Ecuba/Terzo episodio
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L’ancella che era stata incaricata di cercar l’acqua
per la salma di Polissena, giunge recando un cadavere
nascosto in un mantello.
ancella
O donne, Ecuba ov’è, l’infelicissima.
che di sciagure ogni altro uomo, ogni donna
supera? Niun le rapirà tal serto.
coro
Ah sciagurata, che sinistre grida!
Mai non han fine i tuoi messaggi lugubri?
ancella
Questo cruccio ti reco, Ecuba: facile
non è muti restar nelle sciagure!
coro
Eccola: dalla tenda il passo avanza.
A udir le tue parole, in punto giunge.
ancella
O in tutto piú ch’io non so dire misera,
sei perduta, o regina; e luce vedi
e non sei piú: non hai sposo né figlio
né patria: sei d’ogni sciagura al fondo.
ecuba
Nuove cose non dici, e mali enumeri
ben noti a me. Ma perché mai qui giungi
e rechi a me di Polissena il corpo?
Detto mi fu che tutti si apprestavano
con gran zelo gli Achivi a seppellirla.
ancella
Tutto ella ignora, e Polissena piange,
né conosce le sue nuove sciagure.
ecuba
Ahimè tapina! Di Cassandra forse
la profetica salma a me tu rechi?
ancella
Di chi vive favelli, e questo morto
non gemi. Guarda questo ignoto corpo:
nuovo infausto prodigio a te non sembra?
Scuopre il cadavere, che è quello del fanciullo Polidoro.
ecuba
Ahimè, che spento Polidoro io veggo,
il figlio mio, che il re di Tracia aveva
nella sua reggia in sua custodia! Misera
me, son perduta! Nulla io sono piú.
La sua declamazione lamentosa diviene canto.
O figlio, figlio mio!
L’inno deliro io gemo:
or or le offese conobbi del Dèmone
che non conosce oblio.
Sc
Di Paride la colpa or vedi, o misera!
ecuba
Nuove incredibili nuove incredibili
calamità
io veggo: l’una dall’altra nasce;
senza lagrime senza ambasce
mai verun giorno per me passerà.
coro
Orrendi orrendi guai soffriamo, o misera.
ecuba
O figlio figlio di madre misera,
qual morte ti colpí,
ecuba
di quale fato vittima
giaci? Per man di chi?
ancella
Non so: sopra la spiaggia io lo rinvenni.
ecuba
Dal mar gittato sulla liscia sabbia
oppur da lancia che trafitto l’abbia?
ancella
Del mar l’avea sospinto il flutto gonfio.
Ahimè, ahimè!
Ora la visione
ecuba
m’è chiara, che al mio ciglio
notturna apparve: chiara la fantasima
cinta di negre piume
io vidi; e tu, mio figlio,
piú non vedevi lume.
coro
Sai chi l’uccise, poi che i sogni interpreti?
ecuba
L’ospite nostro, l’ospite, il re
dei cavalieri traci: a nasconderlo
a lui l’annoso padre lo die’.
coro
Ahimè, che dici? Ucciso l’ha per lucro?
ecuba
Indicibile infamia, inesprimibile,
che supera ogni orrore, insopportabile,
empia. Ove la giustizia è piú degli ospiti?
Oh, maledetto fra tutti! Percosso
tu l’hai col ferro affilato, le tenere
membra hai recise a brani,
né d’un fanciullo a pietà ti sei mosso.
coro
Come un Dèmone avverso, o sciagurata,
te, d’ogni altra mortale assai piú misera,
rendea! Ma giunger qui veggo Agamènnone,
il signor. D’ora in poi si taccia, o amiche.
Entra Agamennone.
agamennone
Ecuba, a che la figlia tua nel tumulo
indugi a seppellir? Venne Taltibio
a dirmi ciò, che la tua figlia niuno
toccar dovesse degli Argivi; e noi
l’abbiam lasciata lí, né la tocchiamo.
Ma tu tardi, sí ch’io ne meraviglio,
e per mandarti lí giungo, ché tutto
bene disposto è là, se in tanto misera
sorte, parlar si può di bene.
Scorge il cadavere di Polidoro.
O via,
qual dei Troiani è questi mai, che spento
veggo alla tenda presso? Non annuncia
certo un Argivo, il peplo ch’egli indossa.
ecuba
Rimane prostrata sul cadavere di Polidoro, e durante le domande di Agamènnone séguita a parlare fra sé, non dando alcun segno di essersi accorta della presenza del sovrano.
