Dizionario mitologico ad uso di giovanetti/Mitologia/I

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[p. 158 modifica]Jadi, figlie di Cadmo, secondo altri, di Atlante e di Etra. Erano sei o sette sorelle. Piansero tanto la morte di Jade loro fratello, lacerato da una lionessa, che gli Dei mossi a compassione le trasportarono nel Cielo, e le collocarono sulla fronte del Toro, ove ancora [p. 159 modifica]piangono. Dicono altri, che le Jadi erano ninfe, trasportate da Giove in Cielo, e cangiate in astri, per sottrarle allo sdegno di Giunone, che le perseguitava, perchè avevano allevato Bacco. La costellazione ch’esse formano, annunzia la pioggia ed il tempo cattivo.

Jamba, figlia di Pan, e di Eco, cameriera di Metanira moglie di Celeo, o Celao, re di Eleusina. Non avendo saputo altri consolar Cerere afflitta per la perdita di Proserpina sua figlia, la sola Jamba, intertenendola con de piacevoli racconti, potè farla ridere, e mitigare così il di lei dolore. Le viene attribuita la invenzione de’ versi jambici.

Jarba (V. Giarba.)

Ibi, uccello molto simile alla cicogna, che distrugge i serpenti. Gli Egiziani ne facevano una divinità. Era stabilita la pena di morte contro chi avesse ucciso un Ibi quantunque per inavvertenza. Questo culto per l’Ibi era fondato sulla utilità che recava. Ogni anno nella primavera usciva dall’Arabia una infinità di serpenti alati, che avrebbero devastate le campagne di Egitto, se quest’uccello non gli avesse affatto distrutti. Facevano anche la guerra ai bruchi ed alle cavallette.

Icario, padre di Penelope, spartano nobile e potente. Non potendo risolversi a viver diviso da sua figlia, scongiurò Ulisse, che avevala allora sposata, di stabilire la sua dimora in Sparta; ma indarno. Ulisse, essendo partito insieme con sua moglie, Icario montò sul suo cocchio, e fece sì gran diligenza, che raggiunse sua [p. 160 modifica]figlia, e raddoppiò le sue istanse presso Ulisse per indurlo a ritornare in Isparta. Ulisse lasciò libera la scelta a Penelope, o di ritornare in casa di suo padre, o di seguirlo in Itaca; ma ella tacque, e bassando gli occhi si ricoprì del suo velo. Icario più non insistette, la lasciò partire, e fece in quel luogo innalzare un altare al Pudore.

Icaro, figlio di Dedalo, detenuto prigioniero in Creta insieme con suo padre per ordine del re Minosse, fuggì insieme con lui mercè di certe ale attaccate con cera, Icaro, dimenticatosi delle instruzioni dategli da suo padre, si elevò molto davvicino al Sole, e quindi liquefattasi la cera delle sue ale, piombò nel mare, che d'allora in poi fu appellato Mare Icario.

Ida, monte dell'asia minore a piè del quale fu fabbricata la famosa Troja. Sopra questo monte Paride pronunziò il suo giudizio sulla contesa delle tre Dee Giunone, Pallade e Venere ed aggiudicò il pomo a questa ultima come la più bella.

Idalia, città della isola di Cipro consagrata a Venere. Vicino a questa città era un bosco sagro onorato spesso dalla presenza di questa Dea. Quivi ella trasportò il giovinetto Ascanio, mentre Cupido, sotto la figura del figlio di Enea, accendeva nel cuore di Didone la face di amore.

