Dizionario mitologico ad uso di giovanetti/Mitologia/F

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[p. 133 modifica]Fama. I poeti hanno personificato la fama, e ne hanno formato una divinità, che dicono essere la messaggiera di Giove. Camminava notte e giorno, situavasi sopra i luoghi più elevati per pubblicare ogni sorta di novità. Dipingevasi come una Dea di enorme grandezza con cento bocche, cento orecchie, e che teneva grandi ale con penne occhiute. Rappresentavasi anche con una trombetta in bocca montata su di un cavallo alato. Fig. 31.

Faone, giovine di Mitilene nella isola di Lesbo. Accolse un giorno nel suo naviglio la Dea Venere sotto la sembianza di una donna vecchia, e la tragittò con molta prontezza ove volle. Egli non dimandò alcuna mercede per tal servigio; ma Venere in ricompensa gli regalò un vaso di alabastro pieno di profumi, di cui tostochè egli fece uso divenne il più bell’uomo; e quindi fu [p. 134 modifica]pazzamente amato da tutte le belle donne di Mitilene. La celebre Saffo anch’ella se ne invaghì come le altre; ma poiché Faone si diniegò alla di lei passione, agitata costei dalla smania, corse sul promontorio di Leucade, donde gittossi in mare. Faone, in memoria di questo avvenimento, fece edificare un tempio a Venere sullo stesso luogo.

Fauni, divinità campestri, che traevano la loro origine da Fauno figliuolo di Pico, re del Lazio. Abitavano le campagne e le foreste; distinguevansi dai Satiri e dai Silvani per lo genere delle loro occupazioni, che si avvicinano più all’agricoltura. I Fauni vengono rappresentati colle corna di capra o di caprone, ma di una fattezza meno orrida, e più gaja di quella de’ Satiri. Erano loro consagrati il pino e l’ulivo selvaggio. I Fauni erano ignoti ai Greci, i quali in vece di essi conoscevano i Satiri. Nota 53. — Fig. 32.

Faustolo, custode degli armenti di Amulio, re di Alba. Avendo veduto che un pico-verde portando del cibo nel becco, volava continuamente verso una caverna, lo seguì, e si accorse che recavasi a somministrare quel cibo a due bambini, i quali venivano allattati da una lupa. Erano questi Remo e Romolo. Faustolo li prese, e li fece nutrire da Acca Laurenzia sua moglie. Gli fu eretta una statua nel tempio di Romolo, come quegli che aveva allevato il fondatore di Roma.

Febo, lo stesso che Apollo. Gli si dà questo nome per alludere alla luce del Sole ed al suo calore, che anima tutte le cose. [p. 135 modifica]Feciali, sacerdoti o ministri pubblici, i quali presso i Romani annunziavano i trattati, la pace, le tregue e la guerra. Erano venti, e tutti nobili; le loro persone erano sagre, e le loro cariche erano considerate come un sacerdozio. La loro cura principale era d’impedire che la Repubblica non imprendesse alcuna guerra ingiusta. Allorchè bisognava dichiarare la guerra, uno di essi recavasi in abito sacerdotale, e coronato di verbena, alla città o al popolo che aveva violato la pace: chiamava in testimonio Giove e gli altri Dei, e nel tempo stesso dimandava soddisfazione della ingiuria fatta al Popolo Romano. Se a capo di trenta giorni, che loro accordava, non veniva fatta ragione ai Romani, ritiravasi, dopo aver lanciata l’asta nel campo nimico.

Fedra, figlia di Minosse e di Pasife. Teseo la rapì e la sposò. Questo principe aveva avuto da Antiope, regina delle Amazzoni sua prima moglie, un figlio nominato Ippolito, che faceva allevare in Troezene. Dovendo Teseo portarsi in questa città per soggiornarvi qualche tempo, vi condusse la sua nuova moglie. Fedra in vedere il giovine Ippolito, concepì per lui una veemente passione; ma non osando dare alcuno indizio del suo amore in presenza del re, e temendo che dopo il suo ritorno in Atene non fosse privata della vista dell’oggetto amato, fece edificare un tempio a Venere sopra un monte presso Troezene, ove sotto il pretesto di andare ad offrire i suoi voti alla Dea, aveva occasione di vedere il giovane principe, che faceva i suoi esercizj nella vicina pianura. Finalmente volle manifestargli la sua passione; ma questa dichiarazione fu mal’accolta. Il suo amore crescendo di giorno in [p. 136 modifica]giorno a misura del disprezzo d’Ippolito, lo accusò presso il di lui padre di aver attentato al suo onore. Teseo ne fu così offeso ch’espose suo figlio al furore di Nettuno. Un mostro uscì all’istante dal fondo del mare, spaventò i cavalli d’Ippolito, che lo trascinarono attraverso i scogli, ove il carro si fracassò, ed il giovine principe vi perì. Fedra rese il più marcabile testimonio alla di lui innocenza, appiccandosi da se medesima.

