Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) V.djvu/247


ECUBA 239

Vituperoso ciò reputa, ed abbi
di me riguardo, abbi pietà. Da lungi
guardami, a guisa di pittor, considera
che mali io soffro. Fui regina un giorno,
ed or sono tua schiava: ebbi figliuoli
belli, ed or vecchia sono, e senza figli,
senza città, reietta, la piú misera
d’ogni mortale..... Ahimè tapina! Dove
ritraggi il pie’? Nulla otterrò, lo vedo.
Misera me! Perché con tanta pena
noi mortali studiam l’altre scienze,
come pure convien, con tanta brama,
e Suada, che pur sola regina
è dei mortali, non poniamo affatto
di zelo piú, per impararla a fondo,
la mercede sborsando? Eppur con essa
convincere si può, ciò che si brama
conseguire si può. Or di buon esito
quale speranza avere io posso? I figli
sopravvissuti piú non sono: io stessa
parto, a servaggio d’ignominia: il fumo
veggo dalla città balzare. E forse
a un punto vano del discorso io giungo
se a Cípride ricorro, e pur favello.
Al fianco tuo la figlia mia fatidica
giace, che i Frigi chiamano Cassandra.
Mostrar come potrai riconoscenza
delle dolci vigilie, e quali grazie
dai carissimi amplessi, e dal tuo talamo
riscuoterà mia figlia, ed io da lei?
Somma nel cuore all’uom la gratitudine
dalle tenebre nasce, e dai notturni
gaudî amorosi. Or dammi ascolto. Vedi