Idomeneo, re di Creta, figlio di Deucalione e nipote di Minosse II, recossi all'assedio di Troja con un gran numero di vascelli, e vi si contraddistinse per molte azioni strepitose. Dopo la presa di Troja carico delle [p. 161 modifica]trojane, se ne ritornava in Creta, alloraquando sorpreso da una furiosa tempesta, che minacciava vicino il naufragio, fece voto a Nettuno d'immolargli la prima cosa che gli si presenterebbe sul lido di Creta, se gli fosse riuscito di scampare. Cessò la tempesta, ed approdò felicemente al porto, ove suo figlio, avvisato dell'arrivo di suo padre, fu il primo oggetto che gli comparve davanti. Può immaginarsi qual fosse la sua sorpresa ed il suo dolore in vedere il proprio figlio, a pro del quale indarno si allarmarono i sentimenti della natura: un cieco zelo di religione lo trasportò, e già determinò di sacrificare l'innocente figlio al Dio del mare. L'orribile sagrifizio fu già compito. I Cretesi inorriditi per un atto si barbaro del loro re, si sollevarono contro di lui, e o discacciarono dal regno. Fu perciò costretto di ritirarsi nella grand'Espezia, ove fondò Salento. Ivi stabilì le savie leggi di Minosse, e rese felici i sudditi col suo governo.

Idra, serpente del lago di Lerna, mostro nato dalla unione di Tifone con Echidna. Aveva più teste, e taluni le ne attribuiscono sino a cinquanta: rinascevano a misura che si tagliavano, a meno che se applicavasi il fuoco sopra la ferita. Il veleno di questo mostro era così sottile che cagionava irreparabilmente la more. Devastava le compagne, e faceva strage agli armenti, ch'erano intorno al Lago di Lerna. Ercole montò sopra un carro per combatterla, e Jolao lo servì di cocchiero. Un cancro corse in ajuto dell'Idra; ma Ercole schiacciò il cancro, e uccise l'idra. Bagnò indi le sue frecce nel di lei sangue per render mortali le ferite: tali furono quelle fatte a Nesso, a Filottete ed a Chirone. Questo [p. 162 modifica]combattimento fu una delle dodici fatiche di Ercole; (sebbene alcuni pretendono che Euristeo avesse protestato di non doversene aver conto, perchè in questa fatica venne ajutato da Jolao.).

Ifigenia o Ifianassa, figlia di Agamennone e di Clitemnestra. Diana sdegnata contro Agamennone, perchè aveva ucciso una cerva ch'erale consagrata, tratteneva l'armata greca in Aulide, e la impediva di partire per mancanza di vento; nè poteva esser appagata che dal sangue di una principessa della famiglia di Agamennone. Il gran-sacerdote Calcante nominò Ifigenia qual vittima da sacrificarsi alla Dea, a fine di ottenere il vento favorevole, che i Greci attendevano per recarsi all'assedio di Troja. Agamennone spedì Ulisse in Argo per trarre Ifigenia dalle mani di Clitemnestra, fingendo di dover sposare Achille; e tostocchè ella giunse al campo fu consegnata da suo padre a Calcante. Tutto era disposto per lo sagrifizio: ma Diana appagata della sommessione della principessa, sostituì in suo luogo una cerva, che le fu immolata, e trasportò nella Tauride Ifigenia per farne una sua sacerdotessa. Toante regnava in questo paese: egli era un principe crudele, il quale faceva uccidere tutt'i stranieri che aprodavano ne' suoi stati. Oreste, dopo di aver ucciso sua madre, costretto dalle furie, che lo agitavano, ad errar di paese in paese, fu arrestato in un luogo della Tauride, e condannato ad esser immolato; ma Ifigenia, sua sorella, lo riconobbe nel momento che qual sacerdotessa andava a sagrificarlo, e lo liberò insieme coll'amico Pilade, che voleva morire per Oreste. Uccisero quindi Toante, e tutt'insieme fuggirono seco portando la statua di Diana. Not. 62. [p. 163 modifica]Ila, figlio di Teodamante, re di Misia, Questo giovane principe divenne di buon'ora l'amico di Ercole, e fu suo compagno nella spedizione della Colchide. Gli Argonauti, approdati sulle spiagge della Troade, spedirono a terra il giovane Ila per cercarvi dell'acqua. Le ninfe di quella contrada, invaghite dalla di lui bellezza, lo rapirono. Ercole e i suoi compagni se ne afflissero a segno che fecero risuonare quel lido de' loro lamenti. Alcuni anzi credono che Ercole oppresso dal suo dolore, non volle più seguire gli Argonauti.

