Fenomeni fisico-chimici dei corpi viventi/Lezione VIII

Lezione VIII

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LEZIONE VIII.

Fosforescenza dei corpi organici.


Non è il solo calore che i corpi viventi producono; in molti fra questi vi è anche sviluppo di luce. Benchè questa produzione di luce non sia un fenomeno generale e proprio di tutti gli esseri organizzati, i molti casi che si conoscono, sono della più alta importanza; essi dimostrano una singolare facoltà dell’organismo vivente.

Vedremo in questa Lezione, studiando il caso meglio conosciuto di fosforescenza animale, che dessa rientra nelle teorie fisico-chimiche, quanto al suo modo generale di prodursi, e che il suo carattere eccezionale non è che una di quelle misteriose singolarità che la natura sembra aver lanciate in mezzo all’immensa varietà degli esseri, quasi senza scopo per quelli che le presentano, e solo per renderci umili ammiratori della sua moltiplice potenza creatrice.

Vi parlerò lungamente della fosforescenza d’un insetto molto comune fra noi, esponendovi le sperienze le più concludenti fatte, è già qualche anno, da Macaire e da altri Fisici, e da me in questi ultimi tempi. [p. 98 modifica]

L’insetto di cui vi parlo è il Lampins Italica detto volgarmente lucciola, è un insetto coleoptero che vive nell’erba, ove si fa vedere poco dopo il cader del sole, in primavera e nell’estate. I due ultimi segmenti del corpo di questo insetto, i quali osservati di giorno si mostrano d’un colore gialliccio, appariscono leggermente luminosi nell’oscurità nella notte poi spandono molta luce in un modo intermittente, ciò che si osserva assai meglio collocando quest’insetto col ventre all’insù, sopra una tavola.

Si vede allora o toccandolo leggermente, oppure anche senza toccarlo, che la luce cessa qualche volta ad un tratto, e poi ricomparisce.

Questo fatto condusse il sig. Macaire ad ammettere che la volontà dell’animale interveniva nell’emissione della sua luce fosforescente, ma non è certamente per mezzo d’una membrana opaca, che può tendere sopra i suoi anelli luminosi che l’insetto cessa d’esser fosforescente, come hanno creduto alcuni, poichè questa membrana non esiste.

Vedremo nel corso di questa Lezione che tutto ci conduce ad ammettere che la fosforescenza non è continua, perciò appunto che non è continua la cagione che la produce, e che possiamo darci ragione del come il fenomeno si produce con un certo periodo.

L’osservazione, che mi ha sempre sorpreso nello studio di questa fosforescenza, è quella della luce che seguita ad emettere la materia gialliccia contenuta negli ultimi anelli dell’insetto, allorchè è separata dal medesimo. Basta di uccidere una di queste lucciole, di schiacciarla fra le dita, per vedere lunghe strisce di luce che partono dalla materia giallastra che sta in questi anelli. Questa fosforescenza seguita più o meno lungamente, secondo varie circostanze che studieremo più innanzi. Certo è per questo fatto, che l’integrità dell’animale, la sua vita, non sono essenzialmente necessarie alla produzione della fosforescenza. Sono partito da ciò per istudiare sopra questa [p. 99 modifica] materia così separata dal corpo dell’insetto l’influenza delle diverse circostanze, calore, elettricità, mezzi gassosi diversi, come lo avevano fatto lutti quelli che si sono occupali di un tal curioso fenomeno avanti di me. Nello stesso tempo ho studiate le stesse cose sull’insetto intatto e vivo, ed è dal confronto che credo d’esser giunto a meglio fissar la natura del fenomeno.

Ho poste varie lucciole vivacissime e splendenti in un tubo di vetro, che era immerso nell'acqua. Un termometro a palla piccolissima era circondato dalle lucciole.

Vi farò notare che più volte ho cercato, ma senza risultato, di scoprire, se il termometro così circondato da lucciole, indicava una temperatura più elevata di un altro termometro libero. Scaldando leggermente l’acqua viddi crescere l’intensità della luce, sino a 30.° R. all’incirca, cessare l'intermittenza, la luce farsi continua: seguitando a riscaldare, la luce si fa rossastra. A + 40.° R. la luce cessa affatto e per sempre, e l’insetto è morto: schiacciandolo fra le dita la materia degli ultimi segmenti non dà più luce.

Oprando non più sulle lucciole intatte, ma sui soli ultimi segmenti luminosi, non ho scorto differenza. Questi risultati confermano le esperienze fatte dal signor Macaire operando sulle lucciole intere, e tenendole in mezzo all’acqua, che successivamente veniva riscaldando.

