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Riparlava un desìo d’Elena al core,
155Che al perduto marito, ed a’ congiunti
La richiamava, e alla città paterna.
Ombrò di veli candidi il bel volto,
E le grondò una lagrima dagli occhi,
E uscia: nè sola abbandonò le spoglie.
160Etra di Pitteo la segui, e Climene
Dalle grandi pupille. In poco d’ora
Furo alle porte Scee presso alla torre.
Quivi i custodi delle leggi antichi
Esso Priamo e Pantoo, Lampo e Timete;
165E Clizio, e Icetaon, sangue d’Eroi;
E Ucalegonte e Antenore, due savi,
Sedean; gravi d’età, queti dall’armi,
Ma indefessi orator; così fra l’ombre
Le cicale su gli alti alberi assise
170Fanno alla selva udir voci perenni.
All’apparir della regina, i vecchi
Tendean gli sguardi, e discorrean sommessi:
No; indegnamente in tanti guai non piange
E Grecia ed Ilio per costei. che donna
175Non sembra; in vero è tutta Dea! ma parta,
Ma, celeste ch’ella sia, si parta
Con le navi de’ suoi, ch’ella non resti
Qui a noi funesta, e a’ figli nostri un giorno.
Diceano; e Priamo a lei: Vieni, t’appressa.
180Elena, figlia mia, siedimi a lato.