Ilio: così fu nominata la città di Troja dal nome d'Ilo, figlio di Tros, o Troo, re di quel paese. Ilio è anche il nome della fortezza di Troja.

Illo, figlio di Ercole e di Dejanira. Dopo la morte di suo padre sposò Jole, e si ritirò presso Epalio re de Dorj, che lo accolse favorevolmente in riconoscenza de servizj ricevuti da Ercole; ma Euristeo nimico irreconciliabile di Ercole, e della sua posterità, temendo che Illo non fosse quanto prima in istato di vendicare suo padre, andò a turbarlo nel di lui ritiro, e l'obligò a salvarsi in Atene, ove continuò a perseguitarlo. Finalmente Illo, cui fu dato il comando delle truppe Ateniesi, li presentò la battaglia, lo vinse, e di propria mano l'uccise. Dopo qualche tempo Illo fu anch'egli ucciso in un combattimento contro i Pelopidi. Egli aveva eretto in Atene un tempio alla Misericordia, di cui gli Ateniesi fecero un asilo per gli rei.

Imene, o Imeneo, divinità che presedeva al matrimonio. Era figlio di Bacco e di Venere. Si [p. 164 modifica]rappresenta sotto la figura di un giovane coi capelli biondi, con una fiaccola in mano, e coronato di rose. Questa parola significa altresì carme, ossia canto nunziale. Fig. 43

Imetto, monte nell'Attica, celebre per l'abbondanza ed eccellenza del miele che vi si raccoglieva, e per lo culto che vi si rendeva a Giove. Gli Ateniesi credevano che vi fossero delle miniere di oro, custodite da formiche di una straordinaria grandezza, le quali combattevano contro coloro che vi si avvicinavano. Su tale opinione vi si recarono una volta bene armati, ma se ne ritornarono senza avervi niente ritrovato. La loro credulità fu il soggetto della pubblica derisione. I poeti comici non mancarono di metter sulla scena la famosa guerra contro le formiche.

Ino, figlia di Cadmo e di Armonia, sposò in seconde nozze Atamante, re di Tebe, da cui ebbe due figli Dearco e Melicarto. Trattò i figli del primo letto da vera matrigna, e cercò di farli perire, perchè erano destinati a succedere ad Atamante, in esclusione de' figliuoli d'Ino. Per riuscire in questa impresa, ne fece un affare di religione. La città di Tebe era desolata da una fame terribile, della quale pretendesi ch'ella stessa fosse la cagione. In tal pubblica calamità si ricorse agli oracoli. I sacerdoti, corrotti dalla regina, risposero che per far cessare la fame, bisognava immolare agli Dei i figli di Nefele, prima moglie di Atamante. Questi se ne fuggirono, e così schivarono il sagrifizio che volevasi fare delle loro persone. Atamante avendo scoverti i barbari artifizj di sua moglie, fu trasportato dallo sdegno contro di lei a segno che uccise Learco, uno dei [p. 165 modifica]suoi figlioli, ed inseguì Ino sino al mare, ov'ella si gittò insieme con Melicerto altro suo figlio.

Inverno, divinità allegorica che presedeva ai ghiaccj ed alle brine. Si rappresenta sotto la figura di un uomo coverto di pezzi di giaccio con capellatura e barba bianca, dormendo in una grotta. Alle volte sotto la figura di una donna assisa presso un gran fuoco, coverta di abiti raddoppiati di pelle di montone; e spesso anche sotto la figura di un vecchio, che tiene un vaso pieno di fuoco.

