Elementi di economia pubblica/Parte quarta/Capitolo VII
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Cap. VII. – teoria del cambio.
37. Abbiamo veduto che sia interesse del danaro, e che il vero interesse è l’anno frutto, ossia riproduzione, della terra; dunque nella nozione dell’interesse entra necessariamente la considerazione del tempo. Quel danaro, che è un pegno del valore nella mano del proprietario, potrebbe col tempo produrre un nuovo valore, non per sè stesso, ma come indicante ed equivalente una porzione di terra: dunque l’interesse del danaro è l’interesse, ossia l’utile, del tempo. Il cambio, ossia un valore ceduto in un luogo per avere un equivalente nell’altro, ha il suo interesse specifico e particolare; così l’interesse del cambio sarà l’utile del luogo. Da questa sola considerazione bene sviluppata nasce la teoria del cambio. È superfluo il qui osservare il significato generale della parola cambio: ognuno lo intende. Parimenti abbiamo veduto nell’Introduzione di questa Quarta Parte l’origine del cambio strettamente detto, della quale origine la definizione è manifesta. Esso è nato dalla promiscuità dei commerci, per cui in due o più diversi distanti luoghi vi erano a vicenda promiscui e reciproci debiti e crediti. Eranvi, per esempio, nel luogo A alcuni debitori al luogo B, ed alcuni creditori dello stesso luogo B; parimenti, nel luogo B, alcuni debitori al luogo A, ed alcuni creditori dello stesso luogo A. Supposti eguali questi debiti e crediti reciproci, cioè che tanta somma sia dovuta da A in B, e da alcuni di A, quanta alcuni altri dello stesso A debbano ricevere da alcuni di B; invece che i debitori di A a B andassero in B a pagare il debito e vi trasportassero il reale dovuto valore, e i creditori di A da B ricevessero un equivalente valore dai debitori loro di B, e parimenti i debitori di B andassero a portare il valore in A, e facessero i creditori venire in B il valore dovuto, si è molto facilmente dai creditori immaginato di cambiare i debitori rispettivi, e dai debitori convenuto di scambiarsi i creditori; così i creditori di A da B, invece di farsi pagare dai primi e veri loro debitori di B, si sono fatti pagare dai debitori di A che dovevano a quelli di B, e i creditori di B da A si sono fatti pagare dai debitori di B che dovevano ad A. Questa è la natura del cambio, cioè una compensazione di pagamenti fatti in un luogo, in grazia della reciproca compensazione dei crediti e debiti fra due diversi e distanti luoghi. Ma non sarebbe possibile il verificare questo contratto, che si fa senza sborso o trasporto del reale valore dovuto tra persone che sono distanti tra di loro e in tempi differenti, se non vi fosse un’autorità pubblica che garantisse e proteggesse la fede di questi contratti, ed un segno credibile e riconosciuto dalle parti interessate onde contestare il contratto seguito. Dunque questa sorta di compensazione, che chiamasi cambio, si farà per mezzo d’una lettera o d’una cedola, la quale colle formalità riconosciute dalle leggi dia il diritto al presentatore di quella, cioè al creditore sostituito, di farsi pagare dal sostituito debitore. Ambrogio Milanese è creditore di cento zecchini da Giorgio di Genova; Carlo Milanese è debitore a Giovanni Battista di Genova di altri cento zecchini. Quando questo contratto fosse noto