Esponendo le lucciole nello stesso modo al raffreddamento, ho trovato qualche differenza fra i miei risultati e quelli del citato Fisico. Messo il tubo in mezzo al ghiaccio, la luce non cessa, e dopo 15 o 20 minuti ho visto le lucciole splendere. La luce non è divenuta che più debole ed ha cessato di esser intermittente. Ritirate le lucciole dal tubo e poste sulla mano, ritornano come prima splendenti. Accade lo stesso operando sui soli ultimi segmenti luminosi.

Posto il tubo, in cui erano le lucciole col termometro, [p. 100 modifica] in un miscuglio frigorifico di - 5.° R., dopo 8 o 10 minuti le lucciole cessano di splendere, e sembrano ridotte senza movimento: ritirate e poste sulla mano riprendono vita e splendore. Mentre sono nel tubo a - 5.° R. se con un filo metallico a punta, si rompon loro i segmenti ultimi, una luce debolissima e passeggera si mostra. Questo fatto è pure confermato dal vedere che i soli ultimi segmenti o la loro materia luminosa, cessano affatto di splendere a - 5.° R. Ritirata e scaldata la materia luminosa così raffreddata, risplende di nuovo per un istante, e diviene al solito rossa prima di estinguersi, se il calore è troppo forte.

Ho messe nello stesso tempo in due campane eguali di vetro, dieci lucciole, e uno stesso numero dei soli segmenti luminosi tratti da lucciole simili. Poi, dopo aver empite queste campane di mercurio, vi ho fatto passare l’acido carbonico. Dopo pochi secondi la luce ha cessato affatto, senza differenza notabile, tanto per le lucciole che per i soli segmenti. Se allora introduco un poco d’aria nella campana, la luce ritorna in ambidue; assai più viva e più rapidamente si mostra introducendo alcune bolle di ossigene. Si veggono le lucciole che apparivano morte nell’acido carbonico, riprender movimento e vita all’introduzione dell’ossigene. La vita e la ricomparsa della fosforescenza non avvengono, se si tarda un certo tempo, 30’ a 40’, ad introdurre l’ossigene o l’aria. I soli segmenti luminosi, rimasti anche per più lungo tempo oscuri nell’acido carbonico, si veggono risplendere subito, allorchè s’introduce l’ossigene. Adoperando l’idrogene in luogo dell’acido carbonico, tanto le lucciole quanto i loro soli segmenti luminosi, non durano a splendere che per un tempo ch’è alquanto maggiore di quello che abbiamo detto per l’acido carbonico. La differenza è assai piccola per le lucciole intere; è alquanto più grande per i segmenti luminosi staccati. Ho visto in un caso continuare [p. 101 modifica] questi ad essere luminosi nell’idrogene per 25’ o 30’. Anche per le lucciole spente nel gas idrogene succede che coll’aria o meglio coll’ossigene aggiunto ritornano vive, e la fosforescenza ricompare all’istante, quando non si tardi più di 15’ o 20’.

Osservai costantemente che negl’insetti interi, prima che la luce cessi del tutto, viene a mancare l’intermittenza.

Qualche ora dopo che le lucciole o i segmenti luminosi hanno cessato di splendere, si ottiene una debole ma visibilissima luce, schiacciando sulla mano i segmenti stessi la qual luce però non dura che un momento.

Riferirò ora le esperienze le più concludenti che ho fatte studiando l’azione delle lucciole e dei soli segmenti luminosi sull’aria atmosferica e sull’ossigene. Ho messo in una campana di vetro graduata nove lucciole vive, e un numero simile di segmenti in altra uguale quantità d’aria. Dopo 24 ore le lucciole non splendevano più, mentre i segmenti erano ancora, benchè debolmente, luminosi. Fu analizzata l’aria rimasta nelle due campane, 36 ore dopo. L’ossigene era interamente scomparso ed era stato rimpiazzato dal suo volume di acido carbonico. In 11,8 cent. cub. d’aria atmosferica in cui erano le lucciole, furono trovati 2,4 cent. cub. d’acido carbonico. Coi soli segmenti luminosi, tutto l’ossigene non era scomparso.

Le lucciole si mantengono vive e splendenti nel cloro puro, come vi si mantengono splendenti i suoi segmenti. Cessate in questo gas la vita e la fosforescenza, esse non ricompariscono ne introducendovi l’aria, ne colla presenza dell’ossigene, nè col calore. Le lucciole e i suoi segmenti anche schiacciati non si mostrano più fosforescenti.