Io Jo Jo , figlia del fiume Inaco, e d'Ismena. Giove s'innamorò di questa principessa, e per evitare il furore di Giunone, che si era ingelosita di tale intrigo, la coprì di una nuvola, e la trasformò in giovenca. Giunone entrata in sospetto del mistero, si mostrò invaghita della bellezza di questa giovenca, e la chiese a Giove. Il Dio, non avendo osato niegarla per non aumentare i di lei sospetti, la compiacque; ed ella la diede in custodia ad Argo de' cent'occhi (Panopte); ma Giove inviò Mercurio, il quale addormentò Argo, mediante il dolce suono del suo flauto, gli troncò la testa e liberò Jo. Giunone sdegnata spedì un tafano, che tormentò la principessa con acute punture a segno che attraversò a nuoto il mare detto di poi Jonio, si recò nella Illiria, passò il ponte Emo, arrivò in Scizia e nel paese de' Cimmerj; e dopo di essere andata errando per altre regioni, fermossi sulle sponde del Nilo, ove Giove le restituì la sua primiera forma, e n'ebbe Epafo. Qualche tempo dopo, essendo morta, gli Egizj l'eressero degli altari, e le offrirono de' sacrifizj sotto il nome [p. 166 modifica]di Iside. Giove le donò la immortalità, e le fece sposare Osiride.

Viene rappresentata Jo, ovvero Iside sotto la figura di una donna, che porta sopra la testa alcune torri o un globo o una mezza luna- In alcune figure vedesi con un fanciullino sulle ginocchia, presentando loro il seno. Alcune volte vedesi tutta coverta di mammella. Ella viene confusa con Cibele. Not. 63. Fig. 44.

Jola, o Jolao, figlio d'Ificlo e nipote di Ercole, fu il compagno ne' travagli di questo eroe, cui servì da cocchiero nel combattimento ch'ebbe con l'idra Lerna. Dicesi che abbruciava le teste dell'idra a misura che Ercole le troncava. Assistette alla caccia del cinghiale di Calidone. Prevenuto ad una estrema vecchiezza, volle comandare l'armata degli Ateniesi contro Euristeo; ma avendo prese le armi, si trovò così aggravato dal loro peso che bisognò sostenerlo; allora due astri fermaronsi sul suo carro, e lo cuoprirono di una densa nuvola. Eran dessi Ercole, ed Ebe sua sposa, i quali si occupavano per ringiovinirlo; siccome in effetto ne uscì sotto la figura di un giovine vigoroso e pieno d'ardore. Condusse una colonia in Sardegna, passò in Sicilia, e ritornò in Grecia ove morì. Furono instituiti dei sagrifizj in suo onore. Plutarco dice che gli amanti erano obbligati andare a giurar fedeltà, e lealtà sulla tomba d'Jola.

Jole, figlia di Eurito re di Ecalia. Fu amata da Ercole; e Dejanira, sposa di questo eroe, se ne ingelosì talmente che si determinò ad inviargli la veste fatale del centauro Nesso, che lo consumò.

[p. 167 modifica]Ippocrene, fonte poco distante dal monte Elicona. Dicesi che avendo Perseo troncata la testa di Medusa, dal sangue che ne grondò, nacque il cavallo Pegaso, e che questo cavallo avendo battuta la terra con un calcio, ne abbia fatta scaturire questa fonte, che fu appellata Ippocrene, cioè fonte del cavallo. Fu consagrata ad Apollo ed alle Muse. Altri pretendono che questa fonte fu scoverta da Cadmo, il quale aveva recato ai Greci le lettere dell'alfabeto, vale a dire la chiave delle scienze; ciocchè li fece attribuire il nome di fonte delle Muse.

Ippodamia, figlia di Enomao, re di Pisa in Elide. Suo padre l'amava molto, e non poteva risolversi a maritarla sul timore di doversene separare. Chiesta in isposa da molti principi, egli, a fine di non darla ad alcuno, immaginò un reo progetto. Il suo carro era il più leggiero, e i suoi cavalli erano i più veloci di quel paese. Fece correre voce di cercare un marito degno di sua figlia, proponendola in premio a chi lo vincerebbe nel corso; ma a condizione che la morte sarebbe la pena del vinto. Fece salire Ippodamia sopra il carro e la pose in modo che i concorrenti potessero mirarla, affinchè la sua bellezza li tenesse distratti dall'attenzione di regolare i loro cavalli nell'atto della corsa. Con tale artifizio vinse ed uccise sino a tredici di que' principj. Sdegnati finalmente gli Dei, diedero alcuni cavalli immortali al giovane Pelope, che corse il decimoquarto; ed essendo egli rimasto vittorioso, fu destinato possessore d'Ippodamia. Enomao per lo dolore disperatamente si uccise.