a queste quattro persone, invece di far la doppia dispendiosa operazione, per la quale Giorgio mandi ad Ambrogio i cento zecchini a Milano, e Carlo mandi a Giovanni Battista i suoi cento a Genova, è naturale che convengano che Carlo paghi a Milano cento zecchini ad Ambrogio, dal quale ritirandone la ricevuta, Ambrogio trasporterà in Carlo le sue ragioni verso Giorgio per mezzo di questa stessa ricevuta; e Carlo rimetterà al suo creditore Giovanni Battista, col rimettere questa ricevuta medesima, le sue cedute ragioni, colle quali quest’ultimo si potrà far pagare da Giorgio in Genova stessa del credito dovutogli da Milano. Ecco in che consiste il cambio originariamente. Ma non è necessario che vi siano sempre quattro persone: basta che ve ne siano tre; non è necessario che vi siano due debiti e due crediti anteriori; basta un credito o un debito solo, anzi basta la pura credibilità reciproca sulla fede dei commercianti. Neppure è necessario, che le persone che immediatamente fanno il contratto di cambio, siano immediatamente debitrici e creditrici a vicenda: mi spiego. Ambrogio debbe aver da Genova zecchini cento da Giorgio; basta ciò perchè segna il cambio, se vi sia un Carlo qualunque il quale in Milano nè debba ricevere nè dare, ma che abbia bisogno di spendere, sia personalmente sia per mezzo di altri in Genova, cento zecchini. Che farà egli? Egli porterà cento zecchini a questo Ambrogio, e ritirerà da lui un viglietto di cento zecchini, col quale cede a Carlo il suo credito verso Giorgio, oppure ordina a Giorgio di pagare a Carlo i cento zecchini; e Carlo, sia personalmente presentando il viglietto, sia cedendo autenticamente ad altri il medesimo viglietto, farà sborsare da Giorgio di Genova questi cento zecchini. Figuriamoci che Ambrogio non sia realmente creditore di Giorgio, ma che invece siavi fra di loro fiducia, corrispondenza o certezza, onde farsi a vicenda creditori e debitori quando il vogliano; tanto sarà lo stesso; e Giorgio sborserà sulla presentazione del viglietto o della lettera d’Ambrogio li cento zecchini a Carlo, o a chi Carlo, per mezzo d’una sua firma o della cessione del viglietto, avrà ceduto quest’ordine d’Ambrogio.
38. Da qui si vede manifestamente che la sostanza del cambio consiste in due pagamenti che si compensano, uno fatto nel luogo dove si ritira la lettera di cambio, l’altro nel luogo dove si esibisce per ricambiarla in danaro; e che fra questi due luoghi vi può intervenire qualunque numero di persone intermedie, anzi molti luoghi intemedj, dove senza nissun reale pagamento si vadano successivamente trasportando il primo credito e debito originario ed anche diverse lettere di cambio, cambiata l’una per l’altra, potendovi essere due negozianti che siano in corrispondenza di un credito in un terzo, senza avere corrispondenza alcuna tra di loro. In secondo luogo, essere necessario al cambio il reciproco commercio di merci ed anche di danaro, perchè per la comunicazione reciproca dei commercianti dei diversi luoghi, compensati che saranno i debiti e i crediti nel prender le lettere di cambio e nell’esibirle, non potrà continuare il cambio, se dal luogo debitore non si trasporti reale ed effettivo danaro al luogo creditore, oppure dal luogo che vuol essere creditore non si trasporti effettivo danaro al luogo che accetta d’essere debitore.