Le lucciole che sono state 24 ore nell’aria atmosferica in una campana di vetro, dopo aver cessato di splendere, e di vivere, se si scaldano con una lampada, ritornano per un istante leggermente luminose.

Ho messe le lucciole vive e splendenti nel gas ossigene [p. 102 modifica] contenuto in campane di vetro empite sotto il mercurio. Vi sono vissute circa 40 ore seguitando a splendere sempre.

Ho messo nell’ossigene puro 10 segmenti luminosi tolti da 10 lucciole vive. Questi segmenti hanno continuato per 4 giorni interi a splendere, e si vedevano luminosi anche di giorno quando si guardavano in un luogo non troppo illuminato. Il gas rimasto conteneva un terzo di acido carbonico prodotto, e il rimanente era ossigene.

Rimessi nuovi segmenti luminosi in questo gas ossigene, tolto l’acido carbonico colla potassa, si riebbe lo stesso risultato di prima. I segmenti rimasti dopo quattro giorni anche scaldati non emettevano più luce.

Ecco i numeri dedotti d’alcune esperienze:


Lucciole intere in un volume di gas ossigene = 6cc,8
Dopo 30 ore, il volume del gas era = 6,cc2
La potassa ha assorbito un volume gasoso = 4,cc2


Il gas rimasto era ossigene che scomparve con un pezzetto di fosforo, non rimanendo che una piccolissima bolla.

Altre lucciole furono messe in 11cc,8 d’aria atmosferica. Dopo 36 ore il volume dell’aria non aveva cambiato, e si trovò che conteneva 2cc,4 d’acido carbonico.

I segmenti fosforescenti delle lucciole furono messi in 6cc di ossigene: si analizzò il gas il di cui volume era ridotto a 5cc,8 dopo 48 ore, e si trovò che conteneva 2cc d’acido carbonico: il rimanente era ossigene. In tutte queste esperienze non ho mai operato che sopra 8 o 10 segmenti luminosi presi da 8 o 10 lucciole diverse.

Ho visto ancora che in un miscuglio di 9 parti d’idrogene e 1 d’ossigene, le lucciole continuarono a vivere e a splendere anche dopo 12 ore d’esperimento. Ho trovato [p. 103 modifica] che la metà circa dell’ossigene era stata rimpiazzata da un egual volume d’acido carbonico. Invece in un miscuglio di 9 d’acido carbonico e 1 d’ossigene, le lucciole non duravano a splendere che due o tre ore, e dopo 12 ore erano morte. Ho visto che bastano ⅔ d’acido carbonico e ⅓ d’ossigene per fare un miscuglio, in cui la lucciola non vive lungamente, ne splende per molto tempo. Anche in questo miscuglio ho trovato scomparsa una porzione di ossigene dopo esservi state per qualche tempo le lucciole.

Il gas acido carbonico sembra agire come un gas velenoso. I segmenti luminosi messi nel citato miscuglio, si comportano come le lucciole intere, quanto alla durata della loro luce: se non che l’ossigene assorbito e l’acido carbonico emesso sono molto meno e all’incirca ¼ di quello che abbiamo visto esser per le lucciole intere. Il volume che scompare durante l’esperienza è dovuto a quel poco d’acqua che s’introduce insieme col corpo delle lucciole, la quale discioglie l’acido carbonico che si va formando. L’aver visto che le lucciole continuavano a vivere per molte ore, anche private dei segmenti luminosi, mi ha dato luogo a fare una curiosa sperienza, la quale è interamente d’accordo colle già esposte.

