Fra la favola e il romanzo/Beneficio fatto non va perduto/II

Beneficio fatto non va perduto - II

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Beneficio fatto non va perduto - I Beneficio fatto non va perduto - III

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II.



Sono le tre dopo il mezzodì. In casa Gerli tutto è all’ordine. I vasi, i fiori adornano le varie stanze; nel mezzo al gabinetto di studio del signor Maurizio sta esposto il quadro: — Il ritorno da Montenero — tutto inghirlandato, la mensa è imbandita; e le due sorelle, dato un colpo d’occhio un po’ da per tutto ad assicurarsi che ogni cosa è in assetto per l’ora del ritorno del padre, sono venute ad assidersi sotto il portichetto per essere le prime a salutarlo quando egli sarà di ritorno dal banco, che d’ordinario chiudesi alle quattro.

— Che cosa avrà pensato il babbo, disse Emilia, non vedendoci questa mane, come d’ordinario, per dargli il buon giorno?

— Certo, rispose Sofia, che in sua mente ci avrà tacciate di poltrone e di spensierate. E noi invece lo abbiamo sfuggito a bella posta; per vederlo ed abbracciarlo ora. Caterina m’ha detto ch’egli è uscito di buon mattino, e alquanto preoccupato... Eh, si comprende, con una nave in mare, e col tempo di ieri.

Emi. — A dirti il vero, Sofia, io ieri non ci [p. 15 modifica]pensava gran fatto alla nave, e mi doleva soltanto perchè temevo oggi cattiva giornata.

Sof. — Ed invece, ecco, il cielo è splendido, il mare tranquillo, e pare che tutto ci sorrida per poter meglio festeggiare il nostro buon padre. Oh com’egli sarà colpito nel ritrovare la casa tutta in festa! Caro padre! egli così buono, così affettuoso per noi! Che non si farebbe per vederlo lieto e contento, senza che mai nulla lo turbasse?

Emi. — E dire che è per noi, per noi sole ch’egli tanto s’affatica! Per migliorare la nostra fortuna!

Sof. — Se il signor Paolo non fosse partito, ora egli sarebbe di grande aiuto al babbo, che ripete sempre non essere possibile trovare un commesso da surrogare a lui.

Emi. — Ed è vero, Sofia; rammenti tu quanta attività, quanta intelligenza, quanta esattezza!

Sof. — Come intendeva alla prima gli ordini del babbo!

Emi. — Detto, fatto non v’era che a parlare.

Sof. — E poi quanto cortese, onesto, riservato.....

Emi. — Egli era proprio un giovine per bene.... ed anche bellino.

Sof. — Ti pare? —

Come ti pare? — rispose Emilia fissando la sorella tutta meravigliata. — Oh guarda! Non rammenti ora, avermi tu le cento volte domandato: che ti sembra, sorella? è bello Paolo, non è vero?

Sofia arrossì leggermente, e per velare il suo imbarazzo soggiunse in aria di scherzo — Sì, sì: ma i più bei fiori del giardino erano per te....

Emi. — A te egli recava le più rare frutta.

Sof. — Acconciava le tue matite. [p. 16 modifica]

Emi. — Prendeva cura delle tue colombe....

Sof. — Copiava le tue carte da musica....

Emi. — Sembrava in estasi quando tu suonavi....

Sof. — Insomma tu Emilia eri la sua prediletta....

Emi. — No, Sofia, la eri tu; e non sapresti negarlo...

Sof. — Ed essere andato così lontano!

Emi. — In Egitto. Dio mio! E senza darci più sue notizie! Scrisse una volta al babbo da Malta, due volte da Cairo, e poi averci tutti dimenticati! Non lo avrei giammai sospettato: egli che amava tanto il babbo, egli ch’era stato tanto da lui beneficato! Ma per quale ragione si sarà indotto a sì repentina partenza dalla nostra casa?