39. Ecco spiegata sufficientemente la natura di questo contratto, ma non ne ho ancora spiegato tutti i misteri. Abbiamo detto che debbono intervenire nel contratto due pagamenti che si compensino. Ma due cose che si compensino debbono essere al pari tra di loro, cioè vi debb’essere parità ed equivalenza in questi pagamenti. In che consiste questa parità ed equivalenza? Nel ben intendere questa parità consiste tutto il mistero del cambio. Due sorta di parità si danno nell’economia degli affari umani, la parità reale, fisica e sensibile delle cose che si paragonano, e la parità di stima e di valutazione tra le cose parimenti paragonate: chiameremo l’una pari reale, l’altra pari politico. Nel cambio, dunque, che consiste in due pagamenti che si compensano, e che non si compenserebbero se non fossero paragonati tra di loro, vi saranno due sorta di parità, la parità fisica, ossia il pari reale, e la parità di stima, ossia il pari politico. Il pari reale consiste in eguaglianza di quantità e similitudine di qualità: tanta quantità d’oro fino per altrettanta quantità di oro egualmente fino, qualunque sia la figura e la forma esteriore che a quest’oro si voglia dare. Lo stesso dicasi dell’argento. Se nelle nazioni commercianti non vi fosse che una sola specie di metalli, solo oro o solo argento, cento once d’argento pagate in un luogo darebbero il diritto di avere le stesse cento once d’argento in un altro per mezzo del cambio, prescindendo dalle circostanze attuali del contratto. Se quello che paga le cento once d’argento a Milano, lo fa perchè ha più bisogno di ricevere questa cento once d’argento in Genova, dì quello che colui che le riceve in Milano abbia bisogno di ricevere questo valore, può darsi che paghi in Milano due once di più questo bisogno che ha in Genova, onde pagherà cento due per ricevere cento: ma questa è una circostanza dei contrattanti, non dipende dalla natura e parità del cambio. Parimenti se tra le nazioni commercianti corra la stessa proporzione tra oro ed argento, la parità del cambio sarebbe sempre reale, perchè cento once pagate in Milano sarebbero, prescindendo sempre dalle circostanze dei contrattanti, compensate col pagare in Genova mille e quattrocento once d’argento, quando la proporzione fosse egualmente a Milano come a Genova di 1 a 14. Ma che sarà quando la proporzione tra le nazioni commercianti fosse, come è assai sovente, diversa? Quando a Milano la proporzione tra l’oro e l’argento fosse come 1 a 14, ed a Genova come 1 a 15? In questo caso cento once di oro pagate in Milano sarebbero eguali a mille e quattro cento once d’argento, e cento once di oro pagate in Genova sarebbero eguali a mille e cinque cento d’argento. Dunque cento once di oro pagate in Milano non sono stimate egualmente che cento once d’oro pagate in Genova; e mille e quattro cento once di argento pagate in Milano equivalgono a mille cinquecento pagate in Genova. Che penseranno li tre contrattanti in queste circostanze? Colui che riceve un valore a Milano per farne pagare un altro al suo conto in Genova, deve supporre dovere o aver dovuto trasportare a Genova quel valore che egli riceve, e sul quale dà la lettera di cambio; perchè difatti, quantunque dimorante in Milano, egli calcola il pagamento che fa fare, come se egli andasse a pagare in Genova. Ora costui in questo caso vorrebbe portarvi oro piuttosto che argento, perchè in Genova quest’oro vale dippiù che non in Milano. Parimenti, colui che paga in Milano per ricevere in Genova, si deve suppone che invece di prendere la lettera di cambio per Genova v’abbia già trasportato immediatamente il suo danaro: dico immediatamente, perchè le spese del trasporto non debbono qui essere considerate, non influendo esse sul pari del cambio, ma sul prezzo di quello e sul far risolver i contrattanti a far piuttosto che non fare questo contratto, come vedremo più abbasso. Ora, s’egli vi avesse trasportato oro per spender oro, avrebbe avuto un vantaggio, perchè spendendo cento once d’oro in Milano, avrebbe speso il valore di mille e quattro cento once di argento; e spendendole in Genova avrebbe speso il valore di mille e cinque cento. Similmente colui che pagherà a Genova il valore ordinatogli a Milano, considera che se facesse il pagamento che deve fare in Milano (dico che deve fare, perchè sarà sempre una compensazione d’un fondo o valore cedutogli, perchè o doveva prima quel valore, o lo deve dal momento che segue il pagamento che per suo conto si fa in Milano), egli con mille e quattro