Ho introdotto 20 lucciole vive e ben splendenti in una campana graduata capovolta sul mercurio, la quale conteneva 6cc,6 di ossigene puro: ho asportati con cura i segmenti luminosi ad altre 20 lucciole egualmente vive e splendenti, poscia le ho messe in un’altra simile campana contenente 5cc,6 d’ossigene puro e parimenti capovolta sul mercurio. Infine i 20 segmenti luminosi rimasti gli ho pur messi in una terza campana di vetro graduata, e con 9cc d’ossigene e l’ho disposta come le altre due. Dopo 10 ore ho osservato le tre campane e in tutte il volume del gas era diminuito, e certo per l’acido carbonico formatosi e poscia assorbito dalla umidità delle lucciole o dal velo d’acqua che copriva il mercurio. Così [p. 104 modifica] nella prima, il gas era 6cc,2: nella seconda 5cc,4: nella terza il volume del gas non era sensibilmente diminuito; vivevano ancora splendenti le lucciole intere, e i segmenti soli erano pure fosforescenti e le mezze lucciole si movevano. Nella prima campana dopo l’assorbimento della potassa, sono rimasti 3cc,8 d’ossigene, nella seconda 3cc,7 e nella terza 8cc,2. La potassa aveva assorbito per conseguenza, 2,8 d’acido carbonico prodotto dalle lucciole intere, 1,9 d’acido carbonico dovuto alle lucciole senza segmenti, e 0,8 dello stesso acido prodotti dalla sola sostanza fosforescente. E curioso che, stando a questi numeri, le due parti in cui la lucciola è stata divisa avrebbero agito separatamente quasi colla stessa intensità che nella lucciola intera e così viventi di una vita comune. Ho ripetuta altra volta l’esperienza: ho sempre trovato, che l’assorbimento della lucciola intera superava, e anche assai più di quello dei numeri citati, la somma degli assorbimenti nelle mezze lucciole e nei segmenti luminosi.

Riferirò ancora un’altra esperienza che conduce alle conseguenze stesse delle precedenti. Ho introdotte varie lucciole in una campana di vetro, che ho empita d’acqua e ho rovesciata sotto una vasca idro-pneumatica. Dopo 20’ le lucciole avevano cessato di splendere: introdotte alcune bolle d’aria le lucciole ripresero vita e splendore. Questo fatto l’ho più volte rivisto. Ho ripetuta la stessa esperienza con acqua che aveva fatta bollire per due ore: le lucciole non vi hanno durato a splendere che 10’a 12’. È curioso che con altri liquidi che non agiscono chimicamente sulla sostanza dell’insetto, la durata della fosforescenza è diversa. Nell’alcool e nell’etere la fosforoscenza dura un poco più che nell’acqua; nell’olio invece, le lucciole splendono assai meno che nell’acqua. Conviene operare nel modo indicato, e non contentarsi di metter le lucciole nel liquido contenuto in una capsula. Tanto nell’una che nell’altra di queste ultime esperienze, credo [p. 105 modifica] che la durata della fosforescenza debba in parte attribuirsi all’aria che rimane sempre aderente all’insetto.

Ho tentata pure un’altra esperienza che credo importante il descrivervi prima di trarre dalle suesposte, le conseguenze che ne dipendono. Ho separato i segmenti luminosi da varie lucciole ben vive, e li ho schiacciati e triturati in un piccolo mortajo d’agata. In questa guisa, la materia di questi segmenti apparisce grandemente luminosa sulle prime; ma dopo pochi secondi se ne vede indebolire la luce e cessare affatto. Questo avviene anche più presto se il mortajo è lievemente caldo. Introduco nel fondo di una campana di vetro una porzione della sostanza triturata dei segmenti, e all’istante in cui cessa di splendere, riempio la campana di mercurio, la rovescio sul bagno e v’introduco l’ossigene. Al contatto del gas ho veduto una sola volta tra le moltissime esperienze fatte, un leggerissimo segno di luce che cessò all’istante: in una sperienza in cui la materia triturata dei segmenti splendeva ancora debolmente quando il gas fu introdotto, la luce continuò per alcun tempo. Analizzai il gas in questi due casi 48 ore dopo. Il suo volume non aveva variato: e l’assorbimento colla potassa sopra 8cc di gas ossigene, non oltrepassò 0cc,2 nell’esperienza in cui la luce aveva continuato, e fu nullo nell’altra. Era rimasto l’ossigene puro.

In un altra esperienza ho scaldato 20 segmenti luminosi a +40.° circa, mettendo il tubo in cui erano contenuto nell’acqua calda a quella temperatura. I segmenti si sono fatti rossi ed hanno cessato di splendere. Allora ho empito il tubo di mercurio, l’ho rovesciato sulla vasca ed ho introdotto l’ossigene, non ho scorta luce e dopo 4 giorni la potassa non ha indicato nessun assorbimento. Questi segmenti non han fatto che cessare di splendere, e l’ossigene non è più stato assorbito, nè l’acido carbonico per conseguenza è stato prodotto.

Alcune lucciole messe nell’idrogene solforato hanno [p. 106 modifica] cessato dopo pochi secondi di splendere e di vivere. Non si sono più fatte vedere fosforescenti anche in contatto dell’ossigene, e quantunque scaldate. Schiacciandone i segmenti luminosi, qualcuno ha emesso una debolissima luce.

