Dizionario mitologico ad uso di giovanetti/Mitologia/L

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Mitologia - I Mitologia - M

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abirinto
, ricinto pieno di boschetti e di fabbriche disposte in modo che quando vi si era entrato una volta, non se ne poteva ritrovar la uscita. Gli Antichi fanno menzione di molti famosi labirinti. Il più antico era quello di Egitto. Dicesi che questo edifizio conteneva tre mila appartamenti, la meta de' quali era sotterra e l'altra metà al di sopra, e dodici palagj in un solo ricinto. Era fabbricato e coverto di marmo, ne vi era che una sola scalinata, ma nell'interno eravi una infinità di cammini tortuosi.

Il labirinto di Creta fu fabbricato da Dedalo sul modello di quello di Egitto per rinchiudervi il Minotauro. Era tutto scoverto, e perciò Dedalo, che vi fu rinchiuso con suo figlio Icaro, potè uscirne per mezzo di ale artificiose. Eranvi due altri famosi labirinti, uno nella isola di Lenno, l'altro in Etruria.

Laide, donna di partito, celebre per la sua bellezza egualmente che per la sua vita lasciva. Ella faceva costar così caro il piacere di entrare nella sua casa [p. 173 modifica]coloro che desideravano visitarla che i soli ricchi potevano pretenderlo; quindi il proverbio Non omnibus datum est ire Corinthum. Il luogo di sua dimora era Corinto. Recatasi in Tessaglia, fu ivi uccisa in un tempio di Venere da alcune donne gelose della sua bellezza e della sua celebrità.

Lajo, re di Tebe, marito di Giocasta, e padre di Edipo. (Vedi Edipo).

Laocoonte, figlio di Priamo e di Ecuba, e gran sacerdote di Apollo e di Nettuno. Egli si oppose al partito de' Trojani, i quali volevano introdurre il famoso cavallo di legno dentro la città, rappresentandolo come una macchina, che nascondeva nimini, capace di abbattere le mura di Troja; e per convincerli di tal verità, lanciò una lunga asta nel fianco di quel cavallo. I Trojani incaparbiti nella loro lusinga, non curarono il suo avviso; anzi riguardarono quest'atto come una empietà; soprattutto ove videro uscir dal seno del mare due orribili serpenti, indirizzarsi all'altare, sul quale stava egli sagrificando, gittarsi sopra i suoi due figli Antifato e Timbreo, sbranarli spietatamente; scagliarsi sopra lo stesso Laocoonte che cercava soccorrere i proprj figli, riempirlo di morsicature, ed avviticchiandosi sul di lui corpo sparso di sangue, soffocarlo coi loro tortuosi giri. Questo avvenimento ha dato luogo ad uno de' più bei pezzi di scultura greca che hanno i Francesi. Questo capo d'opera è di Polidoro, Atenodoro, ed Agesandro, tre eccellenti scultori di Rodi, che lo intagliarono in un sol pezzo di marmo; ed in oggi trovasi nella sala de' monumenti antichi a Parigi.

[p. 174 modifica]Laomedonte, figlio d'Ilo re di Frigia, e padre di Priamo. Fece l'accordo con Nettuno ed Apollo di una certa somma di danaro, se volessero prestargli ajuto a fabbricare le mura di Troja. Terminata l'opera, Laomedonte ricusò di adempire. Apollo, per punirlo, afflisse quel paese con la peste; e Nettuno, dopo una terribile inondazione, fece uscire dal seno del mare un mostro, che minacciava la desolazione della Frigia. I Trojani ricorsero all'oracolo, il quale rispose che per esser liberati dai loro mali, e riparar la ingiuria fatta agli Dei, dovevano esporre al mostro Esione figlia di Laomedonte. Ercole pervenne colà sul momento che la infelice principessa andava per essere divorata dal mostro: egli la liberò a condizione che gli si darebbe in isposa. Esione vi acconsentì; ma rimase tuttavia in casa di suo padre, durante l'assenza di Ercole, che di là recossi alla conquista del vello d'oro. Questo eroe al suo ritorno avendo chiesta Esione, Laomedonte ricusò dargliela. Ercole sdegnato l'uccise, e diede Esione a Telamone, che la condusse nella Tracia.