Emi. — Per quanto io m’abbia posto a tortura il cervello, non m’è riuscito d’indovinarlo. Or sono due anni, e.... —

Il dialogo delle due sorelle fu interrotto per l’arrivo di alcuni fra i convitati. Mentre costoro traversavano il giardino, le due fanciulle discesero i gradini per avviarsi ad incontrarli. Erano essi vecchi amici del padre che, dietro il consiglio e l’annuenza di Caterina e Maso, i quali in questa occasione eccezionale aveano assunto una insolita autorità, erano stati dalle sorelle pregati di passare la giornata e la sera in loro compagnia. Entrando nella casa, esse avevano messo a parte del loro segreto i nuovi arrivati, e si ridussero nella sala di compagnia per attendervi il ritorno del padre.

Diciamo chi fosse quel signor Paolo di cui le fanciulle aveano lamentato l’assenza. Paolo era figlio d’una povera vedova, che, per unico sussidio al mondo, possedeva le braccia del figlio. Il quale era un giovine pieno di buona volontà, d’intelligenza, e già [p. 17 modifica]esperto nel commercio, ma sfortunato quanto mai. Ora il suo principale avea fallito, ora un altro era stato colpito da malattia mortale, ora avea cambiato paese. Insomma più s’arrabbattava a trovar lavoro, e più si trovava sul lastrico. Ridotto quasi senza pane, entrò finalmente nel banco di Maurizio Gerli, e tanto si rese utile con l’opera sua, e tanto seppe conciliarsene l’affetto e la stima, che in breve ottenne il posto di primo commesso. E ciò fu per lui una vera benedizione del cielo; perchè in pochi mesi potè riaversi in modo da far vivere senza stento quella poveretta di sua madre che tanto l’amava. Per poco però gli fu dato godere di un tale conforto, chè le passate sofferenze presto condussero quella tapina a morte, ed il Gerli in sì triste frangente usò verso di lui d’ogni compiacenza. Rimasto orfano e solo, trovò una nuova famiglia in quella del suo principale che prese a prediligerlo oltre ogni dire, avvantaggiandolo quanto meglio potesse. Praticando dunque di continuo in casa, e sovente con le due figlie del Gerli, ch’egli avea conosciute fanciullette, sentì a grado a grado germogliare nel cuor suo un vivo affetto per la maggiore delle due sorelle. Conoscendosi meschino e per nascita e per censo, onesto com’egli era, ebbe timore di non poter vincere il sentimento che sempre più in lui ingigantiva di rendersi ingrato al suo benefattore. Perlochè, dopo avere lungamente lottato seco stesso, un bel mattino, adducendo non so quale frivolo argomento, avea lasciato la casa Gerli, imbarcandosi su di una nave che facea vela per l’oriente, donde rade volte avea dato notizia di sè.

Sofia ed Emilia stavano adunque nella maggior [p. 18 modifica]sala quando sopravvennero altri convitati, fra i quali una giovinetta loro grande amica. Il numero era compiuto, e solo attendevasi l’arrivo del padrone di casa. Ad ogni piè sospinto, ad ogni benchè lieve romore, le sorelle volgevansi alla porta tutte ansiose di veder giungere il padre. Finalmente quella benedetta porta si schiuse ed il Gerli comparve con volto atteggiato a meraviglia, quasi dir volesse: — a che tanti preparativi, a che questa gente? — Ma le figlie non dierongli agio di far alcuna domanda, e di volo gli si avvinghiarono amorevolmente al collo, una a destra e l’altra a manca, ripetendogli: — Dio ti conceda ogni bene, caro babbo. Egli esaudisca i tuoi desideri, e ci tenga sempre a te unite. — E tutti i convitati a ripetere andando verso lui: — cento di questi giorni, caro Maurizio: il cielo vi conservi ogni prosperità.