Misera — ch’io mi volgo a me, volgendomi,
Ecuba, a te — che debbo fare? Taccio,
oppur cado ai ginocchi d’Agamènnone?
agamennone
Perché la schiena a me tu volgi, e lagrimi,
e nulla dir mi vuoi? Costui chi è?
ecuba
Cruccio a cruccio apporrò, se mi respinge
da sé, schiava e nemica reputandomi.
agamennone
Indovino io non son, sí che la via
dei tuoi pensier’, se tu non parli, io scopra.
ecuba
Forse piú che non sia giudico infesto
il cuore suo? Non tanto m’odia, forse.
agamennone
Se di ciò nulla dir mi vuoi, t’accordi
bene con me: ché nulla udire io bramo.
ecuba
Senza costui, di me né dei miei figli
trarre vendetta non potrei. Che indugio?
Conviene ardire, ch’io riesca, o no.
Alza il capo e tende supplice le braccia verso Agamennone.
Per le ginocchia tue, per la tua guancia,
per la tua giusta mano io ti scongiuro!
agamennone
Che cosa brami? Che tu possa libera
la tua vita condurre? È cosa facile.
ecuba
No, no! Se mai vendetta avrò degli empî,
schiava tutta la vita eleggo vivere.
agamennone
E a che mi chiami? Qual soccorso invochi?
ecuba
Nulla di quanto, o re, supponi. Vedi
questa salma su cui lagrime verso.
agamennone
Veggo, ma ignoro a che tu miri, o donna.
ecuba
Costui portai nel grembo, e a luce il diedi.
agamennone
Uno è costui dei tuoi figliuoli, o misera?
ecuba
Sí, non di quelli che sotto Ilio caddero.
agamennone
Oltre quelli ne avesti, o donna, un altro?
ecuba
L’ebbi, costui che vedi; e invano l’ebbi.
agamennone
Dov’era, quando la città fu presa?
ecuba
La sua vita a salvar, l’inviò Priamo.
agamennone
Dove, lui sol, dagli altri figli lungi?
ecuba
In questa terra, ove caduto è spento.
agamennone
All’uom ch’è qui sovrano, a Polimèstore?
ecuba
A lui, di molto infausto oro custode.
agamennone
E qual fu la sua sorte? E chi l’uccise?
ecuba
Chi altri se non lui? L’ospite tracio.
agamennone
Ah, malvagio! Usurpar l’oro bramò!
ecuba
Quando dei Frigi udí la fine, appunto.
agamennone
Tu lo trovasti, o alcun recò la salma?
ecuba
Costei, che la trovò sopra la spiaggia.
agamennone
E lo cercava, o intenta era ad altra opera?
ecuba
Per Polissena linfa iva ad attingere.
agamennone
L’uccise, dunque, in mar lo gittò l’ospite?
ecuba
Dilacerato, alla balía dell’onde.
agamennone
smisurati tuoi travagli! O misera!
ecuba
Ogni pena ho sofferto, e son perduta.
agamennone
Ahi ahi! Qual donna fu tanto infelice?
ecuba
Niuna, se pure la Sventura stessa
dir tu non voglia. Odi or perché mi prostro
supplice ai tuoi ginocchi; e se a te sembra
che giusto sia che tale pena io soffra,
io mi rassegno; ma se no, divieni
vendicatore mio, tu, contro un uomo
ospite mio, d’ogni altro uomo piú empio,
che, senza aver dei Numi di sotterra
né dei Celesti riverenza, un’opera
compie’ d’ogni altra piú nefanda; e spesso
partecipata la mia mensa aveva,
e degli amici primo era nel novero
per l’ospitalità. Ma poi che ottenne
quanto voleva, e si credé sicuro,
lo uccise; e poi che spento fu, di tomba
non lo degnò, ma lo gittò nel pelago.
E schiave ora noi siam, senza potere;
ma potere i Celesti hanno, e la Legge
che fin su loro dòmina, per cui
ai Celesti abbiam fede, e nella vita
poniam confine tra l’ingiusto e il giusto.
Ora, se questa legge in te rimessa
violata sarà, se non dovranno
pagare il fio quelli che uccidon gli ospiti,
oppur le cose sacre manomettono,
niuna giustizia sarà piú fra gli uomini.
Vituperoso ciò reputa, ed abbi
di me riguardo, abbi pietà. Da lungi
guardami, a guisa di pittor, considera
che mali io soffro. Fui regina un giorno,
ed or sono tua schiava: ebbi figliuoli
belli, ed or vecchia sono, e senza figli,
senza città, reietta, la piú misera
d’ogni mortale..... Ahimè tapina! Dove
ritraggi il pie’? Nulla otterrò, lo vedo.
Misera me! Perché con tanta pena
noi mortali studiam l’altre scienze,
come pure convien, con tanta brama,
e Suada, che pur sola regina
è dei mortali, non poniamo affatto
di zelo piú, per impararla a fondo,
la mercede sborsando? Eppur con essa
convincere si può, ciò che si brama
conseguire si può. Or di buon esito
quale speranza avere io posso? I figli
sopravvissuti piú non sono: io stessa
parto, a servaggio d’ignominia: il fumo
veggo dalla città balzare. E forse
a un punto vano del discorso io giungo
se a Cípride ricorro, e pur favello.
