Esperimento di traduzione dell'Iliade di Omero/Versione del canto terzo

Versione del Canto terzo

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Considerazioni su la traduzione del cenno di Giove Frammenti di traduzione dell'Iliade
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VERSIONE

DEL

CANTO TERZO.


Quando i due campi e i re furono in arme
Scendean dal poggio i Dardani, e a discordi
Gridi feriano com’augei le nubi;
Così le gru, scampate al verno e a nembi.
5Rinfierite in aprii, tendono ai mari
Dell’Oceàn con lungo ordine d’ali
A dar guerra a’ Pigmei; odi per l’alto
Dividersi alle strida orride l’aere.
Ma gli Achei procedean taciti, densi,
10A passi eguali, fieri in vista, e l’uomo
Spirava all’uomo, e raccogliea fidanza.
Com’Austro i gioghi luminosi al monte
Rannuvola di nebbia, amica al ladro
Più della notte, duolsene il pastore,
15Scaglia un sasso, e mal scerne ove si posi;
Così imminenti si correa no incontro
Così buia fra lor per la gran polve

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Del tumulto de’ piè l’aurea pendea.
     Brandian già l’arme, e in prima schiera apparve
20Di divina beltà bello Alessandro.
Gli ondeggiava per gli omeri e dal fianco
Una pelle di pardo, e l’arco e il brando,
E i due torniti giavellotti armati
Di punta ferrea palleggiando, e a prova.
25Chiamando a nome i più gagliardi Achei.
Menelao nel veder come a superbi
Passi Alessandro precorrea le file,
Ebbe il cor del Leon che alla sua fame
Trova opportuno un gran corpo di belva;
30O cervo, o capra d’alpe, e la divora;
La divora, benchè oda urli, e accorrenti
Veltri, e furor di giovani, si allegro
D’ira e di speme a rimertar l’iniquo,
Balzò armato di subito dal carro
35A terra; e i Greci oltre passando, agli occhi
Fu d’Alessandro che gelò, e s accolse
A riparo fra suoi. Così fa l’uomo
Se adocchia il drago: arretrasi, e su balzi
Corre; i piè gli vacillano, e d’intorno
40Guata col viso freddo di pallore:
Tanto al venir dell’ospite tradito
Paride tramutossi, e si fe’ siepe.
De’ baldanzosi Dardani. Sovr’esso
Ettore gli occhi fulminò, e proruppe:
     45Ahi sciagurato Paride, famosa

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Beltà di drudo, cacciator di donne,
Nato non fossi mai, fossi sepolto
Senz’imenei, che or non sarem’ confusi.
Nel vituperio tuo, tu non saresti
50La novella del mondo! odi gli Achei?
Ridon di te, che alla presenza e all’arme
Ti presumeano, e al sovrumano aspetto,
Guerriero insigne; e non hai cor, nè sangue.
E sì vile, adunar navi e seguaci
55Potevi tu? misurar mari e genti
Tentar straniere? e fin dall’Apia terra
Predar la sposa a bellicosi Eroi?
Pensi che angoscie al padre tuo; che danni
A’ cittadini e alla città; che gioia
60Doni a’ nemici? e a te quanta vergogna!
Chè non t’accosti a Menelao? saprai
Di chi usurpi la moglie: e non la cetra
Ti gioveria, nè quelle ciocche e il viso,
Nè Venere e i suoi doni, ove la polve
65Ti contamini in campo. Oh, se i Troiani
Fosser men sofferenti! io ti vedrei
Vestito di una grandine di sassi,
E pagato oggimai d’ogni lor lutto.
Giuste, nè più del merto odo rampogne,
70Disse Alessandro. Tu se’ ferrea scure,
Che a far le navi indomita le querce
Fende, ed irrita l’impeto del fabbro.