Il Gerli, come trasognato, cercava la ragione di tanti augurì, quando sovvennegli del suo giorno di nascita. Abbracciate allora le due fanciulle, le strinse al cuore e baciolle in fronte con grande effusione dicendo loro: — grazie, grazie mie buone figliuole — e stesa la destra ai circostanti, ripeteva: — ed anche a voi grazie, miei cari ed antichi amici. —

Smaniose le due sorelle di mostrare al padre l’opera loro, chiesero per un istante ad essi licenza, e lo condussero nel gabinetto dove era preparato il quadro. Caterina e Maso stavan quasi in agguato vicino alla porta, studiando il momento in cui le signorine vi sarebbero venute col padrone, ed entrarono di soppiatto appresso ad esse. Al Gerli, leggendo la scritta — Il ritorno da Montenero — mai non sarebbe venuto in mente quale oggetto si nascondesse [p. 19 modifica]sotto quel velo, e mentre ne domandava alle figlie, Sofia, la maggiore, ne fece dono al padre con queste parole. — Caro babbo, questo che tu vedi è un piccolo presente che Emilia ed io ti offriamo oggi che è il giorno tuo natalizio. È lavoro delle nostre mani, ma il cuore lo diresse; giudica tu se esso si è ingannato. —

Il signor Maurizio, avvicinatosi al quadro, sollevò la piccola tenda, ed a prima vista ebbe a venir meno per la commozione. Poi lo fissò lungamente: i suoi occhi si colmarono di lagrime, e volgendosi ad Emilia e Sofia che gli stavano da lato:

— Oh giorno, oh giorno benedetto, esclamò, nel quale fui il più felice de’ mortali... chi avrebbe allora pensato che tanto corta aveva ad essere la mia felicità? Oh! Berenice!... — e stava per piangere, ma, guardando con affetto ineffabile le figlie, seguitò. — Oh diletta consorte, da me separandoti, per non vedermi disperato, mi lasciasti una parte di te in queste nostre creature; esse ti somigliano per la bontà, pel candore, per l’amorevolezza... ebbene coraggio, tu ci proteggi dal cielo ove un giorno saremo ricongiunti. —

Passata quella prima emozione, il Gerli prese a considerare meglio il dipinto, e non rifiniva dal fare elogi alle due figlie per la maestria con cui era condotto, per la scelta del soggetto, e per la somiglianza de’ personaggi. Ma le due fanciulle affrettaronsi a render conto al padre loro della gran parte che nella scelta e nella esecuzione aveano avuta i due buoni domestici. E siccome questi seguitavano a tenersi in disparte, asciugandosi col rovescio della mano qualche lagrimetta, il Gerli disse loro: — Qua, qua, [p. 20 modifica]bravi vecchi, venite anche voi, che foste testimoni di quel faustissimo giorno che sembrava dover essere seguito da tanti altri; venite anche voi al mio seno, dinanzi a questa imagine che rappresenta la mia buona moglie viva e vera come io la ho impressa nel cuore. —

E Maso: — E non è vero padrone, che par di stare ancora lassù all’uscita di chiesa, circondati delle fanciulle che c’infioravano la via? —

E Caterina: — La si rammenta che si avea fatica a tener indietro le vecchie e i ragazzi, che volevan baciare la mano alla sposa? E come era risplendente col suo abito di lustrino celeste! Oh l’era proprio un occhio di sole!

— Sì, Maso, sì Caterina; se anche non lo rammentassi, questo quadro mi farebbe credere di avere venti anni di meno.

— E dica, padrone, riprendeva Maso, e quando si giunse al casino con quei violini che strimpellavano una mazurka?

E la Caterina: — Già, già, che il signor Tommaso qui, per sgambettar dall’allegria, sdrucciolò fino ai piedi della padroncina ch’ebbe a morire dal ridere.

— E Ceccone? che dopo il desinare delle nozze gli era così cotto che giurava di bagnarsi in Arno sulla spiaggia di Antignano.... —

Con questi ed altri ricordi di quel memorabile giorno, quel po’ di tristezza ch’era apparsa sul volto del Gerli sparì, e quando rientrava nel salone a braccetto con le sue due figlie, era appieno rasserenato, e col sorriso sulle labbra domandò scusa agli amici di averli lasciati soli. Caterina e Maso avrebbero voluto che tutti potessero ammirare il lavoro delle [p. 21 modifica]signorine, tanto più che anch’essi vi trionfavano; ma il signor Maurizio osservò che quanto appartiene agì affetti intimi del cuore, non deve mai esporsi agli sguardi dei curiosi, siano pure amici, e deve serbarsi per noi soli con una specie di religione e di mistero.