Fenice, uccello famoso, di cui gli Egiziani avevano fatta una divinità. Essi lo descrivevano della grandezza di un’aquila con un bel fiocco sulla testa; le penne del collo erano dorate, la coda bianca, e gli occhi scintillanti in guisa di stelle. Questo uccello è unico sopra la terra. Allorchè si accorge di avvicinarsi il termine di sua vita, formasi un nido di legna e di gomme aromatiche, l’espone ai raggi del Sole, e ponendovisi sopra, vi si lascia consumare. Dal midollo delle sue ossa nasce un verme, che forma un’altra Fenice. Dicesi che nasce ne’ deserti dell’Arabia, e che vive fino a cinque o seicento anni. Questo uccello negli antichi monumenti è un simbolo della eternità, e presso i moderni della risurrezione. La opinione della sua esistenza si è sparsa presso molti popoli, i quali attribuiscono ad un certo uccello la proprietà di esser singolare, e di rinascere dalle proprie ceneri.

Fetonte, figlio del Sole e della ninfa Climene. Epafo figlio di Giove, in occasione di una contesa ch’ebbe con Fetonte, gli rimproverò ch’egli non era figlio del Sole, siccome vantavasi. Fetonte irritato, andò a lamentarsene presso Climene sua madre, la quale lo consigliò di [p. 137 modifica]andare a ritrovare il Sole per sentir da lui medesimo la verità della sua nascita. Fetonte recossi al palazzo del Sole, gli palesò il motivo della sua visita, e lo pregò di accordargli una grazia senza specificarla. Il Sole cedendo agl’impulsi dell’amor paterno, giurò per lo fiume Stige di non negargli cosa alcuna. Allora il temerario giovine gli chiese il permesso d’illuminare il mondo per un sol giorno, conducendo il suo carro. Il Sole, impegnato da un giuramento irrevocabile, indarno adoperò i suoi sforzi per frastornar suo figlio da una impresa così difficile. Fetonte, che non conosceva pericolo, persistette nella sua capricciosa dimanda, e già montò sul carro. I cavalli del Sole non riconoscendo più il maneggio del loro padrone, deviarono dal corso ordinario; ora salendo troppo in alto, minacciavano il cielo di un inevitabile incendio; ed allora tutto periva sulla terra per soverchi o freddo; ora scendendo troppo in giù, inaridivansi i fiumi e bruciavansi i monti. La terra se ne querelò presso Giove, il quale, per prevenire lo scompiglio universale, e dare un pronto riparo a questo disordine, fulminò Fetonte, che cadde morto nell’Eridano, oggidì Po, fiume d’Italia. Le sue sorelle e Cicno suo amico ne piansero tanto, ch’esse furono cangiate in pioppi e Cicno in cigno. Questa disgrazia cagionò tal confusione nel Cielo che bisognò passare un intiero giorno senza Sole. Nota 54.

Filemone. (V. Bauci.)