cento once d’argento pagherebbe un valore di mille e cinque cento in Genova. Quali saranno in questa disparità di mire le altercazioni dei contrattanti? Colui che devo dare la lettera di cambio dice: cento once d’oro in Genova mi vagliono mille e cinque cento d’argento, oppure novantatre ed un terzo di oncia d’oro mi vagliono lo stesso in Genova che qui cento, cioè mille e quattro cento. Colui che fa il pagamento a Milano per ricever lo stesso valore in Genova, dove ha bisogno di cento once di oro o del valore corrispondente in Genova, dice: di mille e quattro cento once di argento in Milano posso farne cento di oro, che portate in Genova mi pagheranno il valore di mille e cinque cento once d’argento. Dice colui che deve pagare in Genova la lettera di cambio di cento once d’oro, ossia del suo valore corrispondente: il valore che io pagherei in Milano è di mille e quattro cento once di argento, mentre qui le pago con mille e cinque cento. Che fare in questa oppozione d’interessi, durante la quale non potrebbe seguire alcun contratto? È necessario che ciascuno rilasci un poco delle sue pretensioni; ma siccome ciascuno cerca di rilasciare meno che sia possibile, così non si potranno accordare se non prendendo un termine di mezzo; cioè colui che paga in Milano, per essere pagato in Genova, si contenterà di pagare in Milano mille e quattro cento cinquanta once d’argento, ovvero novantasei once di oro; e quegli che dà la lettera, si accontenterà di riceverle per mettere in conto del corrispondente di Genova, il quale pagherà le cento once di oro o le mille e cinque cento di argento; nel qual caso chi perde sull’oro guadagna sull’argento; e chi perde sull’argento, guadagna sull’oro. Due piazze corrispondenti hanno un commercio promiscuo di cose, e la concorrenza produce e stabilisce un prezzo comune a queste cose di comune commercio. Ma l’oro è una vera merce che ha il suo prezzo in cose o in argento, e l’argento un’altra vera merce che ha il suo prezzo in oro o in cose. Dunque l’oro avrà il suo prezzo comune tra Milano e Genova, e l’argento avrà il suo. Ma se in Milano la proporzione resta come 1 a 14, e a Genova come 1 a 15, Milano sarà costretto di abbassare il prezzo dell’oro sull’argento, e Genova d’abbassare il prezzo dell’argento sull’oro, finchè s’incontreranno in questo moto contrario. Dunque la proporzione si stabilirà su questa regola, e sarà realmente come 1 a 14. Il pari politico è dunque una compensazione momentanea fra il valore dell’oro e dell’argento, per le reciproche perdite e guadagni che si fanno tra le piazze commercianti attesa la disparità di proporzione, la quale tenderebbe a portar l’oro di Milano in Genova e l’argento di Genova in Milano, come abbiamo veduto nella teoria delle monete.
40. Credo che a sufficienza io abbia spiegato che sia il pari politico nel cambio. Ora questo pari politico, questo pari di meno fra i diversi valori del cambio dell’oro coll’argento, è il punto medio, ossia il livello sul quale si misura il prezzo del cambio. Noi abbiamo detto che è necessario per istabilire il pari politico, di prescindere dalle circostanze attuali dei contrattanti, perchè se colui il quale ha un valore in Milano ha più bisogno di averlo in Genova, egli dovrà pagare questo bisogno; per lo contrario, se quegli che deve pagarlo in Genova per il pagamento da lui fatto in Milano, ha più bisogno di ricever questo valore in Milano di quello che conservarselo in Genova, pagherà egli invece un tal bisogno, e questo prezzo del bisogno sarà il prezzo del cambio, ossia l’interesse del luogo, il quale nel nostro caso sarà determinato dal rapporto dei bisogni dei contratti. Per riguardo a colui che prende la lettera di cambio, se egli paga il bisogno maggiore di avere un valore in Genova piuttosto che un valore in Milano, pagherà dunque al disopra del pari politico; cioè, nel caso nostro, invece di pagar l’oro in ragione di uno a quattordici e mezzo, lo pagherà qualche cosa dippiù, e si dirà avere il cambio al disopra del pari. Se invece l’altro ha un maggior bisogno di ricevere un pagamento in Milano che non quello di esser pagato in Genova, egli riceverà l’oro al disotto del pari politico; cioè, nel caso nostro, per lo stesso oro gli sarà dato un poco meno che in ragione di uno a quattordici e mezzo, e si dirà per lui essere il cambio al disotto del pari. Se i bisogni sono eguali, pagherà e sarà pagato coll’esatta parità, ossia proporzione tra le diverse proporzioni correnti, e si dirà che il cambio è al pari.
