strada che egli vorrebbe conoscere, come se un giorno ci dovesse passare; per non tornare mai più. Che silenzio ci deve essere! Gli pare di starci; e, se non lo distrae qualcuno che passa, urtandolo, egli non ricorda più nè meno dove si trova. Se bastasse risolare le scarpe per salire lassù! Ci vogliono gambe e piedi buoni! E perchè non gli dovrebbe riuscire ad andarci? Forse non c’è nè meno bisogno di mettersi il pane in tasca; ed egli camminerà tanto, senza stancarsi, che alla fine il suo desiderio sarà appagato. Non basta fare tanti passi per quante martellate ha dato su le suola? Peccato che non le abbia contate! Vorrebbe farne la somma. Ma egli ha paura di non poter continuare a vivere in quel modo: sente una insidia indefinibile, nascosta, che non si fa vedere abbastanza da capire di quel che si tratta.
Un giorno, la serva della signora Pia scende giù le scale a salti, scarmigliata, gridando:
— Madonna! La mia signora muore!
E corre al Corso, dove può trovare una farmacia.
Calepodio si fa bianco e smette di lavorare; ma non sa se debba salire. A buon conto, leva via dall’andito il seggiolino e il deschetto; perchè non dia noia a nessuno. Giunge il medico, un signore vestito bene e con la catena d’oro; e, dopo una mezz’ora, Calepodio sa che la signora Pia è morta di una sincope.
Egli doventa triste; non perchè gli rincresca, ma perchè la morte gli fa questo effetto. E così triste che non ne può più. Gli viene da piangere, e si spaventa quando quella donna di servizio gli dice che salga a prendere la misura ai piedi della signora Pia, per farle un paio di scarpe; con le quali sarà messa dentro la bara. Egli non vedrà mai quei piedi! E risponde, facendosi pigliare per uno sciocco:
— Andate da un altro.
— Ma perchè? — Gli domanda la serva, a cui trema la voce dall’ira e dall’emozione.
— Il perchè non lo dico, — egli risponde con aria d’astuzia.
Ma ha un malessere nell’animo come non mai. Anche questo malessere lo spaventa; perchè non sa di quel che si tratti. Ed è così triste che anch’egli vuol morire. Andrà a buttarsi nel Tevere. Gli pare che la signora Pia non debba morire sola: egli non l’ama; ma pensa che, quando muore una persona, muoiano tutti gli altri; che dovranno sparire lo stesso. O prima o dopo, non significa niente. La morte non è individuale, ma di tutti. Forse, morendo, egli troverà quella strada delle stelle; perchè ci vuole coraggio a passare quel punto! Poi, il resto viene da sè. Egli ha fatto una magnifica trovata! È una trovata che lo esalta e lo innalza; dove non sa, ma si sente più buono e più dolce; si sente già vivere in un altro modo, e non vuol tornare a dietro. Bisogna obbedire. Già è in Piazza del Popolo, perchè andrà ad annegarsi dove il Tevere è più deserto; di là dal Ponte Margherita.
In Piazza del Popolo, c’è un sole che pesa giù dal Pincio. Il selciato arde. Calepodio si sente stordire. Tutta quella luce, che egli non ricordava più, lo atterrisce, e gli sbarra il passo. Ma la volontà della morte non cessa; perchè troppo, tutti i giorni, egli l’ha avuta.
Svolta la Via Flaminia e si trova al parapetto del fiume; sotto la fila dei platani. C’è la campagna arsiccia, con Monte Mario boscoso; ci sono le villette, con i loro giardini. A lui non importa niente; ma, contro quella sua volontà, vede, poco lontano, un mucchio di gente vestita come sessant’anni a dietro.
Egli stupisce; e, allora, si mette a guardare.
Sono attori cinematografici; e uno mette un fantoccio sul parapetto del fiume, perchè dovrà fingere l’uomo che si annega: gli attori, che prima debbono chiacchierare tra sè, quando esso precipita, fingono di accorgersene; e accorrono gridando e spenzolandosi a guardare giù nel fiume.
Si tratta, per ora, di una prova; e, quando è finita così, essi ridacchiano. Le donne, con quelle acconciature pittoresche, passeggiano; imbellettate e impazienti. Qualcuna sghignazza, nervosa. Un cerchio di curiosi si diverte e tiene gli sguardi alle più belle. Qualche attore, soddisfatto della sua parte, fuma un mezzo sigaro. Ma un signore grida, e si rimettono tutti al posto: il fantoccio è pronto, un’altra volta, sul parapetto; e pare proprio uno che vi si è arrampicato disperatamente.
Un carrettiere, dopo aver bevuto a una fontanella, chiama un suo compagno:
— Vieni a vedere questi scherzi!
Allora, Calepodio sente una scossa in tutta la persona; gli occhi gli si gonfiano di pianto; e torna a dietro, con l’angoscia di non potersi uccidere mai più.