Al fianco tuo la figlia mia fatidica
giace, che i Frigi chiamano Cassandra.
Mostrar come potrai riconoscenza
delle dolci vigilie, e quali grazie
dai carissimi amplessi, e dal tuo talamo
riscuoterà mia figlia, ed io da lei?
Somma nel cuore all’uom la gratitudine
dalle tenebre nasce, e dai notturni
gaudî amorosi. Or dammi ascolto. Vedi
tu questo morto? Se per lui t’adoperi,
lo fai per tuo cognato. Una parola
sola soggiungo. Oh, se favella avessero
le mie braccia, le mani, i miei capelli,
l’orma dei piedi, per l’arte di Dèdalo
e d’alcuno dei Numi, e si stringessero
tutti a un tempo, piangendo, ai tuoi ginocchi,
e preci d’ogni specie a te volgessero!
O re, luce degli Elleni suprema,
commuoviti, la man vendicatrice
a questa vecchia porgi, anche se a nulla
essa è ridotta, fallo. Un uom dabbene
deve servire la giustizia, e infliggere
castigo, sempre e in ogni luogo, ai tristi.
coro
È strano! Cosa non si dà fra gli uomini
che non possa avvenir. Segnano varie
necessità le varie leggi, e amici
rendon fra loro quei che nimicissimi
erano, e ostili quei che già si amavano.
agamennone
lo pietà di te sento, e di tuo figlio,
Ecuba, della tua misera sorte,
della supplice mano; e quanto chiedi
voglio accordarti, per riguardo ai Numi,
alla giustizia. Deh, potessi a te
far cosa grata, senza che all’esercito
sembrasse ch’io dei Traci al re tramata
per amor di Cassandra abbia la morte!
Ché un punto c’è, che l’anima mi turba:
quest’uomo amico reputa l’esercito,
e nemico il defunto: esso t’è caro,
ma tale amore è nel tuo cuore, in quello
dell’esercito no. Perciò rifletti:
volonteroso tu m’avrai, partecipe
del tuo dolore, e pronto al tuo soccorso;
ma tardo, ove gli Achei m’infliggan biasimo.
ecuba
Ahimè!
Fra i mortali nessun c’è che sia libero.
Uno della ricchezza e un altro è servo
della fortuna; e dalla turba questo
dei cittadini è trattenuto, e quello
dalle leggi sancite, e agir secondo
l’indole sua non può. Ma poi che temi
ed alla turba oltre il dovuto indulgi,
io di questo terror ti farò libero.
Basta, se contro l’uccisor del figlio
mio qualche male tramerò, che tu
connivente a me sia, non che m’aiuti.
Ché, se tumulto poi nasca, e al soccorso
dell’uom di Tracia, quando ei patirà
quello che patirà, corron gli Achivi,
frenali tu, senza parer che sia
per far cosa a me grata. A tutto il resto
fa cuore ordine porre io ben saprò.
agamennone
E come? Che farai? Forse la spada
con la vetusta man stretta, a quel barbaro
infliggerai la morte? Oppur coi tossici?
Con alcun che t’assiste? E chi man forte
ti darà? Dove troverai gli amici?
ecuba
Questa tenda rinchiude assai troiane.
agamennone
Le schiave, dici tu, preda degli Elleni?
ecuba
Con queste l’assassino io punirò.
agamennone
Come mai donne vinceranno gli uomini?
ecuba
Può molto, e piú congiunto a frode, il numero.
agamennone
Certo; ma poca stima ho delle femmine.
ecuba
E perché? Donne forse non uccisero
d’Egitto i figli, e spopolata d’uomini
tutta non reser l’isola di Lenno?
Ma facciamo cosí: la tua promessa
tu non disdire, e fa’ che quest’ancella
sicuramente fra le schiere passi.
Si volge all’ancella.
E tu, récati all’ospite di Tracia,
e di’: «Colei che fu regina d’Ilio,
Ecuba, a sé, pel bene tuo, non meno
che per il suo ti chiama; e i figli tuoi
con te: ché i suoi discorsi anche i tuoi figli
devono udire».
Ad Agamènnone.
E tu, fa’ che s’indugino
di Polissena i funerali, o re,
sinché l’un presso all’altro, i due fratelli,
duplice cura della madre, bruci
sola una fiamma, e nella terra scendano.
agamennone
Sarà fatto cosí. Ché, se potesse
l’esercito salpare, io non potrei
questa grazia accordarti. Adesso, invece,
il Dio non spira aura benigna, e inerti
forza è restare e che s’attenda il vento.
Vada or tutto pel meglio. A tutti giova,
a ciascun uomo, alla città, che al tristo
tocchino i mali, ed agli onesti il bene.
Parte.