Descriverò finalmente l’esperienza fatta mettendo le lucciole, e i soli segmenti luminosi nell’aria molto rarefatta. Ho introdotto nel fondo chiuso di un lungo tubo di vetro alcune lucciole intiere e alcuni segmenti luminosi tolti da altre lucciole. Ho empito il tubo di mercurio e l’ho rovesciato entro un pozzetto nello stesso liquido, operando come per fare un barometro. Le lucciole ed i loro segmenti si sono così trovati in uno spazio in cui di certo l’aria era assai rarefatta. La luce ha cessato nelle lucciole e nei segmenti circa nello stesso tempo, cioè dopo 2 o 3 minuti; al solito ha cessato prima di mostrarsi intermittente. Appena la fosforescenza scompariva introducevo l’aria, e non tardava il tutto a risplendere di nuovo. Vidi distintamente, anche in questo caso tutte le lucciole riprendere il movimento perduto: avevano cessato di splendere nell’aria rarefatta, ma non erano morte. È lo stesso che avviene col raffreddamento.

I fatti fin qui esposti, conducono necessariamente alle seguenti conclusioni, che sono in parte nuove e in parte assai meglio determinate di quelle dedotte finora.

1.° Può cessare la fosforescenza dei segmenti luminosi di una lucciola, senza che questa sia morta.

2.° V’è nella lucciola una sostanza che spande luce e non sensibilmente calore, la quale per mostrarsi con questa proprietà non ha direttamente mestieri dell’integrità dell’animale e del suo stato di vita.

3.° L’acido carbonico e l’idrogene sono mezzi nei quali la materia fosforescente della lucciola cessa di splendere, dopo un tempo che non è maggiore di 30’ o 40’ se i gas sono puri.

4.° Nel gas ossigene la luce della materia fosforescente [p. 107 modifica] è decisamente più viva, che nell’aria atmosfesica, e si conserva lucente por un tempo quasi triplo. Questo accade tanto per i soli segmenti luminosi, come per la lucciola intera.

5.° Questa materia fosforescente, allorchè si trova in condizioni da spander luce, consuma una porzione d’ossigene che è rimpiazzata dal volume eguale d’acido carbonico.

6.° Questa stessa sostanza in contatto dell’ossigene, ma messa prima in condizione di non spander più luce, non assorbe nemmeno sensibilmente l’ossigene, ne sviluppa acido carbonico. Desidero che fissiate particolarmente la vostra attenzione sopra questo risultato.

7.° L’ossigene nella proporzione di 1 a 9 d’idrogene o d’acido carbonico, forma un mezzo in cui la fosforescenza continua per alcune ore; si può concludere da ciò che è per l’alterazione avvenuta nella sostanza fosforescente, che questa cessa di splendere dopo molti giorni, essendo stata messa da prima nell’ossigene puro, di cui inseguito una porzione sola è stata rimpiazzata dall’acido carbonico.

Ho esaminato l’idrogene in cui aveva tenute varie lucciole per 24 ore, ed in cui non avevano durato a splendere che per pochi minuti. È così che avviene se il gas è puro, se si opera sul mercurio e se si ha cura di empire la campana rovesciandola due o tre volte, per togliere l’aria aderente alle lucciole. In questo gas idrogene ho trovato che il volume era cresciuto di una piccolissima quantità; sopra 8cc idrogene, ebbi 0cc,2 d’aumento di volume che la potassa ha assorbito. È dunque acido carbonico che le lucciole hanno prodotto, e questo, o perchè vi era nelle loro trachee un resto d’ossigene che si è combinato al carbonio e cangiato in acido carbonico, perchè esse contenevano già formato quest’acido. Quando i soli segmenti luminosi sono messi con tutte le precauzioni nell’idrogene, non durano che pochi secondi a splendere, e il gas non cangia. [p. 108 modifica]

8.° Il calore, dentro certi limiti, accresce la luce della materia fosforescente, ed il contrario avviene per il raffreddamento.

9.° Quando il calore è troppo forte, la sostanza fosforescente rimane alterata, e lo stesso avviene di questa sostanza lasciata all’aria o in un gas qualunque per un certo tempo. E questa indubitatamente la cagione per cui le lucciole non vivono che in certi climi, e per cui non cominciano a splendere che in certi mesi dell’anno.

10.° Così alterata questa materia fosforescente, non è più atta ad emetter luce o a divenire luminosa.