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Pur nè ad infamia appor mi dei, se d’altre
Grazie l’amabil Venere mi adorna;
75Chè a grado degli Dei piovono i doni.
Chi può sdegnarli? nè chi vuol gl’impetra.
Ben, come imponi, io pugnerò; ma inermi
Posin Teucri ed Argivi. A me la cara
Donna e gli averi, quanti in Ilio addusse.
80A petto a petto Menelao contenda,
E sian del vincitor moglie e corredo.
Voi con l’ostie su l’ara indi la pace
Santificate; e liberi le amene
Piagge d’Ilio godrete; essi n’andranno
85A riveder le belle donne in Argo,
     Rasserenossi Ettore; e fra’ due campi
Precorse, e stretto a mezza l’asta il pugno,
Sostava i suoi: parean campo di biade
Qualor comincia a riposarsi il vento:
90E al suo cimier correan sassi di fionde,
Stridean saette. Or, non ferite, Argivi,
Gridò eminente Agamennon dal carro;
Figli de’ Greci riposate gli archi;
Par che dirne parole Ettore accenni.
95Quetaron muti, e fra’ due campi Ettore,
Teucri udite, esclamò, Danai m’udite:
Paride, ond’arse fra di voi la guerra,
Propone tregua all’armi vostre, e appella
L’Atride Menelao seco a duello;

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100Finchè il domato al domator conceda
L’Achea regina, e i suoi regali averi;
Poscia sull’ostie comporrem la pace.
Tacque; e alle turbe attonite, occupate
D’alto silenzio, rispondea la voce
105Di Menelao: Or me pur anche udite,
Me cui più tocca la sciagura. È tempo
Che pace abbiate, o popoli, alle stragi
Per me dannati, e suscitolle iniquo
Paride. Adunque oggi la morte e i fati
110Chiamino, e scenda un di noi due sotterra.
Poi vi partite, e vi divida il mare.
Bianco al Sole un agnel, negra alla Terra,
Troi, recate una pecora; e il Tonante
L’avrà da noi. Venga Re Priamo: ed esso,
115Quand’ha perfidi figli, esso prometta,
Onde non altri a posta sua rinieghi
I sacramenti a Dio. Vuole e disvuole
La gioventù, ma l’uom che pieno è d’anni
Guarda al jeri e al domani, e fra’mortali
120Arbitro onesto le discordie appiana.
     Pari esultò ne’ popoli la speme
Di veder fine a’ sanguinosi giorni:
Scendono i prenci dalle bighe: e vedi
Ruote e destrieri in lunga fila immoti:
125Sgravasi ogn’uom dell’armatura, e a piedi
Se la depone: seggono a rimpetto

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L’un oste e l’altra: e poco suol le parte.
Ettore al padre accelera l’invito
Con un araldo, ed un che narri a Troia
130La tregua, e riedan co’ votivi agnelli;
Per l’agnello al Tonante, il re de Greci
Avvia Taltibio, e quei vola alle navi.
     E annunziatrice ad Elena scendea
Iride in volto della sua cognata
135Laodicea, bellissima fra tutte
Figlie di Priamo, e al prence Elicaone
D’Antenore figliuol, florida sposa.
Nelle sue stanze la trovò che assisa
Ampia una tela ordia, doppia raggiante,
140A varie fila istoriando i lunghi
Anni, e i travagli, onde per lei fra l’armi
Greci e Teucri gemean sotto le mani
Dolorose di Marte. Or vien, le disse,
Vien, cara ninfa, e ti saranno i campi
145Mirabil vista. Invan pur dianzi armati
Fra Troia e il mare, e ardevano a svenarsi:
Or posan queti su gli scudi, or tutti
Han piantate le lunghe aste sul prato,
Senz’elmo tutti, e l’altre armi sull’erba.
150Sol Menelao per te, solo Alessandro
Proveran l’aste; e tu sarai chiamata
La moglie cara al vincitor felice.
     In quegli accenti della Dea, pietoso

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Riparlava un desìo d’Elena al core,
155Che al perduto marito, ed a’ congiunti
La richiamava, e alla città paterna.
Ombrò di veli candidi il bel volto,
E le grondò una lagrima dagli occhi,
E uscia: nè sola abbandonò le spoglie.
160Etra di Pitteo la segui, e Climene
Dalle grandi pupille. In poco d’ora
Furo alle porte Scee presso alla torre.
Quivi i custodi delle leggi antichi
Esso Priamo e Pantoo, Lampo e Timete;
165E Clizio, e Icetaon, sangue d’Eroi;
E Ucalegonte e Antenore, due savi,
Sedean; gravi d’età, queti dall’armi,
Ma indefessi orator; così fra l’ombre
Le cicale su gli alti alberi assise
170Fanno alla selva udir voci perenni.
All’apparir della regina, i vecchi
Tendean gli sguardi, e discorrean sommessi:
No; indegnamente in tanti guai non piange
E Grecia ed Ilio per costei. che donna
175Non sembra; in vero è tutta Dea! ma parta,
Ma, celeste ch’ella sia, si parta
Con le navi de’ suoi, ch’ella non resti
Qui a noi funesta, e a’ figli nostri un giorno.
Diceano; e Priamo a lei: Vieni, t’appressa.
180Elena, figlia mia, siedimi a lato.