[p. 168 modifica]Ippolito, figlio di Teseo e di Antiope ovvero Ippolita, regina delle Amazoni. Questo giovane principe era stato allevato a Tresene sotto la cura di Pitteo suo avo. Applicato unicamente allo studio della sapienza, ed alla caccia; era insensibile ad ogni altro giovanil piacere; ciò che gli attirò lo sdegno di Venere, la quale per vendicarsi di tal suo disprezzo, insinuò nel cuore di Fedra, sua matrigna, un violento amore per lui. Questa regina fece un viaggio sino a Trezene sotto pretesto di farvi innalzare un tempio a Venere, ma in verità per vedere il giovane principe, e per manifestargli il suo amore. Ippolito avendo ricusato di corrispondere alla di lei passione, ella se ne indispettì a segno che lo accusò presso Teseo, come se avesse attentato al di lei onore, e per inorpellare la falsa accusa sotto il velo della verità, gli presentò la spada che aveva tolto ad Ippolito per uccidersi disperatamente, se la sua nutrice non l'avesse impedita. Teseo inviperito da tale attentato, abbandonò suo figlio al furor di Nettuno. (Vedi Fedra.)

Ippomene, figlio di Macareo e di Merope, principe così casto che si ritirò ne' boschi e nelle montagne per non vedere affatto femmine; ma avendo un giorno incontrata Atalanta alla caccia, la seguì, e fu nel numero di colore, che la pretesero in isposa. Egli la vinse al corso, per aver gittato sul cammino, a consiglio di Venere, tre pomi d'oro, ch'ella si occupò a raccogliere, ed in premio la ottenne in isposa; ma perchè non curò di render grazie a Venere del consiglio avuto, questa Dea gl'ispirò una passione così violenta che un giorno profanò il tempio della stessa Dea Cibele. La [p. 169 modifica]gran madre degli Dei sdegnata per tale profanazione, cangiò lo sposo in lione, e la sposa in lionessa.

Iride, figlia di Taumante e di Elettra, e messaggiera di Giunone. Fu amata da questa Dea, come quella che sempre le recava delle buone notizie. Il suo impiego più importante era di andare a tagliare il capello fatale delle femmine destinate alla morte. Assisa sempre presso il trono di Giunone, era tuttora pronta ad eseguire i suoi ordini. Aveva la cura dell'appartamento della sua padrona e di apparecchiare il suo letto ed allorchè Giunone ritornava dall'Inferno nell'Olimpo, Iride la purificava con profumi. Giunone in ricompensa de' suoi servizj, la collocò nel Cielo. I pittori la rappresentano sostenuta dall'arco-baleno, con ale brillanti e di mille colori; per dinotare il suo zelo e la sua prontezza Fig. 43.

Iside, celebre divinità degli Egizj. Sposò Osiride con cui visse in una perfetta armonia; entrambi applicaronsi a civilizzare i loro sudditi, insegnando loro l'agricoltura e molte altre arti utili alla vita.

Tifone, fratello di Osiride, era un principe ambizioso e turbolento, il quale non pensò che a tendergli delle insidie ed a perseguitarlo. Un giorno, avendolo invitato in un banchetto, propose, dopo il pranzo, ai convitati, di mettersi l'un dopo l'altro dentro un cofano di un eccellente lavoro, promettendo farne un dono a colui che si troverebbe di grandezza uguale. Osiride essendovisi posto, allorchè a lui spettava, i congiurati serrarono il cofano e lo gittarono nel Nilo. Iside [p. 170 modifica]avendo ricercato il corpo di suo marito, gli diede la sepoltura, e dopo aver dato qualche riposo all’afflitto suo spirito, fece assemblar le truppe, le pose sotto la condotta di Oro suo figlio, perseguitò il tiranno, e in due battaglie lo vinse.