Queste conclusioni stabiliscono evidentemente la natura del fenomeno: la produzione della luce in quest’insetto è intieramente legata alla combinazione dell’ossigene col carbonio ch’è uno degli elementi della materia fosforescente.

Importa ora studiare come nell’animale vivo la fosforescenza avviene, per quali circostanze varia, qual’è la struttura della sostanza fosforescente e delle parti che la circondano.

Ho messe alcune lucciole ben vive e splendenti in una scatola di latta, che chiudeva esattamente e l’ho riaperta 24 ore dopo, circa due ore dopo il tramonto del sole, Le lucciole parevano morte; pure splendevano quantunque assai debolmente. Riscaldandole sulla mano hanno ripreso alquanto i loro movimenti, e la luce è divenuta più viva.

Dopo altre 30 ore passate nella stessa scatola, alcune erano morte, e la luce era in molte estinta, in altre debolissima. Questa esperienza poteva, supponendo che non fosse vero tutto quello che già vi ho esposto, condurre nelle idee di Beccaria, di Mayer e d’altri Fisici, i quali riguardano la fosforescenza delle lucciole come dovuta all’insolazione.

Ma ecco un’altra esperienza il di cui risultato è netto e soddisfaciente. Nella stessa scatola, che aveva doppio [p. 109 modifica] fondo ho messo in uno dei compartimenti molte lucciole, e nell’altro altre lucciole simili sparse in mezzo ad erba fresca e tagliata in pezzi, e tolta dai luoghi dove questi insetti si trovano. Dopo 24 ore ho osservate le lucciole: delle prime era accaduto quello che già ho detto, e le altre erano vivacissime e splendenti. Aprendo di giorno questa scatola in una stanza oscura, vedevansi queste lucciole splendere. Per non andar inutilmente per le lunghe, mi basterà di dirvi, che ho conservate per nove giorni tali lucciole in mezzo all’erba, sempre vive e splendenti. Trovandosi la lucciola nelle condizioni di temperatura, d’umidità ec., in cui esiste naturalmente, e continuando a nutrirsi, la materia fosforescente si conserva, indipendentemente dall’azione solare.

Concludiamo ancora dalle esperienze su riportate che la sostanza fosforescente, preparata dall’animale conservasi per un certo tempo luminosa, quantunque priva della vita che ha comune coll’insetto, lo che stabilisce che questa vita non è condizione immediatamente necessaria della fosforescenza. Per la vita, la materia fosforescente è incessantemente conservata nelle sue proprietà con quello stesso processo di nutrizione, che opera egualmente sopra tutte le parti dell’insetto.

Non ho trascurato di studiare qual parte poteva aver la funzione del sistema nervoso nel fenomeno della fosforescenza. Vi descriverò queste ricerche colla sufficiente estensione. Allorchè si osserva una lucciola appena presa e tenuta col dorso sopra una tavola, si veggono gl’ultimi segmenti dell’addome del colore di una tinta rossastra. Nel giorno, o sulle lucciole anche da poco morte, questo colore non è così distinto e si fa gialliccio. Sinchè la lucciola è viva, si veggono di tanto in tanto, or più or meno sovente, divenir luminosi i suoi segmenti. Osservando bene e sopra molti individui, si riesce a scoprire che qualche volta non è in tutti i punti di questi segmenti, [p. 110 modifica] che la luce compare allo stesso istante. Basta irritare leggermente la lucciola in qualunque parte del suo corpo, per vederla divenire per un istante luminosa. Toccando un qualche punto dei segmenti, la luce persiste di più. Se ad una lucciola in questo stato, si taglia la testa, non si tarda a veder la luce illanguidire, e cessare poi affatto, e allora si vede bene il color rosso della membrana dei segmenti luminosi. In questo stato, si può irritare anche fortemente l’insetto nel torace, senza che più si giunga a vederlo luminoso. Perchè questo avvenga, è necessario di toccare i segmenti luminosi stessi, e allora si veggono i punti toccati splendere, e da questi estendersi la luce per un certo tempo al resto dei segmenti stessi. Facendo quest’esperienza, mentre la lucciola sta sul portaoggetti del microscopio, si vede anche meglio la produzione e la diffusione della luce. Conviene essere nell’oscurità e non mandare sull’oggetto alcuna luce. Vedesi un movimento oscillatorio rapidissimo nelle parti della materia fosforescente, e nel tempo che esse si fanno luminose.