Giunta l’ora del desinare, prima di passare nella camera da pranzo, il Gerli volle bene intendere dalle figlie il programma della festa, ed udito che oltre l’offerta del quadro, oltre il pranzo e la musica eseguita sul pianoforte, vi sarebbe stato ballo la sera, esclamò: — Ah! ah! qui vi aspettava! Dunque anche ballo? E questa smania di far muovere le gambe è pure ad onor mio, che ho cessato di ballare venticinque anni fa? Un ballo! Cospetto! E avete pensato da voi, senza consenso delle autorità, anche agli inviti? Oh questo è compromettente per due fanciulle; fuori, fuori la lista, carine, vediamo la nota de’ ballerini.

L’Emilia presentò la lista, ma il padre, scorsala appena, scoppiò in una grassa risata. Ma com’è possibile, figliuole, pensare alla danza con siffatti medaglioni alla Pompadour! Se non avete altri cavalieri potete prepararvi ad un minuetto in parrucca e guardinfante. — E volgendosi alla giovinetta amica delle figlie: — Dite su Geppina, non ho ragione io? Vuol esser primavera e non inverno.

— Ma noi non abbiamo osato — dissero le fanciulle.

— Oserò io, oserò io per voi, carine; qua carta e penna. Ora distendo io una lista di ballerini senza cipria, e che avranno la gamba svelta. Ed infatti, notati alcuni giovani loro conoscenti, gli addetti al banco, ed altri amici che avean figli e figliuole [p. 22 modifica]dell’età, poco più poco meno delle sue, incaricò Maso di mandar subito alle case loro pregandoli di passare la sera in sua compagnia.

Il pranzo fu gustoso ed allegro: squisite le vivande; sceltissimi i vini; ed i brindisi a Maurizio, alle sue belle e buone figliuole, a tutti i commensali s’avvicendarono variatissimi e senza interruzione, e si finì col bere anche alla salute del vecchio Maso e della Caterina, siccome ai primi ministri della piccola corte del Gerli. Dopo desinare Sofia ed Emilia sul piano forte maestrevolmente eseguirono la grande sinfonia a quattro mani di Beethoven, e quindi a vicenda suonarono alcune melodie di Chopin e di Schumann e vari pezzi della Sonnambula e della Semiramide, con grande diletto del padre e degli uditori.

Venne la sera. Come per incanto il grazioso giardino fu rischiarato da fanaletti e da lampioncini a colori che appesi agli alberi, o situati fra mezzo a’ cespugli, riuscivano di un mirabile effetto, nel mentre che le sale interne venivansi rischiarando con lampade e doppieri.

Tutta la comitiva uscì fuori a respirare le profumate e fresche aure vespertine. Sopraggiunsero intanto gli invitati che in lieto conversare vennero aggruppandosi presso la scala dove più numerosi erano i lumi. I preludii di una contraddanza accennati da un violino, da un violoncello e dal piano-forte furono il segnale d’invito a rientrare nella casa. La sala di trattenimento, sgomberata d’ogni superfluo, offriva una giusta area ai danzatori che in breve uniti alle danzatrici gajamente se ne impossessarono. Queste coppie erano composte dei giovani invitati dal Gerli e di parecchie vaghe fanciulle, mentre i padri, le madri e [p. 23 modifica]l’altra gente matura seduta all’intorno si deliziava nelle rapide girovolte del waltz, nell’uniforme cadenze delle polke e delle mazurcke, nel disinvolto passeggiare delle quadriglie, e nelle vispe movenze dei lancieri. I sorbetti erano portati in giro profusamente; e le sorelle, chiamate in loro soccorso l’amica Geppina, gareggiavano di cortesia e di gentilezze inverso ciascuno degli invitati, giovani o no; e sovente tanevansi in disparte perchè le altre fanciulle potessero godere della festa, e figurare nelle danze. Insomma la casa Gerli in quella sera sembrava l’albergo della felicità.