41. Ma essendo le piazze commercianti in promiscua corrispondenza tra di loro, le circostanze dei particolari contrattanti, ossiano i loro bisogni particolari restano modificati da tutto il resto dei bisogni degli altri rispettivi contrattanti delle due piazze. Si stabilirà dunque una concorrenza, e si farà un prezzo comune, in vigore del quale contrapponendosi e compensandosi questi bisogni finchè possono esserlo, da quella parte dove sarà l’eccesso del bisogno si dovrà finalmente pagare un prezzo proporzionale all’eccesso di questo bisogno, e questo prezzo di tutto questo eccesso di bisogno si ripartirà su tutti i cambj che si fanno nelle dette piazze commercianti; onde quella piazza che ha dal suo canto un eccesso di bisogno di pagare dei valori nell’altra, pagherà questo prezzo così ripartito, e invece di pagare in ragione di 1 a 14 pagherà qualche cosa di più, ed il cambio sarà per lei al disopra del pari; e quando sarà pagata, riceverà meno di 1 a 14, il che è lo stesso, e quella nazione che farà così con questa di cui parliamo e della quale diciamo avere il cambio al disopra del pari, lo avrà al disotto riguardo a questa. Ma quali sono quelle nazioni che hanno questo eccesso di bisogno, le une sopra le altre? Sarà quella nazione che andrà debitrice all’altra in grazia dei reciproci commerci, cioè quella la quale, dopo compensati i debiti coi crediti, rimane ancora debitrice di una somma a questa nazione. Se ella non vi trasporta il suo danaro, non potrà continuare ad avere commercio con quella; dovrebbe dunque fare un reale pagamento. Ma il trasporto di questo danaro costa una spesa. Se ella adunque trova chi paghi in questa piazza creditrice quelle somme che essa dovrebbe trasportarvi, contentandosi questi di esserne rimborsato nella piazza medesima debitrice, i negozianti debitori, o quelli nei quali si trasfonde questo debito, potranno pagare e dovranno, oltre il rimborso che si farà al pari politico o reale, questo servizio che loro risparmia la spesa di un trasporto. Questo prezzo del cambio al di là del pari sarà alla somma cambiata, come la spesa del trasporto dell’eccesso del debito a tutto questo eccesso. Se dunque Genova fosse debitrice a Milano, colui che paga qui in Milano le 96 e once di oro, che vengono al pari mille e quattro cento cinquanta d’argento nell’arbitraria supposizione da noi fatta, riceverà in Genova qualche cosa di più di queste mille e quattro cento cinquanta once d’argento; onde Genova avrà il cambio con Milano al disopra del pari, oppure Milano avrà il cambio al disotto del pari con Genova; perchè colui che pagasse le mille e quattro cento once a Milano per avere in Genova le 96 e d’oro che sono al pari politico, riceverebbe più di 96 e a Genova, oppure pagherebbe qualche cosa di meno di mille e quattro cento once d’argento a Milano.
42. Un altro principio del prezzo del cambio sarà la provvisione, cioè il prezzo del travaglio e dell’industria dei cambisti, sia di quelli che ricevono il pagamento, come di quelli che lo rimborsano. Se, per esempio, il cambio fosse al disotto del pari, il prezzo o la provvisione può rimettere al pari il valore della lettera di cambio, perchè deve pagare questo prezzo colui che prende la lettera; se è al disopra, questo prezzo diminuirà parimenti il vantaggio di chi fa il pagamento per il debitore.
43. Un terzo principio o elemento del prezzo del cambio sarà la consumazione o la deteriorazione della moneta, la quale non porta più intrinsecamente quella bontà e quel peso che il titolo e l’impronta d’essa promettono. Abbiamo veduto che le monete si alterano in mille guise. Nel cambio si valuta e si ricompensa alla realtà l’errore dell’apparenza.