Ho provato e riprovato più volte l’influenza che potevano esercitare sulla fosforescenza delle lucciole l’oppio e la noce vomica, ed eccovi come. Ho preparato soluzioni fatte di 5 grani d’estratto d’oppio o d’estratto alcoolico di noce vomica, in due oncie d’acqua. Poi metteva le lucciole in una campana di vetro, che empiva di quelle soluzioni e rovesciava sugli stessi liquidi. Così non v’era contatto coll’aria. Il risultato d’un gran numero d’osservazioni mi porta a concludere, che nella soluzione di noce vomica le lucciole muoiono 8’ o 10’ più presto di quelle che sono nell’acqua. Al contrario nelle lucciole che sono nella soluzione d’oppio, la fosforescenza continua per 8’ o 10’ di più che in quelle che sono nell’acqua. Spero di poter riprendere lo studio di questo soggetto che non ho potuto che abbozzare.

Aggiungerò che le lucciole che cessano di splendere [p. 111 modifica] nell’acqua, splendono nuovamente al contatto dell’aria, mentre le altre che furono tenute nell’oppio e nella noce vomica cessano di splendere per sempre e vi muoiono. È così provata l’azione di certe sostanze sulla fosforescenza, le quali con ogni probabilità, non possono agire alterando la materia fosforescente.

Ho provato a spalmare con trementina il solo addome di molte lucciole: ho visto che la luce s’indeboliva, che meno frequenti erano le scintillazioni, ma che non cessavano mai affatto.

Ho studiato col microscopio la struttura dell’organo luminoso. Spogliando i segmenti luminosi dalle due membrane, dorsale e ventrale, si vede una materia globuliforme, granulare, gialliccia, in mezzo alla quale appariscono gruppi di globetti rossi, un gran numero di ramificazioni, e di più una specie di tubi che hanno l’apparenza della fibra muscolare, ma che osservati meglio, si veggono vuoti. Guardando di notte, si vede la luce essere emessa dalla materia granulosa gialliccia, e se questa si comprime fra due vetri, la luce è sempre all’orlo del pezzo che s’osserva.

La membrana ventrale osservata sola e dopo averla lavata più volte nell’acqua, per toglierle tutta la sostanza fosforescente, è trasparente e piena di un gran numero di peli. La membrana dorsale, non così trasparente come l’altra, ha pure gli stessi peli, ma ha inoltre nella sua faccia interna un gran numero di tubi o trachee che si veggono penetrare fra la materia fosforescente. Aggiungerò ancora, che non m’è mai accaduto di separare l’addome d’una lucciola senza trovare sotto all’anello penultimo luminoso una vescichetta di un bel color rosso, che vista al microscopico è formata di un gruppo di globetti rossi. Non ho trovalo in altri insetti simili questa vescichetta: non ho trovato libro di Anatomia Comparata in cui se ne parli. Mi limito nella mia [p. 112 modifica] ignoranza del soggetto a indicarne la presenza ai Zootomi.

Vi dirò finalmente del poco che ho potuto fare, e che credo possa farsi, per studiare la natura chimica della materia fosforescente. Questa materia tratta dall’animale vivo ha un odore particolare che ricorda quello del sudore dei piedi: non è nè acida nè alcalina, si dissecca facilmente all’aria, sembra coagularsi a contatto degli acidi diluiti, non si scioglie sensibilmente nè nell’alcool, nè nell’etere, nè nelle soluzioni alcaline deboli: si scioglie e s’altera nell’acido solforico e idroclorico concentrati e coll’aggiunta del calore, e con quest’ultimo la soluzione non diviene bleu. Scaldata in un tubo manda i soliti prodotti ammoniacali. Non v’è in essa traccia sensibile di fosforo, e me ne sono assicurato bruciandola più volte col nitro in un crogiuolo di platino, e trattando il residuo disciolto coi soliti reattivi che scoprono i fosfati. Dopo tutto ciò che abbiam detto, non si poteva credere alla presenza del fosforo, come cagione della luce in questi insetti. Forse operando sopra un grandissimo numero di questi animali, si troverebbe quella piccola traccia di fosforo, che ordinariamente si trova in tutte le sostanze organiche.

Concluderò in seguito di tutte le conseguenze sperimentali suaccennate, che l’acido carbonico si produce pel contatto della sola materia fosforescente separata dell’animale coll’ossigene che cessa la luce fuori di questo gas, e che in contatto del medesimo vi è luce e si produce un volume di acido carbonico, uguale a quello dell’ossigene scomparso; che la sostanza fosforescente della lucciola, non più luminosa, non esercita nemmeno azione sull’ossigene.