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Non da te, no; ma dagli Dei sopporto
Di questa guerra i lutti. Or fa ch’io t’oda
Quel Greco altero nominarmi. Ei d’altri
Sorge men alto alla statura, e insieme
185Imperïoso fra gli Achei grandeggia:
Tanta beltà di preminente aspetto
Io mai non vidi; al certo è d’uom che regna.
     O sacro a me, suocero mio, rispose
Quella divina fra le donne, amato
190E temuto da me! così alla morte
Anzi che al figlio tuo fossi piaciuta;
Nè qui approdata mai, quando una cara
Figlia, e fratelli, e il marital mio letto,
E le compagne mie meco cresciute
195Lasciai! ma vivo; e mi dileguo in pianto.
Poi ripigliò: Quel di chi parli è Atride,
Ottimo re, forte guerrier, cognato
Mio, se pur fu, di me impudica. E tacque.
     E il re canuto contemplando il campo,
200Te beato, esclamò, nato, educato
Col favor degli Dei, figlio d’Atreo,
Che a tanti forti della Grecia imperi!
Fui già in Frigia, e pugnai; varie, infinite
Di Migdonio e d’Otreo vidi le schiere;
205Fanti a mille e destrier, carri ed aurighi
Ombrato avean di padiglioni entrambe
Le lunghe rive del Sangario, a’ tempi
Che le Ammazzoni maschie eran discese

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A disertar la terra; ed io v’accorsi
210Alleato de’ Frigi. Erano pochi
Verso de’ tanti che or mi stanno al guardo.
     E fra ’l parlar nominò a dito Ulisse:
Colui chi è? Ben della testa il passa
Agamennòn; ma più prestante appare
215A’ larghi omeri e al petto: ha l’armi a terra;
Va come ariete fra le squadre: invero
Parmi velloso ariete, maestro,
Di densi branchi; e com’ei fa, le agnelle
Tacite fanno. Ed Elena: Tu vedi
220Di Laerte l’erede, in grembo a’ scoglio
D’Itaca nato, e d’aspre genti allievo;
Ma di tal mente, che gli aguati e l’arti
Tutte, e i consigli, e trame ignote aduna.
Levò la fronte Antenore, e a que’ detti,
225Soggiunse: O donna, tu di’ il ver d’Ulisse!
Quand’ei per te con Menelao qui venne
Oratore, io gli accolsi ospite onesto
Nelle mie case, e d’ambeduo l’ingegno
E il costume esplorai. Standosi ritti,
230Maggior decoro a Menelao veniva
Dall’alte membra; e non sì tosto assisi,
Più dignitoso s’affacciava Ulisse.
Se fra gl’Iliaci prenci ivan tessendo
Eloquenti consigli, era l’Atride
235Dicitore spedito, ilare, schietto,
E benchè minor d’anni, esso nè molte

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Spendea parole, nè gli usciano in fallo.
Quindi sorgea quell’Itacense, e stava
Da pria con gli occhi attoniti alla terra
240Tacito; nè facea gesto di scettro
Innanzi o indietro, e lo impugnava immoto,
Come il rustico suole; e tu il credevi
Bizzarro d’ira che vaneggi e adombri;
Ma al primo suon onde la voce a un tratto
245Gli scoppiava dal petto; e alle sentenze
Che succedeano a vortici di neve,
Chi più stavagli a fronte? a chi l’udiva
Strano il sembiante non parea d’Ulisse.
     Ma e lui, che il capo e gli omeri eminente
250Tien sovra i Greci, e non fa passo, e guarda,
Chiese ad Elena il re, di’ come il nomi?
     Rispose: Padre, quel sì alto è Aiace,
Scudo al popolo Acheo. L’altro che tanti
Cretensi duci a sè d’intorno aduna,
255Nume il diresti, è Idomeneo. Sovente
A noi giunse da Creta, e Menelao
Gli dava ospizio i nostri tetti. Io veggio
Molti guerrier de’ quai rimembro il volto,
Rimembro i numi; soli due non veggio.
260Io miro invan per Castore divino
Domator di cavalli; e ov’è Polluce
Pugillator divino? E pur fratelli
Son miei, son figli della madre mia.
Or che ogni eroe qui pugna, amano i lieti