Filomela, figlia di Pandione, re di Atene, sorella di Progne. Tereo re di Tracia, per compiacere Progne sua moglie, recossi in Atene a fine di condurre [p. 138 modifica]Filomela in Tracia. Tereo, durante il viaggio, avendo concepito un violento amore per lei, congedò tutta la gente di suo seguito, condusse in un antico castello Filomela, ed ivi le usò violenza; agitato quindi dagli atroci rimproveri della sua vittima, le tagliò la lingua, e la lasciò in guardia a persona di sua confidenza. Progne, cui egli diede a credere che sua sorella era morta nel viaggio, pianse Filomela, e le fece innalzare un monumento. Trascorse un anno senzachè la sventurata Filomela avesse potuto informar la sorella della sua disgrazia; finalmente abbozzò sopra certa tela con un ago ciò che l’era accaduto, e lo stato deplorabile in cui trovavasi ridotta. Progne, per vendicarsi, profittò di una festa di Bacco, durante la quale era permesso alle donne di correre attraverso i campi; liberò sua sorella, uccise suo figlio Iti, e fatte cuocerne le membra, le fece imbandire in un banchetto, che diede al suo sposo in occasione della festa. Filomela comparve alla fine del banchetto e gittò sulla tavola la testa del fanciullo. A si orrenda vista Tereo, trasportato dalla rabbia, dimandò le sue armi per uccidere amendue le sorelle; ma queste principesse, prima che Tereo le avesse raggiunte, scapparono, e salite sopra un vascello, posero alla vela, e giunsero in Atene. Ovidio dice che nel fuggire, Filomela fu cangiata in usignuolo, e Progne in rondinella. Tereo, che le perseguitava, videsi anch’egli cangiato in upupa, ed Iti, suo figliuolo, in calderino.

Filottete, figlio di Peano e compagno di Ercole. Questo eroe vedendosi vicino al punto estremo di sua vita, impose a Filottete di rinchiudere seco nella tomba le sue frecce, e gli fece giurare di non palesar giammai ad [p. 139 modifica]alcuno il luogo della sua sepoltura. I Greci avendo inteso dall’oracolo che invano sforzavansi di prender Troja, se non facessero uso delle frecce di Ercole, Filottete, per eludere il suo giuramento, percosse col piede sul luogo della tomba, ov’eran quelle rinchiuse; ma egli non violò meno il suo giuramento. Questa imprudenza gii costò dipoi molto cara; poichè alloraquando egli imbarcossi insieme coi Greci, gli cadde una di queste frecce sul piede stesso, col quale aveva percosso il luogo della tomba. Vi si formò una ulcera, ed il puzzo divenne bentosto sì intollerabile che i Greci abbandonarono Filottete nell’isola di Lenno. Egli per quasi dieci anni vi soffrì delle sventure, e de’ dolori orribili. Nulladimeno dopo la morte di Achille, conoscendo i Greci essere impossibile di prender Troja senza le frecce che Filottete aveva seco portate nella isola di Lenno, gli spedirono Ulisse, per obbligarlo a recarsi al campo. Filottete sdegnato di essere stato abbandonato da’ Greci, a stento si arrese alle loro preghiere. Era egli appena giunto innanzi le mura di Troja, allorchè Paride lo provocò ad un duello. Il greco eroe con una delle sue frecce ferì mortalmente Paride, che andò a morire tra le braccia di Enone. Síccome non era ancor guarita l’ulcera di Filottete, dopo la presa di Troja, andò egli in Calabria, ove fu guarito mercè la cura del famoso medico Macaone. Egli fu uno de’ più distinti Argonauti. Nota 55.

Flamini, sacerdoti di Giove, di Marte, di Romolo e di molti altri Dei. Le loro berrette fatte di pelle di pecora attaccavansi sotto il mento. Erano appellati Flamines, o Filamines, perchè in queste berrette eravi un grosso fiocco di filo o di lana. Secondo altri, questo [p. 140 modifica]nome deriva da Flammeum, perchè siffatte berrette erano di color di fuoco.

Flegia, figlio di Marte, re de’ Lapiti, e padre d’Issione. Avendo inteso che Apollo aveva insultato Coronide, sua figlia, egli per vendicarsi, appiccò il fuoco al tempio di questo Dio, che l’uccise a colpi di frecce, e precipitollo nell’Inferno, ove fu condannato a dimorare eternamente sotto una smisurata rupe, che minacciando sempre una imminente ruina, gl’incuteva un continuo terrore.

Flora, Dea de’ fiori e della primavera. Zeffiro l’amò; la rapì, e ne fece quindi la sua sposa, dandole in dote l’impero sopra i fiori. Allorchè le giovinette celebravano le feste di questa Dea, correvano notte e giorno danzando al suono delle trombette, e quelle che riportavano il premio nel corso, erano coronate di fiori. Si rappresenta ornata di ghirlande, avendo accanto a lei de’ panieri pieni di fiori. Nota 56. Fig. 33.