Gli Egizj adorarono Iside ed Osiride dopo la loro morte; e perchè durante la loro vita eransi occupati dell’agricoltura, furono simboleggiati sotto le figure del bove e della vacca. Furono instituite delle feste in loro onore, ed una delle cerimonie principali era l’apparizone del Dio Api. Fu creduto dipoi che le anime d’Iside e di Osiride erano passate ad abitare il Sole e la Luna. Iside in seguito fu creduta la stessa natura o sia la Dea universale, cui davansi differenti nomi, secondo i differenti attributi. Nota 64. Fig. 46.

Issione, re di Lapiti, sposò Dia, figlia di Dioneo, cui ricusò dare i regali che gli aveva promessi, secondo il costume di quei tempi, per aver sua figlia in isposa. Dioneo, per vendicarsi, gli rubò i cavalli; ma Issione, dissimulando il suo risentimento, invitollo a sua casa, e per un trabocco, che aveva preparato, lo fece precipitare in una fornace ardente, ove morì. Sentì poi si grandi rimorsi di questo tradimento, che Giove, mosso a compassione, lo accolse nel Cielo, e lo ammise alla sua mensa. I rimorsi non lo emendarono. Sorpreso dalle attrattive di Giunone, l’ingrato Issione ebbe l’ardire di manifestarle la sua passione. La Dea ne avvisò Giove, il quale per far pruova d’Issione, formò una nuvola che somigliava Giunone. Issione cadde nella insidia, e da questo immaginario congresso nacquero i Centauri. Giove considerandolo come un folle, cui il nettare aveva turbata la ragione, si [p. 171 modifica]contentò dapprima di bandirlo; ma vedendo ch'egli vantavasi di averlo disonorato, con un colpo di fulmine lo precipitò nel Tartaro, ove Mercurio, di suo ordine, lo attaccò ad una ruota attorcigliata di serpenti, e destinata a ruotare eternamente.

Istmici, giuochi, che han preso il loro nome dall'istmo di Corinto, ove celebravansi. Furono instituiti da Sisifo in onore di Melicerte, il cui corpo era stato trasportato da un delfino sulla spiaggia dell'istmo. Plutarco ne attribuisce la prima instituzione a Teseo. Costui li consagrò a Nettuno, di cui vantavasi esser figlio qual Dio che prasedeva particolarmente all'istmo.

Questi giuochi celebravansi regolarmente ogni tre anni in tempo di està. Furono riputati così sagri che non si osò farli cessare neppure dopochè Corinto fu distrutta da Mummio; ma si trasferì ai Sicionesi la cura di continuarli. Era così grande il concorso che le sole principali persone della Grecia potevano avervi luogo. In seguito vi furono ammessi i Romani, che li celebravano con tanta pompa ed apparecchio, che oltre agli esercizj ordinarj del corso, del pugilato, della musica e della poesia, vi davano lo spettacolo della caccia, nella quale si esponevano i più rari animali. Ciò che rendeva più celebri questi giuochi è ch'essi servivano di epoca ai Corintj, ed agli abitanti dell'istmo.

I vincitori in questi giuochi erano coronati di rami di pino; dipoi di appio. In seguito si aggiunse alla corona una somma di denaro; che fu fissata a cento dramme corrispondenti a quaranta lire di Francia. I Romani non sì fermarono qui; eglino assegnarono ai vincitori i più ricchi premj.

[p. 172 modifica]Itaca, isoletta del mar Jonio, coverta di montagne e di rupi; poco fertile, ma celebre per essere stata la patria di Ulisse che n'era il re.

Iti, figlio di Tereo, re di Tracia e di Progne, la quale per vendicare l'oltraggio fatto a sua sorella Filomela, uccise Iti, e lo diede a mangiare a Tereo. (Vedi Filomela.)