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265Campi di Sparta? o son qui forse, occulti
Nelle lor navi, vergognando afflitti
Dell’ignominia mia? così dicendo
Gemea: quei già posavano in eterno
Sonno raccolti dalla patria terra.
270E per le vie di Troia ivan gli araldi,
Con gli agnelli e un capace otre di capra
Colmo del vino onde a mortali è lieta
Donatrice la terra. Ideo tenendo
D’oro le tazze, e fulgido il cratere,
275S’offerse a Priamo: Sorgi. o del divino
Laomedonte venerando figlio,
Te, disse, d’llio, e te desiano d’Argo
I condottier. Consacrerai tu il patto
Che il tuo figlio Alessandro e Menelao,
280Facciano a corpo a corpo assalto d’aste.
E la regina, e i suoi regali averi
Seguano i vincitor. Poi su l’altare
Svenerem sangue a rintegrar la pace.
Irân gli Achivi a riveder le mogli,
285E noi coltiveremo Ilio securi.
     Rabbrividì il canuto: indi a’ seguaci,
Or m’aggiogate i palafreni al cocchio,
Disse; e quei fero come lor fu imposto.
Occupò il cocchio, e a sè raccolse i freni:
290Salì Antenore seco, e la pianura
Fuor delle porte Scee diero a cavalli.

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Giunti presso a’ guerrier, scesero a terra;
E camminando lungo il calle angusto
Che i due campi partìa, vennero a’ duci.
295Incontanente Agamennòn rizzossi,
Rizzossi Ulisse; e in vestimenti insigni
Gli araldi il rito disponean, porgendo
Chi l’auree tazze, e chi attingendo il vino
Dal cratere solenne; altri versavano
300Sovra le mani ai regi onda di fonte.
Snudò un coltello Agamennòn, che all’elsa
Sempre affilato gli pendea dal brando,
E un bioccolo di lana alle tre teste
Rase agli agnelli, e porsela agli araldi;
305Quei la partìano ai re d’Argo e di Troia,
Mentr’ei stando nel mezzo, e sollevando
Le palme al cielo, a voce alta pregava:
     Giove massimo eterno; e tu che d’alto
Tutto rimiri e tutto intendi, o Sole;
310O fiumi, o terra, o Deità, che i morti
Moderate sotterra, e lo spergiuro
Punite: io voi miei testimoni invoco
Tutti; e custodi e vindici del patto.
Se Menelao morrà sotto Alessandro,
315Elena resti e il suo corredo a Troia;
E in Grecia io ritrarrò le navi e l’armi.
Se sotto Menelao more Alessandro,
Troia a noi renda ed Elena e il corredo,
E quanto è giusto pagherà un’ammenda,

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320Memoria a’ figli, e de’nipoti a’ figli.
E se i fratelli e il Re, morto Alessandro,
Mi disdiran l’ammenda, io per l’ammenda
Guerra guerreggierò fino all’estremo.
Disse; e mortale insanguinò il coltello
325Nelle fauci agli agnelli, e li depose
Palpitanti ed esanimi sul prato.
E il vin sovr’esso, attinto dal cratere
Cosparsero. Comuni eran le preci
E il voto a’ Numi; ed or Troiani. or Greci,
330Dei Santi, eterne Dee, Giove Tonante!
Dicean: Così com’oggi scorre il vino,
Scorra, e le glebe insanguini il cervello
D’essi che primi a profanar la tregua
Toccheran l’armi; e d’essi e de’ lor figli;
335E le lor mogli sieno mogli altrui.
Ma i voti ancor non assentiva Iddio.
Priamo la voce sollevò, e, m’udite,
Disse, Teucri ed Achei. Riedo a’ miei tetti;
Ch’io no ’l vedrò; non sosterrei con gli occhi
340Del bellicoso Menelao l’assalto,
E d’un diletto figliuol mio. Pur troppo
Sta nella mente degli Dei quell’uno
Ch’oggi è promesso a morte. E più non disse
E si mosse; e parea nume che parte.
345E come pria sul carro ebbe riposte
L’ostie immolate il santo re vi ascese,