È dunque naturale il supporre che nei segmenti luminosi di questi insetti, inviluppali da membrane trasparenti, avvenga per mezzo delle molte trachee che vi si veggono sparse, il contatto dell’aria atmosferica o piuttosto del suo ossigene con una sostanza sui generis principalmente composta di carbonio, d’idrogene, d’ossigeno e d’azoto. I [p. 113 modifica] molti globuli sanguigni che vi si veggono sparsi in mezzo e frammisti alla materia granulare luminosa, provano che questi segmenti sono il centro di un organo particolare di secrezione, e credo meriti l’attenzione dei Naturalisti l’esistenza di quella vescichetta rossa che dissi trovarsi immediatamente al di sopra dei segmenti luminosi. Le irritazioni sull’animale, l’azione del calore, operano in questa fosforescenza in un modo generale e che appartiene a tutti i fenomeni dell’economia animale, e di più, favorendo direttamente la combustione; ed è così che vanno interpetrati gli effetti prodotti da quegli agenti sulla sola sostanza fosforescente separata dell’animale. Non è nuovo l’esempio di una sostanza organica che bruci all’aria, assorbendo ossigene ed emettendo arido carbonico: è il caso del legno in putrefazione, del cotone unto, del carbone estremamente diviso, e di tante altre accensioni spontanee. E se nel nostro caso manca il calore che dovrebbe accompagnare la combinazione chimica, non è difficile di rendersene conto. È così piccola la quantità dell’acido carbonico che dai segmenti luminosi di ognuno di questi insetti si svolge in un dato tempo, che non può il calore che ne è sviluppato, accumularvisi: e la citata fosforescenza del legno e molti altri fatti di emissioni di luce, le quali accompagnano cangiamenti chimici, e che credo inutile di ricordare, provano con tutta l’evidenza che può ben esservi emissione di luce, senza sensibile aumento di calore. Quest’ultimo vuol essere accumulato per apparire ai nostri istrumenti. È così che ci siamo dati ragione della mancanza di calore negli animali così detti a sangue freddo.

Se sono entrato in molte particolarità sulla fosforescenza delle lucciole l’ho fatto perchè non aveva da intrattenermi che di volo sugli altri casi di fosforescenza animale.

È noto vedersi nel mare di notte tempo grandi estensioni luminose, e questo fatto attribuito una volta allo sbattimento delle onde, all’elettricità, ai gas fosforati svolti [p. 114 modifica] nella putrefazione dei molluschi, sembra oggi provato dipendere da un gran numero di animaletti microscopici fosforescenti. Ma nulla si sa delle condizioni fisico-chimiche sotto le quali questi infusori divengono fosforescenti.

È indubitato che i pesci in putrefazione divengono fosforescenti, e potrebbe anche questa cagione produrre in qualche caso qualche fosforescenza nel mare.

Vi sono negli Annali della Medicina racconti ben constatati di fiammelle viste intorno al corpo di certi malati; si è parlato di sudore ai piedi fosforescente ed è curiosa a notarsi l’analogia che vi ha tra l’odore della sostanza fosforescente della lucciola e il sudore ordinario dei piedi.

Tutti questi casi di fosforescenza sono tuttora senza spiegazione.

Raccontano i Botanici che in varie piante l’infiorazione è accompagnata da una fosforescenza. Ma anche questo fenomeno è troppo raro per poter essere convenientemente studiato. Nella infiorazione v’è assorbimento d’ossigene, sviluppo d’acido carbonico, v’è combustione in una parola, ed è perciò che anche molto calore sviluppasi in certi casi d’infiorazione. Forse anche l’accensione alla temperatura ordinaria d’un qualche olio volatile separato dal fiore fosforescente, può esser cagione di questa luce.

Non terminerò senza dirvi della bella osservazione fatta in questi ultimi tempi da Quatrefage sulla fosforescenza degli annelidi e degli ofiuri. Questo distinto Naturalista ha visto col microscopio la fosforescenza di questi animali appartenere alla fibra muscolare, essere intermittente, farsi più viva irritando la fibra e obbligandola a contrarsi, cessare la fosforescenza per un certo tempo, per poi riprodursi, lasciando l’animale in riposo.

Eccovi un punto d’analogia, che non devesi perder di vista. La vita dei muscoli, le sue funzioni, sono accompagnate da sviluppo di calore, di luce, e in tanto questa vita, queste funzioni, sono immediatamente dipendenti dall’agente nervoso.