Lapiti; popoli di Tessaglia. Essi furono i primi domatori di cavalli, e gl'inventori delle briglie. Venuti in contesa coi Centauri alle nozze di Piritoo, ne uccisero un gran numero, e misero il resto in fuga.

Lari, Dei domestici, i quali erano rappresentati da picciole statue, che veneravansi nelle case, e se ne aveva una cura particolare. Oltre i Lari domestici ve n'erano de' pubblici, che presedevano alle strade, alle campagne ed anche alla città. I Lari erano i genj di ciascuna casa e i custodi delle famiglie. Il loro sito [p. 175 modifica]ordinario nelle case era dietro la porta o intorno ai focolari. La vittima che loro immolavasi, era un porco, allorchè gli si sagrificava in pubblico; ma in privato, loro offrivasi ogni giorno del vino, dell'incenso, una corona di lana, ed un poco di ciascuna vivanda, che presentavasi alla tavola. Nota 65

Latona, figlia del Titano Ceo e di Febe. Giove se ne innamorò per la di lei rara bellezza. Giunone ch'erasene ingelosita, fece nascere il serpente Pitone per perseguitarla e tormentarla; ed aveva fatto promettere alla terra di non accordarle ricovero. Latona intanto era gravida, e non sapeva ove poter partorire. Nettuno mosso a pietà, fece sorgere dai profondi abissi del mare l'isola di Delo; e Giove avendola trasformata in quaglia, ella vi rifuggì, e sotto l'ombra di un ulivo partorì Apollo e Diana.

Laverna, Dea de' ladri, de' mariuoli, degl'ipocriti, de' plagiarj, de' furbi e de' mercanti. Erale consagrato un bosco presso Roma, ove tutt'i ladri andavano a dividersi le robe rubate. Si rappresentava sotto la figura di un corpo o senza testa, o la cui testa fosse coverta di una maschera. Il suo nome deriva da Larva, maschera, perchè i ladri e gl'impostori coprono sotto una apparenza buona la loro malvagità.

Lavinia, unica figlia di Latino e di Amata. Era stata promessa sposa a Turno re de' Rutoli; ma un oracolo vietò a Latino di maritarla ad un principe del Lazio, annunziandogli di esserle destinato uno straniero il cui sangue mescolato col suo, doveva innalzare sino al [p. 176 modifica]Cielo la gloria del nome Latino. Enea pervenuto in Italia, chiese per sua sposa questa principessa, e Latino sulla fede dell'oracolo gliel'accordò. Turbo, sdegnato per la ingiuria che gli si faceva, dichiarò la guerra ad Enea e sollevò contro lui tutt'i popoli vicini; ma Enea, rimasto vincitore ed ucciso Turno, sposò Lavinia e diede il di lei nome ad una città, ch'egli fondò.

Lazio, paese d'Italia, abitato dai Latini. Saturno perseguitato da Giove suo figlio, e costretto ad abbandonare il Cielo, si ricoverò quivi presso Giano che n'era il re.

Leandro, giovinetto di Abido, amante di Ero (Vedi Ero).

Leda, moglie di Tindaro. Giove s'incapricciò di lei, e cercò sedurla, ma non vi riuscì. Avendo egli ritrovato questa principessa sulla sponda del fiume Eurota, fece cangiar Venere in aquila, e prendendo egli la forma di un cigno in atto di fuggire, come se fosse perseguitato dall'aquila, andò a ricoverarsi nel seno della bella Leda. Sotto siffatta metamorfosi egli la ingannò. A capo di nove mesi ella si sgravò di due uova da uno de' quali uscirono Polluce ed Elena, e dall'altro Castore e Clitemnestra.

Lemnos, o Lemno isola del mare Egeo, ove Vulcano cadde allorché Giove lo precipitò dal Cielo. I Lemnj lo mantennero nella sua caduta, e lo impedirono di fracassarsi, sicché non gli si ruppe che una gamba. In ricompensa di tal servigio, Vulcano stabilì fra essi la sua dimora, e le sue fucine, e fu la loro divinità tutelare.