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E Antenore al suo lato; e stretti i freni,
E incalzati i destrieri, iva sorgendo
Più vicina a’ lor occhi Ilio ventosa.
     350Ettore allor per l’imminente pugna
Misurò il suolo con Ulisse, e occulte
Dentr’un elmo agitavano due sorti,
Chi avria scagliato primo l’asta, e intanto
Tendean le braccia e oravano le turbe:
355Deh! Signor d’ogni Iddio, re della terra,
Folgorator dall’Ida! oggi ti piaccia
Precipitar un di que’ due nell’orco,
Che primo il sangue provocò. Tu a noi
Rendi amistà; tu fa la pace eterna,
360Mentre qua degli Achei, là de Troiani
Mormorava il pregar, l’elmo profondo
Forte Ettore scotea guardando indietro,
E balzò al suol di Paride la sorte.
Ogni Eroe si tornò presso al suo cocchio
365E a’ suoi destrier; fra’ suoi compagni ogni uomo
S’assise ove giacean l’armi diverse
Mentre d’Elena bella il bel marito
Alessandro, vestia splendido l’armi.
     Pria gli schinieri, da raggiant: argentee
370Fibbie costretti, circondò alle gambe;
Eragli adatto, e si precinse al petto
Di Licaone fratel suo l’usbergo,
E stellato d’argento aspro di borchie

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Sospese un brando ad armacollo; e un ampio
375Scudo compatto all’omero s’impose:
Diè alla sua fronte un elmo opra dell’arte;
Pioven dattorno giube di destrieri,
Minacciosa guizzava alta la cresta.
Alfin robusta agevole al suo braccio
380Brandì l’asta, e si mosse. E non d’altr’armi
Fra prenci Argivi Menelao s’armava.
     Per meraviglia e per terror le genti
Tacean, mentr’essi al misurato piano
Soli apparian. Ristettero a rincontro
385Avventando un su l’altro ira dagli occhi,
Crollando l’aste e Paride primiero
La saettò. Diè nello scudo, e il doppio
Scudo del Greco rintuonò, e mandolla
Col ferro torto su la sabbia. Il colpo
390Drizzò quindi l’Atride, ed adorando,
Dammi esangue Alessandro, e dell’insulto
Dammi, dicea, vendetta, onde chi vive,
Chi nascerà, ne tremi; onde veruno
Mai più d’infamia non rimerti i doni,
395O Giove, e il letto all’ospite cortese,
O padre. — E l’asta gli volò di pugno
Diritta, intensa: traforò il brocchiero,
Smagliò l’usbergo, e s’immergea funesta
Sotto la costa a Paride: Ei protese
400Lo scudo e il braccio, e fe’ del corpo un arco,

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E alla morte fuggì. Snudò e calcava
L’Atride il brando a Paride su l’elmo:
Stride il ferro e si stritola, e in tre e quattro
Pezzi gli esce di mano. Urlò con gli occhi
405Alti alle nubi Menelao gridando:
Ahi più d’ogni altro Iddio, Giove sinistro!
Io da te giusta mi sperai vendetta,
E la vita del perfido; e tu il campi:
Falsa fu l’asta; il ferro mi si spezza,
410Dicea; precipitavasi; e afferrando
Il cimiero al Troiano, elmo e criniera,
Lo strascinava; e per trionfo eterno
Lo dava in preda al popolo de’ Greci,
Mentre il cuoio trapunto a fila d’oro,
415Che sotto al mento avea freno dell’elmo,
La molle gola al giovine strozzava.
Non però lenta, o Venere, accorrevi,
Santa figlia di Giove, e appena tocco
Dal dito eterno, fu diviso il cuoio,
420E alla man dell’Eroe vôta correa
La celata, e rotavala, e a compagni,
La scagliò e fu raccolta. Ei con un’asta
Correa al sangue di Paride, ma quella
Che era Dea rapialo di leggieri
425In denso aere confuso, e poi che l’ebbe
Fra’ profumi del talamo e su i molli
Bei tappeti adagiato, essa la Diva