44. Finalmente un altro opposto principio servirà ad alterare, o piuttosto a sminuire il prezzo del cambio che si paga da chi prende la lettera di cambio; questo è l’interesse del tempo. Chi paga a Milano per ricevere a un mese, a due, a tre il rimborso in Genova, non deve ricever lo stesso come se fosse sul momento rimborsato. Se quel danaro che egli ha fatto pagare in Milano fosse restato in sua mano, avrebbegli potuto fruttare un interesse annuo; dunque proporzionalmente gli sarà computato l’interesse del tempo che tarda ad essere rimborsato.
45. Giova qui avvertire, che chi prende la lettera di cambio, chi la dà e chi la paga non fanno mai questo calcolo, ma quasi sempre confondono i pari con il prezzo e tutti gli elementi componenti questi prezzi. Essi sanno che tanti soldi milanesi cambiansi con tanti soldi di Genova; tengono conto e danno le notizie di tutte le alterazioni del cambio diverse da Milano a Genova, diverse da Milano in Francia, diverse da Milano a Venezia, e ciò chiamasi sapere il corso del cambio e le variazioni di esso. Io non debbo qui trattenermi più a lungo ad invilupparci in questa difficile ed estesa materia, mentre non è del mio istituto lo spiegare la scienza del cambio per l’utilità di un privato negoziante. Ho dunque trascurato a bella posta tutto quell’imbarazzo di termini componenti la lingua del cambio, dietro i quali si nasconde tutto l’artifizio degli attenti cambisti, che dirigono le loro speculazioni in modo di farsi debitori dove il cambio è al disotto del pari, e di farsi creditori dove il cambio è al disopra del pari, perchè così vengono a pagar meno del debito fatto, ed a riscuotere di più del credito che hanno; onde hanno un doppio profitto. Ma questa operazione non può da essi essere eseguita se non hanno i mezzi di avere estesa corrispondenza, e le notizie le più pronte ed esatte delle variazioni e del corso del cambio nelle principali piazze d’Europa, ed una grandissima pratica della bontà intrinseca e del vero e falso valore delle monete, in somma tutte quelle pratiche cognizioni che meglio s’imparano al banco che sui libri, perchè la mente ha sempre sott’occhio la realtà e la esecuzione, la quale non può che confusamente essere sugli scritti che noi leggiamo, anche i più diffusi e chiari, adombrata.
46. Dunque, terminando la teoria del cambio per quel rapporto che esso ha coll’economia politica, diremo che il cambio è di una grandissima utilità, perchè aumenta la circolazione, la facilità e la molteplicità di contratti, per i quali contratti moltiplici si dà tutto il possibile valore alle produzioni del suolo e alle opere dell’industria; e anima la concorrenza, la quale equilibra tutti i profitti in maniera, che ciascuno vende il più caro che sia possibile, e compra al più buon mercato che possibile pur sia. Esso è adunque sterile di sua natura, e non è un commercio attivo, ma una delle principali molle che spingono la circolazione. Diremo in secondo luogo che dal cambio si può conoscere, se una nazione somministri ad un’altra più danaro di quel che ne riceva, o viceversa, e come dicesi meno propriamente, se faccia commercio passivo o attivo ec. (dico meno propriamente, perchè se fa commercio passivo di denaro con una nazione, lo fa attivo di mercanzia); perchè se il cambio di questa nazione sarà cambio di una nazione debitrice, sarà al di sopra del pari; se sarà cambio di nazione creditrice, sarà al di sotto del pari. Ma facendosi molte volte il cambio per mezzo di piazze intermedie, qualche piazza intermedia può essere creditrice della nazione creditrice per rispetto all’altra, o debitrice della debitrice. Bisognerà dunque dedurre dal prezzo del cambio, e aggiungere quella quantità che cresce o che manca per ragione dell’opposta relazione della piazza intermedia.
Non mi dilungo in questo ricerche, perchè credo che facilmente saranno intese da chi ha ben compreso gli antecedenti, nè giammai lo saranno da chi non gli avrà ben compresi.