[p. 177 modifica]Lerna, lago nel territorio di Argo famoso per l'idra ch'Ercole vi uccise. Questa idra era un mostro di più teste; quando se ne troncava una, rinasceva all'istante, purchè non vi si applicasse il fuoco. Il veleno di questo mostro era così sottile che una freccia, la quale ne fosse intinta, cagionava infallibilmente la morte. Ercole tagliò tutte le teste dell'idra e la uccise. Questa è una delle sue dodici fatiche.

Lestrigoni, popoli di Sicilia, barbari e crudeli, i quali divoravano tutti quegl'infelici che cadevano nelle loro mani. La flotta di Ulisse essendo stata sbattuta da una burasca sulle spiagge di Lestrigonia, inviò egli tre de' suoi compagni ad esplorar quei luoghi. Antifato, re di quel paese, ne prese uno, e ne fece il pasto del suo pranzo: gli altri volevano fuggire, ma i Lestrigoni gli afferrarono ed infilzandogli a guisa di pesci, seco li condussero per divorargli; attaccarono quindi i vascelli di Ulisse, molti de' quali ne colarono a fondo. Ulisse si allontanò al più presto che potè da que' barbari luoghi, dopo di avervi perduto un gran numero de' suoi seguaci.

Lete, fiume dell'Inferno, altramente appellato il fiume dell'obblio. Tutte le anime erano necessitate a bere delle sue acque, la cui proprietà era di far dimenticare il passato. Lete era rappresentato sotto la forma di un vecchio, che tiene la sua urna con una mano, o coll'altra la tazza dell'obblio. Figura 47.

Leucade, o Leucate, famoso promontorio della isola di Leucade nel mar jonio, conosciuto sotto il nome di [p. 178 modifica]Salto leucadio, aveva la proprietà di guarire della passione amorosa coloro che n'eran presi. Dalla sommità di questa balza, Saffo di Lesbo, celebre per lo suo genio poetico, e per la sua non corrisposta passione per Faone, si precipitò nel mare.

Libazioni cerimonie religiose, che consistevano in riempiere un vaso di vino, di latte o di altro liquore, che versavasi in onore di qualche Dio. Le libazioni praticavansi ne' negoziati, ne' trattati, ne' matrimoni, ne' funerali, prima d'intraprendersi un viaggio, nell'atto di andare a letto, e di alzarsi, sul principio e sulla fine del pasto. Prima di farsi le libazioni, bisognava lavarsi le mani, e recitare alcune preghiere.

Lica, seguace di Ercole, e molto attaccato al di lui servigio. Questo eroe un giorno spedì Lica a prendere le sue vesti di cerimonia, che li bisognavano per celebrare un sagrifizio. Dejanira, sua sposa, ingelosita dell'amore ch'Ercole aveva concepito per Jole, incaricò Lica di recargli una tunica intinta del sangue di Nesso. Appena Ercole se l'ebbe posta, che attaccatasi alla sua pelle, lo bruciò sino nelle midolla delle ossa. Nell'atto del suo furore egli prese Lica per le braccia, lo girò tre o quattro volte in aria, e lo sbalzò impetuosamente nel mare; quindi l'infelice Lica fu cangiato in scoglio.

* Licaone, figlio di Pelasgo, re di Arcadia, contemporaneo di Cecrope. Secondo Apollodoro, egli eebbe 50 figli maschi ed una sola femmina nominata Calisto. Altri ne contano sino a 55. Pausania attesta, come un fatto, che Licaone faceva uccidere tutt'i forestieri, che [p. 179 modifica]pervenivano ne' suoi stati. Avendo risoluto di far uccidere lo stesso Giove, mentr'era suo ospite, stimò prima di far pruova della sua divinità per disingannare la credulità de' popoli, che recavansi a casa sua per riconoscere il Dio. In effetto egli li fece presentare alla mensa le membra di un uomo da lui scanato; ma un fulmine distrusse all'istante il palazzo di Licaone, incenerì i complici del delitto, e lo stesso Licaone fu cangiato in orso. All'opposto, altri storici lo rappresentano come un re saggio e benefico, che richiamando gli Arcadi dallo stato selvaggio ad una vita meno dura, insegnò loro l'arte di costruirsi delle capanne, onde garantirsi dalla inclemenza dell'aria, e delle stagioni, ed a vestirsi di pelli di cinghiali; e siccome fino a quel tempo eransi cibati di foglie di alberi, e di erbe, e di radici, talora venefiche, introdusse in quel popolo l'uso delle ghiande. Gli Arcadi usarono di questo cibo per così lungo tempo, che i Lacedemoni volendo loro fare la guerra, consultarono la Pizia, la quale rispose „Un popolo che vive di ghiande è ben formidabile nelle battaglie