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Per Elena n’andò: poggiò alla torre
Eccelsa ov’era di Dardanie donne
430Molta adunanza, ed Elena nel mezzo.
Le tentò il lembo (e il peplo odorò l’aure)
Venere d’una mano, e come fosse
La filatrice delle lane antica,
Che molto a Sparta oprato avea leggiadri
435Manti di lane alla regina, e in Ilio
La seguiva amorosa, aspra di rughe
La Dea pareva, e susurrava: Or vieni;
Alessandro è nel talamo, e t’aspetta;
Vedrai fiorirgli di bellezza il viso,
440Fiorir le vesti, e non dirai ch’ei torni
D’una battaglia; ben dirai che al ballo
S’accinge, o siede a respirar dal ballo.
     Ogni parola ad Elena piovea
Nel secreto del cor: poi quando a lei
445Il roseo collo della Dea rifulse,
E la spirante voluttà dal petto
Vide, e il foco raggiar dalle pupille,
La guardò impaurita, e le si dolse:
Funesta Dea, mi sedurrai te sempre!
450Che sai più farmi? strascinarmi in altre
Città di Frigia o di Meonia a un nuovo
Amico tuo? o Paride fu vinto,
E tu all’insidie torni, onde alle case
Io, trista! io maî di Menelao non torni?

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455Va tu, se l’ami, a Paride, e per lui
Vivi, per lui dimentica l’Olimpo,
Nè più attentarti di toccar co’ piedi
Le vie de’ Numi; presso a lui ti pasci
Giorno e notte di spasimi, e tel serba
460Fin ch’ei ti nomi sua consorte e ancella;
Ch’io non v’andrò; non io quando il suo letto
Più indegnamente abbellirei, vedrei
Più amaro il ghigno delle Iliache donne:
E piena ho già l’anima mia di pianto.
     465Arse la Diva; e oh misera, le disse,
Guai se in ira mi cadi, e ti rimani
Desolata da me. Quanto io t’amai
T’abborrirò, t’inseguirò: sì atroci
Fra Sparta ed Ilio attizzerò i rancori
470Che perirai da sciagurata. Udiva,
Tremava la mortal figlia di Giove:
Radunò i fluttuanti orli del niveo
Suo peplo, e avvolta e tacita mettea
L’orme su l’orme della Diva, e agli occhi
475Delle Troadi svanì. Giunte all’ostello
Marmoreo d’Alessandro, all’opre usate
S’appartaron le ancelle; e la regina
Bellissima, alle stanze alte ascendendo,
Sul limitar del talamo s’offerse.
480Gioiosa, di sua man, Venere un seggio
Trasse, e a rincontro a Paride il depose;

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Ed Elena s’assise: e le pupille
A sè raccolte, il trafiggea di motti.
     Torni sì ratto a me dal campo? oh fossi
485Quivi giaciuto, e il signor mio possente
A chi m’hai tolta, sì t’avesse ucciso!
Pur chi dianzi t’udiva, eri tu il forte
Tu d’asta, tu di man, tu di prodezze
Più del guerriero Menelao. Ritenta
490Quel guerrier Menelao; scendi e l’invita
Teco a pugnar. Se credi a me, t’accheta,
Non avventarti alle battaglie, e fuggi,
Fuggi da Menelao che non ti sveni.
     Non più, diss’ei, non accorarmi, o donna,
495De’ tuoi dispregi. Or Pallade e l’Atride
M’han vinto. Anch’io veggio presenti i Numi,
E il vincerò quando che sia. Deh sorgi
Pace farem dolcissima abbracciati.
Ardemi amore or più che mai; nè quando
500Predaiti a Sparta, e veleggiando i mari,
Di Cranae t’approdai nell’isoletta,
Quel primo dì ch’io delle tue bellezze
Fui lieto alfin, non mi struggea sì fiero
Nè sì caro il desio che m’innamora.
     505Ei salì primo a’ molli strati, ed ella
Seguialo; e il sonno li sopìa congiunti
     Ma come belva Menelao vagava
Qua e là per entro le turbe nemiche,
Se adocchiasse Alessandro, e a’ federati

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510Spia ne chiedeva, e a’ Dardani e a’ Troiani
Nè mai verun gliel’additò; nè occulto
Per amistà l’avrian, quando a una guisa
Paride e l’orco erano esosi a tutti.
     Videro allor approssimarsi il grande
515Re de’Greci, intimando: Odan le genti
Teucre e Dardanie e collegato a Troia.
Or la vittoria per l’Eroe di Sparta
È manifesta. Rieda a lui con tutto
Il tesor degli arredi Elena Argiva;
520Tributate agli Achei giusta un’ammenda
Che sia memoria a’ popoli futuri.
Disse; e fremeva degli Achei l’assenso.