Fortuna, Divinità che presedeva a tutti gli avvenimenti, e distribuiva i beni e i mali a seconda del suo capriccio. I poeti la dipingono calva, cieca, stante in piedi, con ale ne’ piedi, ed uno di questi appoggiato sopra una ruota che volge, e l’altro sospeso in aria. Gli antichi l’hanno anche rappresentata con un sole ed una mezzaluna sulla testa, per dinotare ch’ella, a guisa di questi due astri, domina ed influisce a tutto ciò che accade sopra la terra. Alle volte, invece della ruota, le si attribuisce un globo celeste, il cui moto perpetuo caratterizza parimente la di lei incostanza. Sulzer [p. 141 modifica]rappresenta la Fortuna assisa in un trono sospeso in aria, e spinto da venti contrarj; tiene in mano una bacchetta magica; la sua fisonomia ha tutt’i caratteri della incostanza, del capriccio, della insolenza e della leggerezza; la ricchezza, la indigenza, il dispotismo e la schiavitù formano il suo corteggio; va dinanzi a lei la sicurezza, per indicare che la Fortuna viene spesso senza essere attesa. fig. 34.

Frisso, figlio di Atamante, re di Tebe, e di Nefele, e fratello di Elle. Ino o Leucotoe, seconda moglie di Atamante, concepì amore per Frisso, il quale si manifestò insensibile alla di lei passione. Costei offesa del di lui disprezzo, lo accusò presso Atamante di aver attentato al di lei onore. Atamante risolse di far morire Frisso. Intanto fu consultato l’oracolo per sapersi il mezzo onde far cessare la fame, o, come altri dicono, la peste, che desolava tutto il regno. L’oracolo rispose che gli Dei non si placherebbero se prima non s’immolassero due persone della real famiglia. Frisso e sua sorella furono destinati ad esser le vittime; ma informati della risoluzione ch’erasi presa, determinarono di fuggire insieme fuori della Grecia. Passarono da Europa in Asia, portati da un montone con vello d’oro. Elle, spaventata dal rumore de’ flutti, cadde, e si annegò in quel luogo, che indi fu appellato Ellesponto. Frisso avendo felicemente compito il suo tragitto, arrivò nella Colchide. Per ubbidire ad un oracolo, sagrificò ivi il suo montone a Giove, ed appese il velo d’oro ad un albero in una foresta consacrata al dio Marte, affidandolo alla custodia di un dragone, che divorava tutti coloro che vi si avvicinavano per rapirlo. In seguito sposò Calcione, [p. 142 modifica]figlia di Aeta, che regnava nella Colchide. I primi anni di questo matrimonio furono felici, ma Aeta che invidiava le ricchezze di suo genero, lo fece morire per impadronirsene.

Furie, Divinità infernali, ministre della vendetta degli Dei contro gli scellerati, ed esecutrici delle sentenze de’ giudici dell’Inferno. Il loro nome è preso dal furore che inspirano, e col quale infrociscono contro i colpevoli. Erano figlie della Discordia, ovvero della Notte e dell’Acheronte. Se ne contano tre, Tesifone, Megera ed Aletto. Incutevano lo spavento nell’animo de’ malvagj, anche in vita; li tormentavano con rimorsi strazianti, e con visioni terribili, le quali li gittavano nel più tetro smarrimento, che spesso non terminava che colla loro vita. Venivano incaricate dagli Dei di castigare gli uomini colle malattie, colla guerra e con gli altri flagelli dello sdegno celeste. Rappresentansi con un viso severo e con un’aria minaccevole, con la bocca spalancata, coverte di vesti nere ed insanguinate, con le ale simili a quelle della nottola, con serpenti attortigliati intorno alla testa; con una torcia ardente in una mano ed uno staffile formato anche di serpenti nell’altra. Il Terrore, la Rabbia, il Pallore, la Morte formano il loro corteggio. Assise intorno al trono di Plutone attendevano i suoi cenni con una impazienza, che manifestava il loro furore. In un’antica pittura etrusca vedesi una Furia, che tiene un serpente, ed un ferro puntito, col quale percuote un reo in atto di alzar le sue mani supplichevoli verso il Cielo: un’altra Furia sta innanzi a lui in atto di bruciarlo con una fiaccola, che tiene in mano. Nota 55. fig. 35.