Suida all'incontro riferisce, che Licaone fu un gran politico, e che per imporre a suoi sudditi l'osservanza delle sue leggi, dava loro a credere che Giove li facea delle visite sotto la figura di uno straniero (ciò che fu praticato da molti legislatori prima, e dopo di lui). e che i suoi figli, per assicurarsi della divinità di Giove, mescolarono tra le carni delle vittime, quelle di un fanciullo da essi ucciso, e che un fulmine ridusse in cenere i rei di così orribile delitto.

Edificò su di un monte di Arcadia la città di Licosura la più antica delle città della Grecia, e vi eresse un [p. 180 modifica]tempio in onor di Giove Liceo, a cui egli sacrificava vittime umane. Forse di quì è che i poeti, ed i mitologi hanno immaginato ch'egli dasse a mangiare a Giove carne di uomini da lui scannati; e di quì è forse, che fu chiamato Licaone, che in greco significa Lupo.

Vi sono stati molti altri Licaoni, uno fratello di Nestore ucciso da Ercole, un altro figlio di Priamo, ucciso da Achille eccetera.

Liceo, monte di Arcadia, celebre presso i poeti, consagrato a Giove ed a Pan. E anche il nome di un ginnasio di Atene, famoso per le lezioni di Aristotele.

Licomede, re di Sciro, presso il quale fu inviato Achille travestito da donzella, per non andare alla guerra di Troja; ma Ulisse lo scoprì, e lo condusse seco all'armata.

Lince, animale favoloso, che aveva la vista molto penetrante; era consagrato a Bacco.

Linceo, figlio di Egitto. Egli fu il solo de' suoi cinquanta fratelli, che fu risparmiato, allorchè le Danaidi trucidarono i loro mariti la prima notte delle loro nozze. Ipermestra, sua moglie, lo salvò e succedette a Danao.

Fuvvi un altro Linceo, uno degli Argonauti, figlio di Afareo, re di Messenia, il quale aveva la vista si penetrante che vedeva attraverso alle mura, e scopriva ciò che facevasi nel Cielo e nell'Inferno. Uccise [p. 181 modifica]Castore, ed egli stesso fu ucciso dipoi da Polluce.

Lino, figlio di Apollo e di Tersicore, ovvero di Euterpe. Inventò i versi lirici e le canzoni. Ricevette da Apollo stesso la lira a tre corde di lino, ma perchè egli vi sostituì quelle di budella, suo padre se ne ingelosì, e lo fece morire.

Eravi un altro Lino ucciso da Ercole con un colpo di lira, perchè aveva contraffatto la sconcia maniera, con cui l'eroe suonava questo strumento.

Lucina, Dea che presedeva ai parti, ed alla nascita de' bambini. Era dessa la Dea Giunone adorata sotto questo nome; ed alcuni credono che fosse Diana. Si rappresentava, come una matrona, tenendo una coppa a man destra ed a sinistra una lancia; alle volte vien figurata assisa sopra una cassa, tenendo colla man sinistra un bambino fasciato e con la dritta un fiore.

Lupercali, feste in onore del Dio Pan. I sacerdoti che celebravano queste feste, chiamavansi Luperci. Eglino stavano ignudi durante la festa delle Lupercali. Questo sacerdozio non era in molt'onore in Roma. Coloro i quali dedicavansi a questo culto, commettevano molti disordini.

Lustrazioni, cerimonie religiose frequentate molto presso i Greci e i Romani. Per ordinario facevansi per mezzo delle aspersioni, delle processioni, de' sagrifizj di espiazione, e ricorrevano da cinque a cinque anni, donde venne l'usanza di contare il tempo per lustri.